Alimenti non proprio invitanti, ma in tribunale non basta

Il reato di cui all’art. 5, lett. d , l. n. 283/1962 Disciplina igienica degli alimenti si configura solo allorché il prodotto si presenti oggettivamente insudiciato o infestato da parassiti ovvero alterato, senza che tali condizioni possano essere desunte dallo stato di conservazione dell’alimento, atteso che, trattandosi di reato di pericolo, per la cui integrazione è sufficiente il pericolo di danno per la salute pubblica, la presunzione di pericolosità non può farsi discendere dalla ulteriore presunzione che lo stato previsto alla citata lett. d discenda dalle condizioni ambientali nelle quali l’alimento viene tenuto.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15464 del 7 aprile 2014. Il fatto. Il Tribunale di Napoli condannava un uomo per il reato di cui all’art. 5, lett. b e d , l. n. 283/1962, perché deteneva per la vendita prodotti di pasticceria, panetteria a rosticceria in cattivo stato di conservazione e insudiciati. L’uomo propone ricorso in cassazione. Non sono necessarie analisi e perizie. Il ricorrente si duole che il Giudice territoriale abbia affermato la sua penale responsabilità in assenza di accertamenti specifici volti ad accertare il cattivo stato di conservazione degli alimenti ma la Corte di Cassazione afferma, al contrario, che tale stato può essere accertato anche sulla base delle deposizioni degli agenti accertatori, come avvenuto nel caso in esame, o di una semplice ispezione. Manca la prova di un effettivo insudiciamento. Inoltre, il reato di cui all’art. 5, lett. d , l. n. 283/1962 si configura solo allorché il prodotto si presenti oggettivamente insudiciato o infestato da parassiti ovvero alterato, senza che tali condizioni possano essere desunte dallo stato di conservazione dell’alimento, atteso che, trattandosi di reato di pericolo, per la cui integrazione è sufficiente il pericolo di danno per la salute pubblica, la presunzione di pericolosità non può farsi discendere dalla ulteriore presunzione che lo stato previsto alla citata lett. d discenda dalle condizioni ambientali nelle quali l’alimento viene tenuto. Nel caso di specie, difetta la prova che i prodotti alimentari fossero insudiciati e invasi da parassiti per cui manca una puntuale motivazione sul punto, in relazione al quale la sentenza deve essere annullata. Futura cessione a terzi. Secondo la difesa, manca, poi, la prova della probabile futura cessione a terzi. Tale doglianza è infondata la destinazione della merce alla vendita è stata correttamente dedotta dal rilevante quantitativo di alimenti rinvenuti. Tra l’altro, secondo lo stesso art. 5, lett. b , l. n. 283/1962 la destinazione per la vendita può consistere anche nel possesso di prodotti da vendersi successivamente, cioè, nel fine della vendita, indipendentemente dal fatto che la merce si trovi in luoghi destinati ai consumatori. In conclusione, il ricorso deve essere parzialmente accolto.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 26 febbraio – 7 aprile 2014, n. 15464 Presidente Teresi – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. L.A. ha proposto tempestivo ricorso avverso la sentenza del tribunale di Napoli, sez. dist. Capri del 28/05/2012, depositata in data 25/06/2012, con cui il medesimo è stato condannato, previo riconoscimento delle attenuanti generiche, alla pena sospesa di Euro 1.800,00 di ammenda per il reato di cui all'art. 5, lett. b e d , legge n. 283/62, perché, in qualità di titolare del laboratorio di panificazione sito in via omissis , deteneva per la vendita kg. 65 circa di alimenti, quali prodotti di pasticceria, panetteria e rosticceria, in cattivo stato di conservazione ed insudiciati in omissis . 2. Ricorre avverso la predetta sentenza l'imputato per mezzo del difensore fiduciario cassazionista, proponendo tre motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen. 2.1. Deduce il ricorrente, con un primo motivo, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 606, lett. b ed e c.p.p., in relazione agli artt. 5 e 6, legge n. 283/1962. Si duole il ricorrente per aver il giudice monocratico affermato la responsabilità penale in assenza di qualsiasi verifica in grado di accertare, per gli alimenti, il loro cattivo stato di conservazione ovvero una qualsivoglia alterazione il giudice lo avrebbe dedotto solo dalla circostanza che gli agenti operanti lo avrebbero verificato visivamente ancora, censurabile è la motivazione in ordine alla circostanza secondo cui vi sarebbe stato il malfunzionamento del frigorifero in cui erano contenuti gli alimenti e che gran parte degli stessi erano conservati in modo promiscuo, senza indicazione della data di congelamento e privi di confezione attestante la provenienza e la salubrità del prodotto in particolare difetterebbe qualsiasi accertamento sul malfunzionamento del frigorifero, con evidente travisamento del fatto l'affermazione sarebbe altresì giuridicamente erronea, in quanto l'accertamento de visu non sarebbe idoneo per la mercé in cattivo stato di conservazione né varrebbe il riferimento alla circostanza che non vi fossero data del confezionamento e del congelamento, in quanto elementi non idonei ad acclarare il cattivo stato di conservazione dell'alimento infine, la sentenza sarebbe illegittima in quanto, non emergerebbe dagli atti alcun elemento circa il presunto stato d'insudiciamento dei prodotti indicati nell'imputazione, né dalla motivazione è dato desumere in che modo tali prodotti sarebbero stati sporcati od alterati e da quale agente esterno. 2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, la nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione art. 606, lett. b ed e , c.p.p. in relazione all'art. 5, legge n. 283/1962. Rileva il ricorrente che la norma penale richiede la destinazione, anche potenziale, a terzi, delle sostanze alimentari nel caso di specie, i prodotti vennero rinvenuti in un frigorifero ubicato in un locale deposito annesso, ma non facente parte del laboratorio di produzione tale circostanza, secondo la difesa, farebbe venire meno la certezza della probabile futura cessione a terzi difetterebbe, quindi, qualsiasi motivazione in sentenza, non tenendo conto il giudice di tale circostanza né argomentando sul perché abbia ritenuto la mercé destinata a terzi. 2.3. Deduce infine il ricorrente, con il terzo motivo, la nullità della sentenza per erronea applicazione della legge penale o per mancanza di motivazione art. 606, lett. b ed e , c.p.p. , in relazione all'applicazione della pena con abnormità della sanzione irrogata. Si duole il ricorrente per essere stata irrogata dal giudice la sola pena dell'ammenda, laddove, diversamente, la pena applicabile è quella congiunta dell'arresto e dell'ammenda, non potendo quindi consistere la pena base nella mera ammenda, come erroneamente ritenuto dal giudice l'irrogazione di tale pena, avrebbe, altresì, impedito al ricorrente di proporre appello, con conseguente abnormità della pena irrogata, non prevista dalla legge, né risulterebbe dalla motivazione l'eventuale indicazione che tale sanzione è frutto dell'operazione di conversione ex lege n. 689/81 dell'arresto in ammenda il ricorrente ha quindi interesse all'esatta applicazione della pena, anche al fine di poter esperire il mezzo di impugnazione adeguato appello . Considerato in diritto 3. Il ricorso dev'essere accolto nei limiti in cui si dirà appresso. 4. Il primo motivo di ricorso è infondato. Ed invero, l'affermazione della responsabilità penale per il reato di cui all'art. 5, lett. B , della legge n. 283/1962 è stata correttamente motivata dalla Corte territoriale ed è conforme, in diritto, ai principi più volte affermati da questa Corte. Lo stato di cattiva conservazione dell'alimento, infatti, può essere accertato anche in base alle deposizioni degli agenti accertatori, come avvenuto nel caso di specie. Sul punto, infatti, questa Corte ha già avuto modo di affermare che, con riguardo alla contravvenzione di cui all'art. 5, lett. b , L. 30 aprile 1962 n. 283, ai fini dell'accertamento dello stato di conservazione degli alimenti detenuti per la vendita, non sono indispensabili né un'analisi di laboratorio né una perizia, essendo consentito al giudice di merito pervenire ugualmente al detto risultato attraverso altri elementi di prova, quali le testimonianze di soggetti addetti alla vigilanza, allorché lo stato di cattiva conservazione sia palese e quindi rilevabile da una semplice ispezione Sez. 3, n. 35234 del 28/06/2007 - dep. 21/09/2007, Lepori, Rv. 237520 . Nel caso in esame, gli agenti accertatori hanno evidenziato che gli alimenti in questione presentavano evidenti segni di bruciatura e brina e che le modalità di conservazione promiscuità e mancato rispetto delle norme igieniche rendevano evidente l'insalubrità dei prodotti a ciò, del resto, può aggiungersi, seguendo l'orientamento di questa stessa Sezione, che la modalità di conservazione in un frigorifero non funzionante è certamente metodo di conservazione inadeguato a garantire igiene e commestibilità v., sul punto Sez. 3, n. 29987 del 13/07/2011 - dep. 27/07/2011, Collura, Rv. 251250 . 4.1. Fondata è, invece, l'eccezione con riferimento all'imputazione di cui alla lett. d dell'art. 5 legge n. 283/1962. Ed invero, la norma in esame vieta l'impiego nella preparazione di alimenti o bevande, vendere, detenere per vendere o somministrare come mercede ai propri dipendenti, o comunque distribuire per il consumo, sostanze alimentari d insudiciate, invase da parassiti, in stato di alterazione o comunque nocive, ovvero sottoposte a lavorazioni o trattamenti diretti a mascherare un preesistente stato di alterazione . Condizione necessaria per la configurabilità dell'illecito penale de quo , è che il prodotto alimentare si presenti oggettivamente insudiciato o infestato da parassiti, ovvero alterato, non essendo sufficiente la semplice esposizione della sostanza alimentare agli agenti atmosferici Sez. 3, n. 19710 del 04/04/2007 - dep. 22/05/2007, Monaco Morione, Rv. 236746 . In applicazione di tale principio, deve effettivamente rilevarsi come, nel caso di specie, difetti la prova che i prodotti alimentari fossero insudiciati sul punto, nella motivazione della sentenza si parla di insudiciamento, ma non indica in cosa lo stesso consistesse, non potendo farsi derivare dalle condizioni di conservazione del prodotto. Si è infatti avuto modo di puntualizzare da parte di questa Corte che il reato di cui all'art. 5 lett. D della legge 30 aprile 1962 n. 283 disciplina igienica degli alimenti si configura solo allorché il prodotto si presenti oggettivamente insudiciato o infestato da parassiti ovvero alterato , senza che tali condizioni possano essere desunte dalle condizioni di conservazione dell'alimento, atteso che, trattandosi di reato di pericolo, per la cui integrazione è sufficiente il pericolo di un danno per la salute pubblica, la presunzione di pericolosità non può farsi discendere dalla ulteriore presunzione che lo stato previsto alla citata lett. d discenda dalle condizioni ambientali nelle quali l'alimento viene tenuto v., tra le tante Sez. 3, n. 24799 del 15/04/2003 - dep. 06/06/2003, Scherillo, Rv. 225315 . Vero è che, ai fini dell'accertamento della contravvenzione di cui all'art. 5 lett. D della legge 30 aprile 1962 n. 283 disciplina igienica delle sostanze alimentari , ove i prodotti utilizzati per la preparazione di generi alimentari posti in vendita appaiano ictu oculi invasi da parassiti, è sufficiente la mera ispezione, non essendo richiesto alcun accertamento di laboratorio Sez. 3, n. 17704 del 05/12/2012 - dep. 18/04/2013, Petrelli, Rv. 255557 , ma, nel caso in esame, ciò non emerge dalla lettura della motivazione della sentenza in cui si parla, genericamente, di visibile insudiciamento e non della presenza di parassiti , donde, in difetto di puntuale motivazione sul punto, la sentenza dev'essere, in tale parte, annullata con rinvio ad altro giudice del tribunale di Napoli. 5. L'accoglimento del motivo di ricorso, non esime la Corte dalla trattazione dei residui motivi di doglianza mossi all'impugnata sentenza che, peraltro, si appalesano infondati. 5.1. Quanto al secondo motivo, con cui il ricorrente si duole per averne la Corte affermato la responsabilità in difetto di prova della destinazione, anche potenziale, a terzi, delle sostanze alimentari, per rilevarne l'infondatezza è sufficiente in questa sede richiamare il puntale passaggio motivazionale dell'impugnata sentenza v. pag. 4 , in cui il giudice si fa carico di prendere in esame tale aspetto, precisando che il prodotto era da ritenersi destinato alla vendita, deducendolo dal rilevante quantitativo di alimenti di rosticceria e pasticceria rinvenuti pari a 65 kg. , motivazione, questa, che esclude in radice la configurabilità del denunciato vizio motivazionale. Del resto, lo stesso giudice, nell'affrontare la questione, fa buon governo dei principi affermati in precedenza da questa Corte, nel senso che, ai fini della sussistenza del reato previsto dall'art. 5 lett. b della legge 30 aprile 1962 n. 283, la destinazione per la vendita non consiste soltanto nel possesso di prodotti destinati immediatamente alla vendita, ma consiste anche nel possesso di prodotti da vendersi successivamente e cioè, in definitiva, in una relazione di fatto tra il soggetto e il prodotto, caratterizzato semplicemente dal fine della vendita stessa, senza che sia necessario che la mercé si trovi in luoghi destinati ai consumatori Sez. 6, n. 5661 del 15/12/1992 - dep. 04/06/1993, Cavazzini, Rv. 194386 . 5.2. Quanto, infine, all'ultimo motivo di ricorso, lo stesso è manifestamente infondato, atteso che non risponde al vero che la pena applicabile per il reato contestato art. 5, lett. b e 6, legge n. 283/1962 è quella congiunta dell'arresto e dell'ammenda. Ed invero, l'art. 6 della legge n. 283/1962, nel prevedere il trattamento sanzionatorio, stabilisce che Salvo che il fatto costituisca più grave reato, i contravventori alle disposizioni del presente articolo e dell'articolo 5 sono puniti con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da lire seicentomila a lire sessanta milioni. Per la violazione delle disposizioni di cui alle lettere d e h dell'articolo 5 si applica la pena dell'arresto da tre mesi ad un anno o dell'ammenda da lire cinque milioni a lire novanta milioni . Corretta, pertanto, è la statuizione del giudice che, nell'esercizio della sua facoltà discrezionale, ha scelto di infliggere al contravventore la sola pena dell'ammenda, con conseguente ricorribilità per cassazione, per effetto del disposto dell'art. 593, ultimo comma, cod. proc. pen 6. Conclusivamente, il ricorso dev'essere parzialmente accolto quanto all'imputazione di cui all'art. 5, lett. d , legge n. 283/1962 e rigettato, nel resto. Nonostante il rigetto dei restanti motivi di ricorso, non dev'essere pronunciata condanna alle spese processuali nei confronti del ricorrente ed invero, al parziale accoglimento dell'impugnazione dell'imputato deve conseguire l'esclusione della sua condanna alle spese del procedimento di impugnazione v. per tutte Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 - dep. 02/07/1997, Dessimone e altri, Rv. 207947 . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui all'art. 5, lett. d , legge n. 283/1962, con rinvio al tribunale di Napoli per nuovo giudizio. Rigetta il ricorso, nel resto.