Bond argentini e Cirio: il delitto di truffa si consuma al momento del default e non della stipula del contratto

Il delitto di truffa che abbia ad oggetto la vendita dl titoli obbligazionari si consuma non nel momento in cui il soggetto passivo, per effetto degli artifici o raggiri, assume l’obbligazione della dazione di un bene economico, ma nel momento in cui lo stesso soggetto perde definitivamente il bene acquistato, ossia nel momento in cui è dichiarato il default dei soggetto emittente.

Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49446 del 9 dicembre 2013, occupandosi di un caso di truffa aggravata con riferimento alla vendita di titoli obbligazionari, in particolare Bond argentini e Cirio. La vicenda . La fattispecie al centro della controversia in esame riguarda un soggetto imputato di truffa aggravata per avere indotto nella sua qualità di promotore finanziario di una s.p.a. due coniugi ad investire i propri risparmi in bond Argentini e Cirio giusto pochi mesi prima che l’Argentina e la società Cirio divenissero insolventi. Il giudice di prime cure assolveva il promoter perché il fatto non costituisce reato. Nel successivo grado di appello il giudice del gravame dichiarava inammissibili gli appelli proposti dalle parti civili per mancanza di interesse. La questione della prescrizione . In particolare la Corte di Appello, dopo aver rilevato che il reato si era consumato nel momento in cui si era realizzato il danno delle persone offese, sosteneva che fosse maturata la prescrizione prima dell’emissione del decreto di citazione a giudizio davanti al giudice di primo grado e, pertanto, le parti civili non potevano più far valere i loro diritti nel procedimento penale. Di conseguenza, secondo il giudice di seconde cure, nella fattispecie dei bond argentini il momento consumativo del reato doveva individuarsi nella data dell’insolvenza ossia il dicembre 2001 , mentre per quanto riguarda i titoli Cirio il reato si era consumato nel novembre 2002, pertanto l’azione penale avrebbe dovuto essere iniziata entro sei anni dalle suddette date. I coniugi ricorrono quindi nei confronti della Corte di Cassazione, lamentando, in particolare la violazione degli artt. 160 e 640 c.p. in quanto, secondo loro, la Corte di appello non ha rilevato che il PM aveva notificato l’invito per la presentazione di persona sottoposta ad indagini nel marzo 2007, interrompendo, quindi, la prescrizione. Inoltre, i ricorrenti lamentavano che il giudice del gravame aveva individuato il momento consumativo nel momento della dichiarazione di insolvenza e non nel momento in cui si era realizzato l’effettivo conseguimento del bene da parte dell’agente e la definitiva perdita dello stesso da parte del soggetto raggirato nella fattispecie la scadenza dei contratti . Il momento consumativo della truffa contrattuale. La Suprema Corte ribadisce, innanzitutto, il principio di diritto secondo cui il delitto di truffa contrattuale a consumazione prolungata si realizza alla scadenza di ogni contratto sottoscritto e, quindi, ogni volta in cui si determinano la perdita economica ed il profitto ingiusto, mentre la condotta dell’agente perdura fino alla scadenza di ogni singolo contratto si veda su tale principio, ex multis , Cass. n. 43347/2009 . Infatti, essendo il reato a consumazione prolungata, il reato si consuma non quando il soggetto passivo assume l’obbligazione di dare un bene economico per effetto di raggiri o artifizi, bensì nel momento in cui il soggetto raggirato subisce la definitiva perdita del bene acquistato o del suo valore. Tuttavia, la Cassazione osserva come nella fattispecie al centro della controversia in esame non si possa applicare il suddetto principio di diritto. Infatti, occorre sottolineare come la vendita di obbligazioni emesse da Stati sovrani sia da società di capitali abbia ad oggetto strumenti finanziari totalmente diversi dai derivati come gli swaps che invece sono un contratto atipico, a termine, consensuale, oneroso e aleatorio. Il reato si è consumato con la dichiarazione di default. Nel caso in specie, trattandosi di bond e non di swaps , occorre applicare l’orientamento secondo cui il delitto di truffa nella forma contrattuale, si consuma non al momento in cui il soggetto passivo, per effetto di artifici o raggiri, assume l’obbligazione della dazione di un bene economico, bensì al momento in cui si realizza il conseguimento del bene da parte dell’agente con la conseguente perdita dello stesso da parte della persona offesa si veda in proposito, Cass. n. 31044/2008 . Più in particolare, nell’ipotesi in cui il pagamento del bene deve avvenire, per esplicita pattuizione contrattuale, in più ratei, il reato si consuma con l’ultimo atto di erogazione. Di conseguenza, è la dichiarazione di default il momento in cui i coniugi ricorrenti persero il valore dei beni acquistati, in quanto i bond non sarebbero stati più rimborsati. Quello è, quindi, il momento in cui il debitore, ossia l’emittente il bond, dichiara di non essere più in grado di assolvere alle proprie obbligazioni. In quel momento il danno è certo sia per le obbligazioni già scadute che per quelle che devono ancora scadere anche se rimane incerto il quantum che è, ovviamente, quantificato unicamente in un momento successivo, e cioè quando si accerta se e in che misura il debito derivante dalle obbligazioni non pagate può essere pagato. Da chi deve essere dichiarata la prescrizione? Una volta precisato il momento a partire dal quale decorre la prescrizione, la Suprema Corte si confronta, quindi, con il problema se la prescrizione debba essere dichiarata direttamente dalla Cassazione stessa, con conseguente rinvio al giudice civile, ovvero se la sentenza debba essere annullata con rinvio per un nuovo giudizio sul profilo. In proposito, risulta gli Ermellini richiamano una consolidata giurisprudenza che ha trovato conferma in una pronuncia delle Sezioni Unite in merito ai i princìpi ai quali deve ispirarsi qualsiasi operazione ermeneutica concernente i rapporti tra la causa estintiva e la sentenza di proscioglimento. Infatti, è oramai pacifico che all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità si veda, in merito, Cass. SS.UU. n. 35490/2009 . Tuttavia, nella stessa sentenza si precisa come il suddetto principio trovi due limitazioni. In primo luogo, nell’ipotesi in cui, ai sensi dell’art. 578 c.p.p., il giudice di appello - intervenuta una causa estintiva del reato - è chiamato a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva, pur nel caso di accertata contraddittorietà o insufficienza della prova. Inoltre, qualora ad una sentenza di assoluzione in primo grado ai sensi dell’articolo 530 comma 2 c.p.p., appellata dal P.M., sopravvenga una causa estintiva del reato ed il giudice di appello ritenga infondato nel merito l’appello del P.M., deve essere confermata la sentenza di assoluzione. Se la prova non è evidente prevale il proscioglimento nel merito. Di conseguenza, nell’ipotesi in cui la prova non sia evidente in quanto si è rivelata contraddittoria o insufficiente, il proscioglimento nel merito prevale sulla causa estintiva. Infatti, l’approfondimento della valutazione delle emergenze processuali - reso necessario dall’impugnazione proposta dal P.M., risultata inidonea a mutare le connotazioni di ambivalenza riconosciute dal primo giudice alle prove raccolte - impone la conferma della pronuncia assolutoria in applicazione della regola probatoria, ispirata al favor rei , di cui al secondo comma dell’art. 530 del codice di rito. Di conseguenza, l’eventuale prescrizione non può essere dichiarata dalla Suprema Corte, in quanto un aggravamento della posizione processuale dell’imputato, sia pure ai soli effetti civili, con il passaggio da una sentenza di proscioglimento nel merito ad una prescrizione, coinvolge un giudizio di merito che esigendo il contraddittorio pieno tra le parti, non compete alla Cassazione. Coerentemente, la Suprema Corte afferma che la parte civile non è legittimata a proporre appello, neppure in via incidentale, avverso la sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione, almeno quando quest’ultima sia maturata prima della pronuncia della sentenza di primo grado. Poiché nella fattispecie in esame la Corte di appello aveva errato nel ritenere che la prescrizione fosse maturata per entrambi i reati prima della pronuncia della sentenza di primo grado, ha omesso di decidere sull’appello proposto dalle parti civili, pertanto non deve essere disposto l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore. Di conseguenza, la Suprema Corte afferma che nell’ipotesi in cui la Corte di appello erroneamente ritenga che la prescrizione era maturata prima della sentenza di proscioglimento ai sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen. pronunciata nel giudizio di primo grado, e, conseguentemente, ometta di decidere sull’impugnazione proposta dalla parte civile avverso la sentenza di proscioglimento, la sentenza della Corte, ove impugnata dalla parte civile sotto il solo profilo della violazione di legge per erronea applicazione della normativa sulla prescrizione, va annullata con rinvio davanti allo stesso giudice penale che ha emesso il provvedimento impugnato e non al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art. 622 c.p.p

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 novembre – 9 dicembre 2013, n. 49446 Presidente Esposito – Relatore Rago