La doppia negazione afferma, ma “non poteva non sapere” non vale in Tribunale

Integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. Pur essendo a forma libera, questa fattispecie richiede, in ogni caso, che la condotta sia caratterizzata da un tipico effetto dissimulatorio, avendo l’obiettivo di ostacolare l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del denaro.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza n. 16153, depositata l’11 aprile 2014. Il caso. Il Tribunale del riesame di Palermo confermava il sequestro preventivo, disposto dal gip, sui beni nella disponibilità della rappresentante legale di una società, accusata di riciclaggio di una somma di denaro, ritenuta una parte del profitto incamerata dalle imprese del genero, proveniente dalla commissione di reati di truffa. La donna ricorreva in Cassazione, contestando l’apparenza della motivazione sulla ritenuta sussistenza della consapevolezza della provenienza illecita delle somme e, quindi, sull’elemento soggettivo del reato di riciclaggio. Accertamento minimo. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che, in sede di riesame delle misure cautelari reali, pur essendo precluso il sindacato sul merito dell’azione penale, il giudice deve verificare la sussistenza del presupposto del fumus commissi delicti , attraverso un accertamento concreto, basato sull’indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato. Perciò, nel sequestro preventivo, la verifica del giudice del riesame, anche se non si traduce in un sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve, comunque, accertare la possibilità di qualificare il fatto come determinata ipotesi di reato. Non è, quindi, sufficiente la mera supposizione della sua esistenza da parte del P.M Bisogna valutare anche l’elemento soggettivo. Il Tribunale del riesame deve dimostrare la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame. Non può prescindere, di conseguenza, anche da un controllo, sulla base fattuale del singolo caso concreto, su un’eventuale mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Operazioni di riciclaggio. I giudici di legittimità ricordavano, inoltre, che integra il reato di riciclaggio il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l’accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell’aggirare la libera e normale esecuzione dell’attività posta in essere. Pur essendo a forma libera, questa fattispecie richiede, in ogni caso, che la condotta sia caratterizzata da un tipico effetto dissimulatorio, avendo l’obiettivo di ostacolare l’accertamento o l’astratta individuabilità dell’origine delittuosa del denaro. Dolo generico. Nel caso di specie, non emergevano, dalla motivazione, dei dati sintomatici della presenza dell’elemento soggettivo del delitto di riciclaggio, il quale è integrato dalla forma generica del dolo, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, senza richiedere alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro. Il Tribunale valutava la sussistenza della fattispecie non sulla base di dati oggettivamente dimostrativi del consapevole e volontario contributo che l’indagata avrebbe fornito alle operazioni, ma solo in negativo, affermando che l’elemento soggettivo non potesse essere escluso, in quanto non era emerso con evidenza che l’indagata non fosse consapevole della provenienza illecita di quei proventi. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale sentenza 6 febbraio – 11 aprile 2014, n. 16153 Presidente De Roberto – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 10-12 luglio 2013 il Tribunale del riesame di Palermo, previa esclusione del fumus commissi delicti in relazione al reato di cui agli artt. 81 cpv., 110, 648-bis c.p. per la somma di Euro 3.800.000,00 capo d'imputazione sub 73 , ha confermato il sequestro preventivo disposto dal G.i.p. presso il Tribunale di Palermo con decreto del 17 giugno 2013 sui beni nella disponibilità di D.S.A. , quale rappresentante legale delle società A.DI.LAT. s.a.s. e CO.F.ARG. s.r.l., per il riciclaggio della somma di denaro pari all'importo di Euro 733.000,00, ritenuta una porzione di profitto incamerata dalle imprese del genero, G.F. , e proveniente dalla commissione dei reati di truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e di utilizzo di fatture per operazioni inesistenti. 2. Avverso la su indicata pronuncia del Tribunale del riesame ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'indagata, deducendo vizi di violazione ed erronea applicazione degli artt. 321 c.p.p., 322-ter e 648-bis c.p., in ragione dell'apparenza della motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza della consapevolezza della provenienza illecita delle somme, e dunque con riguardo all'elemento soggettivo del reato di riciclaggio, oltre che all'aspetto oggettivo del reato contestato ed alla mancata limitazione dell'importo del sequestro in proporzione alla quota relativa alla partecipazione societaria dell'indagata. È stata attribuita alla ricorrente, in tal modo, una sorta di responsabilità di posizione dovuta alla parentela, in assenza di qualsivoglia concreta indicazione di elementi dimostrativi della consapevolezza dell'illiceità dei beni trasferiti alle società dalla stessa partecipate. Una totale omissione della motivazione rispetto alle puntuali doglianze difensive articolate in sede di riesame è infine riscontrabile con riguardo all'adozione del sequestro per l'intero importo di Euro 733.000,00, a carico di ciascuno dei coindagati, così sottoponendo al vincolo cautelare reale beni per un valore complessivo superiore al profitto del reato come determinato dallo stesso G.i.p., tenuto conto del fatto che la quota detenuta dall'indagata nelle società A.DI.LAT. s.a.s. e CO.F.ARG. s.r.l. è pari al 33,33% del capitale sociale. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato e va accolto per le ragioni di seguito indicate. 4. È noto che, in sede di riesame delle misure cautelari reali, pur essendo precluso il sindacato sul merito dell'azione penale, il giudice deve verificare la sussistenza del presupposto del fumus commissi delicti attraverso un accertamento concreto, basato sulla indicazione di elementi dimostrativi, sia pure sul piano indiziario, della sussistenza del reato ipotizzato Sez. 6, n. 35786 del 21/06/2012, dep. 18/09/2012, Rv. 254394 . Nel sequestro preventivo, dunque, la verifica del giudice del riesame, ancorché non debba tradursi in un sindacato sulla concreta fondatezza dell'accusa, deve, tuttavia, accertare la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, non potendosi ritenere sufficiente la mera postulazione della sua esistenza da parte del P.M Ne discende che il Tribunale del riesame deve rappresentare in modo puntuale e coerente, nella motivazione dell'ordinanza, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti, dimostrando la congruenza dell'ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale sottoposta al suo esame Sez. 4, n. 15448 del 14/03/2012, dep. 20/04/2012, Rv. 253508 Sez. 6, n. 45591 del 24/10/2013, dep. 12/11/2013, Rv. 257816 . Siffatto controllo, non meramente cartolare, sulla base fattuale del singolo caso concreto, deve necessariamente involgere anche i profili inerenti all'eventuale difetto dell'elemento soggettivo del reato, purché di immediato rilievo Sez. 2, n. 2808 del 02/10/2008, dep. 21/01/2009, Rv. 242650 Sez. 1, n. 21736 del 11/05/2007, dep. 04/06/2007, Rv. 236474 Corte cost., ord. n. 153 del 2007 . Del dispiegarsi di tale necessario sforzo argomentativo non v'è traccia nella motivazione dell'impugnata ordinanza, che non chiarisce, al di là della mera responsabilità di posizione ricollegabile al rapporto di affinità con il G. ed alla formale titolarità delle due società di cui l'indagata risulta essere solo legale rappresentante, senza esercitarvi concreti poteri di amministrazione, ovvero significative funzioni gestorie, quali siano le specifiche note modali della ipotizzata condotta di riciclaggio, tenuto conto, sulla base della pacifica linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte Sez. 6, n. 16980 del 18/12/2007, dep. 24/04/2008, Rv. 239844 , che integra tale delitto il compimento di operazioni volte non solo ad impedire in modo definitivo, ma anche a rendere difficile l'accertamento della provenienza del denaro, dei beni o delle altre utilità, attraverso un qualsiasi espediente che consista nell'aggirare la libera e normale esecuzione dell'attività posta in essere. La fattispecie di riciclaggio, invero, pur essendo a forma libera, richiede in ogni caso che la relativa condotta sia caratterizzata da un tipico effetto dissimulatorio, avendo l'obiettivo di ostacolare l'accertamento o l'astratta individuabilità dell'origine delittuosa del denaro Sez. 2, n. 39756 del 05/10/2011, dep. 04/11/2011, Rv. 251194 . Né sembrano emergere, dalla motivazione, dati sintomatici della presenza dell'elemento soggettivo del delitto di riciclaggio, integrato, come è noto, dalla forma generica del dolo, che ricomprende la volontà di compiere le attività volte ad ostacolare l'identificazione della provenienza delittuosa di beni od altre utilità, nella consapevolezza di tale origine, senza richiedere alcun riferimento a scopi di profitto o di lucro Sez. 2, n. 546 del 07/01/2011, dep. 11/01/2011, Rv. 249445 . A tale riguardo, per vero, solo perplessi aprono i piaggi argomentati dedicati alla disamina di tale specifico profilo, la cui presenza viene apprezzata dal Tribunale non sulla base di dati oggettivamente dimostrativi del consapevole e volontario contributo che l’indagata - di età, peraltro, assai avanzata - avrebbe fornito alla realizzazione di operazioni in concreto orientate ad assicurare al nucleo familiare la disponibilità di somme di illecita provenienza, ma solo in negativo, attraverso l’apodittica affermazione che, allo stato, l’esistenza dell'elemento soggettivo non può essere esclusa, non emergendo con evidenza che la D.S. non fosse consapevole della provenienza illecita di quei proventi . 5. S’impone, conseguentemente, l'annullamento con rinvio dell’impugnata ordinanza, per un nuovo esame dei punti critici sopra evidenziati, che nella piena libertà dei relativi apprezzamenti di merito dovrà colmare le su indicate lacune motivazionali, uniformandosi ai principii di diritto in questa Sede stabiliti. P.Q.M. Annulla la ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.