«L’IDV è un partito personale guidato con mano di ferro da Di Pietro». Si tratta di libero ed incensurabile esercizio del diritto di critica politica

In tema di diffamazione a mezzo stampa ai fini dell’applicazione dell’esimente di cui all’articolo 51 c.p., la critica politica può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente di parte ovvero non oggettivi.

Così si espressa la Suprema Corte di Cassazione – con la sentenza n. 51439/13 depositata lo scorso 19 dicembre - nell’ambito del procedimento penale originato dalla denuncia presentata da Antonio Di Pietro nei confronti di Nicola Tranfaglia ex responsabile del Dipartimento cultura ed istruzione per il partito politico Italia dei Valori. Il caso. L’ex Pubblico Ministero aveva sporto denuncia querela nei confronti del Tranfaglia che aveva indotto la Procura competente a formulare suo carico le imputazioni di tentata estorsione, diffamazione, e calunnia. In esito alla celebrazione dell’udienza preliminare il GUP dichiarava non doversi procedere ritenendo insussistente il fatto in relazione alla tentata estorsione e non costituenti reato le condotte relative ed inerenti i capi b diffamazione e c calunnia . Avverso la pronuncia proponeva ricorso la parte civile, Antonio Di Pietro, personalmente. La Corte ha rigettato il ricorso ritenendolo inammissibile e, anche, manifestamente infondato. I poteri del Giudice dell’udienza preliminare. Circa i poteri del Giudice dell’udienza preliminare di dichiarare non doversi procedere in relazione alla inidoneità degli elementi raccolti a sostenere la tesi in giudizio, vi è ormai una piuttosto rilevante produzione giurisprudenziale, sia di merito, ovviamente, che di legittimità. Pare che le Procure nel caso di specie la parte civile che però è pur sempre un ex pubblico ministero , non vogliano o non possano rassegnarsi ad accettare quel ruolo di filtro, rispetto alla fondatezza dell’imputazione anche rispetto agli elementi raccolti ed atti a sostenerla, che invece essa avrebbe dovuto avere sin dal momento della sua introduzione nel sistema processuale italiano. La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, ha ben evidenziato come laddove la prova abbia natura documentale essa non possa essere intrinsecamente assoggetta o soggetta a mutamenti e come, dunque, nel caso di sua contraddittorietà, originaria o causata dalle produzione di documenti da parte della difesa, si imponga una valutazione di inidoneità della stessa a sostenere le tesi accusatorie in giudizio. Con la conseguenza di dover statuire quel non doversi procedere particolarmente indigesto per le Procure che, a ben vedere, potrebbero provi rimedio non formulando ricorsi avanti alla Suprema Corte ma attivandosi in fase di indagine preliminare ai fini di reperire idonee e convincenti prove. I caratteri dell’estorsione. Ai fini di integrare la fattispecie penalmente rilevante è necessario che l’agente intenda conseguire un ingiusto profitto. Nihil sub soli novi . Non può mai integrare il reato la mera condotta che sia frutto di fatti espressivi di conflittualità personale che rimangano al di sotto della soglia della fattispecie penale contestata . Anche in relazione al reato di violenza privata la Corte ha osservato che gli atti compiuti dall’agente debbono avere natura tale dal poterli considerare diretti in modo non equivoco a fare, non fare o tollerare qualcosa. Niente di nuovo. Diffamazione e critica politica. La Corte ripercorre, brevemente ma efficacemente, il pensiero, in punto di diritto, a sensi del quale ai fini dell’applicazione della scriminate dell’articolo 51 del codice sostanziale, rapportata alla fattispecie di diffamazione a mezzo stampa, la critica politica debba intendersi quale legittima anche quando si ponga quale evidente espressione di parere di parte affatto oggettivo. A patto che detto parere di parte si fondi sempre e comunque su di una prospettazione dei fatti non opposta alla verità . Si tratta di un approdo giurisprudenziale ben noto agli operatori del diritto che ha trovato recentemente vedere su questa rivista una risata ci salverà forse di questo commentatore una interpretazione maggiormente estensiva in relazione al diritto di satira politica, che nel caso di specie trova semplice, immediata e diretta applicazione. Una applicazione restrittiva del diritto di critica politica finirebbe infatti col rivelarsi quale uno straordinario intoppo al libero e indispensabile esercizio della dialettica fra le parti che dovrebbe essere, in un sistema corretto, funzionale alla crescita del Paese. Non assume rilievo ai fini della valutazione dell’esimente della critica politica neppure l’esistenza di pronunce giudiziali posto che esse non intervengono in relazione ai criteri di opportunità che, soprattutto in una materia tanto delicata quanto quella della critica politica, possono e debbono formare oggetto di autonome, libere ed insindacabili, penalmente, opinioni. La scriminante ex articolo 68 della Costituzione. interessante l’osservazione contenuta nella pronuncia e relativa alla funzione che esplica la scriminate richiamata in relazione al contenuto delle espressioni pronunciate dal parlamentare protetto dalla ben nota guarentigia. L’art. 68 Cost. altro non è se non un’estensione totale della scriminate della libera espressione garantita al parlamentare affinché egli possa agire liberamente nell’esperimento del proprio mandato. Dunque, con ragionamento giuridico davvero elementare, la condotta posta in essere dal Parlamentare ricadrebbe nell’alveo di quelli non costituenti reato. Ovvero di quelle che, integrando perfettamente una norma incriminatrice, non producono la punizione del colpevole solo a cagione dell’esistenza di specifica causa di non punibilità. Il che significa che l’affermazione pronunciata dal parlamentare non mi pare possa assumere altra valenza che quella che deve avere ovvero una libera espressione assolutamente assoggettabile a sindacato. Con la conseguenza di rendere assolutamente lecita l’espressione di una differente opinione da parte del quisque de populo .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 – 19 dicembre 2013, n. 51439 Presidente Esposito – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 10/5/2013, il Gup presso il Tribunale di Roma dichiarava non doversi procedere a carico di T.N. imputato dei reati di tentata estorsione Capo A , diffamazione Capo B e calunnia Capo C in danno di D.P.A. con la formula perché il fatto non sussiste in ordine al capo A e perché il fatto non costituisce reato in ordine ai capi B e C . 2. T.N. aveva assunto nell'ottobre 2009 l'incarico di responsabile del Dipartimento cultura ed istruzione per il partito politico Italia dei Valori IDV , ricevendo un compenso mensile contrattualmente determinato di circa Euro 1.700. Nel marzo del 2011 la tesoriera dell'IDV gli comunicava che la collaborazione con il partito doveva ritenersi definitivamente risolta. Le richieste del T. di ripristinare il rapporto ed i pagamenti da parte dell'IDV o di ottenere l'assicurazione di una sua futura candidatura, anche attraverso uno scambio di sms con D.P.A. , erano rimaste senza esito. In seguito il T. pubblicava un articolo dal titolo Perché lascio l'IDV sulla sua pagina Facebook, e rilasciava delle interviste riprese dalle agenzie di stampa e dai principali quotidiani in cui scagliava delle accuse contro D.P. e la sua gestione del partito. Quindi T. presentava una querela contro D.P. , accusandolo di diffamazione per aver rilasciato in una trasmissione radiofonica delle dichiarazioni in cui accusava T. di averlo ricattato. A seguito di una denunzia querela di D.P.A. veniva avviata un'indagine preliminare all'esito della quale il P.M. formulava a carico di T.N. le imputazioni di tentata estorsione, diffamazione e calunnia, chiedendone il rinvio a giudizio. Il GUP dichiarava non doversi procedere con la formula su indicata, osservando che il materiale probatorio non era suscettibile di ulteriori sviluppi in dibattimento. 3. Avverso tale sentenza propone ricorso la parte civile D.P.A. dolendosi di violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento a tutti e tre i capi di imputazione. 4. Con riferimento al capo A il ricorrente contesta le conclusioni del Gup in ordine all'assenza dell'elemento oggettivo dell'ingiusto profitto ed eccepisce che, ove venisse meno tale elemento, il fatto comunque integrerebbe gli estremi del tentativo di violenza privata. 5. Con riferimento al reato di diffamazione di cui al capo B , il ricorrente deduce mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Al riguardo eccepisce che le dichiarazioni rilasciate dal T. , avendo oggetto fatti o ricostruzioni storiche non corrispondenti al vero, travalicavano i limiti del diritto di critica politica. 6. Con riferimento al reato di calunnia di cui al capo C , eccepisce che il T. , accusando il D.P. di diffamazione non poteva non essere consapevole dell'infondatezza di tale accusa. 7. Il difensore dell'imputato ha depositato memoria resistendo al ricorso della parte civile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati. 2. Per quanto riguarda la contestazione di tentata estorsione di cui al capo A , legittimamente il Gup ha dichiarato non doversi procedere, dal momento che dagli elementi probatori in atti, non suscettibili di modificazioni in dibattimento trattandosi di prova documentali, non emergono gli estremi della condotta punibile per il delitto di estorsione. Dall'esame accurato della documentazione in atti sms e mail il Gup legittimamente ha escluso la sussistenza del fine di perseguire un ingiusto profitto, poiché il T. ha sostanzialmente protestato contro la sua esclusione dal ruolo e dal compenso che svolgeva nel partito dell'IDV e se ne è lamentato con il suo Presidente, non accettando di uscire di scena silenziosamente. Si tratta di fatti espressivi di una conflittualità personale legata alle modalità di gestione di un partito politico, che rimangono al di sotto della soglia della fattispecie penale contestata ed anche del reato di violenza privata, poiché gli sms risentiti inviati da T. a D.P. non possono essere considerati atti idonei, diretti in modo non equivoco a costringere il Presidente dell'IDV a fare o non fare qualunque cosa. 3. Ugualmente inammissibili, in quanto manifestamente infondate, sono le censure in punto di diffamazione aggravata. In punto di diritto non v'è dubbio che in tema di diffamazione a mezzo stampa, ai fini dell'applicazione dell'esimente di cui all'art. 51 cod. pen., la critica politica - che nell'ambito della polemica fra contrapposti schieramenti può anche tradursi in valutazioni e commenti tipicamente di parte , cioè non obiettivi - deve pur sempre fondarsi sull'attribuzione di fatti veri, posto che nessuna interpretazione soggettiva, che sia fonte di discredito per la persona che ne sia investita, può ritenersi rapportabile al lecito esercizio del diritto di critica, quando tragga le sue premesse da una prospettazione dei fatti opposta alla verità Cass. Sez. 5, Sentenza n. 7419 del 03/12/2009 Ud. dep.24/02/2010 Rv. 246096 . 4. Il ricorrente deduce che nella fattispecie non sarebbe applicabile la scriminante dell'esercizio del diritto di critica in quanto le dichiarazioni rilasciate dal T. hanno ad oggetto fatti e/o ricostruzioni storiche non corrispondenti al vero. Due sarebbero - secondo la parte civile ricorrente - le circostanze non corrispondenti al vero 1 Non è vero che T. avrebbe ricevuto dall'IDV solo un esiguo rimborso spese mensile 2 È falso che V.E. e C.G. avrebbero avuto un trattamento discutibile dal partito . 3 È falso che i rimborsi elettorali delle elezioni Europee del 2004 sono stati incamerati da D.P. . Orbene il fatto che T. percepisse un esiguo rimborso spese mensile piuttosto che un compenso mensile ed un rimborso spese a pie di lista, è circostanza del tutto irrilevante che, oltretutto non attribuisce nessun fatto disonorevole al Presidente dell'IDV, mentre per quanto riguarda V. e C. , il T. , si doleva nell'articolo pubblicato sul suo blog che costoro avevano ricevuto un trattamento discutibile e, nell'intervista al giornale on line il Tribuno.com, rappresentava che hanno perso tutti i rimborsi elettorali delle Europee del 2004 incamerati poi da D.P. . Orbene lo stesso ricorrente da atto che con V. e C. sono insorti dei conflitti che hanno dato luogo ad azioni giudiziarie ed a controversie in sede Parlamentare aventi ad oggetto i rimborsi elettorali delle Europee del 2004, che sono stati incamerati dalla lista nella disponibilità di D.P. . Il fatto che D.P. abbia avuto ragione nelle controversie insorte con V. e C. in ordine alla spartizione dei rimborsi elettorali, non impedisce che il comportamento, sia pur legittimo, tenuto da D.P. , possa essere sottoposto a disapprovazione sotto il profilo dell'opportunità e negativamente commentato. Né il T. ha mai attribuito a D.P. di avere incamerato personalmente i rimborsi elettorali spettanti alla lista. Quindi T. non ha attribuito ad D.P.A. fatti disonorevoli non veri, ma ha fornito una sua interpretazione polemica della gestione del partito dell'Italia dei Valori, sostanzialmente rappresentando che l'IDV è un partito personale guidato con mano di ferro da D.P. . 6. Non v'è dubbio che tali espressioni costituiscano libero ed incensurabile esercizio del diritto di critica politica garantito dall'art. 21 della Costituzione. 7. Infine è manifestamente infondato anche il terzo motivo di ricorso in quanto le espressioni che T. con la sua denuncia ha contestato a D.P. T.N. ? Ha tentato di ricattarmi astrattamente possono assumere carattere diffamatorio e sono state effettivamente pronunciate da D.P.A. nel corso di una trasmissione radiofonica il 21/3/2011, tanto che nel procedimento instaurato a carico dell'on. D.P. per diffamazione, il P.M. ha richiesto l'archiviazione, ravvisando la causa di non punibilità di cui all'art. 68 della Costituzione. 7. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, si stima equo determinare in Euro 1.000,00 mille/00 . P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.