Suo padre affitta un appartamento a 14 cinesi irregolari e lui ne trae profitto: 10 mesi di reclusione

Suo padre viveva nell’appartamento adibito a dormitorio per altri 14 clandestini, ma è lui a trarne vantaggio percependo l’affitto. Ed è lui che, insieme al padre, deve essere condannato.

Questo è il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 50633/2013, depositata lo scorso 16 dicembre. La fattispecie. Un cinese veniva condannato, in entrambi i giudizi di merito, alla pena di 10 mesi di reclusione per aver, quale proprietario di un immobile, adibito tale immobile, in concorso col padre, cui l’aveva affittato, a dormitorio per 14 cittadini cinesi irregolari. Ad occuparsi della questione è anche la Corte di Cassazione che, tuttavia, conferma quanto deciso nei precedenti giudizi. L’inesistenza di un regolare contratto di lavoro non è rilevante per la configurabilità del reato. Irrilevante, infatti, ai fini della configurabilità del reato, è l’esistenza o meno di un contratto di locazione. Al contrario, di solito, proprio per le condizioni di irregolarità degli inquilini, il contratto non viene praticamente mai concluso. La ratio della norma – precisa la S.C. – è volta a sanzionare la situazione di fatto che si viene a creare quando, a chi si trova in condizioni di illegalità sul nostro territorio, vien data in fruizione un immobile ai fini logistici traendone da ciò un illecito guadagno . Il prezzo praticato era sproporzionato, per non parlare delle condizioni igieniche. Inoltre, nella fattispecie, è stato ampiamente dimostrato che l’imputato fosse consapevole dell’attività illecita commessa dal padre da cui, tra l’altro, egli traeva vantaggio percependo l’affitto dei clandestini. E poi, era anche al corrente della sproporzione del prezzo praticato rispetto ai livelli di mercato, nonché delle condizioni di fruizione dell’alloggio da parte degli inquilini che, per ragioni di spazio a disposizione e di igiene, erano di gran lunga inferiori ai livelli ordinari.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 30 ottobre – 16 dicembre 2013, n. 50633 Presidente Cortese – Relatore Barbarisi Svolgimento del processo 1. - Con sentenza deliberata in data 5 giugno 2012, depositata in cancelleria il 6 luglio 2012, la Corte di Appello di Milano confermava la sentenza 21 dicembre 2010 del Tribunale di Milano che aveva dichiarato, tra l'altro, W.J. responsabile del reato di cui all'art. 12 comma quinto bis D.Lvo 286/98 condannandolo alla pena di mesi dieci di reclusione. 1.1. - Secondo la ricostruzione del fatto operata nella sentenza gravata W.J. , quale proprietario dell'immobile sito in omissis , lo adibiva in concorso con il padre J.S. , cui l'aveva affittato, a dormitorio per 14 cittadini cinesi irregolari. 1.2. - Il giudice di merito richiamava, onde pervenire alla formulazione del giudizio di responsabilità, il dato probatorio consistito - dalle dichiarazioni del verbalizzante escusso che ha riferito della suddivisione dell'immobile di 80 mq., grazie a paratie in cartongesso e tende, in diversi mini locali con la predisposizione di 32 posti letto - dalle scadenti condizioni igieniche dei locali dove vi si trovavano i 14 ospiti - dalle dichiarazioni dei testimoni escussi, tra cui gli ospiti medesimi, che risultavano essere presenti nell'appartamento da tempi diversi e per un tempo indeterminato - dalle parziali ammissioni di J.S. , padre dell'odierno imputato, che non ha negato di aver svolto l'attività di affittacamere. 2. - Avverso il citato provvedimento ha interposto tempestivo ricorso per cassazione W.J. chiedendone l'annullamento per violazione di legge e vizi motivazionali. In particolare sono stati sviluppati dal ricorrente tre motivi di gravame a con la prima doglianza veniva rilevato che il giudice aveva errato nel disporre la confisca dell'immobile atteso che nella fattispecie non vi era stata alcuna stipula o rinnovo del contratto di locazione, essendo il medesimo inesistente b con la seconda censura veniva eccepito che il giudice aveva ritenuto la responsabilità del prefato anche per l'attività anteriore alla data di accertamento, periodo per il quale non era stata raggiunta alcuna prova né era stata altresì raggiunta la prova che il W. avesse avuto a che fare con gli stranieri e avesse dato loro alloggio c con il terzo motivo di gravame veniva evidenziata la carenza motivazionale in relazione al profilo soggettivo del reato ascritto. Motivi della decisione 3. - Il ricorso è destituito di fondamento e va rigettato. 3.1 - Il primo motivo di ricorso non è fondato e deve essere respinto. Occorre rilevare che il chiaro tenore letterale dell'art. 12 comma 5 bis D. L.vo n. 286/98 salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque a titolo oneroso, al fine di trarre ingiusto profitto, da alloggio ovvero cede, anche in locazione, un immobile ad uno straniero che sia privo di titolo di soggiorno al momento della stipula o del rinnovo pone in correlazione la confisca dell'immobile con la fattispecie della sua cessione in alloggio anche in locazione a titolo oneroso a chi è in situazione di irregolarità al momento del perfezionamento della locazione stessa la ratio della norma è volta cioè a sanzionare la situazione di fatto che si viene a creare quando, a chi si trova in condizioni di illegalità sul nostro territorio, vien data in fruizione un immobile ai fini logistici traendone da ciò un illecito guadagno. La norma dunque si pone ben al di là del formalismo della stesura di un regolare contratto di locazione che, proprio per la condizione di illegalità sul nostro territorio dell'inquilino straniero, non viene pressoché mai concluso presupponendo infatti, la normativa, che disciplina la materia locatizia, la regolare presenza sul territorio del cessionario. Diversamente decidendo, il reato non si configurerebbe mai, in particolare proprio quando maggiore è il pregiudizio per lo straniero e il suo sfruttamento e palese la condotta illecita del locatore. 3.2 - Anche il secondo motivo di gravame non è fondato e deve essere respinto. 3.2.1 - Occorre rilevare che, a prescindere dalle motivazioni espresse in sentenza, la condanna del prefato è intervenuta, per quanto è stato accertato, in data 20 aprile 2009. La pena in altre parole, a prescindere dalla negatoria delle attenuanti generiche che ha valutato, anche qui, una situazione di fatto perdurante nel tempo, è intervenuta in relazione a un reato ritenuto consumato in tale data quando, come evidenziato dalla Corte di Appello, è risultato che vi erano 14 ospiti che, presenti anche da più giorni, erano intenzionati a rimanere in tale luogo a tempo indeterminato. La condizione di sfruttamento, come precisato dal giudice di merito con argomentazioni scevre da vizi logici e giuridici, era rappresentata nello specifico non solo dalle pessime condizioni igieniche in cui gli inquilini, per il numero esorbitante, si erano venuti a trovare, ma anche per la suddivisione, stabile nel tempo, dei locali in questione, onde ospitare fino a 32 persone paganti e dunque con un trasformazione apposita della struttura a disposizione, volta allo sfruttamento intensivo di tale condizione di irregolarità. Inoltre, è esaustiva la motivazione del giudice del merito in relazione alla consapevolezza del prefato circa l'attività di affittacamere del padre e della conseguente attività di sfruttamento vuoi perché egli era al corrente che il padre gli versava mensilmente il danaro dell'affitto non prestando altra attività remunerativa da cui poter ricavare il danaro, vuoi perché la stessa coabitazione del figlio in epoca in cui era possibile far risalire l'attività illecita giusto il raffronto tra la data dello spostamento della residenza del prefato, la denuncia dei condomini e le dichiarazioni dell'imputato sul punto, dunque dall'ottobre 2008 dimostrava la presa di coscienza stessa dell'illecito per averla potuta verificare de visu durante la sua permanenza in quell'immobile. 3.3 - Parimenti destituito di fondamento è il terzo motivo di impugnazione. 3.3.1 - Si richiamano qui le argomentazioni appena espresse. Il giudice da ampia contezza del profilo soggettivo del reato e la sussistenza della consapevolezza per l'attività illecita commessa dal padre da cui il ricorrente traeva a sua volta vantaggio percependo l'affitto. Qui può aggiungersi che il prefato era altresì al corrente non solo della sproporzione del prezzo praticato nella fattispecie rispetto ai livelli di mercato, ma anche che le condizioni di fruizione dell'alloggio da parte degli inquilini erano tali, per ragioni di spazio a disposizione e di igiene, da essere di gran lunga inferiori a tali livelli ordinari. 4. - Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.