Configurabile il tentativo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare per il marito che simula un contratto di usufrutto

Anche se si tratta di reato omissivo, di regola incompatibile con la forma tentata. Ma la Cassazione delinea la figura dell’”omissione mediante commissione”.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 50097 del 12 dicembre 2013. Il fatto. Una articolata vicenda giudiziaria. La consorte incardinò un procedimento cautelare ex art. 700 c.p.c., al fine di vedere assegnare alla figlia minorenne la casa coniugale – di proprietà del marito, che fino a quel momento non aveva contribuito in alcun modo agli obblighi di assistenza familiare -, istanza poi giudizialmente riconosciuta. Ma il padre non si arrese, elaborò un contratto simulato con un suo fiduciario, cui riconobbe l’usufrutto esclusivo per quella abitazione. Ottenuto lo sfratto avviò l’esecuzione ai danni della moglie e della figlia. Queste allertarono la Procura della Repubblica competente, e di seguito il giudice per le indagini preliminari emise il sequestro preventivo dell’immobile, di fatto arrestando l’esecuzione del provvedimento di sfratto ed aprendo per quei fatti procedimento penale. Vennero infatti contestati al padre/imputato, nelle forme tentate, l’inosservanza del provvedimento della pubblica autorità ex art. 388, secondo comma, c.p. – esecutivo il provvedimento ex art. 700 c.p.c.- e la mancata assistenza familiare ex art. 570 c.p. La Cassazione invocata, sez. VI Penale, n. 50097/2013 depositata il 12 dicembre, offre una soluzione in punto di configurabilità del tentativo per i reati omissivi propri. Configurabile il tentativo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare ex art. 570 c.p. La natura ibrida omissiva e commissiva della fattispecie. La norma indica due condotte omissive – sottrarsi agli obblighi di assistenza” e far mancare i mezzi di sussistenza” – risulta difficilmente configurabile il tentativo ex art. 56 c.p. per l’impossibile ravvisabilità dei criteri materiali di identificabilità del comportamento punibile – l’idoneità e l’univocità degli atti” – a condotte omissive, dunque evanescenti ed equivoche, se non sostenute da un dolo specifico chiaramente individuabile. La Cassazione invocata non smentisce l’orientamento dominante – almeno in dottrina, poche invece sono state le occasioni giurisprudenziali in ordine all’art. 570 c.p. -, ma accede alla configurabilità del tentativo elaborando la dinamica dell’omissione mediante commissione, che descrive quei comportamenti positivi finalizzati a sottrarsi ad un obbligo giuridico di intervenire. Nel caso l’imputato, al fine di non consentire alla moglie e alla figlia la disponibilità dell’abitazione e di non adempiere al dovuto – per il contenuto del provvedimento ex art. 700 c.p.c. e per gli obblighi di assistenza familiare civilisticamente ordinati -, aveva concretamente avviato azioni esecutive fondate su un rapporto contrattuale simulato. Superate le soglie del tentativo per quelle condotte commissive, la Cassazione ha confermato la condanna. La condizione obiettiva di punibilità del reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento giudiziale ex art. 388 c.p. l’ingiunzione ad adempiere può essere implicita ed inespressa. Si è trattato di un punto risolutivo del processo, il reato ex art. 388 c.p., è caratterizzato dalla condizione obiettiva di punibilità costituita da una formale ingiunzione ad adempiere” al destinatario dell’ordine. La Cassazione ribalta la decisione della Corte d’Appello che aveva ritenuto la condizione non verificata, per la presenza ininterrotta, nelle more dei procedimenti civili incardinati, della madre e della figlia nell’abitazione in oggetto, le quali non avevano dunque ostentato al marito alcuna ingiunzione all’adempimento dell’ordine giudiziale già esecutivo ex art. 700 c.p.c. Per la Cassazione identico valore va riconosciuto, ai fini della configurazione della suddetta condizione obiettiva di punibilità, all’ingiunzione ad adempiere informale od implicita, semplicemente ravvisabile nei comportamenti tenuti dalle persone danneggiate del reato. Non deve comunque essere semplicemente supposta, ma inequivoca e nei fatti individuabile. Nel ribaltare la sentenza dei giudici del merito, gli Ermellini declinano la soglia del comportamento attivo richiesto alle persone offese, fino a schiacciare quel comportamento al contenuto precettivo, questo sì evidentemente inequivoco, del provvedimento giudiziale ex art. 700 c.p.c. inottemperato.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 25 settembre – 12 dicembre 2013, n. 50097 Presidente Serpico Relatore Rotundo Fatto e diritto 1.-. Con sentenza in data 23-3-2010 il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, ha condannato S.G. alla pena di mesi otto di reclusione con sospensione condizionale subordinata al pagamento della somma liquidata a titolo di provvisionale , oltre al risarcimento danni in favore delle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese da loro sostenute, liquidate come da dispositivo, per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, previsti dagli artt. 110, 388, comma primo, c.p., per avere, al fine di sottrarsi all'adempimento dell'obbligo civile di assegnazione della casa familiare, di proprietà esclusiva di esso S. , a V.F. , genitore affidatario della figlia minore, stipulato un contratto preliminare simulato, con il quale si impegnava a cedere alla propria madre, R.M.A. , l'usufrutto di detto immobile in cambio di altro usufrutto di altro appartamento ubicato in di proprietà della R. , contratto che poi era stato fraudolentemente fatto valere in giudizio [capo A ], nonché dagli artt. 56, 81, 388, comma secondo, 570, comma secondo n. 2, c.p., per avere compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad eludere il provvedimento giudiziario di accoglimento della domanda di V.F. di assegnazione della casa familiare, privando la figlia minore dei mezzi di sussistenza ed in particolare del diritto di abitare in tale abitazione, facendo valere in giudizio il detto preliminare e dichiarando di volere adempiere a quello definitivo in sede di esecuzione dello sfratto intimato alla V. , esecuzione bloccata solo a seguito di sequestro preventivo dell'immobile disposto infine dal GIP di Firenze. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Firenze, in data 27-1-12, ha ritenuto assorbite entrambe le imputazioni di cui sopra nell'unico reato di cui agli artt. 56, 110 e 570, comma primo, c.p., così riqualificando la condotta ascritta al S. , rideterminando la pena a lui inflitta in mesi quattro di reclusione, confermando nel resto e condannando l'imputato alla rifusione delle spese di parte civile, liquidate come da dispositivo. 2.-. Avverso la predetta sentenza del 27-1-12 ha proposto ricorso per cassazione S.G. , tramite il suo difensore, chiedendone l'annullamento. Con un unico ed articolato motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti in termini di tentativo del reato di cui all'art. 570, comma primo, c.p Secondo il ricorrente, la fattispecie di cui alla citata disposizione incriminatrice, sostanziandosi in un reato omissivo proprio, non consentirebbe il tentativo, non essendovi la possibilità che si verifichi una condotta incompleta rispetto a quella tipica. Il reato de quo si configurerebbe, infatti, soltanto quando la condotta del soggetto tenuto all'adempimento determini la sottrazione dello stesso ai propri obblighi di assistenza familiare. Nel caso in esame l'abitazione in questione era sempre rimasta in possesso e nella disponibilità delle parti lese, sicché mai era venuto meno il contributo al mantenimento della figlia da parte del padre. Infine, anche a volere ritenere configurabile l'ipotesi di delitto tentato per il reato di cui all'art. 570, comma primo, c.p., ad avviso del ricorrente nel caso concreto non sarebbe ravvisabile alcun tentativo. Infatti il S. si sarebbe limitato ad eseguire uno sfratto nei confronti della ex-compagna V.F. e, una volta rientrato in possesso dell'immobile, ben avrebbe potuto continuare ad adempiere al proprio obbligo di contribuzione nei confronti della figlia, consentendogli di continuare a vivere in detta abitazione. In realtà con l'azione di sfratto egli intendeva soltanto rientrare in possesso dell'immobile solo una successiva determinazione e/o azione di esso S. , diretta a far mancare il proprio contributo al mantenimento della figlia,avrebbe potuto integrare il reato di cui all'art. 570 c.p. ma ciò non era nel caso in esame avvenuto. 3.-. Il ricorso, con le precisazioni che seguono, è infondato. I Giudici di primo grado hanno ripercorso le vicende del rapporto tra il S. e la V. sino al momento in cui questo si era interrotto e la donna era rimasta a vivere, con la figlia nata dall'unione a lei affidata, nell'appartamento di omissis , intestato al S. . Sono state ricostruite altresì le iniziative giudiziarie intraprese ex art. 700 c.p.c. dalla V. al fine di ottenere la pronuncia di una sentenza che imponesse al S. un contributo per il mantenimento della figlia e soprattutto la assegnazione della casa ove la stessa aveva sempre vissuto. La pronuncia che, in accoglimento della richiesta, aveva provvisoriamente assegnato la casa alla V. aveva avuto l'effetto di impedire l'esecuzione di una sentenza ex art. 2932 c.c. effetto della simulata cessione da parte del S. dell'usufrutto sulla casa alla madre che, qualificando la V. e la minore come occupanti senza titolo, aveva ordinato alla prima l'immediato rilascio dell'immobile in favore del S L'evoluzione dei contenziosi incardinati dalle parti aveva visto divenire definitivo l'accoglimento della domanda della V. di assegnazione della casa, ma nel frattempo anche la causa di sfratto, attivata dal S. nei confronti della V. , era andata avanti. Lo sfratto era stato infine neutralizzato dal sequestro preventivo dell'abitazione emesso dal GIP di Firenze. L'avere coltivato la richiesta di esecuzione dello sfratto, pur dopo la pronuncia di primo grado che aveva assegnato la casa, e l'avere costituito in testa alla madre il diritto di usufrutto sull'appartamento attraverso contratto simulato sono stati individuati dal Giudice di primo grado come le condotte, attraverso le quali si era concretizzata la pervicace volontà di negare alla figlia, e con lei alla V. , il diritto di rimanere nella abitazione. Nella redazione dell'atto simulato e nell'averlo azionato giudizialmente è stata individuata la condotta che integra la violazione del primo comma dell'art. 388 c.p. di cui al capo A , dovendosi ritenere la condizione di punibilità prevista dalla norma l'inottemperanza alla ingiunzione di eseguire la sentenza adempiuta con la condotta posta in essere sia dopo la sentenza di primo grado, sia dopo il passaggio in giudicato di quella di secondo grado di assegnazione della casa alla figlia, non avendo riconosciuto il diritto della stessa ed avendo continuato ad intimarle lo sfratto, in tal modo cercando di vanificare il provvedimento del Giudice, non riuscendovi soltanto in ragione dell'intervenuto sequestro. Quanto al capo B , secondo il Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Empoli, il S. , con la predetta simulazione, con le molteplici azioni giudiziarie e con le persistenti richieste di esecuzione della sentenza ex art. 2932, aveva tentato di eludere l'esecuzione del provvedimento del Giudice Civile di assegnazione della casa alla figlia e di privare così quest'ultima dei mezzi di sostentamento, per la massima parte assicurati proprio dalla assegnazione della predetta abitazione. La mancata messa a disposizione dell'appartamento equivaleva a far mancare alla figlia i mezzi di sussistenza, non essendo il ricorrente riuscito nell'intento solo in ragione del fatto che la V. aveva resistito in via giudiziale e in ragione dell'intervenuto sequestro preventivo. Detti comportamenti integravano anche il reato di cui al comma secondo dell'art. 388 c.p. nella sua forma tentata, in quanto palesemente diretti ad eludere il provvedimento ex art. 700 c.p.c. di assegnazione provvisoria dell'abitazione alla minore. 4.-. Come si è visto, la Corte di Appello di Firenze ha ritenuto assorbite entrambe le imputazioni di cui sopra nell'unico reato di cui agli artt. 56, 110 e 570, comma primo, c.p., così riqualificando le condotte ascritte al S. . La Corte Distrettuale ha premesso che alcuni elementi dovevano ritenersi, in base alle risultanze processuali, incontrovertibilmente accertati, e cioè la avvenuta assegnazione della casa familiare a titolo di contributo al mantenimento della figlia minore e la natura simulata del contratto preliminare recante la data del 7-10-2002, con il quale S. si era impegnato a cedere alla madre il diritto di usufrutto anche dell'appartamento di OMISSIS abitato dalla figlia e dalla ex convivente V. in cambio della cessione, da parte della genitrice, dell'usufrutto su un appartamento di Palermo. Altrettanto certa doveva ritenersi la finalità di tale contratto simulato impedire che l'appartamento potesse essere assegnato alla figlia , come confermato dalla causa civile esperita dalla madre del S. contro la V. al fine di ottenere, quale usufruttuaria, il rilascio immediato dell'appartamento. Fatte queste premesse, la Corte di Appello ha ritenuto non inquadrarle la condotta di cui sopra nella fattispecie di cui all'art. 388, comma primo, c.p., contestata sub A , per difetto della condizione obiettiva di punibilità ivi prevista, e cioè l'esistenza di una ingiunzione ad adempiere, essendo pacifico che la V. e la figlia erano continuativamente rimaste nel possesso dell'immobile e non si erano quindi mai trovate nella condizione di dover ingiungere all'imputato l'esecuzione del provvedimento giudiziario che affidava loro la predetta abitazione. Secondo la Corte di merito, anche i comportamenti contestati al S. al capo B in riferimento alla violazione del comma secondo dell'art. 388 c.p. non potevano essere inquadrabili in detta previsione normativa, che attiene esclusivamente ai rapporti personali e non economici o patrimoniali, come invece sarebbe quello la cui elusione si contesta nel caso in esame assegnazione della abitazione come forma di contribuzione del padre al mantenimento della figlia . Risultava, invece, integrata la violazione dell'art. 570, comma primo, c.p. nella forma tentata e a tale fattispecie andava ricondotta anche la condotta contestata sub A . Infatti, il S. , dapprima intimando alla V. di restituirgli l'immobile e poi agendo in via giudiziaria per sfrattarla, aveva posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a sottrarsi agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà di genitore, tra questi rientrando quelli inerenti il mantenimento dei figli. Tutte le condotte poste in essere dall'imputato al fine di rientrare in possesso dell'appartamento la simulata cessione dell'usufrutto alla propria madre al fine di evitare la assegnazione del bene alla V. quale affidataria della figlia M. la messa in esecuzione della sentenza di rilascio immediato dell'immobile sino alla fissazione dello sfratto realizzavano comportamenti inequivocabilmente diretti a sottrarsi all'obbligo di contribuzione al mantenimento della figlia, che aveva proprio nella assegnazione della casa alla madre affidataria il suo più pregnante contenuto. Solo l'adozione del provvedimento di sequestro preventivo aveva impedito la consumazione del reato, che si configurava d'altra parte come omissivo improprio, consentendo il tentativo. 5.-. In primo luogo deve sottolinearsi che il comma secondo dell'art. 388 c.p. punisce con la stessa pena prevista dal comma precedente chi elude l'esecuzione di un provvedimento del giudice civile, che concerna l'affidamento dei minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito. Come correttamente rilevato dal Giudice di primo grado, la stipula del contratto simulato e falso nella data ad opera dello Sc. e la pluralità di azioni di sfratto intentate erano palesemente dirette ad eludere il provvedimento ex art. 700 c.p.c. emesso dal Tribunale di Firenze di assegnazione provvisoria della casa alla figlia M. , provvedimento che prescriveva una misura cautelare a tutela di un diritto di credito della minore, appunto il diritto di ricevere il mantenimento da parte del padre anche se non affidatario , mantenimento che aveva proprio nella assegnazione della casa alla madre affidataria il suo più pregnante contenuto. Ne deriva la totale inconferenza dell'argomento speso dalla Corte di Appello per escludere nel caso di specie la violazione del comma secondo dell'art. 388 c.p. Tale norma infatti non riguarda soltanto la elusione di un provvedimento del giudice civile che concerna l'affidamento dei minori in ciò attenendo esclusivamente ai rapporti personali e non economici o patrimoniali , ma si occupa anche della elusione di provvedimenti giudiziali civili cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito ed è proprio questa, come si è visto, la fattispecie che si è realizzata nella vicenda in esame. Si tratta di reato tentato e non consumato per cause diverse dalla volontà dell'imputato, in quanto la materiale possibilità della figlia minore di vivere nella casa di fatto non è mai venuta meno ciò non toglie che le azioni poste in essere dal S. erano idonee a produrre un simile evento, che non si è verificato solo per la reazione opposta dalla V. , madre della creditrice tutelata dal provvedimento cautelare. Altrettanto errate sono le conclusioni alle quali é pervenuta la Corte di Appello in riferimento alla contestazione di cui all'art. 388, comma primo, c.p. di cui al capo A . Secondo la Corte di merito, nel caso in esame detto reato non potrebbe sussistere, essendo la V. e la figlia continuativamente rimaste nel possesso dell'immobile e non essendosi esse quindi mai trovate nella condizione di dover ingiungere all'imputato l'esecuzione del provvedimento giudiziario che affidava loro la predetta abitazione. La mancanza della condizione obiettiva di punibilità costituita dalla ingiunzione ad adempiere non ottemperata non renderebbe configurabile il reato de quo. In realtà nella sentenza impugnata non si è tenuto conto delle peculiarità della vicenda in esame. La ingiunzione ad adempiere può essere costituita anche da una informale messa in mora e si sostanzia in una richiesta di adempimento anche informale, purché inequivoca e dimostrata e non semplicemente supposta. Nel caso in questione vi era stato un provvedimento del giudice di assegnazione della casa alla figlia e nonostante ciò il S. non aveva riconosciuto il diritto della stessa e aveva continuato ad intimarle lo sfratto, cercando quindi di vanificare il provvedimento del giudice e non riuscendovi solo per l'intervento della autorità giudiziaria penale che aveva disposto alla fine il sequestro preventivo del bene. Ne deriva che la ingiunzione ad adempiere era per così dire insita nelle condotte tenute dalla V. e dalla figlia e che la inottemperanza del S. è risultata dimostrata dai predetti comportamenti da lui posti in essere. Quindi, contrariamente a quanto affermato dalla Corte Distrettuale, le condotte poste in essere dal S. la redazione del contratto simulato con la finalità di impedire la assegnazione dell'appartamento alla figlia minore, facendo vantare su di esso da soggetto diverso un diritto più ampio e apparentemente preesistente la causa civile intrapresa dalla R. contro la V. e la nipote per allontanarle dalla casa hanno realizzato pienamente il reato di cui all'art. 388, comma primo, c.p., avendo l'imputato compiuto sui propri beni atti simulati per sottrarsi agli obblighi civili di mantenimento della figlia minore, obblighi dei quali era in corso l'accertamento dinnanzi alla autorità giudiziaria, cercando di impedire con essi la assegnazione alla medesima della casa familiare. 6.-. Restano da esaminare le più specifiche censure contenute nel ricorso che attengono, come si è visto, alla qualificazione dei fatti, operata dalla Corte di Appello, in termini di tentativo del reato di cui all'art. 570, comma primo, c.p Si sostiene in primo luogo, da parte del ricorrente, che la fattispecie di cui alla citata disposizione incriminatrice, sostanziandosi in un reato omissivo proprio, non consentirebbe il tentativo. In secondo luogo si deduce che, anche a volere aderire alla tesi contraria, nel caso concreto non sarebbe ravvisabile alcun tentativo, in quanto il S. si sarebbe limitato ad eseguire uno sfratto nei confronti della ex-compagna V.F. e, una volta rientrato in possesso dell'immobile, ben avrebbe potuto continuare ad adempiere al proprio obbligo di contribuzione nei confronti della figlia, consentendogli di continuare a vivere in detta abitazione. In proposito non può non rilevarsi che, una volta inquadrati i fatti di cui al capo A nelle previsioni di cui all'art. 388, comma primo, c.p. v. punto che precede , le censure proposte in ricorso, almeno in riferimento a detti fatti, appaiono del tutto superate. Quanto ai fatti di cui al capo B , essi, oltre a rientrare nelle previsioni di cui all'art. 388, comma secondo, c.p., danno luogo anche alla violazione dell'art. 570, comma secondo, c.p Infatti questa Corte ha già chiarito che la condotta di sottrazione agli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale nei confronti dei figli minori e quella di omessa prestazione dei mezzi di sussistenza, previste, rispettivamente, nel primo e secondo comma dell'art. 570 cod. pen., non sono in rapporto di continenza o di progressione criminosa, ma hanno ad oggetto fatti del tutto eterogenei nella loro storicità e considerazione sociale. Sez. 6, Sentenza n. 3881 del 20/10/2011, Rv. 251559, D'A. Sez. 6, Sentenza n. 12307 del 13/03/2012, Rv. 252604, B. . Nel caso di specie il S. , cercando pervicacemente di costringere la figlia a lasciare l'appartamento e poi agendo giudizialmente per sfrattarla senza riuscire nell'intento solo per la resistenza opposta dalla V. e da ultimo per il sequestro preventivo dell'immobile disposto dal GIP di Firenze, ha senz'altro compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a negare alla figlia la forma di mantenimento che si concretava nella fruizione dell'appartamento, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà. Il S. ha così realizzato anche un tentativo di reato di cui all'art. 570, comma secondo, c.p., tentando di sottrarsi all'obbligo di contribuire al mantenimento della figlia minore e di farle quindi mancare i mezzi di sussistenza. Ricorrendo, come si è visto, l'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 570 c.p. e trovandoci in presenza di un reato commissivo far mancare i mezzi di sussistenza , restano, anche in questo caso, superate le sopra menzionate censure del ricorrente, incentrate sulla natura omissiva propria della fattispecie di cui al primo comma della medesima disposizione, che non consentirebbe la forma tentata. Gli ulteriori motivi di ricorso risultano basati su doglianze non consentite in sede di giudizio di legittimità. Tali censure attengono invero alla valutazione della prova, che rientra nella facoltà esclusiva del giudice di merito e non può essere posta in questione in sede di giudizio di legittimità quando fondata su motivazione congrua e non manifestamente illogica. Nel caso di specie, i giudici di appello hanno preso in esame tutte le deduzioni difensive e sono pervenuti alla decisione impugnata attraverso un esame completo ed approfondito delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. 7.-. Per le considerazioni sopra svolte, una volta riqualificato il fatto di cui al capo A ex art. 388, comma primo, c.p. e quello di cui al capo B ex artt. 56, 388, comma secondo, e 570, comma secondo, c.p., si impone il rigetto del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione della spese del grado in favore delle costituite parti civili, liquidate come da dispositivo. P.Q.M. Qualificato il fatto di cui al capo A ex art. 388, comma primo, c.p. e quello di cui al capo B ex artt. 56, 388, comma secondo, e 570, comma secondo, c.p., rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione della spese del grado in favore delle parti civili costituite, che liquida nella misura di Euro duemilacinquecento per ciascuna, oltre iva e cpa.