Un losco giro di appalti e mazzette: sì alla misura cautelare ma, a volte, non si può pretendere troppo

Nel caso di sequestro per equivalente, i criteri di valutazione dei beni devono essere tendenzialmente gli stessi di quelli che saranno utilizzati per la confisca definitiva in quella sede, la valutazione dei beni oggetto di ablazione reale per equivalenza rispetto al prezzo o al profitto derivante da reato non può che avvenire sulla base di criteri legati al valore reale, cioè di mercato, altrimenti si realizzerebbe una non consentita, in quanto sproporzionata, compressione del diritto di proprietà, soprattutto nella misura in cui si riconosce la natura sanzionatoria della confisca c.d. di valore.

È quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15807 dell’8 aprile 2014. Il fatto. Il gup del Tribunale di Roma disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle quote di una s.r.l., ritenute di valore equivalente al prezzo dei delitti di corruzione contestati al loro proprietario, in concorso con altri due uomini, nell’ambito di un giro di onerosi appalti per opere pubbliche ad imprese riconducibile al primo, in cambio di denaro, beni e ingenti utilità. A seguito delle richieste della difesa con le quali si faceva notare la sproporzione del valore reale delle quote sequestrate rispetto al prezzo del reato contestato veniva disposto il dissequestro parziale. L’imputato ricorre in Cassazione. Sproporzione del sequestro per equivalente. Il ricorrente sostiene che il sequestro per equivalente delle quote sia sproporzionato rispetto alla somma da sottoporre a confisca, contestando la valutazione dei beni compiuta dai giudici di merito, effettuata con riferimento al valore nominale delle quote della s.r.l. a al valore catastale dei beni immobili. Tale valutazione viene ritenuta del tutto disancorata dai valori di mercato ritenuti i soli idonei a determinare la consistenza reale dei beni oggetto del sequestro. In sostanza, si assume che se in sede di esecuzione della confisca si deve far necessariamente riferimento al valore reale dei beni mobili e immobili, il medesimo criterio deve essere seguito anche nella fase cautelare. Il Tribunale, invece, non aveva ritenuto utilizzabile il criterio del valore nominale, affermando di non poter disporre di poteri istruttori per compiere accertamenti sull’effettivo valore dei beni oggetto di sequestro. Con la misura cautelare non può ottenersi di più di quello che si otterrebbe con il provvedimento definitivo. Il ricorso merita accoglimento la Corte di Cassazione sottolinea che con la misura cautelare non può ottenersi di più di quello che si otterrebbe con il provvedimento definitivo. Conseguentemente, nel caso di sequestro per equivalente, i criteri di valutazione dei beni devono essere tendenzialmente gli stessi di quelli che saranno utilizzati per la confisca definitiva in quella sede, la valutazione dei beni oggetto di ablazione reale per equivalenza rispetto al prezzo o al profitto derivante da reato non può che avvenire sulla base di criteri legati al valore reale, cioè di mercato, altrimenti si realizzerebbe una non consentita, in quanto sproporzionata, compressione del diritto di proprietà, soprattutto nella misura in cui si riconosce la natura sanzionatoria della confisca c.d. di valore. Il Tribunale cerca di giustificarsi, ma Il Tribunale giustifica la sua decisione facendo riferimento, da un lato, alla impossibilità di disporre poteri istruttori e, dall’altro, alla mancata produzione di documentazione da parte della difesa in ordine al reale valore dei beni oggetto di sequestro. Ma tale giustificazione è priva di fondamento in sede di appello o di riesame, il Tribunale deve sempre verificare se il valore dei beni assoggettati alla misura reale coincida con l’ammontare del profitto o del prezzo da confiscare, verifica che non implica il ricorso a poteri istruttori. Nella specie, in atti vi era la documentazione da cui si sarebbe potuto desumere una diversa valutazione dei beni in sequestro, ossia il provvedimento di liquidazione dei compensi del custode giudiziario, da cui poteva ben desumersi la sproporzione tra il valore dei beni oggetto del sequestro per equivalente rispetto al prezzo dei reati di corruzione contestati per cui potrà intervenire la confisca ai sensi dell’art. 322 -ter c.p. Per queste ragioni, l’ordinanza deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Roma per nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 gennaio – 8 aprile 2014, n. 15807 Presidente De Roberto – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. Con decreto del 14 maggio 2012 il G.u.p. del Tribunale di Roma disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca delle quote della Società Sportiva Romana s.r.l., nei limiti di Euro 7.865.105,57, quote appartenenti al 100% a A.D. e ritenute di valore equivalente al prezzo dei delitti di corruzione contestati allo stesso A. , in concorso con B.A. e Bl.Ga. questi ultimi, in qualità di pubblici ufficiali, il primo Capo del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo della Presidenza del Consiglio dei Ministri e il secondo dirigente del Ministero per i Beni e le Attività culturali, avevano conferito numerosi e onerosi appalti per opere pubbliche ad imprese riconducibili ad A. , ricevendone in cambio denaro, beni e ingenti utilità. Con istanze depositate l'11.4.2013 e il 16.4.2013 la difesa di A. chiedeva la revoca del sequestro ovvero la riduzione delle quote societarie in sequestro, assumendo la sproporzione del loro reale valore rispetto al prezzo del reato di corruzione contestato. Con provvedimento del 18.4.2013 il G.u.p., in parziale accoglimento della prima istanza, disponeva il dissequestro parziale delle quote per un valore di Euro 1.209.428, ritenendo che effettivamente il valore in sequestro fosse superiore pari cioè ad Euro 9.065.479,88 con un successivo provvedimento, emesso il 15.5.2013, rigettava la seconda istanza. 2. Sugli appelli proposti dalla difesa di A.D. contro i due provvedimenti citati il Tribunale di Roma, con ordinanza del 1 luglio 2013, dopo aver riunito gli appelli, ha ritenuto di dovere riferirsi al valore nominale delle quote societarie, risultante dalle iscrizioni a bilancio, così come del resto aveva fatto il G.u.p., e ha respinto gli appelli, escludendo che i beni sottoposti a sequestro per equivalente eccedano il parametro del prezzo del reato contestato. 3. Contro l'ordinanza del Tribunale di Roma ricorre per cassazione l'avvocato Giovanni Aricò, nell'interesse dell'imputato deducendo due distinti motivi. 3.1. Con il primo denuncia la violazione di legge in relazione al contenuto prescrittivo dei principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità delle misure cautelari reali, nonché il vizio di motivazione per travisamento degli atti processuali. In particolare, sostiene che il sequestro per equivalente delle quote sia sproporzionato rispetto alla somma da sottoporre a confisca, in quanto risultano sequestrati anche altri beni, tra cui immobili appartenenti a A.D. e ad B.A. , il cui valore reale appare più che sufficiente a coprire la somma ritenuta prezzo del reato di corruzione. Ciò che viene contestato è la valutazione dei beni compiuta dai giudici di merito, effettuata con riferimento al valore nominale delle quote della Società Sportiva Romana s.r.l. e al valore catastale dei beni immobili, valutazione del tutto disancorata ai valori di mercato ritenuti i soli idonei a determinare la consistenza reale del complesso dei beni mobili e immobili oggetto del sequestro. In particolare, con riferimento alle quote della Società Sportiva Romana la difesa sottolinea come, già nell'atto di appello, avesse rappresentato l'erroneità di una valutazione riferita al capitale sociale nominale, dal momento che questo indica il valore delle attività patrimoniali che i soci si sono impegnati a non distrarre dall'attività d'impresa per tutta la durata della società . A questo proposito nel ricorso si evidenzia che, con riferimento ad altro procedimento incidentale avente ad oggetto analoga istanza difensiva, la Corte di cassazione avrebbe stabilito la necessità di far riferimento al valore effettivo della Società Sportiva Romana Sez. VI, sentenza n. 28264 del 2013 , ma di tale pronuncia il Tribunale non avrebbe tenuto alcun conto, escludendo - erroneamente - che contenesse il riferimento alla necessità di valutare le quote sulla base del valore di mercato. In sostanza, si assume che se in sede di esecuzione della confisca si deve far necessariamente riferimento al valore reale dei beni mobili e immobili, il medesimo criterio deve essere seguito anche nella fase cautelare. 3.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione sotto un duplice profilo. In primo luogo rileva la omessa motivazione in ordine alla questione sottoposta con l'atto di appello circa l'erroneità del riferimento al capitale sociale nominale. Inoltre, censura l'ordinanza per essere incorsa in un vero e proprio travisamento per omissione degli atti allegati dalla difesa, sostenendo di non avere a disposizione documentazione che potesse consentire di determinare il valore reale delle quote. Si assume che il Tribunale avrebbe potuto accertare il reale valore delle quote sulla base del provvedimento di liquidazione dei compensi del custode giudiziario, contenente il riferimento al valore reale dei beni in sequestro oltre 69 milioni di Euro e del bilancio del 31.12.2011 della Società Sportiva Romana approvato dal custode giudiziario, in cui il valore reale dell'azienda veniva indicato in Euro 44.176.871. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato. 4.1. Il ricorrente assume che il valore dei beni oggetto del sequestro disposto in vista della confisca di cui all'art. 322-ter c.p. sia eccessivo rispetto all'ipotizzato prezzo derivante dal reato di corruzione che gli è stato contestato e che tale sproporzione dipenda da un'errata valutazione dei beni, compiuta utilizzando criteri formali. In particolare, i giudici si sarebbero riferiti al capitale sociale nominale per determinare il valore delle quote sociali e al valore catastale per determinare il valore degli immobili, pervenendo così ad individuare l'”equivalenza” rispetto al prezzo del reato in maniera del tutto sganciata dal valore reale dei beni in questione, valore reale che sarebbe dato dall'effettiva quotazione dei beni sul mercato. Il Tribunale, preso atto che il punto principale della questione atteneva ai criteri di valutazione dei beni, ha ritenuto che fosse utilizzabile il criterio del valore nominale perché l'unico in grado di stabilire un apprezzamento stabile ed obiettivo e di evitare il fluttuare delle quotazioni di mercato, variabili nel tempo aggiungendo, inoltre, di non disporre di poteri istruttori per compiere accertamenti sull'effettivo valore dei beni oggetto del sequestro. 4.2. Preliminarmente, si ritiene di dover precisare che la questione posta dal ricorrente non può essere letta come una semplice contestazione sulla esatta determinazione del valore dei beni oggetto della misura cautelare e, quindi, ridotta ad una quaestio facti, il cui esame sarebbe precluso in sede di legittimità, ma pone il problema circa i criteri che devono essere utilizzati per la individuazione dei beni da assoggettare al sequestro per equivalente, risolvendosi in una sorta di error in procedendo, come tale rientrante nel sindacato attribuito alla Corte di cassazione. 4.3. Peraltro, il valore delle cose sequestrate è comunque questione che attiene all'adeguatezza e alla proporzionalità della misura cautelare, per giustificare la quale il giudice deve apprezzare la sussistenza di tale rapporto. Del resto, i principi di proporzionalità, adeguatezza e gradualità sono applicabili anche alle misure cautelari reali e devono costituire oggetto di valutazione preventiva e non eludibile da parte del giudice nell'applicazione delle cautele reali, al fine di evitare un'esasperata compressione del diritto di proprietà e di libera iniziativa economica così, Sez. V, 21 gennaio 2010, n. 8152, Magnano . Proprio in forza dei menzionati principi si riconosce che con la misura cautelare non può ottenersi più di quello che si otterrebbe con il provvedimento definitivo Sez. VI, 26 marzo 2013, n. 28264, A. , con la conseguenza che, nel caso di sequestro per equivalente, i criteri di valutazione dei beni devono essere tendenzialmente gli stessi di quelli che saranno utilizzati per la confisca definitiva e non vi è dubbio che in quella sede la valutazione dei beni oggetto di ablazione reale per equivalenza rispetto al prezzo o al profitto derivante da reato non può che avvenire sulla base di criteri legati al valore reale, cioè di mercato, altrimenti si realizzerebbe una non consentita, in quanto sproporzionata, compressione del diritto di proprietà, soprattutto nella misura in cui si riconosce la natura sanzionatoria della confisca c.d. di valore. Nell'ordinanza impugnata la scelta a favore di criteri valutativi formali viene giustificata con l'esigenza di assicurare stabilità e oggettività al giudizio di valore e di sottrarsi alle imprevedibili fluttuazioni del mercato, ma in questo modo si rischia di individuare beni da assoggettare al sequestro preventivo sulla base di criteri valutativi del tutto inattuali, basti pensare alla distanza che separa il valore catastale degli immobili dal valore reale degli stessi cfr., Sez. III, 26 settembre 2013, n. 42639, Lorenzini in termini diversi, Sez. III, 6 marzo 2013, n. 19009, Di Vora . È sicuramente da condividere la preoccupazione - di cui vi è traccia nell'ordinanza del Tribunale - di evitare che il vincolo cautelare imposto con il provvedimento giudiziario debba ridursi o estendersi a seconda dell'andamento del mercato in ordine alla valutazione di quel certo bene, ma si ritiene che questo tipo di rischio viene superato fissando il momento in cui tale valutazione deve essere compiuta deve ritenersi, infatti, che il giudice dovrà fare necessariamente riferimento al valore di mercato del bene nel momento in cui il sequestro viene disposto. 4.4. Invero, il Tribunale giustifica la sua decisione facendo riferimento, da un lato, alla impossibilità di disporre di poteri istruttori e, dall'altro, alla mancata produzione di documentazione da parte della difesa in ordine al reale valore dei beni oggetto di sequestro. Deve riconoscersi che il giudice dell'appello cautelare, al pari del tribunale del riesame, è privo di poteri istruttori, in quanto incompatibili con la speditezza del procedimento incidentale e con il principio informatore del nuovo processo penale, basato essenzialmente sulla iniziativa delle parti, sicché decide esclusivamente tenendo conto degli elementi emergenti dagli atti trasmessigli dal pubblico ministero e di quelli eventualmente addotti dalle parti nel corso dell'udienza. Tuttavia, l'obbligo di accertare la corretta equivalenza tra il valore dei beni e l'entità del profitto o del prezzo del reato, anche attraverso un'attività di carattere istruttorio in senso improprio, spetta sicuramente al giudice della cautela e ancor prima al pubblico ministero richiedente, sicché in sede di appello o di riesame il Tribunale deve pur sempre verificare, sulla base della documentazione trasmessa e delle deduzioni delle parti, se il valore dei beni assoggettati alla misura reale coincida con l'ammontare del profitto o del prezzo da confiscare, verifica che non implica il ricorso a poteri istruttori, ma che può essere svolta, ad esempio, controllando che siano stati utilizzati i corretti criteri di valutazione. Peraltro, nella specie, stando a quanto sostenuto dal ricorrente, in atti vi era la documentazione da cui si sarebbe potuto desumere una diversa valutazione dei beni in sequestro, più vicina al valore effettivo delle quote e degli immobili il riferimento è al provvedimento di liquidazione dei compensi del custode giudiziario, da cui risulterebbe un valore complessivo dei beni pari ad Euro 69.117.141,04, e al bilancio della Società Sportiva Romana del 31.12.2011, dove il valore reale dell'azienda amministrata giudiziariamente viene indicato in Euro 44.176.871. L'esistenza di tali documenti è, indirettamente, ammessa dallo stesso Tribunale che nel giustificare la scelta a favore di criteri nominali, esclude di potersi riferire a semplici stime o documenti di parte . Ma al di là di questo minimo accenno, di tale documentazione non vi è alcuna traccia nella motivazione dell'ordinanza impugnata. Invero, in questi casi il Tribunale, anche in qualità di giudice dell'appello cautelare, per espletare il ruolo di garanzia dei diritti costituzionali che la legge gli demanda, deve prendere in considerazione e valutare, in modo puntuale e coerente, tutte le risultanze processuali, e quindi non solo gli elementi probatori offerti dalla pubblica accusa, ma anche le confutazioni e gli elementi offerti dall'indagato che possano avere influenza sulla decisione cfr., ex plurimis , Sez. III, 26 gennaio 2011, n. 19594, Cinturino Sez. III, 12 gennaio 2010, n. 6656, Calvaruso Sez. I, 11 maggio 2007, n. 21736, Citarella Sez. IV, 21 maggio 2008, n. 23944, Di Fulvio Sez. II, 2 ottobre 2008, n. 2808/09, Bedino . In altri termini, non può prescindere dagli elementi offerti dalla difesa con i quali deve necessariamente confrontarsi motivando, seppur succintamente, le ragioni per le quali non ritiene di prenderli in considerazione. Nella specie, il Tribunale ha omesso di esaminare e valutare le confutazioni sollevate dall'indagato in particolare, i giudici non hanno definito totalmente il rapporto di impugnazione avendo omesso di pronunciarsi su una documentazione rilevante prodotta dalla difesa a sostegno delle proprie deduzioni specifiche in ordine alla sproporzione del sequestro. In questo modo, il Tribunale ha violato l'obbligo generale di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, obbligo ribadito anche nell'art. 322-bis comma 1-bis c.p.p. - che impone al giudice l'obbligo di decidere sull'intero tema sottoposto al suo esame -, vizio che non è riconducibile al difetto di motivazione previsto dall'art. 606 comma 1 lett. e c.p.p., non deducibile in cassazione ai sensi dell'art. 325 c.p.p., ma che rientra nella tipologia della violazione di legge. 5. In conclusione, nella presente fattispecie il Tribunale, oltre a far riferimento ad un erroneo criterio di valutazione dei beni, diverso da quello di mercato con riferimento al momento in cui il sequestro è stato disposto, ha omesso di prendere in considerazione la documentazione prodotta dalla difesa per dimostrare la sproporzione tra il valore dei beni oggetto del sequestro per equivalente rispetto al prezzo dei reati di corruzione contestati all'imputato per cui potrà intervenire la confisca ai sensi dell'art. 322-ter c.p Per queste ragioni l'ordinanza impugnata deve essere annullata, con rinvio al Tribunale di Roma per un nuovo esame, che tenga conto dei principi sopra indicati. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Roma per nuovo esame.