Violenza sessuale: cosa accade quando vittima e carnefice offrono ricostruzioni entrambe credibili?

Nella contrapposizione tra due diverse sentenze di merito analogamente convincenti sul piano logico e tali da offrire soluzioni diverse l'una alternativa all'altra, ma persuasive e comunque non manifestamente illogiche, non può che giungersi al risultato di un ragionevole dubbio” in favore dell'imputato, in specie allorchè la piattaforma probatoria sia rimasta immutata lungo tutto il corso del procedimento.

La ha stabilito la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 51378, depositata il 19 dicembre 2013. Una dubbia” violenza sessuale in discoteca . Nel caso di specie una giovane canadese - da poco maggiorenne - ha denunciato all'Autorità giudiziaria di essere stata vittima di un abuso presso una discoteca, all'esito di una serata durante la quale si era intrattenuta in compagnia di un'amica. Ne è disceso un procedimento penale per violenza sessuale e lesioni a carico di un uomo, indicato dalla vittima come autore della aggressione carnale. All'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale, viste le dichiarazioni – piuttosto confuse – della persona offesa, e considerato sussistente un non trascurabile margine di dubbio in ordine alla natura consensuale del rapporto consumato tra i due giovani, ha ritenuto di assolvere l'imputato per insussistenza del fatto di reato. Di tutt'altro avviso, invece, è stata la Corte d'appello, adita in sede di gravame dalla Procura e dalla costituita parte civile a detta dei giudici di seconde cure, infatti, il quadro probatorio era sufficiente onde pervenire alla pronuncia di condanna nei confronti dell'accusato, dovendosi assumere la piena attendibilità delle dichiarazioni offerte dalla vittima. Due tesi credibili, due verdetti opposti . La delicata vicenda è stata rimessa la vaglio dei giudici capitolini cui l'imputato si è rivolto al fine di ottenere l'annullamento del dictum emesso dalla Corte territoriale. In dettaglio, la difesa del ricorrente ha evidenziato alla Suprema Corte l'erroneità della decisione gravata nella parte in cui non era stato tenuto in debita considerazione il dubbio in ordine al prestato consenso da parte della ragazza alla consumazione del rapporto, peraltro tralasciando i considerevoli buchi della piattaforma cognitoria che - se valutata correttamente - avrebbe confermato l'esito assolutorio registrato in primo grado dal che il rapporto sessuale - ha insistito l'imputato - altro non rappresentava che il logico sviluppo di un reciproco desiderio sessuale manifestato in crescendo dai due giovani durante tutto il corso della serata. I criteri di valutazione della prova in appello . I giudici di legittimità hanno esaminato i due epiloghi giudiziari - di primo e di secondo grado - tra loro totalmente differenti e, ciò nonostante, accomunati dalla medesima base probatoria, posto che per il gravame i giudici si sono serviti delle medesime emergenze del grado precedente. Da qui, l'esigenza di indagare funditus circa la coerenza, completezza, esausitività e ragionevolezza” dei criteri di valutazione della prova adottati dai due giudici di merito nel corso del procedimento. Nel fare tanto, i giudici della Suprema Corte hanno rimarcato i limiti della giurisdizione di legittimità, sottolineandone le rilevanti implicazioni laddove il procedimento abbia registrato un'assoluzione piena in primo grado ed una, altrettanto piena, condanna in appello all'imputato, in tali circostanze, viene sostanzialmente sottratta – spiegano i giudici della Corte – la possibilità di una impugnazione di merito, che vada, cioè, ben oltre i limiti stringenti del giudizio di legittimità. Per questo motivo si è richiamata l'attenzione sulla ancillare importanza dell'indagine in ordine alla correttezza della tesi svolta dal giudice di secondo grado, della quale deve potesi escludere ogni possibile errore, logico o fattuale che sia. In dubbio pro reo. Ma il ragionamento della Corte si spinge ancora oltre, pervenendo all'assunto in virtù del quale in presenza di due opposte ricostruzioni della vicenda - entrambe logiche e verosimili - il principio del favor rei non può che traghettare il giudicante verso l'esito assolutorio. Il dubbio - ancora una volta - deve risolversi in favore dell'imputato, tanto più - si osserva - se, come nel caso di specie, le piattaforma probatoria sulla quale i verdetti hanno fatto leva è rimasta sostanzialmente inalterata. La regola di favore per l'imputato trova vigore finanche nei limiti di accesso diretto alla prova da parte del giudice di appello prospettabile, come noto, nei soli casi in cui ciò sia ritenuto indispensabile ai fini della decisione del gravame, e per questo motivo foriera - ancora oggi - di dubbi di costituzionalità per contrasto con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Condanna da rivedere . Sul crinale di tali considerazioni si è, dunque, indagato se la Corte territoriale, nel pronunciare sentenza di condanna, si fosse limitata sic et simpliciter ad offrire una ricostruzione alternativa alla vicenda ovvero se avesse offerto anche validi elementi atti a ritenere insostenibile la sentenza di primo grado. Ebbene, i giudici capitolini, nel propendere per la prima soluzione, hanno accolto il ricorso dell'imputato per l'effetto annullando con rinvio la sentenza della Corte d'appello, sul presupposto che la tesi svolta da quest'ultima fosse approssimativa ed ingiustificatamente unidirezionale. La condanna inflitta all'imputato, in altri termini, è stata ritenuta passibile di censura in quanto licenziata dalla Corte territoriale nella totale assenza di una effettiva rivalutazione delle prove e, soprattutto, della dimostrazione della insostenibilità dell'accertamento operato dal Tribunale.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 maggio - 19 dicembre 2013, n. 51378 Presidente Lombardi – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 18 aprile 2012 la Corte di Appello di Trieste, in riforma della sentenza emessa il 27 maggio 2008 dal Tribunale di detta città nei confronti di K.F. , imputato dei delitti di violenza sessuale art. 609 bis cod. pen. lesioni personali aggravate artt. 582, 585, 576 n. 1 61 n. 2 cod. pen. e atti osceni art. 527 cod. pen. , con la quale lo stesso era stato assolto dai detti reati perché il fatto non sussiste, dichiarava - in accoglimento degli appelli rispettivamente proposti dal P.M. e dalla parte civile - il predetto K.F. colpevole dei reati di violenza sessuale e lesioni personali aggravate mentre veniva confermata l'assoluzione per il delitto di atti osceni e, con le circostanze attenuanti generiche ed unificati i reati sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni tre e mesi nove di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. 1.2 Avverso la detta sentenza presenta ricorso l'imputato a mezzo dei propri difensori di fiducia dopo aver ripercorso i tratti salienti della vicenda processuale vicenda che, in estrema sintesi, vedeva quali protagonisti, da una parte, l'imputato e dall'altra una giovanissima parte offesa, all'epoca del fatto poco più che diciottenne, la quale sarebbe stata asseritamente oggetto di una violenza sessuale commessa nei locali di una discoteca ove entrambi i giovani, autonomamente e separatamente, si erano recati a ballare unitamente ai rispettivi gruppi di amici , la difesa censurava la decisione impugnata sotto diversi profili. Il filo comune era costituito da una situazione di ragionevole dubbio già evidenziata nella sentenza di primo grado, ma che la Corte territoriale aveva ritenuto di poter superare reinterpretando le prove valutate dal primo giudice ed attribuendo alle stesse una valenza inversa - soprattutto sotto il profilo della credibilità intrinseca della vittima - rispetto a quella attribuita dal Tribunale. In particolare, con il primo motivo, la difesa denuncia vizio di motivazione per insufficienza, contraddittorietà e manifesta illogicità con riferimento all'aspetto del dissenso della vittima, della sua manifestazione all'esterno e della correlata, erronea percezione da parte dell'imputato, sostanzialmente evidenziando come l'intero prologo della vicenda denotasse una decisa manifestazione di consenso al rapporto sessuale da parte della vittima, esplicitata in termini tali da indurre l'imputato a ritenere che quel rapporto - e le relative modalità - fosse non solo voluto, ma desiderato dalla ragazza. Con il secondo motivo la difesa, muovendo dalla considerazione di fondo caratterizzante il primo motivo del ricorso vale a dire il consenso della vittima o, quanto meno, l'inesistenza di un dissenso anche in forma implicita , lamenta analogo vizio della motivazione riferito alla valutazione - del tutto errata, secondo l'impostazione difensiva - del materiale probatorio, assolutamente contraddittorio tanto da aver determinato il Tribunale alla decisione assolutoria con ampia formula liberatoria e invece ritenuto dalla Corte territoriale esente da incertezze interpretative di qualsiasi genere. Di contenuto sostanzialmente analogo anche i successivi motivi terzo, quarto, quinto e sesto, riferiti, sempre, ad una manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione in relazione alla insufficiente valutazione da parte del giudice distrettuale del materiale probatorio con specifico riguardo ai dati rappresentati dalle dichiarazioni della vittima del reato tali da ingenerare una assoluta incertezza sul reale svolgimento dei fatti come ricostruiti dalla persona offesa da qui la affermata violazione ed inosservanza da parte dalla Corte di Appello delle norme processuali di cui all'art. 192 del codice di rito. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni qui di seguito precisate. 2. Al fine di una corretta soluzione delle censure sollevate dalla difesa, pare necessario ricostruire per estrema sintesi lo svolgimento della vicenda, per come enunciata nella sentenza impugnata. Il fatto sarebbe accaduto nella notte tra il omissis nei locali di una discoteca omissis di Trieste ove la giovane persona offesa W.L. , studentessa universitaria canadese soggiornante in Italia per ragioni di studio, si era recata, unitamente ad altri amici, per trascorrere in allegria la serata. In quello stesso locale si trovava l'imputato K. , unitamente ad un altro amico ove erano entrambi giunti in modo del tutto autonomo. Quando, con il trascorrere delle ore, la pista da ballo aveva cominciato ad affollarsi di ragazzi, l'imputato ed il suo amico si erano imbattuti nella W. e nella sua amica N.L. , facendo la loro conoscenza e invitandole a ballare. Erano subito nate delle simpatie tra il K. e la ragazza canadese e tra la sua amica e l'amico del K. . Per quanto di interesse, le effusioni tra la W. e il K. erano culminate in contatti fisici epidermici e baci sulla bocca reciproci durante il ballo, ma senza altri coinvolgimenti impegnativi, né nella sala da ballo né nei divanetti posti ai margini della pista. Nel prosieguo della serata il K. aveva più volte - secondo il racconto della ragazza - tentato approcci più spinti con la giovane canadese, da lei sempre respinti, fin quando i due si sarebbero ritrovati, su iniziativa del giovane slavo, al di là di una porta di sicurezza in una sorta di anfratto buio ubicato nel sottoscala. In quei luoghi il K. avrebbe svestito la ragazza dei jeans e della biancheria intima, abbassandoli fin sotto le caviglie, ed avrebbe penetrato la giovane che, nonostante i suoi tentativi di sottrarsi al rapporto sessuale cercando di aprire la porta di sicurezza dall'interno, subiva sia una penetrazione vaginale, con perdita di sangue, che anale, mentre il giovane eiaculava poi all'esterno, verso la parete cui la giovane si trovava accostata. 3. Questi, dunque, i fatti come denunciati dalla ragazza. La versione della giovane era stata contraddetta dall'imputato che aveva lasciato intendere come il rapporto fisico con la ragazza si fosse svolto liberamente, seppure in uno spazio angusto e nascosto del locale, senza alcun dissenso da parte della giovane che, già dai primi approcci, si era mostrata consenziente al contatto fisico e ad una sua intensificazione con la conseguenza che il rapporto sessuale che ne era seguito altro non doveva considerarsi che il logico sviluppo di un reciproco desiderio sessuale manifestatosi tra i due giovani sin dal primo avvicinamento nella pista da ballo, caratterizzato da effusioni reciproche accettate di buon grado, ed anzi incoraggiate dalla ragazza che avevano quindi indotto l'imputato a ritenere che la W. desiderasse un contatto sessuale assai più intimo che - viste le circostanze di tempo e di luogo - si sarebbe potuto sviluppare nel locale stesso ove i due ragazzi si trovavano, in luogo appartato ed inibito all'accesso da parte di estranei. 4. Il materiale probatorio formatosi nel giudizio di primo grado dichiarazioni della giovane vittima rilasciate nel corso dell'incidente probatorio dichiarazioni dell'imputato dichiarazioni testimoniali certificazioni mediche prove scientifiche non aveva permesso al Tribunale di giungere ad una conclusione rassicurante in termini di affermazione della colpevolezza del K. , viste la numerose incertezze in cui era incorsa la ragazza nel suo racconto e le contraddizioni rilevabili, anche sotto il profilo logico, in contrapposizione ad una versione dell'imputato a sua volta giudicata, se non credibile, verosimile la soglia dell'oltre ogni ragionevole dubbio non era stata raggiunta e da qui era seguita l'assoluzione per insussistenza del fatto. 5. La Corte territoriale, accogliendo le censure sollevate dalla parte civile e dal Pubblico Ministero che avevano interposto appello avverso la sentenza di proscioglimento, aveva ribaltato il giudizio assolutorio, rivalutando, in negativo, le prove e reinterpretandole in chiave colpevolista, valorizzando unidirezionalmente il racconto della ragazza ed essenzialmente basandosi, per un verso, su alcuni dati oggettivi le certificazioni attestanti le lesioni riscontrate sul corpo della ragazza nella regione perianale e sulle ginocchia il rilevamento di tracce di liquido spermatico sulla parete del sottoscala teatro dei fatti e, per altro verso, sulla inverosimiglianza della versione difensiva relativamente ad alcuni particolari modalità di ingresso nel sottoscala attraverso la porta di sicurezza mancata chiusura di essa impossibilità, comunque, di apertura dall'interno di quella porta consenso implicito della ragazza a rapporti sempre più spinti assoluta libertà di movimenti della vittima che, pur trovandosi all'interno di uno spazio angusto e chiuso dall'esterno, ben avrebbe potuto, anche aprendo la porta, chiedere aiuto ed allontanarsi se davvero fosse stata aggredita sessualmente, ovvero se si fosse mostrata assolutamente refrattaria al rapporto sessuale . 6. Tale ribaltamento della situazione processuale, come cristallizzata nella sentenza di primo grado costituisce, quindi, il nodo centrale del problema sollevato dalla difesa, nel senso che occorre verificare se - di fronte ad un complesso probatorio identico nelle due fasi del giudizio - il percorso argomentativo seguito dalla Corte distrettuale risponda ai canoni della completezza, della logica e della coerenza interna problema, nel caso di specie, accentuato dal fatto che la sentenza di appello è contraddistinta da una soluzione negativa per l'imputato, assolto in primo grado. Da qui l'esigenza di una verifica particolarmente rigorosa delle prove da parte del giudice di appello e di analoga verifica nel conseguente giudizio di legittimità in merito alla osservanza, o meno, da parte del giudice distrettuale, dei criteri di valutazione della prova in termini di coerenza, completezza, esaustività e logicità. 7. Nel nostro sistema processuale, come è noto, vige il sistema del cd. doppio grado di giurisdizione , consistente nella possibilità di ottenere - sulla stessa questione controversa - una seconda pronuncia da parte del giudice di merito diversa, eventualmente, dalla prima e destinata, quindi, a prevalere su quella adottata dal giudice di primo grado. Con l'entrata in vigore del principio costituzionale del giusto processo, compendiato nell'art. 111 Cost., la raccolta in forma dialettica delle prove è divenuto il metodo normale di confronto su una decisione nei termini indicati dalla carta costituzionale. La devolutività piena del giudizio di appello permette, quindi - seppure entro i confini delle impugnazioni proposte dalla parti processuali - la possibilità di una rivisitazione, in melius o in pejus , della prima decisione operazione, quest'ultima, caratterizzata da un controllo di tipo cartolare e scritto di quanto avvenuto in precedenza, con esclusione, quindi, del ricorso alla oralità ed alla dinamica reale del contraddittorio. 8. Tanto precisato, va ricordato che secondo l'interpretazione giurisprudenziale adottata da questa Corte, è ben possibile che nel giudizio di secondo grado possa, per la prima volta, definirsi il giudizio basandosi sullo stesso materiale probatorio utilizzato per una decisione favorevole, con una condanna dell'imputato. Ciò comporta, però, di fatto, che il soggetto condannato per la prima volta in secondo grado si vede privato della possibilità di una impugnazione di merito come, invece, accade nel giudizio di primo grado. L'unico rimedio possibile in una situazione siffatta è costituito dalla impugnazione in sede di legittimità che, però, preclude qualsiasi esame sul merito della vicenda. Vero è che gli approdi giurisprudenziali più recenti di questa Corte impongono che il giudice dell'appello, nella ipotesi di una impugnazione proposta dal Pubblico Ministero o dalla parte civile, debba fare riferimento oltre che alla sentenza di primo grado alle memorie ed agli atti con i quali la difesa, nel contestare il gravame della parte appellante Pubblico Ministero o parte civile abbia prospettato al giudice di appello l'avvenuta acquisizione dibattimentale di prove diverse, favorevoli e nel contempo decisive, pretermesse dal giudice di primo grado nell'economia dei quel giudizio. Si tratta - come è agevole rilevare - di un sostanziale ampliamento dei confini del giudizio di legittimità che ingloba, dopo la novella del 2006, altri vizi in aggiunta a quelli conosciuti sino a quel momento, quali il travisamento della prova, non presente nel previgente sistema processuale. 9. Si esige allora da parte del giudice di secondo grado, nel caso di ribaltamento in pejus della prima decisione, non solo di effettuare una logica ricostruzione dei fatti e darne adeguatamente conto della motivazione, ma, soprattutto, di raffrontarsi con la decisione di primo grado e rilevare se la diversa decisione che sia stata adottata rappresenti la conseguenza di una valutazione alternativa del medesimo materiale probatorio o, piuttosto, il frutto di specifici errori, logici o fattuali. 10. Come affermato in numerose pronunce di questa Corte, se nella contrapposizione tra due diverse sentenze analogamente convincenti sul piano logico e dunque tali da offrire soluzioni diverse l'una alternativa all'altra, ma persuasive o comunque non manifestamente illogiche non può che giungersi al risultato di un ragionevole dubbio che non può che risolversi in favore dell'imputato. 11. Laddove, invece, la sentenza di riforma riesca ad individuare tutti quei punti che rendono insostenibile la decisione di primo grado, vuoi per una incoerenza logica, vuoi per un errore nella valutazione del materiale probatorio, o anche per una omessa valutazione di prove non considerate od erroneamente ritenute inutilizzabili, la soluzione cui si perviene è del tutto differente nel senso che la lettura proposta dalla sentenza di condanna a seguito di appello dovrà essere l'unica decisione possibile alle date condizioni Sez. 6^, 10.10.2012 n. 1266, Andrini, Rv. 254024 v. anche Sez. 6A 26.2.2013, C.M. ed altro non massimata . Il criterio da osservare da parte del giudice di appello nel decidere e motivare la condanna sarebbe dovuto essere quello sopra detto e il rispetto di tale criterio costituisce l'oggetto del controllo rispetto al vizi logici dedotti dai difensori. 12. Ma il limite stesso insito nella statuizione di condanna successiva ad una precedente decisione di tenore liberatorio ovverossia la mancanza del requisito della oralità impone degli obblighi specifici a carico del giudice di secondo grado che intenda discostarsi dalla precedente decisione utilizzando la stessa prova orale raccolta nel precedente giudizio, proprio perché quel giudice non è stato posto nelle condizioni di effettuare un apprezzamento diretto della prova nel suo formarsi, avvalendosi solo di prove di tipo documentale compendiate nei verbali di trascrizione redatti nel corso delle singole udienze. 13. Tale limite ha dunque indotto nel tempo le difese di numerosi imputati a sollevare eccezione di incostituzionalità dell'art. 603 cod. proc. pen., istituto che prevede la rinnovazione parziale del dibattimento in appello per un asserito contrasto con la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, come interpretato dalla CEDU con la sentenza Dan contro Moldovia del 5 luglio 2011, in relazione alla mancata previsione della obbligatorietà di una nuova acquisizione delle prove orali innanzi al giudice di appello affinché lo stesso, con un diverso apprezzamento delle stesse, possa pronunciare sentenza di condanna. 14. Questa Corte, più volte investita della questione, l'ha, a ragione, ritenuta manifestamente infondata, facendo leva sulla indiscutibile applicabilità nell'ordinamento, in base ad una interpretazione adeguata dell'art. 603 cod. proc. pen., della regola che risulta dalla citata giurisprudenza Cedu, riconoscendosi che l'art. 6 CEDU, così come interpretato dalla sentenza della Corte Europea dei diritti dell'Uomo del 5 luglio 2011, nel caso Dan vs. Moldavia, impone di rinnovare l'istruttoria soltanto in presenza di due presupposti decisività della prova testimoniale e necessità di una rivalutazione da parte del giudice di appello dell'attendibilità dei testimoni assenti nell'ipotesi in trattazione , vds. Sez. 5A 5.7.2012, Luperi ed altri, Rv. 253541 . 15. Pur non essendo questa la sede per occuparsi ex professo di questo profilo in quanto da parte della difesa non è stato aspettato il vizio di motivazione in ordine alla inosservanza dell'art. 603 cod. proc. pen. ritiene il Collegio di richiamare il principio contenuto nell'art. 6/1 della Cedu quale interpretato dalla sentenza Dan contro Moldovia secondo quanto affermato dalla CEDU Se una Corte d'Appello è chiamata esaminare un caso in fatto e in diritto e a compiere una valutazione completa della questione della colpevolezza o dell'innocenza del ricorrente, essa non può, per una questione di equo processo, determinare correttamente tali questioni senza una valutazione diretta delle prove vds. causa Popovici c. Moldavia, nn. 289/04 e 41194/04 del 27 novembre 2007 causa Marcos Barrios c. Spagna, n. 17122/07 del 21 settembre 2010 . 16. tale richiamo si impone in quanto - per come si vedrà in prosieguo - le incertezze manifestate ripetutamente dalla vittima presunta dell'abuso nel narrare il fatto sono al centro delle censure della difesa la mancata riaudizione della ragazza, che, alla luce delle doglianze difensive, sarebbe stata quanto mai opportuna se non indispensabile per dipanare le incertezze costituisce quindi un limite nella decisione assunta dalla Corte territoriale. 17. Tornando ai fatti del caso sottoposto all'esame di questo Collegio, si osserva che le principali prove contro il ricorrente erano costituite dalle dichiarazioni testimoniali della persona offesa vittima dell'abuso sessuale. Le altre prove erano, per così di dire, di contorno, nel senso che certamente da sole non avrebbero potuto condurre alla condanna del ricorrente. Non a caso il Tribunale aveva definito quelle prove come prove indirette riguardanti la dinamica dei fatti così, pag. 54, paragrafo 6 - conclusioni - della sentenza di primo grado e di dubbia valenza dimostrativa, in termini di univocità, le prove documentali segnatamente le certificazioni mediche comprovanti le lesioni riscontrate sulla giovane, ritenute, però, almeno in astratto, non incompatibili anche con un rapporto sessuale consenziente - così pag. 55 della ricordata sentenza . 18. Il Tribunale aveva assolto il K. in quanto i testimoni, sia principali la vittima che secondari l'amica della vittima gli addetti alla sicurezza del locale da ballo alcuni testi della difesa che avevano riferito dell'atteggiamento complessivo del K. nei loro confronti i verbalizzanti intervenuti dopo la prima segnalazione della notitia criminis non erano stati ritenuti credibili o, quanto meno, avevano ingenerato serie perplessità sulla colpevolezza dell'imputato, pur essendo stati tutti sentiti personalmente e con grande accuratezza vista la delicatezza della vicenda. 19. La Corte di Appello, investita di un duplice gravame parte civile e Pubblico Ministero è andata di diverso avviso sulla attendibilità delle dichiarazioni dei testimoni dell'accusa ha valorizzato le dichiarazioni della persona offesa in modo preponderante, attribuendovi una portata dimostrativa pressoché assoluta, pur dando atto delle contraddizioni rilevate nel suo racconto ha disatteso, bollandole come inverosimili, le dichiarazioni che tali non erano state giudicate dal Tribunale in diversi punti dell'imputato vds. pagg. 6 e 7 della sentenza impugnata ha effettuato - quel che è peggio - una personale ricostruzione della vicenda anche attraverso affermazioni di principio e considerazioni di tipo personalistico sulla illogicità di accuse calunniose o mistificazioni della realtà ad opera della ragazza, evidenziandone la sua ingenuità e spontaneità perché giovane straniera inesperta dei luoghi ed alla sua prima importante esperienza sessuale vds. pagg. 7 e 8 della sentenza impugnata . 20. Il giudizio espresso dalla Corte distrettuale, peraltro, si scontra - come osservato dalle difese del ricorrente - con una analisi della vicenda a tutto tondo effettuata dal Tribunale che, invece, aveva scandagliato con cura tutti i punti e valutato in modo quanto mai analitico tutte le testimonianze assunte. La statuizione di condanna che ne è seguita non è stata preceduta da un riascolto diretto delle testimonianze ma si è semplicemente basata sulle loro dichiarazioni così come verbalizzate agli atti. 21. L'importanza della pronuncia della CEDU che aveva affrontato un caso in cui le prove dichiarative non erano state ritenute attendibili deriva dalla affermazione del principio secondo il quale laddove la prova essenziale consista in una o più prove orali che il primo giudice abbia ritenuto, dopo averle personalmente raccolte, non attendibili o comunque di portata dimostrativa non univoca, il giudice di appello per pervenire alla condanna, non può procedere ad un diverso apprezzamento della medesima prova sulla sola base della lettura dei verbali ma è tenuto a raccogliere nuovamente la prova innanzi a sé per poter operare una adeguata valutazione di attendibilità, salvo possibili casi particolari. 22. Ma nel caso in esame - in cui non era insorta questione in ordine alla necessità di un riascolto dei testimoni - è stato censurato il metodo di analisi seguito dalla Corte distrettuale consistito nell'avere rivalutato in modo diverso le medesime prove. 23. Occorre quindi verificare se la Corte di Appello abbia seguito le regole suindicate per la condanna in fase di appello dopo l'assoluzione di primo grado in estrema sintesi, va verificato che da parte del giudice di secondo grado sia stata offerta non solo la più adeguata ricostruzione dei fatti alla luce degli elementi di prova acquisiti ma anche che la diversa tesi o ricostruzione affermata dalla sentenza di primo grado sia insostenibile. 24. Seguendo l'esposizione - per vero assai sintetica è compendiata in poco più di tre facciate se raffrontata alla corposità della sentenza del Tribunale ben 55 pagine di cui appena sette dedicate ai criteri astratti in ordine alle valutazioni della testimonianza della persona offesa e le restanti incentrate su una meticolosissima analisi delle prove testimoniali dirette ed indirette e delle prove documentali - è agevole rilevare come la rivisitazione della vicenda che comunque ruota attorno ad diversa interpretazione dello svolgersi di un rapporto sessuale incontestato nella sua materialità tranne il particolare, ritenuto inverosimile dal giudice distrettuale, del diniego di una penetrazione anale da parte dell'imputato in contrasto con dati emergenti dal certificato medico-ginecologico sia stata approssimativa e poco attenta alle distorsioni derivanti dalle contraddizioni nel racconto delle quali - come in precedenza accennato - era stato dato atto nell’incipit della motivazione. 25. L'elemento del dissenso esplicito viene, per esempio, trattato come un fatto scontato, salvo ad aggiungersi vds. pag. 7 della motivazione che un eventuale iniziale consenso ad un rapporto doveva ritenersi poi superato quanto meno in modo implicito per effetto delle modalità violente del rapporto, giudicate ben poco compatibili con un atto sessuale consenziente vds. pag. 7 citata . Diffuse, ma non suffragate da elementi concreti, le considerazioni negative svolte sulla personalità dell'imputato, giudicato spavaldo, privo di scrupoli e dall'atteggiamento subdolo e proditorio così come diffuse, ma anche queste non precedute da una attenta analisi degli elementi di valutazione, appaiono le considerazioni svolte sul senso di paura della ragazza sulla sua confusione sui sensi di colpa e vergogna vds. pag. 8 della sentenza . Una sorta di ricostruzione a posteriori di una aggressione sessuale i cui contorni non apparivano però nitidi sia per il contesto spazio-temporale, sia per l'atteggiamento iniziale della ragazza verso il giovane della quale vi è prova anche proveniente dalla amica N.L. che avrebbe raccolto le prime confidenze della ragazza dopo gli approcci iniziali verso la W. del giovane K. avvenuti nella sala da ballo che certamente doveva indurre la Corte territoriale ad una indagine assai più specifica e tale da superare il ragionamento estremamente articolato del Tribunale. 26. Corollario di tali considerazioni è che la sentenza in esame non appare coerentemente ed esaurientemente motivata - fermo restando l'elemento negativo del mancato riascolto della persona offesa - in quanto non vi è stata quella rivalutazione delle prove che, offrendo una diversa lettura degli avvenimenti, dimostrano la insostenibilità logica e fattuale della primitiva soluzione seguita dal Tribunale. 27. Alla stregua delle considerazioni che precedono si impone, allora, l'annullamento della sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste, affinché proceda, tenendo conto delle minuziose considerazioni svolte nella sentenza di primo grado, ad una analisi della intera vicenda secondo le indicazioni fornite da questa Corte in ordine ai criteri da osservare nel caso di una doppia difforme con sentenza di condanna da parte del giudice di secondo grado rispetto ad una sentenza di proscioglimento del primo giudice ai criteri di valutazione della prova dichiarativa e documentale formatasi nel giudizio di primo grado rimasta inalterata nel giudizio di appello al rispetto puntuale della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non tenuta in considerazione nel caso di specie. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Trieste.