Lavoratore negligente? Il nesso di causalità non è comunque interrotto

In tema di infortuni sul lavoro, l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare alcun effetto esimente per i soggetti aventi l’obbligo di garantire la sicurezza e che si siano resi responsabili di violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica.

Questo è quanto emerge dalla sentenza della Cassazione n. 7954 del 19 febbraio 2014. Il caso. Tre uomini rispettivamente il titolare di un’impresa edile, il responsabile lavori e il somministratore di lavoro vengono sono tratti in giudizio per rispondere del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio di un lavoratore. La vittima aveva provveduto ad infilare le forche di una gru in un bancale in legno carico di mattoni forati, per consentirne il sollevamento fino al primo piano di un fabbricato in costruzione. Alla manovra della gru si trovava uno dei colpevoli che aveva messo in azione la gru stessa. Il carico, a causa dell’improvvisa rottura del bancale, era precipitato colpendo il lavoratore che si trovava lì sotto. I tre individui vengono tutti condannati ad un anno di reclusione e al risarcimento dei danni morali in favore dei parenti della vittima. La condanna viene confermata anche in appello, il titolare dell’impresa e il responsabile dei lavori ricorrono per cassazione, lamentando la non configurabilità dell’illecito a causa della condotta errata compiuta dalla vittima che avrebbe interrotto il nesso causale tra la condotta degli imputati e l’evento determinatosi. La condotta del lavoratore negligente non spezza il nesso di causalità. I giudici di legittimità richiamando una pregressa giurisprudenza ritengono che le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia, di conseguenza il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso eccezionale ed imprevedibile. Palese, dunque, nel caso di specie, alla stregua dei richiamati principi, l’infondatezza del ricorso, essendo evidente come la maldestra condotta del lavoratore/vittima, anche imprudente, non può ritenersi imprevedibile ed esorbitante rispetto all’attività lavorativa dallo stesso svolta, quindi non può fornire alcun alibi al datore di lavoro o comunque a chi sia titolare di una posizione di garanzia e abbia omesso di svolgere i compiti che tale posizione gli imponeva, tra i quali assicurare al lavoratore un’adeguata formazione e informazione sulle norme di sicurezza e prevenzione. Per questi motivi la Corte conferma la condanna degli imputati e rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 ottobre 2013 – 19 febbraio 2014, n. 7954 Presidente Zecca – Relatore Foti Ritenuto in fatto -1- V.C. , F.M. e A.M. sono stati tratti a giudizio davanti al Tribunale di Varese per rispondere del delitto di omicidio colposo commesso, con violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, in pregiudizio del lavoratore E.D.H. , dipendente dell'A. , titolare di impresa edile. È accaduto che la vittima aveva provveduto ad infilare le forche di una gru in un bancale in legno carico di mattoni forati detti bolognini , per consentirne il sollevamento fino al primo piano di un fabbricato in costruzione. Alla manovra della gru si trovava l'A. che, dal primo piano, aveva messo in azione la gru con un telecomando. Il carico, giunto ad un'altezza di circa quattro metri, a causa dell'improvvisa rottura del bancale, era precipitato giù ed alcuni mattoni avevano colpito alla testa l’E.D. che si trovava sotto il carico. -2- Con sentenza del 28 novembre 2007, il tribunale ha ritenuto i tre imputati colpevoli del delitto contestato e li ha condannati, concedendo i doppi benefici, alla pena di un anno di reclusione ciascuno, nonché, in solido, al risarcimento dei danni morali in favore delle costituite parti civili costituite, equitativamente liquidati in Euro 90.000,00 per la madre della vittima, ed in Euro 18.000,00 ciascuno per i tre fratelli del lavoratore deceduto. Il primo giudice è pervenuto alla sentenza di condanna, avendo ritenuto A che il V. , titolare di impresa edile, quale datore di lavoro occulto ed utilizzatore della prestazione lavorativa di E.D. , non aveva valutato il rischio nella scelta dell'attrezzatura di lavoro, aveva affidato al lavoratore un compito non adeguato alle capacità dello stesso, non aveva utilizzato, né fornito, l'attrezzatura di lavoro adeguata B che il F. , responsabile dei lavori, non aveva eliminato il rischio e non aveva adeguatamente formato ed informato il lavoratore C che l'A. , somministratore di lavoro, non autorizzato, non aveva eseguito alcuna valutazione dei rischi cui erano sottoposti i dipendenti e, in particolare, non aveva curato la formazione del lavoratore deceduto, né lo aveva informato sui rischi connessi con le mansioni attribuitegli, né aveva rispettato le norme di sicurezza, avendo anche personalmente manovrato la gru. -3- Impugnata detta sentenza dal V. e dal F. , la corte d'appello di Milano, con sentenza del 4 luglio 2012, ha confermato la decisione impugnata. La corte territoriale ha, anzitutto, rilevato che gli imputati avevano essenzialmente riproposto in sede di gravame questioni già poste all'attenzione del primo giudice, che le aveva esaminate e definite con motivazione, ritenuta del tutto coerente sul piano logico, che ha integralmente condiviso. Tanto premesso, e con riguardo alle ulteriori considerazioni svolte dagli appellanti, la stessa corte ha rilevato A quanto al V. a che non poteva considerarsi violato il principio di correlazione tra accusa contestata e sentenza poiché, se era vero che all'imputato era stata attribuita, con il capo d'imputazione, una qualifica preposto e capocantiere diversa da quella riconosciutagli con la sentenza effettivo datore di lavoro della vittima , era anche vero che la rilevata variazione non aveva apportato modifica alcuna al fatto in sé considerato, inteso come condotta, evento e nesso di causalità, e che la stessa non aveva condizionato l'esercizio del diritto di difesa dell'imputato b che la posizione di datore di lavoro occulto era stata correttamente attribuita al V. dal primo giudice, in considerazione del ruolo dallo stesso svolto nel cantiere, come ampiamente aveva argomentato, sul punto, la sentenza di primo grado c che la causa dell'infortunio era stata esattamente individuata nell'errata manovra di sollevamento del carico B Quanto al F. , che i committenti - coimputato V. e consorte - gli avevano demandato tutti gli obblighi che, in tale qualità, ad essi incombevano, tanto che egli stesso si era qualificato come responsabile dei lavori, e, dunque, anche delle scelte tecniche per l'esecuzione del progetto nonché dell'organizzazione delle attività del cantiere in modo che fossero tutelate la salute e l'incolumità dei lavoratori. In tale veste, avrebbe dovuto indicare il coordinatore per la sicurezza durante l'esecuzione dei lavori egli aveva, in realtà, nominato il V. che tuttavia, oltre a non essere stato avvertito, non aveva le competenze richieste per assumere l'incarico, di guisa che tale nomina non esonerava lo stesso F. dagli obblighi che gli derivavano dalla predetta qualifica, tra i quali vi era quello di controllare che nell'esecuzione dei lavori venissero attuate idonee misure di sicurezza. In punto di causalità, il giudice del gravame ha ancora osservato che l'errore commesso dalla vittima nel posizionare il bancale sulle forche della gru non era idoneo ad interrompere il nesso causale tra la condotta degli imputati e l'evento, anche perché nessun tipo di formazione era stata impartita al giovane immigrato, che solo da pochi giorni lavorava in quel cantiere. -4- Avverso detta sentenza propongono ricorso per cassazione il V. ed il F. . 4.A V. Cristoforo deduce a Violazione di norme processuali e vizio di motivazione della sentenza impugnata, nullità della sentenza per difetto di correlazione tra l'imputazione contestata e la sentenza di primo grado. Ribadisce il ricorrente la censura già proposta nei motivi d'appello, e cioè, che egli, tratto a giudizio per rispondere, quale capocantiere e preposto alla esecuzione dei lavori, della morte dell'E.D. , è stato in realtà ritenuto responsabile dell'infortunio in quanto effettivo datore di lavoro, occulto utilizzatore della prestazione del lavoratore deceduto. Tale diversa attribuzione di qualifica e la diversa condotta di concorso che ne è derivata, avrebbe determinato una sostanziale immutazione del fatto, con conseguente difetto di correlazione tra imputazione e sentenza e violazione del diritto di difesa dell'imputato b Vizio di motivazione della sentenza impugnata ed inosservanza dell'art. 192 cod. proc. pen., laddove il giudice del gravame ha ribadito la posizione di datore di lavoro di fatto dell'imputato, senza tenere in considerazione quanto emerso in atti - grazie alla documentazione acquisita ed alle dichiarazioni rese dai testi esaminati, compreso il dipendente dell'ASL incaricato di svolgere i necessari accertamenti - circa la posizione di datore di lavoro dell'A. e la non ingerenza del V. nell'esecuzione dei lavori allo stesso appaltati c Vizio di motivazione circa le cause del sinistro e gli obblighi di sicurezza violati, errata applicazione dell'art. 40 cod. pen. e 58 del d.l.gs n. 164/1956. Sostiene il ricorrente che erronea sarebbe la ricostruzione dei fatti da parte dei giudici del merito. In sostanza, egli assume che l'incidente è stato causato dalla disattenzione e da una grave imprudenza del lavoratore, che aveva erroneamente inforcato il bancale e non aveva rispettato l'elementare regola di prudenza che vieta di sostare nell'area in cui si muove un carico sospeso il richiamo, in sentenza, all'art. 58 del predetto d.lgs sarebbe altresì errato, ed immotivato il profilo di colpa addebitato all'imputato d Vizio di motivazione in punto di diniego delle circostanze attenuanti generiche che, se riconosciute, comporterebbero la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione. 4.B F.M. deduce a Vizio di motivazione della sentenza impugnata in punto di sussistenza del nesso causale tra condotta contestata ed evento erronea applicazione dell'art. 41 co. 2 cod. pen Sostiene il ricorrente che i giudici del merito non si sarebbero posto il tema del nesso causale in una fattispecie colposa, come quella in esame, di tipo omissivo improprio. I giudici, cioè, non avrebbero svolto il giudizio controfattuale rispetto all'azione doverosa omessa, nel senso che non si sono chiesti se la nomina, da parte del F. , del responsabile della sicurezza in fase esecutiva, che si fosse fatto carico della formazione dei dipendenti, avrebbe evitato, con alta probabilità logica, il tragico infortunio. Il ricorrente ritiene che a tale domanda debba darsi una risposta negativa, posto che nessun tipo di formazione avrebbe potuto assicurarsi nei confronti di un soggetto preso dalla strada, all'insaputa della committenza e della direzione dei lavori, un paio di giorni prima e mandato a svolgere un lavoro non suo né avrebbe potuto apprestarsi, nei confronti dello stesso, alcuna cautela antinfortunistica b Erronea applicazione dell'art. 43, in relazione all'art. 589 cod. pen. in punto di verifica della sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Una condotta più diligente, si sostiene nel ricorso, e la nomina del responsabile per la sicurezza, non avrebbero evitato l'evento c Erronea applicazione dell'art. 3 del d.lgs. n. 494/96, laddove il giudice del gravame ha sostenuto che la nomina del V. quale responsabile della sicurezza comportava l'assunzione di responsabilità in capo al F. . Considerato in diritto -1- Ambedue i ricorsi sono infondati. 1.A - V.C. . a Quanto al primo dei motivi proposti, occorre osservare che, in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, questa Corte, anche a Sezioni Unite, ha affermato che l'ipotesi dell'immutazione del fatto implica una radicale trasformazione dello stesso nei suoi elementi essenziali, talché ne consegua una concreta incertezza circa l'oggetto dell'imputazione, che determini un reale pregiudizio del diritto di difesa dell'imputato che finisca con l'essere condannato per un fatto sostanzialmente diverso da quello contestatogli. Con riferimento ai reati colposi, è stato dal giudice di legittimità affermato che, allorché siano stati contestati elementi generici e specifici di colpa, la sostituzione o l'aggiunta di un profilo di colpa rispetto ai profili contestati nell'originaria imputazione, non determina alcuna immutazione del fatto, e dunque nessuna modifica della stessa ai fini dell'obbligo di contestazione suppletiva di cui all'art. 516 e. p. p. e dell'eventuale ravvisabilità, in carenza di valida contestazione, del difetto di correlazione tra imputazione e sentenza ai sensi dell'art. 521 stesso codice. Ciò perché il riferimento alla colpa genericaevidenzia che la contestazione riguarda la condotta dell'imputato globalmente considerata, sicché egli è in grado di difendersi relativamente a tutti gli aspetti del comportamento tenuto in occasione dell'evento di cui è chiamato a rispondere in ragione della posizione di garanzia allo stesso riconosciuta. È dunque al fatto , inteso quale dato fattuale descritto nel capo d'imputazione, in quanto concreta manifestazione di una condotta penalmente rilevante, al quale deve farsi riferimento ai fini della verifica della correlazione tra imputazione e sentenza. Orbene, nel caso di specie, la connotazione specifica del fatto, contestato anche sotto il profilo generico della negligenza , è rimasta del tutto inalterata, e con riferimento ad esso, rimasto immutato, l'odierno ricorrente ha certo avuto la possibilità di esercitare proficuamente il proprio diritto di difesa, essendo state chiaramente enucleate le responsabilità di chi, qualunque fosse stata la ragione della posizione di garanzia ricoperta, non era intervenuto in modo tale da evitare che un giovane operaio, appena assunto e non formato professionalmente, né informato dei rischi connessi con l'attività lavorativa svolta, rimanesse vittima della sua scarsa professionalità, ed eventualmente anche della sua stessa imprudenza. In tale contesto, laddove l'evento sia eziologicamente collegato alla violazione di una condotta doverosahascente dalla posizione di garanzia riconosciuta all'imputato, non si determina alcuna violazione del principio di correlazione allorché detta condotta, intesa quale dato fattuale individuato nel capo d'imputazione, sia rimasta inalterata, e sia stata modificata dal giudice solo la ragione normativa in forza della quale lo stesso imputato era tenuto a porre in essere la condotta doverosa omessa. Ciò perché tale ragione non può ritenersi parte del fatto contestato, idonea ad incidere sostanzialmente nella fattispecie concretamente individuata, intesa come avvenimento storico ricondotto nell'ambito dell'ipotesi astratta prevista dalla norma incriminatrice. Non si verifica, in altre parole, alcuna immutazione degli elementi costitutivi del fatto nel caso in cui il giudice, essendo stato prospettato nell'imputazione l'obbligo a carico dell'imputato di impedire l'evento, riconduca detto obbligo ad una ragione diversa da quella originariamente prospettata proprio perché, in tal caso, non subiscono modifica alcuna gli elementi della condotta contestata, che rimane cristallizzata in conformità alla prospettazione accusatoria descritta nel capo d'imputazione, e che mantiene il suo rilievo penale in quanto espressione della violazione di un obbligo, pur se trova fondamento in una diversa ragione normativa,la cui specificazione, da parte del giudice del merito, non assume rilievo in termini di esposizione descrittiva del fatto . Questo essendo, quindi, nel caso di specie, rimasto immutato, il giudice non aveva alcun obbligo di ricorrere alla contestazione suppletiva ai sensi dell'ari 516 cod. proc. pen., di guisa che infondata deve ritenersi la dedotta doglianza. Non chiarisce, d'altra parte, il ricorrente quale reale pregiudizio del diritto di difesa egli abbia subito ancora oggi, egli si limita a richiamare, genericamente, altre difese che avrebbe potuto assumere ed altre circostanze concernenti l'organizzazione imprenditoriale dell'A. . b Ugualmente infondato, ai limiti dell'inammissibilità, è il secondo motivo di ricorso. In realtà, con riguardo alla posizione dell'imputato, di datore di lavoro di fatto del lavoratore deceduto, la decisione impugnata non presenta alcuno dei vizi dedotti. I giudici del merito hanno, invero, rilevato che il V. , committente dei lavori, che aveva anche curato,mediante l'omonima impresa individuale edile di cui egli stesso era titolare, la realizzazione degli edifici residenziali in costruzione, aveva da ultimo solo appaltato all'A. le opere di rifinitura, intonaco, carpenteria ed assistenza delle opere murarie. Appalto che, tuttavia, secondo gli stessi giudici, non aveva indotto il V. a modificare i propri atteggiamenti rispetto alle opere appaltate, nel senso che egli aveva continuato ad operare attivamente nel cantiere, ad intervenire costantemente nella esecuzione dei lavori e nell'organizzazione degli stessi, a dare disposizioni e direttive, attraverso l'A. , agli operai, nella lingua dei quali quest'ultimo provvedeva a tradurle. Di fatto, quindi, secondo il coerente argomentare della corte territoriale, chi gestiva il cantiere era il V. , le cui disposizioni l'appaltatore provvedeva a trasmettere agli operai, suoi connazionali, solo formalmente suoi dipendenti. L'inconsistenza imprenditoriale dell'A. , peraltro, è stata legittimamente dedotta dalla medesima corte dal fatto che tutte le attrezzature e le macchine di cantiere compresa la gru che lo stesso V. provvedeva a manovrare erano di proprietà dell'odierno ricorrente, che pure non aveva propri dipendenti, essendo tutti i lavoratori impiegati alle formali dipendenze del predetto A. ed ancora, che era il V. ad acquistare direttamente il materiale impiegato nei lavori. È, dunque, alla stregua di tali complessivi elementi che i giudici del merito hanno legittimamente ritenuto che al presunto appaltatore, che non aveva assunto su di sé alcun rischio d'impresa, che era privo delle attrezzature necessarie per l'esecuzione dei lavori appaltati e dei mezzi finanziari occorrenti per la realizzazione delle relative opere, non poteva attribuirsi la qualifica di imprenditore . Da questi stessi elementi essi hanno anche tratto la logica conclusione secondo cui, in realtà, l'A. era solo il fornitore, peraltro abusivo, della manodopera utilizzata dal V. , giustamente ritenuto responsabile dell'infortunio del quale l'E.D. è rimasto vittima, non solo in quanto committente dei lavori, ma anche quale diretto datore di lavoro dell'operaio infortunato. Considerazioni, quelle svolte dalla corte territoriale, che l'odierno ricorrente contesta solo in termini generici ed inconferenti, laddove, ad esempio, richiama la formale posizione dell'A. di appaltatore delle opere in questione e del V. di semplice committente delle stesse, a fronte dei giudizi motivatamente espressi dai giudici del merito che hanno ritenuto tali formali posizioni dei due imputati in realtà non rispondenti alla realtà dei fatti. Ovvero, laddove richiama parti delle dichiarazioni rese da alcuni compagni di lavoro della vittima, secondo cui era l'A. a dare disposizioni, senza considerare quanto accertato dai giudici circa la funzione, dallo stesso svolta, di semplice traduttore nella lingua degli operai delle direttive del V. . Per il resto, le ulteriori considerazioni difensive del ricorrente propongono solo una diversa lettura degli elementi probatori acquisiti, non consentita nel giudizio di legittimità. c Ugualmente non deducibile nella sede di legittimità è il terzo motivo di ricorso, laddove il ricorrente svolge considerazioni di mero fatto, allorché riconsidera le modalità dell'incidente ovvero richiama presunte informazioni fornite all'operaio deceduto circa le modalità di inforcamento dei bancali e la consistenza degli stessi e della cinghia utilizzata per il contenimento dei materiali ed il sollevamento degli stessi. Mentre manifestamente infondate sono le osservazioni attraverso le quali si pretende di addossare la responsabilità dell'infortunio sullo stesso lavoratore deceduto, ignorando la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui In tema di infortuni sul lavoro, l'eventuale colpa concorrente dei lavoratori non può spiegare alcun effetto esimente per i soggetti aventi l'obbligo di garantire la sicurezza e che si siano resi responsabili di violazioni di prescrizioni in materia antinfortunistica” Cass. nn. 10121/07 - 37986/12 . Ciò perché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza e imperizia , di guisa che Il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l'evento, tanto da escludere la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell'obbligo di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento, ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso, eccezionale ed imprevedibile Cass. n. 47146/05, cof. nn. 25502/07, 25532/07, 12348/08, 15009/09,23292/11 . Palese è, quindi, nel caso di specie, alla stregua dei richiamati principi, l'infondatezza del motivo di ricorso, essendo evidente come la maldestra condotta dell'E.D. , ove anche imprudente, non può ritenersi imprevedibile ed esorbitante rispetto all'attività lavorativa dallo stesso svolta, di guisa che essa non può fornire alcun alibi a chi, datore di lavoro o comunque titolare di una posizione di garanzia, abbia omesso di svolgere i compiti che tale posizione gli imponeva, tra i quali quelli di assicurare al lavoratore un'adeguata formazione ed una compiuta informazione e di verificare costantemente il puntuale rispetto, da parte dello stesso, delle norme sulla prevenzione degli infortuni. d Manifestamente infondato è, infine, l'ultimo dei motivi proposti, avendo i giudici del merito legittimamente ritenuto che la gravità dei fatti e delle relative conseguenze, la presenza di un pur unico precedente per inquinamento idrico, l'assenza di resipiscenza o di altri elementi positivi di valutazione della personalità del V. , non autorizzavano il riconoscimento delle invocate attenuanti generiche. 1.B - F.M. . Infondati, e per certi versi generici, sono i motivi di ricorso proposti che, concernendo i temi della responsabilità e della posizione di garanzia riconosciute all'imputato, possono essere unitariamente esaminati. Il giudice del gravame ha osservato che i committenti, V.C. e la moglie, avevano trasferito al F. tutti gli obblighi e gli oneri che ad essi, in detta qualità, competevano con riguardo ai lavori in corso di esecuzione. In tale posizione, l'odierno ricorrente aveva assunto, secondo lo stesso giudice, la qualità di responsabile dei lavori, come, peraltro, è stato ancora rilevato, lui stesso si era qualificato qualità in ragione della quale ad esso era stata legittimamente attribuita una precisa posizione di garanzia, non avendo egli provveduto alla nomina del coordinatore per la sicurezza ovvero, avendolo individuato nel V. che, oltre ad esser privo delle competenze richieste, non era stato neanche avvertito di tale nomina. Giustamente, quindi, alla stregua di tali considerazioni, i giudici del merito hanno rilevato come il F. , in ragione della posizione di garanzia correttamente riconosciutagli, avesse violato gli obblighi che da essa derivavano, non avendo egli svolto i compiti di vigilanza e di controllo sulla piena osservanza, nell'esecuzione dei lavori, delle misure di prevenzione e sicurezza previste nel relativo PSC. Piano, peraltro, da lui stesso redatto, che pur aveva evidenziato il rischio di caduta di materiali dall'alto nell'uso di autogrù e che prevedeva precise modalità di imbracatura di tali materiali e di esecuzione delle operazioni di sollevamento e di trasporto dello stesso in maniera da evitare il passaggio dei carichi sospesi sui lavoratori. Giustamente, quindi, i giudici del merito hanno osservato che l'errore compiuto dall'E.D. nell'inserimento del bancale sulle forche della gru e l'errata posizione dallo stesso assunta durante le operazioni di sollevamento dei mattoni, non interrompevano il nesso causale tra la condotta colposa degli imputati, e dunque anche del F. , e l'evento determinatosi. A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente, senza rivolgere alcuna specifica contestazione sui punti indicati dal giudice del gravame, rimanda ogni responsabilità sull'A. , che avrebbe prelevato dalla strada il giovane operaio e l'avrebbe destinato a svolgere un lavoro non suo , ovvero al V. . Senza considerare, tuttavia, che la posizione di garanzia che a lui stesso derivava dalla qualifica ricoperta nell'ambito dei lavori in esecuzione, gli imponeva di esercitare i doveri di vigilanza e di controllo attribuitigli dalla legge e che riguardavano, tra l'altro, anche la verifica del pieno rispetto, da parte di tutti gli addetti, specie da parte di un imprenditore improvvisato e di un giovane operaio appena assunto ed assegnato a rischiose mansioni, del piano di sicurezza. Posizione che, a fronte dell'irregolare esecuzione dei lavori di imbracamento e sollevamento dei materiali, avrebbe dovuto indurlo ad intervenire attraverso l'emanazione di specifiche direttive e la predisposizione di tutte le misure necessarie per garantire una corretta esecuzione dei lavori, specie di quelli a maggior rischio, come quello al quale era stato assegnato l'E.D. . Mentre il richiamo, in particolare nel terzo dei motivi proposti, alle responsabilità del V. , indicato quale titolare dell'impresa incaricata dei lavori, sempre presente in cantiere, fornitore dei mezzi di lavoro, evidentemente non esonera il F. dalle proprie responsabilità, connesse alla posizione di garanzia giustamente attribuitagli, concorrente con analoghe posizioni attribuite agli altri imputati. Giustamente, infine, la corte territoriale, come già sopra rilevato, ha osservato che la posizione di responsabile della sicurezza assunta dal F. doveva ritenersi radicata in capo allo stesso, non avendo egli provveduto alla nomina del coordinatore per la sicurezza, ovvero avendo nominato il V. , soggetto non fornito delle competenze richieste. In conclusione, i ricorsi devono essere rigettati ed i ricorrenti condannati al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti ciascuno al pagamento delle spese processuali.