Fa irruzione in casa e aggredisce il marito, nessuna chance di salvezza per l’ex moglie

Chiunque s’introduce nell’abitazione altrui, o in altro luogo di privata dimora, contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto escluderlo, ovvero s’introduce clandestinamente o con l’inganno commette reato.

Questo è quanto emerge dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 15696 dell’8 aprile 2014. La donna entra abusivamente in casa. La Corte di appello di Palermo confermava la sentenza del gup che aveva condannato una donna, la figlia e il genero per violazione di domicilio in danno dell’ex marito dell’imputata. Quest’ultima veniva poi condannata anche per lesioni personali e danneggiamento in danno dell’uomo stesso I 3 erano accusati di essersi introdotti, forzando la porta d’ingresso, all’interno dell’appartamento della vittima, a questa assegnato in sede di separazione legale dalla moglie, da cui viveva separato. Inoltre la donna veniva anche accusata di avere, nello stesso contesto, aggredito l’ex marito ed di aver danneggiato le suppellettili della casa in cui quest’ultimo viveva. I diritti della ex. Contro tale sentenza i 3 imputati proponevano ricorso per cassazione, sostenendo in primis che la donna era anch’essa proprietaria dell’immobile e che aveva diritto, alla stessa maniera dell’ ex marito, di introdursi nello stesso, che aveva da lui ricevuto le chiavi, e che quest’ultimo aveva ingiustamente sottratto mobili ed elettrodomestici dall’appartamento, dove dopo la separazione, viveva l’ex moglie. Infine i ricorrenti sostenevano che i giudici avessero ricostruito i fatti alla luce delle dichiarazioni della sola persona offesa, portatore di un interesse idoneo a comprometterne la credibilità. Il dolo è in re ipsa. La Corte ritiene inammissibili le doglianze delle parti, in primo luogo perché sebbene la moglie potesse essere in possesso delle chiavi dell’appartamento, certamente non era autorizzata ad entrare, con la forza, nell’abitazione del marito, e a maggior ragione non era autorizzata ad aggredirlo in casa sua e a danneggiare i mobili. In sostanza per la Corte, il fatto che la donna avesse afferrato il marito per il collo e l’avesse poi bistrattato, dopo essere era entrata in casa sua – in compagnia della figlia e del genero forzando la porta d’ingresso, rappresentava la prova del dolo e l’esclusione della legittima difesa. Per questi motivi le pretese avanzate dalle parti non hanno ragione d’essere e il ricorso deve pertanto ritenersi inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 dicembre 2013 – 8 aprile 2014, n. 15696 Presidente Oldi – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Palermo, con sentenza dell'1/3/2013, a conferma di quella emessa dal Giudice dell'udienza preliminare del tribunale di Termini Imerese, all'esito di giudizio abbreviato, ha condannato L.D., T.R. e V.G. per violazione di domicilio artt. 110, 614, comma 4, cod. pen. in danno di T.G Ha condannato V.G. anche per lesioni personali e danneggiamento in danno dello stesso T I tre sono accusati di essersi introdotti a forza, previa forzatura della porta d'ingresso, all'interno dell'appartamento del T., a lui assegnato in sede di separazione legale dalla moglie V., da cui viveva separato. La V. è accusata di avere, nello stesso contesto, aggredito l'ex-marito ed aver danneggiato le suppellettili della casa in cui quest'ultimo viveva. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione, nell'interesse degli imputati, l'avv. L.A., che lamenta violazione di legge e vizio di motivazione sia in relazione al reato di cui all'art. 614 cod. pen., contestato a tutti gli imputati, che ai reati di lesioni e danneggiamento, contestati alla sola V 2.1. In relazione alla violazione di domicilio lamenta che i giudici abbiano affermato la responsabilità degli imputati nonostante l'insufficienza della prova dell'esistenza, sul piano materiale, del rapporto tra l'attività degli odierni ricorrenti e l'evento dannoso . Deduce che la V. era anch'essa proprietaria dell'appartamento e che aveva diritto, alla stessa maniera dell'ex-marito, di introdursi nello stesso che aveva ricevuto le chiavi dall'ex-marito che era stato quest'ultimo ad asportare, dall'appartamento in cui la donna abitava sito al piano superiore dello stesso immobile , mobili ed elettrodomestici che il giudice aveva ricostruito i fatti alla luce delle dichiarazioni della sola persona offesa, portatore di un interesse idoneo a comprometterne la credibilità. 2.2. In relazione ai reati di cui ai capi B e C , contestati alla V., si duole dell'erronea applicazione dell'art. 582 cod. pen., essendo stata considerata lesione una brachialgia dx post traumatica , a cui non è ricollegabile una riduzione apprezzabile dell'integrità fisica. Lamenta, poi, sempre in relazione al reato di lesioni, l'assenza di prova del dolo e l'incompletezza della motivazione. 2.3. In relazione a tutti i reati e per tutti gli imputati lamenta, infine, che non si sia tenuto conto dello stato di pericolo in cui gli stessi si sono trovati, che giustifica l'applicazione della norma sulla legittima difesa. Considerato in diritto Tutti i motivi di ricorso sono manifestamente infondati. 1. Coi primo i ricorrenti deducono circostanze in fatto, diversamente accertate dai giudici del merito, ovvero inconferenti, e propongono una personale interpretazione della prova, attuata con l'accantonamento dei dati sfavorevoli, in quanto 1 non ha nessun rilievo che la V. fosse comproprietaria dell'appartamento abitato dal T., una volta accertato che lo stesso era stato assegnato al marito in sede di separazione legale dalla moglie 2 solo assertiva è l'affermazione che avesse ricevuto le chiavi dal marito. In ogni caso, trattasi di affermazione non rilevante ai fini del giudizio sulla responsabilità, posto che, seppur avesse avuto, per qualche motivo, il possesso delle chiavi dell'appartamento, certamente non era autorizzata ad entrare, con la forza, nell'abitazione dell'ex marito 3 inconferente e assertiva è anche l'accusa, rivolta al marito, di avere, in precedenza, asportato mobili dal suo appartamento. Questo fatto, invero, l'avrebbe autorizzata ad agire giudizialmente contro l'autore della violazione, ma non a violare il domicilio dell'uomo, ad aggredirlo in casa sua e a danneggiare i mobili e le suppellettili dell'abitazione. Non corrisponde a verità, poi, che il giudice del merito si sia attenuto, per la ricostruzione dei fatti, alle dichiarazioni della sola persona offesa, posto che ha utilizzato, a tal fine, le dichiarazioni di altra figlia della coppia e le relazioni di servizio dei carabinieri, che ebbero a constatare direttamente il danneggiamento della porta d'ingresso e dei mobili dell'appartamento. Non merita censura, pertanto, la sentenza impugnata, che si è attenuta strettamente agli esiti dell'attività istruttoria ed ha applicato le norme in maniera giuridicamente corretta, mentre i ricorrenti non hanno addotto, a loro favore, che circostanze irrilevanti o assertive e fatto un uso improprio delle categorie giuridiche evocabili nella specie il possesso, il domicilio, il nesso causale . 2. Anche il motivo concernente le lesioni soffre dello stesso errore. Il termine brachialgia - utilizzato dal medico in sede di diagnosi sulla persona del T. - definisce una condizione dolorosa a livello del braccio, dovuta a schiacciamento o irritazione di un nervo spinale del collo, che può essere dovuto a discopatia, ovvero ad un evento traumatico che interessi la zona cervicale. Si tratta di uno stato morboso, quindi, certamente idoneo a condizionare la funzionalità dell'arto interessato e ad influenzare l'esercizio delle normali attività quotidiane. Pertanto, esso integra certamente il concetto di malattia rilevante ai sensi dell'art. 582 cod. penale. Quanto alla prova del dolo, il giudice non aveva nulla da aggiungere all'affermazione che T. era stato malmenato dalla V., che l'aveva afferrato per il collo e bistrattato, dopo essere entrata in casa sua - in compagnia della figlia e del genero - forzando la porta d'ingresso in questa ricostruzione dell'episodio vi è, in re ipsa, la prova del dolo e l'esclusione della legittima difesa su cui, peraltro, nemmeno la ricorrente è stata in grado di interloquire favorevolmente, salvo invocare, immotivatamente, l'esimente . 3. I ricorsi vanno pertanto dichiarati inammissibili. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000 a favore della Cassa delle ammende. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 62 d.lgs 196/2003, in quanto imposto dalla legge.