Sequestro preventivo: per continuare ad occupare l’immobile è necessario pagare

Quando il proposto o il terzo intestatario di immobile in sequestro non sia in condizioni di emergenza abitativa la sua posizione non è assimilabile a quella del fallito e può essere giustificata l’imposizione nei suoi confronti di un canone di locazione o di una congrua indennità di occupazione per continuare ad abitare nel bene oggetto di sequestro di prevenzione.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione nella sentenza n. 51458 del 19 dicembre 2013. Il caso. Due soggetti ricoprivano la posizione di terzi interessati rispetto ad immobili oggetto di sequestro preventivo, disposto in osservanza del c.d. Codice antimafia. La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo imponeva loro il pagamento di un’indennità di occupazione, sull’assunto che la normativa di riferimento non prevede un’automatica destinazione dell’immobile sequestrato alle esigenze abitative del proposto e dei suoi familiari, bensì un provvedimento eventuale e discrezionale del Giudice delegato, quando ricorrano le condizioni dell’indisponibilità di altri immobili da destinare alle necessità abitative. Ratio e sistematica dell’istituto alla luce del Codice Antimafia. Ragioni di tipo sistematico portano a sottolineare che le misure di prevenzione di carattere patrimoniale sono finalizzate alla restituzione alla collettività dei beni di provenienza delittuosa confiscati, attraverso la loro destinazione a scopi di utilità sociale. Strumento propedeutico alla confisca è il sequestro di cui si tratta, istituto che assolve allo scopo di immettere lo Stato in possesso dei beni, nonché di provvedere alla custodia, conservazione, amministrazione dei beni, anche al fine di incrementarne la redditività. Indennità di occupazione Certamente funzionale all’esigenza di incrementare la redditività dei beni in sequestro è la possibilità di imporre un canone di locazione o un’indennità di occupazione nei confronti di chi occupi il bene immobile oggetto di sequestro di prevenzione. contestata dai ricorrenti. Secondo l’assunto difensivo, il Giudice Delegato non poteva imporre il pagamento di un’indennità per l’occupazione dell’immobile di cui i ricorrenti erano proprietari formali fino a quando la procedura di prevenzione non fosse giunta a conclusione. In verità, anche una pronuncia recente della Suprema Corte affermava che la casa di abitazione del proposto resta a disposizione di questo fino alla confisca, senza che possa affermarsi che l’occupazione sia sine titulo ” come se, per il provvedimento di sequestro preventivo, vi sia passaggio di proprietà all’amministrazione dei beni Cass. pen., sez. II, n. 9908/2011 . E l’esigenza di assicurare redditività? Di contrario segno era la pronuncia di altra sezione della Suprema Corte che, evidenziando la possibilità di incrementare la redditività dei beni sottoposti a sequestro preventivo, espressamente suggerita dalla normativa, riteneva legittima la richiesta del pagamento di un canone di locazione Cass. pen., sez. I, n. 41690/2003 . Raccordo con la normativa fallimentare. Il rinvio operato dalla normativa alla legge fallimentare, secondo la difesa e il Procuratore Generale, sembrava voler significare che, fino al momento della confisca, la casa di proprietà del proposto non potesse essere distratta da tale uso, nei limiti in cui fosse necessaria all’abitazione del proposto e della sua famiglia. L’analogia si coglieva nel rinvio espresso, con la conseguenza che anche al proposto dovesse applicarsi il principio per cui la casa di proprietà del fallito , se destinata alle necessità abitative, non possa essere distratta fino alla liquidazione dell’attività. L’autorizzazione ad abitare la casa di proprietà è sottoposta a discrezionalità. Si è affermato, in giurisprudenza e in dottrina, il principio per cui il diritto soggettivo del fallito a conservare il godimento dell’alloggio di proprietà fino alla vendita non è assoluto, ma spetta all’ufficio fallimentare concedere un’autorizzazione in tal senso, a condizioni e limiti precisati. Sono pertanto legittimi i provvedimenti del Giudice delegato tesi ad alienare o locare la parte eccedente le necessità abitative del fallito e della sua famiglia, nonché il potere di liquidare l’immobile anche prima della fase terminale della procedura fallimentare. Analogia temperata” con la posizione del fallito. In proposito, la Corte di Cassazione sottolinea peraltro che la condizione del proposto non è totalmente assimilabile a quella del fallito in quanto quest’ultimo viene privato di tutti i beni, mentre il proposto viene privato solo di quelli che siano riconducibili ad una illecita provenienza, conservando pienamente quelli per i quali la provenienza illecita non sia dimostrata. Una piena coincidenza tra le due posizioni – con le conseguenti esigenze di bilanciamento alla base della normativa fallimentare – si verifica quando al proposto per una misura di prevenzione o al terzo intestatario per conto del proposto siano sottratti tutti i beni, così come si verifica al fallito con la pronuncia della sentenza di fallimento. Applicabilità provvedimenti di favore. Solo nella circostanza da ultimo descritta il giudice delegato alla procedura di prevenzione potrà valutare provvedimenti di favore previsti dalla legge fallimentare, in forza del rinvio. Pertanto, afferma la Corte che, solo dopo aver preso atto che il soggetto interessato non abbia disponibilità di altri immobili di proprietà da destinare ad abitazione o di risorse economico-finanziarie adeguate a risolvere il problema abitativo in altre parole vi sia necessità abitativa” , il proposto o terzo intestatario potrà essere autorizzato ad occupare l’immobile oggetto di sequestro senza dover corrispondere alcunché all’Amministratore Giudiziario. Un corrispettivo lecito in astratto ma il Tribunale aveva affermato che l’indennità era congrua e non sproporzionata, tuttavia aveva omesso di evidenziare gli elementi concreti con riferimento alle condizioni economiche dei ricorrenti, sicché il decreto doveva essere annullato con rinvio per nuovo esame per rilevata mancanza assoluta di motivazione sul punto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 novembre - 19 dicembre 2013, n. 51458 Presidente Giordano – Relatore Casa Ritenuto in fatto 1. Con decreto emesso in data 22.2.2013 dep. il 25.2.13 , il Tribunale di Palermo Sezione Misure di Prevenzione confermava il provvedimento con il quale il Giudice Delegato alla procedura n. 202/10 R.M.P., pendente nei confronti di B.G. , aveva imposto a B.B. e B.P. , terzi interessati, il pagamento di un'indennità di occupazione degli immobili dai predetti e dai propri familiari abitati, ubicati in Palermo, rispettivamente nella via omissis e nella via omissis . Il Tribunale palermitano sviluppava il proprio iter argomentativo sulla lettura, costituzionalmente orientata e in linea con le convenzioni internazionali, del combinato disposto degli artt. 2-sexies co. 4 L. n. 575/65 ora integralmente riportato sub art. 40, comma 2, D.L.vo n. 159/2011 e 47 R.D. n. 267/42, esponendo le seguenti considerazioni. In primo luogo - osservava il Tribunale - la norma di cui all'art. 2-sexies co. 4 non prevede un'automatica destinazione dell'immobile sequestrato alle esigenze abitative del proposto e dei suoi familiari, ma un provvedimento discrezionale ed eventuale del Giudice Delegato, siccome è dato evincere dall'espressione verbale può adottare e dall'uso ipotetico del congiuntivo quando ricorrano le condizioni previste dall'art. 47 L.F., ovvero l'indisponibilità di mezzi di sussistenza per la concessione di un sussidio di cui al comma 1 e la necessità abitativa rispetto alla destinazione a tale finalità della casa di proprietà del fallito di cui al comma 2 . Tale provvedimento, discrezionale ed eventuale, del Giudice Delegato, è chiamato a realizzare, nel caso concreto, il bilanciamento, voluto dal legislatore, tra le esigenze del soggetto che subisce il sequestro del bene e quelle pubblicistiche connesse all'esecuzione del provvedimento, esigenze, queste ultime, da cui discende il dovere primario di acquisire il possesso dei beni e di amministrarli anche al fine di incrementarne la redditività art. 2 sexies comma 8 L. n. 575/65 letteralmente ripreso dall'art. 35 co. 5 D.Lgs. n. 159/11, oggi in vigore . Detto bilanciamento si realizza valutando i tratti di analogia con la condizione del fallito, sicché, nel caso in cui il sequestro di prevenzione abbia posto il soggetto passivo nella medesima condizione del fallito espropriato dei propri beni , il Giudice Delegato potrà valutare l'applicabilità, sino alla definizione del procedimento, di uno dei provvedimenti di favore previsti dall'art. 47 L.F., una volta preso atto dell'indisponibilità, da parte del proposto, di altri immobili di proprietà da destinare ad abitazione requisito della necessità abitativa previsto dal comma 2 art. 47 cit . Viceversa, nel caso in cui il proposto non si trovi in condizioni di emergenza abitativa, in quanto dispone di redditi adeguati o di altri immobili di proprietà, deve escludersi l'assimilabilità della sua situazione a quella del fallito e, dunque, l'applicabilità dei provvedimenti di cui all'art. 47 L.F. È consapevole il Tribunale palermitano che tale conclusione non coincida con l'orientamento giurisprudenziale più recente, secondo cui deve escludersi che il proposto debba corrispondere il canone di locazione relativamente alla propria abitazione, ancorché bene fruttifero, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo reddito, non potendo, ex art. 47, comma 2, L. Fall., essere privato della propria abitazione, senza che possa essere imposto allo stesso il pagamento di un canone locativo, indipendentemente dalla sua solvibilità Cass., Sez. 2, sent. n. 9908/2011 . Peraltro, il Giudice della prevenzione ritiene di dover dissentire da quest'ultimo arresto, ribadendo la propria interpretazione delle norme in esame in quanto coerente con la lettera e lo spirito della legislazione in materia , nonché compatibile con il rispetto dei diritti fondamentali , né ostacolata, nel bilanciare il diritto all'abitazione e gli altri interessi protetti dall'ordinamento, dai principi costituzionali e comunitari. Calando la esposta interpetazione nel caso di specie, il Tribunale, affermata la non ravvisabilità dei presupposti per applicare l'art. 47 L.F., ha ritenuto, al fine di garantire una redditività minima dei beni in sequestro, di condizionare l'autorizzazione ad occupare gli immobili a fini abitativi in favore dei terzi interessati B.B. e B.P. , al versamento di un'indennità proporzionata alle proprie condizioni economiche ed alle caratteristiche commerciali dell'immobile . Tale indennità di occupazione - conclude il Tribunale - viene stimata congrua e non sproporzionata avuto riguardo alle condizioni economiche degli istanti, che peraltro non hanno neppure affermato di non avere la disponibilità di pagare tale indennità, affermando solo di avere il diritto di abitare gli immobili a titolo gratuito . 2. Ricorrono per cassazione, tramite il comune difensore, B.B. e B.P. , denunciando inosservanza delle norme di cui agli artt. 2 sexies comma 4 L. n. 575/65 e 47 L.F Deducono i ricorrenti che una corretta applicazione delle suddette norme avrebbe condotto a ritenere che l'occupazione degli immobili in sequestro, destinati individualmente ad abitazione principale dei rispettivi nuclei familiari, non potesse essere subordinata al pagamento di un canone in attesa del provvedimento conclusivo della procedura di prevenzione. Tale interpretazione si fonda, del resto, sulla citata sentenza n. 9908/2011, che, anche alla luce di numerose pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo e della Corte Costituzionale, ha stabilito doversi annoverare il diritto di abitazione nella categoria dei diritti fondamentali di cui all'art. 2 Cost, escludendo, quanto al fallito e al proposto, che tale diritto possa subire limitazioni nemmeno in caso di misure di prevenzione reali e affermando che la casa di abitazione è e resta a disposizione del proposto fino alla confisca e non può essere ritenuta posseduta sine titulo, come se fosse divenuta di proprietà dell'amministrazione dei beni . Si dolgono, inoltre, i ricorrenti della erroneità dell' assunto del Tribunale di Palermo laddove commisura l'indennità di occupazione degli immobili alle loro condizioni economiche, non potendo ignorare il Collegio che, proprio in virtù del disposto sequestro di prevenzione, essi B. erano stati spossessati di tutti gli immobili di proprietà e delle attività commerciali da cui traevano sostentamento. Chiedono, pertanto, l'annullamento del decreto impugnato. 3. Ad analoghe conclusioni perviene il Procuratore Generale in ragione dell'erronea applicazione degli artt. 2 sexies L. n. 575/65 e 47 L.F Osserva il P.G. che il rinvio operato dall'art. 2 sexies comma 4 all'art. 47 L.F. sembra voler significare che fino alla confisca la casa di proprietà del proposto, almeno nei limiti in cui sia necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia , non possa essere distratta da tale uso. Tale conclusione non contrasta con l'immissione nel possesso dei beni in sequestro da parte dell'Amministratore Giudiziario, non escludendo detta situazione la detenzione dell'immobile da parte del suo proprietario. Rileva, inoltre, il P.G. carenza di motivazione sull'aspetto relativo alle condizioni economiche dei ricorrenti, affidato ad affermazioni apodittiche e senza dare contezza della rappresentata spoliazione di tutti i beni di proprietà dei B. in virtù del decreto di sequestro di prevenzione. Peraltro, attesa l'erronea applicazione delle norme succitate, tale indagine in fatto deve ritenersi superflua. Considerato in diritto 1. È infondato il motivo relativo alla denunciata inosservanza delle norme di cui agli artt. 2 sexies comma 4 L. n. 575/65 e 47 L.F 1.1. Prima della loro interpretazione e per una migliore comprensione, vale la pena trascrivere le due norme in esame nel loro testo integrale. L'art. 2 sexies comma 4 della L. n. 575/65, la cui disposizione è oggi riprodotta nell'art. 40, comma 2, del D.L.vo n. 159/2011 c.d. Codice antimafia , così recita Il giudice delegato può adottare, nei confronti della persona sottoposta alla procedura e della sua famiglia, i provvedimenti indicati nell'articolo 47 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni, quando ricorrano le condizioni ivi previste. Nel caso previsto dal secondo comma del citato art. 47, il beneficiario provvede a sue cure alle spese e agli onere inerenti l'unità immobiliare ed è esclusa ogni azione di regresso . Già dal tenore letterale della enunciata disposizione, si rilevano, da un lato, la discrezionalità dell'intervento del giudice delegato desumibile dall'uso del verbo potere Il giudice può adottare , e, dall'altro, la necessità di subordinare tale intervento alle condizioni previste dall'art. 47 L.F Si riporta, quindi, il testo del richiamato art. 47 L.F., che, al primo comma, dispone Se al fallito vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, se è stato nominato, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia al secondo comma, prevede La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia, non può essere distratta da tale uso fino alla liquidazione delle attività . Dalla lettura del testo dell'art. 47 L.F. si evince che le condizioni richieste perché il Giudice della Prevenzione possa , discrezionalmente, adottare, nei confronti del proposto o dei terzi intestatari dei beni per suo conto, attesa l'identità di ratio o il provvedimento di concessione di un sussidio alimentare o l'autorizzazione ad abitare nella casa in sequestro sono costituite, rispettivamente, dalla mancanza dei mezzi di sussistenza, nel primo caso, e dalla necessità abitativa, nel secondo. È utile rammentare che la più recente giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sulla concessione del sussidio alimentare al fallito ha escluso che costui vanti un diritto soggettivo agli alimenti , essendone rimessa la concessione alla decisione discrezionale del giudice del merito, anche in ordine alla relativa entità e durata nel tempo, con provvedimento inidoneo a pregiudicare definitivamente ed irreversibilmente la posizione dell'interessato la relativa istanza è legittimamente reiterabile , e sempre che sussistano le seguenti condizioni che al fallito vengano a mancare i mezzi di sussistenza che nella massa attiva vi siano disponibilità economiche sufficienti per far fronte al pagamento del sussidio che sulla richiesta del fallito venga sentito il comitato dei creditori. Concorre, inoltre, ad escludere la configurabilità di un diritto soggettivo del fallito agli alimenti l'espressione utilizzata può concedere , invero diversa da quella dell'art. 433 cod. civ. che sancisce il diritto agli alimenti di chi versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento Cass. civ., Sez. 1, sent. n. 2755 del 25/2/2002, Bianchi contro Fall. Edil Serr Sas di Bianchi Giorgio e e, Rv. 552539 Sez. 1, sent. n. 3664 del 14/3/2001, Santandrea contro Fall. Kruis Trading Srl, Rv. 544730 . Quanto al tema abitativo, una ormai più che risalente pronuncia sent. n. 2070/1959 , che affermava il diritto soggettivo del fallito alla conservazione del godimento dell'alloggio di sua proprietà fino alla vendita, è parsa superata dalla dottrina e dalla prassi che, a proposito del contenimento del vincolo di destinazione dell'abitazione al fallito nei limiti della necessità di costui e della sua famiglia, legittimano provvedimenti del Giudice delegato volti ad alienare o locare la parte esuberante e, in via generale, giustificano il potere dell'Ufficio fallimentare di liquidare la casa di proprietà del fallito anche prima della fase terminale della procedura, ove sia presente un preciso interesse in tal senso e si provveda in altro modo a carico della massa all'abitazione del fallito, fino al momento in cui il rilascio sarebbe stato legittimo. Giurisprudenza, dottrina e prassi accreditano, dunque, un'interpretazione dell'art. 47 L.F. nel senso di subordinare la concessione del sussidio alimentare e dell'autorizzazione ad abitare la casa di proprietà, oltre che a un provvedimento di natura discrezionale, a condizioni e limiti nei termini sopra precisati. Tali condizioni e limiti, salvo adattamento alla specificità della procedura di prevenzione, devono essere - com'è ovvio, atteso il richiamo normativo espresso - tenuti presenti dal Giudice delegato chiamato ad adottare nei confronti del proposto i provvedimenti di cui all'art. 40 comma 2 D.L.vo n. 159/11. Intende chiarire questa Corte che se è vero, da un lato, che l'esplicito raccordo voluto dal legislatore tra la norma di prevenzione e quella fallimentare sottende una indubbia relazione analogica tra la posizione del proposto e quella del fallito , è altrettanto vero, dall'altro, che detta relazione appare pienamente giustificata solo nel caso in cui al primo con il sequestro di prevenzione vengano sottratti tutti i beni, cosicché la sua situazione si trovi realmente a coincidere con quella del fallito espropriato del suo patrimonio. Non può dimenticarsi, infatti, a giustificare l'esclusione di una automatica e rigida analogia si potrebbe parlare di analogia temperata tra le due figure, che, a differenza del fallito, il proposto viene privato solo di quei beni che siano riconducibili ad una provenienza illecita e che, quindi, può, in ipotesi, conservare nel suo possesso tutti i beni per i quali tale provenienza non sia stata dimostrata. A escludere, sotto altro profilo, un'analogia piena tra le due posizioni, soccorrono ragioni di carattere sistematico che implicano l'inserimento dell'art. 2-sexies co. 4 L. n. 575/65 oggi art. 40 co. 2 D.L.vo n. 159/2011 in un corpo normativo, quello che disciplina le misure di prevenzione di carattere patrimoniale, il cui obiettivo finale è la restituzione alla collettività, attraverso la loro destinazione a scopi di utilità sociale, dei beni di provenienza delittuosa confiscati obiettivo tutt'affatto diverso, all'evidenza, dalla tutela delle ragioni dei creditori che caratterizza la procedura fallimentare e che, in attesa del provvedimento di confisca art. 20 D.L.vo cit. , prevede il ricorso allo strumento provvisorio del sequestro di prevenzione ordinario, anticipato o urgente artt. 20, 21 e 22 stesso D.L.vo che, per un verso, assicura l'immissione in possesso e l'apprensione dei beni da parte dello Stato anche attraverso lo sgombero forzato previsto, per i beni immobili, dall'art. 21 del D.L.vo cit , e, per altro verso, demanda allo Stato medesimo, attraverso la collaborazione del Giudice Delegato con l'Amministratore Giudiziario, di provvedere alla custodia, alla conservazione e all'amministrazione dei beni sequestrati anche al fine di incrementare, se possibile, la redditività dei beni medesimi art. 35, co. 5, D.L.vo n. 159/11, che riproduce il previgente art. 2 sexies comma 8 L. n. 575/65 . Funzionale alla evocata ottica di incremento della redditività dei beni è, senza dubbio, l'imposizione di un canone di locazione o di un'indennità di occupazione nei confronti del proposto o del terzo intestatario formale dell'immobile soggetto a sequestro di prevenzione. Gli odierni ricorrenti, terzi intestatari di immobili sequestrati al proposto B.G. , contestano l'imposizione di un'indennità di occupazione a loro carico, quale condizione necessaria alla loro permanenza all'interno della casa di abitazione di cui sono proprietari formali, richiamando una recente sentenza di altra sezione di questa Corte, secondo la quale È illegittima la richiesta rivolta dall'amministratore giudiziario dei beni in sequestro di prevenzione al proposto di pagamento, previa stipula di un contratto di locazione, di un canone per l'immobile avuto da quest'ultimo in custodia e adibito ad uso di abitazione per sé e per la famiglia, perché la casa di abitazione resta a disposizione del proposto fino alla confisca e non può dirsi che sia da questi posseduta sine titulo come se fosse divenuta di proprietà dell'amministrazione dei beni Sez. 2, sent. n. 9908 del 24/2/2011, Scagliarini, Rv. 249672 . Si osserva nella citata decisione che L'art. 47 della legge fallimentare non prevede testualmente la possibilità di richiedere un canone di locazione al proprietario dell'appartamento che non può ritenersi compreso, nella logica dell'incremento, tra i beni del patrimonio del proposto che devono essere gestiti dall'amministratore. Trattandosi di norma di favore, l'interpretazione sistematica porta a ritenere, unitamente alla interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata, che il proposto/fallito abbia il diritto, unitamente alla sua famiglia, di abitare l'immobile di sua proprietà, senza la corresponsione di alcun canone. Il diritto alla abitazione rientra nella categoria dei diritti fondamentali inerenti alla persona, in forza dell'interpretazione desumibile da diverse pronunce della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo CEDU e nelle sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 2007, che delineano i rapporti tra diritto interno e diritto sovranazionale Alla luce di tali considerazioni deve escludersi che il proposto debba corrispondere il canone di locazione relativamente alla propria abitazione, ancorché bene infruttifero, indipendentemente se sia in grado di far fronte con il suo patrimonio o con il suo reddito a tale spesa, non potendo, ex art. 47, comma secondo, legge fallimentare, essere privato della propria abitazione, senza che possa essere imposto allo stesso il pagamento di un canone locativo, indipendentemente dalla sua solvibilità . Non può ignorarsi, peraltro, che tale decisione è stata preceduta da una pronuncia di segno opposto di questa sezione, che ha, viceversa, ritenuto legittima la richiesta formulata, previa autorizzazione del giudice delegato, dall'amministratore giudiziario di beni sottoposti a sequestro di prevenzione ai sensi dell'art. 2-ter e seguenti della legge n. 575 del 1965 - del pagamento di un canone locativo, a fronte di regolare stipula contrattuale, per unità immobiliare avuta in custodia e adibita ad abitazione dei familiari del suo proprietario, in quanto, tra le possibilità di incrementare la redditività dei beni di cui all'art. 2-sexies, comma primo, della citata legge, rientra quella di concedere in locazione un immobile, cosi da poter ricavare un corrispettivo dalla sua utilizzazione Sez. 1, sent. n. 41690 del 15/10/2003, Calabrò ed altri, Rv. n. 226479 . Ritiene questo Collegio di aderire a tale ultimo orientamento, con le precisazioni che seguono. Si sono prima messi in luce gli specifici tratti caratterizzanti la procedura di prevenzione e il sequestro provvisorio, nonché le ragioni di ordine sistematico vincolo reale limitato ai beni di provenienza delittuosa immissione nel possesso e apprensione dei beni possibilità di sgombero degli immobili finalità di incrementare la redditività dei beni in sequestro destinazione dei beni alla fine confiscati a scopi di utilità sociale che concorrono ad escludere la sussistenza di un rapporto analogico pieno con la figura del fallito e si è affermato che la massima coincidenza tra le due figure si verifica solamente nel caso in cui al proposto per una misura di prevenzione o al terzo intestatario per conto del proposto vengano sottratti con il sequestro tutti i beni, così come accade al fallito alla data di dichiarazione di fallimento art. 42, co. 1, L.F. La sentenza che dichiara il fallimento priva dalla sua data il fallito dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni esistenti alla data di dichiarazione di fallimento . È solo in questo caso, dunque, in cui la situazione del proposto è sovrapponibile a quella del fallito e la relazione analogica è completa, che il Giudice delegato alla procedura di prevenzione, in base al combinato disposto di cui agli artt. 40, co. 2, D.L.vo n. 159/2011 e 47 L.F. potrà valutare l'applicabilità, sino alla definizione del procedimento, di uno dei provvedimenti di favore previsti dall'art. 47 citato, autorizzando, per tornare al tema oggetto del caso di specie, il proposto o il terzo intestatario del bene ad abitare l'immobile in sequestro, senza corrispondere alcun corrispettivo all'Amministratore Giudiziario, una volta preso atto dell'indisponibilità, da parte del soggetto interessato, di altri immobili di proprietà da destinare ad abitazione o di risorse economico-finanziare adeguate a risolvere il problema abitativo, requisito della necessità abitativa previsto dal comma 2 art. 47 cit. . Viceversa, nel caso in cui il proposto/terzo intestatario non si trovi in condizioni di emergenza abitativa, in quanto disponga di redditi adeguati o di altri immobili di proprietà, dovrà escludersi l'assimilabilità della sua situazione a quella del fallito e, dunque, l'applicabilità dei provvedimenti di cui all'art. 47 L.F., con la conseguente legittima possibilità - giustificata dal fine normativamente previsto di incrementare la redditività dei beni in sequestro art. 35, co. 5, D.L.vo n. 159/2011 - di imporre nei suoi confronti, per continuare ad abitare nel bene in sequestro, un canone di locazione ovvero, se tale soluzione si ritenga inopportuna per la incompatibilità della qualità del proposto con quella di un ordinario fruitore del bene, una congrua indennità di occupazione, che abbia la funzione di compensare medio tempore per la durata della indisponibilità del bene il pregiudizio derivante dal suo mancato godimento sull'indennità di occupazione, vedi Cass. civile, sent. n. 13060/2008 . La enunciata soluzione ermeneutica si appalesa, per quanto detto sopra, coerente con la lettera, la ratio e l'inquadramento sistematico della normativa esaminata, né può suscitare dubbi di costituzionalità o di conformità ai principi comunitari e internazionali quanto alla tutela del diritto all'abitazione, ormai annoverato - come ricorda la citata decisione della Sezione 2^ da cui si dissente - tra i diritti fondamentali dell'uomo come consacrati nell'art. 2 Cost. cfr. sent. C. Cost. nn. 217 e 404/88, n. 209/09 e n. 61/11, nelle quali si è, tra l'altro, affermato che il diritto all'abitazione rientra tra i requisiti essenziali caratterizzanti la socialità cui si conforma lo Stato democratico voluto dalla Costituzione , nell'art. 25 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo approvata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 e nell'art. 11 del Patto internazionale dei diritti economici, sociali e culturali approvato il 16.12.1966 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e ratificato dall'Italia il 15.9.1978 . Ed invero, attraverso tale interpretazione il diritto all'abitazione viene sempre ad essere tutelato anche in favore del proposto per una misura di prevenzione solo che, in un caso, quello in cui l'interessato dimostri la necessità del bene in sequestro per soddisfare le esigenze abitative proprie e della propria famiglia vedi, ancora, l’art. 47 co. 2 L.F. La casa di proprietà del fallito, nei limiti in cui è necessaria all'abitazione di lui e della sua famiglia , non altrimenti realizzabili, egli fruirà del suo diritto ad abitare senza dover corrispondere alcun corrispettivo all'Amministratore Giudiziario viceversa, nel caso diverso in cui venga dimostrato, in base ad elementi di cui il Giudice delegato alla procedura dispone, che il proposto/terzo intestatario possa addivenire a soluzioni abitative alternative, anche attraverso l'impiego di proprie risorse economico-finanziarie, egli, se vorrà continuare ad abitare nell'immobile sottoposto a sequestro fino alla confisca, potrà legittimamente essere onerato del pagamento di un canone di locazione o di un'indennità di occupazione. Ciò posto, deve rilevarsi come il decreto emesso dal Tribunale di Palermo in funzione di Giudice delle misure di prevenzione sia conforme, sul piano logico-interpretativo, al principio affermato da questo Collegio, laddove reputa in astratto legittima l'imposizione di un'indennità di occupazione a carico del terzo titolare del bene in sequestro nel caso in cui non sia dato ravvisare i presupposti per applicare i provvedimenti di favore previsti dall'art. 47 L.F Tuttavia, ha omesso il Tribunale palermitano di evidenziare gli elementi di conoscenza concernenti le condizioni economiche dei ricorrenti B.B. e B.P. in base ai quali ha ritenuto in concreto legittima, congrua e non sproporzionata, l'indennità di occupazione imposta nei loro confronti. Sotto tale profilo, rilevante quale violazione di legge nella forma della mancanza assoluta di motivazione - peraltro dedotta nel ricorso come sottomotivo - il provvedimento impugnato deve essere annullato, con rinvio per nuovo esame allo stesso Tribunale di Palermo. P.Q.M. annulla il decreto impugnato e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Palermo.