Amministratore occulta fatture per impedire l’esatta ricostruzione dei redditi aziendali: chiariti i limiti del giudizio d’appello

Il giudice di secondo grado è tenuto a motivare sui punti dedotti nei motivi di gravame e non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di specifici motivi di impugnazione in tal senso.

È quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 50594 del 16 dicembre 2013. Il fatto. L’amministratore unico di una società edile proponeva ricorso avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova che lo condannava alla pena di quattro mesi di reclusione per aver occultato e/o distrutto alcune fatture al fine di non consentire una corretta ricostruzione dei redditi e del volume d’affari conseguiti dalla ditta stessa. La censura si basava sul fatto che difettava ogni spiegazione della scelta decisoria che si limitava a richiamare integralmente, per ragioni di economia espositiva, la sentenza impugnata. Caratteristiche del giudizio d’appello. Il motivo è infondato avendo l’appello esclusivamente per oggetto la misura della pena, la Corte territoriale applicava correttamente la procedura camerale prevista dall’art. 599, 1 co., c.p.c. non essendo stato posto alcun profilo di doglianza in relazione alla sussistenza del fatto e alla responsabilità dell’imputato. La pena irrigata dal primo giudice veniva ritenuta adeguata sia per l’entità del fatto che per la personalità dell’imputato. Del resto non poteva essere concesso l’invocato contenimento della pena irrogata posto che il minimo edittale era già stato rispettato. Bisogna ricordare che l'obbligo della motivazione della sentenza è soddisfatto in maniera diversa allorché si tratti di sentenza di primo grado o di sentenza di appello. La prima, infatti, deve coprire tutta l'area di indagine del giudice sulla responsabilità dell'imputato la seconda è, invece, correlata ai motivi di gravame, perché il giudice di secondo grado è tenuto a motivare sui punti in essi specificamente dedotti. Relativamente alle pene Inoltre, il giudice d’appello non ha il potere di applicare d’ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva e, nel caso di specie, il difensore si era limitato a chiedere l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto , tranne che nei casi tassativamente indicati nell’art. 597, co. 5, c.p.p. non applicabile estensivamente , norma eccezionale, costituente deroga al principio generale dell’effetto devolutivo dell’appello stabilito dall’art. 597, co. 1, c.p.p. Correttamente, quindi, la Corte d’Appello non si era pronunciata sulla richiesta di conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 27 novembre – 16 dicembre 2013, n. 50594 Presidente Teresi – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. M.M. ha proposto ricorso avverso la sentenza della Corte d'Appello di GENOVA in data 16/01/2013, depositata in data 31/01/2013, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di GENOVA 24/02/2011, di condanna alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, con la concessione dei doppi benefici di legge, perché, nella sua qualità di amministratore unico della MD COSTRUZIONI s.r.l., specializzata in lavori edili, occultava e/o distruggeva, per l'anno d'imposta 2006, n. 3 fatture attive di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire ai verificatori una corretta ricostruzione dei redditi e del volume d'affari conseguiti dalla ditta stessa in particolare si trattava delle fatture n. 12, 13 e 14, meglio descritte nel capo di imputazione, il cui ammontare complessivo risultava pari ad Euro 63.700,00 fatto accertato in Genova il 16 settembre 2008 art. 10, d. Igs. 10 marzo 2000, n. 74 . 2. Ricorre avverso la predetta sentenza l'imputato a mezzo del difensore cassazionista, articolando due motivi di ricorso, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 3. Deduce, con un primo motivo, vizio di mancata e manifesta illogicità della motivazione art. 606, lett. B ed e , cod. proc. pen. , in relazione agli artt. 125, n. 3 e 546, lett. E , cod. proc. pen In sintesi, censura la motivazione della Corte d'appello in quanto apparente, difettando nella sentenza ogni spiegazione della scelta decisoria e qualunque apprezzamento fattuale. La Corte, come dedotto in ricorso, si sarebbe limitata a richiamare integralmente, per ragioni di economia espositiva, la sentenza impugnata , senza valutare ed esaminare gli elementi posti a fondamento della stessa sentenza. 4. Deduce, con un secondo motivo, violazione di legge art. 606, lett. b , c.p.p. in relazione agli artt. 53 e 58 della legge n. 689/1981 e dell'art. 597 c.p.p., nonché mancata e manifesta illogicità della motivazione art. 606, lett. B ed e , in relazione agli artt. 125, n. 3 e 546, lett. E , c.p.p. . In sintesi, la Corte d'Appello avrebbe omesso di pronunciarsi sulla richiesta di conversione della pena detentiva nella corrispondente pena pecuniaria, richiesta formulata in sede di conclusioni all'udienza tenutasi il 16 gennaio 2013. Considerato in diritto 5. Il ricorso è infondato. 6. Infondato è il primo motivo. Ed invero, la motivazione del giudice d'appello appare congruamente motivata in relazione all'unico motivo di appello proposto dalla difesa contenimento della pena nei minimi edittali . La Corte territoriale, infatti, avendo l'appello esclusivamente per oggetto la misura della pena, applicava correttamente la procedura camerale prevista dall'art. 599, comma primo, cod. proc. pen., non essendo stato posto alcun profilo di doglianza in relazione alla sussistenza del fatto ed alla responsabilità dell'imputato. In relazione, quindi, allo specifico motivo d'impugnazione, la Corte territoriale, seppure nella sinteticità del suo apparato motivazionale, mostra di aver tenuto conto delle argomentazioni difensive di cui al motivo di appello, soffermandosi sull'unica questione dedotta, ossia sulla richiesta determinazione della pena inflitta dal primo giudice. Sul punto, i giudici del gravame, richiamando i criteri direttivi di cui all'art. 133 c.p., attribuiscono carattere di decisività, in senso reiettivo dell'istanza, al dato oggettivo costituito dall'importo, non irrilevante, delle fatture in contestazione, concludendo per l'adeguatezza della pena irrogata dal primo giudice, sia all'entità del fatto che alla personalità dell'imputato. Del resto, la richiesta difensiva di contenimento della pena irrogata, non avrebbe potuto condurre ad un'ulteriore diminuzione della stessa, posto che, per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili, la pena minima prevista dall'art. 10 del d.lgs. n. 74/00 è quella di sei mesi di reclusione, ed il giudice di prime cure aveva già determinato la pena base nel predetto minimo, riconoscendo le attenuanti generiche, con conseguente determinazione della pena finale in quella di quattro mesi di reclusione. Non ha, quindi, spazio il motivo di ricorso proposto che, peraltro, non tiene conto del fatto che l'obbligo della motivazione della sentenza è soddisfatto in maniera diversa allorché si tratti di sentenza di primo grado o di sentenza di appello. La prima, infatti, deve coprire tutta l'area di indagine del giudice sulla responsabilità dell'imputato la seconda è, invece, correlata ai motivi di gravame, perché il giudice di secondo grado è tenuto a motivare sui punti dedotti specificamente richiamati nei relativi motivi. Deve peraltro aggiungersi che l'uso di espressioni sintetiche quali valutati gli elementi tutti di cui all'art. 133 c.p. , come nel caso in esame, è giustificato quando viene irrogata una pena molto vicina al minimo edittale nel caso in esame, esattamente nel minimo edittale, avendo già concesso il primo giudice le attenuanti generiche con riduzione di un terzo della pena base , non essendo, in tale caso, necessaria una analitica enunciazione dei criteri v., ex multis Sez. 3, n. 11513 del 19/10/1995 - dep. 28/11/1995, Merra, Rv. 203011 . 7. Infondato è, parimenti, il secondo motivo di ricorso. Ed invero, come risulta in atti, il difensore, in sede di conclusioni davanti alla Corte territoriale, ebbe a richiedere l'accoglimento del motivo di appello e la conversione della pena detentiva nella pena pecuniaria corrispondente. Dalla sentenza di primo grado non risulta che analoga richiesta di sostituzione ex art. 53 legge n. 689/81 fosse stata avanzata dalla difesa, limitatasi a chiedere l'assoluzione dell'imputato per insussistenza del fatto. Il giudice d'appello non ha peraltro motivato sulla richiesta, avanzata solo in sede di discussione. Questo Collegio ritiene, in continuità ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, da cui non intende discostarsi, che il giudice di appello non ha il potere di applicare d'ufficio le pene sostitutive di quelle detentive brevi in assenza di motivi di impugnazione in ordine alla mancata applicazione della sanzione sostitutiva, e ciò pur quando nel giudizio di appello la parte ne abbia fatto richiesta v., da ultimo Sez. 4, n. 12947 del 20/02/2013 - dep. 20/03/2013, Pilia, Rv. 255506 contra, tre isolate decisioni, ormai superate dal più recente orientamento cui questo Collegio aderisce Sez. 6, n. 786 del 12/12/2006 - dep. 16/01/2007, Moschino, Rv. 235608 Sez. 4, n. 6892 del 19/06/1996 - dep. 06/07/1996, Falchi, Rv. 205216 Sez. 4, n. 6526 del 05/05/1995 - dep. 03/06/1995, Marchetti, Rv. 201708 . Militano, invero, a favore dell'orientamento maggioritario, almeno due considerazioni a da un lato, la considerazione che l'espressa previsione delle facoltà attribuite ex officio al giudice di appello sono tassativamente indicate dall'art. 597, quinto comma, cod. proc. pen., per cui deve ritenersi preclusa un'applicazione estensiva od analogica della norma in questione ed un ampliamento per via interpretativa dei poteri discrezionali del giudice di secondo grado b la natura eccezionale della norma in esame, costituente deroga al principio generale dell'effetto devolutivo dell'appello stabilito dall'art. 597, primo comma, cod. proc. pen., con conseguente sua inapplicabilità, ai sensi dell'art. 14 delle preleggi, al di fuori dei casi espressamente consentiti. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.