Genitore punisce figlia: esasperato e colpevole, ma con l’attenuante

La diminuente del caso di minore gravità non è astrattamente incompatibile con il reato di violenza sessuale commesso sul minore dal genitore o da persona che ne abbia l’affidamento. Infatti devono essere valutati, in concreto, l’impatto emotivo sulla vittima e le conseguenze sul suo sviluppo psico-fisico, le modalità dei fatti, la loro durata nel tempo e l’invasività nella sfera sessuale della vittima.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza n. 15504, depositata il 7 aprile 2014. Il caso. La Corte d’appello di Torino condannava un uomo, accusato di violenza sessuale nei confronti della figlia, e, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la lievità del fatto, lo condannava a 20 mesi di reclusione. Il Procuratore generale della Repubblica ricorreva in Cassazione, contestando la sussistenza della minore gravità. A suo giudizio, la Corte d’appello non avrebbe valutato la tipologia dell’atto sessuale compiuto e la sua invasività. In più, non sarebbe stato preso in adeguata considerazione il particolare rapporto esistente tra l’imputato e la vittima. Compatibilità possibile. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che la diminuente del caso di minore gravità non è astrattamente incompatibile con il reato di violenza sessuale commesso sul minore dal genitore o da persona che ne abbia l’affidamento. Infatti devono essere valutati, in concreto, l’impatto emotivo sulla vittima e le conseguenze sul suo sviluppo psico-fisico, le modalità dei fatti, la loro durata nel tempo e l’invasività nella sfera sessuale della vittima. Nel caso di specie, si trattava di un episodio isolato, in cui la vittima era maggiorenne ed il peso dell’azione sul quadro evolutivo della vittima era di rilievo non notevole, come sarebbe avvenuto, invece, in caso di vittima minorenne. Inoltre, i giudici di merito avevano valutato, ai fini della concessione dell’attenuante, anche la condizione psicologica dell’imputato, spinto al gesto, comunque grave ed eccessivo, da un atteggiamento libero della figlia. Per questo motivo, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 11 marzo – 7 aprile 2014, numero 15504 Presidente Romis – Relatore Marinelli Ritenuto in fatto M.E. è stato assolto dal Tribunale di Aosta con sentenza del 24.09.2008 dal reato di cui agli articoli 609 bis, 609 septies co.3 numero 2 c.p. perché il fatto non sussiste. Con sentenza in data 17.06.2009 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza assolutoria di primo grado, concesse le attenuanti generiche, condannava M.E. alla pena di mesi otto di reclusione, perché ritenuto colpevole del reato di cui all'art. 610 c.p., così modificata l'originaria imputazione di cui agli articoli 609 bis e 609 septies, comma 3 numero 2, c.p La sopra indicata sentenza, in seguito all'accoglimento del ricorso del Procuratore generale, che aveva contestato la qualificazione giuridica del fatto, con l'erronea modifica dell'originale imputazione di abuso sessuale, è stata annullata dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 25.03.2010. Questa Corte aveva infatti ritenuto illogica la motivazione della sentenza impugnata, laddove i giudici della Corte territoriale avevano affermato che nulla di libidinoso ebbe a stimolare l'imputato . La Corte di appello di Torino, con sentenza del 28.05.2013, giudicando in sede di rinvio, in riforma della impugnata sentenza, dichiarava M.E. responsabile del reato di cui all'art. 609 bis c.p. e, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la lievità del fatto, lo condannava alla pena di anni 1 e mesi 8 di reclusione, con i doppi benefici. Avverso tale sentenza proponeva ricorso in cassazione il Procuratore generale della Repubblica di Torino, chiedendone l'annullamento e la censurava per i seguenti motivi 1 erronea applicazione del comma 3 dell'art. 609 bis, nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione. Secondo il Procuratore generale ricorrente erroneamente il giudice di rinvio aveva ritenuto sussistente la minore gravità del fatto di cui al comma 3 dell'art. 609 bis c.p La sentenza impugnata non aveva infatti assolutamente valutato la tipologia dell'atto sessuale compiuto e la sua invasività. Non era stato inoltre valutato il particolare rapporto esistente tra l'imputato e la parte offesa padre e figlia . Assolutamente illogica sarebbe poi l'affermazione della Corte territoriale secondo cui l'imputato sarebbe stato spinto al gesto, pur grave ed eccessivo, da un atteggiamento libero della figlia . La difesa di M.E. presentava memoria pervenuta in cancelleria in data 7.03.2014 in cui chiedeva in via principale di annullare senza rinvio la sentenza impugnata in considerazione dell'infondatezza del reato, in subordine di respingere il ricorso. Considerato in diritto Preliminarmente si osserva che la valenza sessuale dell'atto compiuto dall'imputato risulta cristallizzata da quanto ritenuto nella sentenza della Corte di Cassazione del 25.03.2010, che ha ritenuto che la stessa non potesse essere esclusa dal contesto in cui l'atto in questione era stato compiuto, dal quale si desumerebbe che l'imputato aveva voluto umiliare la figlia per la sua leggerezza nei costumi, non escludendo tale circostanza la natura prevaricatoria del gesto sessuale, potendo l'intento punitivo essere conseguito con modalità meno invasive della libertà di determinazione del soggetto passivo. La Corte di appello di Torino, nella sentenza impugnata, si è uniformata ai principi di cui sopra, confermando la natura sessuale dell'atto compiuto da M.E. nei confronti della figlia e ritenendo quindi la sussistenza del reato di cui all'art. 609 bis c.p Tanto premesso si osserva che non possono essere prese in considerazione le argomentazioni esposte dalla difesa dell'imputato nella memoria di cui sopra, peraltro tardiva. Passando all'esame del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di appello di Torino, si osserva che lo stesso è infondato. Secondo condivisibile giurisprudenza di questa Corte, infatti, cfr, sez. 3, sent. N. 34236 del 12.07.2012, Rv. 253172 la diminuente del caso di minore gravità non è astrattamente incompatibile con il reato di violenza sessuale commesso sul minore dal genitore o da persona che ne abbia l'affidamento, dovendo comunque essere valutati in concreto l'impatto emotivo sulla vittima e le conseguenze sul suo sviluppo psico-fisico, le modalità dei fatti, la loro durata nel tempo e l'invasività nella sfera sessuale della vittima. Sul punto la Corte territoriale, con congrua e adeguata motivazione, ha indicato le ragioni per cui ha ritenuto sussistente nella fattispecie che ci occupa la sussistenza dell'ipotesi lieve, in quanto ha evidenziato che si è trattato di un episodio isolato, che la vittima era già maggiorenne, che il peso dell'azione sul quadro evolutivo della vittima era di rilievo non rilevante, come invece sarebbe avvenuto nel caso di vittima minorenne. Ai fini della concessione della sopra indicata attenuante i giudici di merito valutavano altresì la condizione psicologica dell'imputato, spinto al gesto, sia pure grave ed eccessivo, da un atteggiamento libero della figlia. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.