Ex dipendente costituisce una nuova società: se l’obiettivo è sottrarre beni all’azienda in difficoltà, è responsabile

Il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi o di confusione contabile dell’imprenditore, fornisca consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre beni ai creditori o lo assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero ancora svolga attività dirette a garantirgli l’impunità o a rafforzarne l’intento criminoso, concorre in qualità di extraneus nei reati di bancarotta patrimoniale o documentale commessi dall’imprenditore fallito.

Questo uno dei principio di diritto affermati dalla Sezione V nella sentenza in commento con la medesima pronuncia la Corte ha, altresì, statuito Il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito con conseguente danno dei creditori – in cui si sostanzia l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta – può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui il distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela . Crisi d’impresa riforme normative Di fronte al sopraggiungere ed aggravarsi della contingenza economica e all’esponenziale aumento di imprese in crisi, con la conseguente instaurazione di procedure fallimentari, il legislatore ha reagito con un radicale processo di modernizzazione e liberalizzazione delle procedure concorsuali ad opera della l. n. 80/2005, che ha creato nuovi strumenti di soluzione della crisi d’impresa, in funzione sia preventiva che sostitutiva del fallimento, spesso accomunati, da un lato, dall’attribuzione di un significativo potere negoziale al debitore nei rapporti con i creditori e, dall’altro lato, da una riduzione dell’attività di controllo da parte del giudice delegato. Anche le successive modifiche intervenute tra il 2005 e il 2010 hanno valorizzato l’accordo privatistico e la rilevanza dei mezzi contrattuali di composizione della crisi. Si è comunemente osservato che il baricentro della disciplina fallimentare è stato traslato dalla finalità di liquidare il patrimonio della impresa insolvente a quella di rinvenire soluzioni alternative istituzionali che consentano la prosecuzione della attività aziendale e, dunque, un risanamento della situazione di insolvenza, con il minor pregiudizio possibile per i creditori. Ciò nonostante, sempre più di sovente, l’imprenditore in crisi, spesso avvalendosi di professionisti o consulenti esterni e operando al di fuori delle procedure istituzionalizzate dal legislatore, cerca di affrontare l’approssimarsi della situazione di insolvenza preservando gli assets migliori e più importanti o redditizi dell’impresa, portandoli all’esterno della società insolvente e, non di rado, costituendo a fianco della vecchia società che ormai ha assunto nella prassi il nome di bad company una nuova struttura societaria denominata new company o in breve new. co. , che spesso svolge attività identica o del tutto similare alla bad company e che raccoglie l’azienda o il ramo di azienda ancora sano, ovvero i beni della stessa di maggiore valore. È evidente come tali manovre, pur se poste in essere con negozi giuridici assolutamente leciti, possano di fatto integrare condotte distrattive in danno dei creditori, ovvero preferenziali in violazione della par condicio creditorum , con conseguente astratta applicabilità a tali fattispecie delle norme penali che reprimono la bancarotta fraudolenta patrimoniale ovvero la bancarotta preferenziale. e responsabilità penali. Si pone allora il problema, non sempre di agevole soluzione in assenza di riforme normative alla disciplina penale del fallimento – non toccata nel vivo dalle novelle se si eccettua l’introduzione degli artt. 217- bis e 236- bis, comunque inerenti alle sole procedure istituzionali di soluzione della crisi di impresa – di tracciare i confini per chiarire fino a dove possa e debba spingersi la tutela penale apprestata dalla norme dettate in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e di bancarotta preferenziale, a fronte di condotte poste in essere attraverso negozi giuridici formalmente leciti. Laddove, poi, si individui l’operatività di dette fattispecie penali si pone l’ulteriore quesito di verificare se, a quali condizioni ed invocando quale istituto giuridico possa ipotizzarsi l’imputazione anche del professionista esterno della società, che abbia operato come consulente dell’imprenditore nella realizzazione di tali condotte. Tutte le problematiche menzionate, di grandissima attualità, sono oggetto della pronuncia che si annota, che invero si caratterizza, più che per l’affermazione di principi innovativi, per compiere una sorta di rassegna dei punti di approdo della giurisprudenza di legittimità sulle varie questioni, dei quali viene esplicitamente riaffermata ed in parte ampliata la valenza ed operatività. Affitto lecito o bancarotta per distrazione? Una volta affermato il generale principio secondo cui il distacco del bene dal patrimonio dell’imprenditore poi fallito – in cui si sostanzia l’elemento oggettivo del delitto di bancarotta – con conseguente danno dei creditori, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell’atto negoziale con cui il distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l’esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela, la pronuncia che si annota si pone il problema di identificare, in concreto, quando tale fattispecie possa ritenersi integrata. Richiamando propri precedenti arresti, gli Ermellini non hanno esitazioni nel riconoscere penale rilevanza, quale condotta idonea ad integrare la fattispecie distrattiva di cui all’art. 216 l.f., sia all’affitto di beni aziendali per un prezzo non congruo, ancor più se stipulato al fine di mantenere la materiale disponibilità dell’immobile locato alla famiglia del titolare della società fallita o di altro soggetto giuridico al medesimo contiguo, sia al contratto di affitto di azienda privo di una effettiva e proporzionata contropartita per avvantaggiare i soci in danno dei creditori. Uguale penale rilevanza viene riconosciuta al contratto di locazione di beni aziendali perfezionatosi immediatamente prima del fallimento, che non contenga la clausola risolutiva espressa da fare valer nel caso di instaurazione della procedura fallimentare. Laddove, chiarisce la Corte, pur con atti formalmente leciti, si pongano in essere condotte, che per le modalità ed i tempi in cui vengono poste in essere compromettono l’integrità del patrimonio in danno dei creditori, con conseguente danno per i medesimi, non vi è ragione per escludere l’operatività delle norme penali che reprimono le condotte di bancarotta. A nulla rileva, al fine di escludere la sussistenza del reato, che la condotta non abbia in concreto arrecato un danno ai creditori – essendo sufficiente, per integrare il delitto de quo , la mera messa in pericolo del bene tutelato – né, per altro verso, che i beni oggetto delle condotte in concreto distrattive non fossero di proprietà della società poi fallita, essendo sufficiente che detti beni fossero oggetto di un diritto economicamente rilevante che avrebbe dovuto, con il fallimento, essere trasmesso in capo al curatore fallimentare. Così il reato sarà comunque integrato – prosegue la pronuncia – sia allorchè la curatela abbia comunque recuperato la disponibilità dei beni, ma all’esito di azioni giudiziarie intraprese dalla medesima, sia nel caso in cui il contratto di affitto dei beni, ad esempio, fosse stato solo stipulato, ma poi in concreto non avesse avuto esecuzione. Importanti gli ulteriori indici di sospetto che vengono identificati la sostanziale riconducibilità della new company al fallito essendo stati da costui scelti i soci , il mancato accollo dei debiti da parte della società affittuaria, la durata del contratto in uno con la mancanza di una clausola di gradimento per la curatela ed, infine, la perdita – in conseguenza del contratto di affitto – per la società fallita della possibilità di svolgere qualunque attività redditizia e, dunque, di consegnare al curatore un’azienda dotata di una pur minima e residuale vitalità. Sul punto è appena il caso di accennare che, se appare decisamente condivisibile qualificare le suddette condotte quali rientranti nel concetto di distrazione” penalmente rilevante in quanto importano la destinazione dei beni ad uno scopo diverso rispetto a quello doveroso, maggiori perplessità suscita l’estensione della fattispecie a condotte meramente prodromiche alla realizzazione di un danno per i creditori, con la conseguente anticipazione della soglia di tutela penale, seppur tale impostazione si fonda sulla ben nota qualificazione della fattispecie come reato di pericolo e non di danno. ed il concorso del consulente. Altra questione, di assoluta attualità, affrontata dalla decisione in esame è l’ipotizzabilità del concorso del consulente nel delitto di bancarotta. Nel caso oggetto della pronuncia in commento il consulente contabile viene tratto a giudizio, con imputazioni di bancarotta fraudolenta per distrazione e preferenziale, quale amministratore di fatto della società e, all’esito del giudizio, condannato sì per tali fattispecie, ma quale extraneus concorrente nel reato proprio dell’amministratore. Sotto il profilo processuale, la Corte ha rigettato la doglianza dell’imputato che lamentava, in virtù di tale mutamento dell’istituto giuridico che aveva condotto alla affermazione della penale responsabilità del medesimo, il difetto di correlazione tra imputazione e sentenza, con conseguente violazione degli artt. 512 e 522 c.p.p. Con diffusa argomentazione, alla cui lettura deve necessariamente rinviarsi, la Corte adotta una interpretazione che prescinde dal formalismo, evidenziando che, laddove nessuna lesione al diritto di difesa vi sia stata, come nel caso de quo , per essere la fattispecie giuridica originariamente contestata più ampia e coinvolgente di quella accertata e ritenuta in sentenza di compartecipazione ai fatti di reato dell’amministratore di diritto , nessuna violazione di legge processuale i.e. artt. 521, 522 c.p.p. può ravvisarsi. Sotto il profilo della configurabilità del concorso, la Corte, con argomentazione assolutamente condivisibile, conclude rilevando come il consulente che abbia consapevolmente proposto, coltivato e insistito affinchè venissero posti in essere atti concretamente depauperatori del patrimonio sociale in danno dei creditori, non possa andare esente da penale responsabilità, anche allorchè sia stato l’imprenditore a richiedere in proprio il fallimento della società.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 ottobre – 9 dicembre 2013, n. 49472 Presidente Marasca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Milano, con sentenza del 6-10-2011, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale di Lodi, ha condannato A.M. a pena di giustizia per avere, in concorso con P.R. , amministratore e legale rappresentante della Prefabbricati Peruzzi srl, dichiarata fallita il 12-11-1996, eseguito pagamenti preferenziali per L. 39.137.150 a favore di P.R. e per L. 115.335.000 a favore di sé stessa, nonché altri tre pagamenti preferenziali per complessive L. 155.725.83 capo d . Inoltre, per avere, in concorso con P.R. e con M.L. , amministratore della Costruzioni Prefabbricati srl, distratto beni della fallita Prebbricati Peruzzi srl, dandoli in affitto alla Costruzione prefabbricati srl nell'imminenza della dichiarazione di fallimento capo e . La responsabilità dell'A. è stata ricollegata alla sua posizione di ragioniera e fiduciaria dell'amministratore di diritto, a cui fu molto vicina nella fase terminale della società, contribuendo in tal modo all'assunzione delle decisioni che portarono ai pagamenti preferenziali di cui al capo d e alla stipula, in data 1/10/1996, del contratto di locazione di cui al capo e - avente ad oggetto beni mobili ed immobili - con cui la società si spogliò di buona parte delle sue attività. Quanto al M. , già dipendente della società fallita, nell'aver contribuito alla costituzione della Costruzioni Prefabbricati srl, divenendone quotista di minoranza insieme ad altri dipendenti, nonché amministratore, e nell'avere, in tale qualità, stipulato il contratto di locazione di cui al capo e nonostante la consapevolezza del grave dissesto della Prefabbricati Peruzzi srl. 2. Ha proposto ricorso per Cassazione nell'interesse di entrambi gli imputati l'avv. Nerio Diodà, avvalendosi di cinque motivi per A.M. e di un motivo per M.L. . 2.1. Quanto ad A. , lamenta - la violazione degli artt. 521 e 522 del cod. proc. pen., per contrasto tra contestazione e sentenza. Deduce che l'A. era stata citata a giudizio quale amministratrice di fatto, mentre è stata condannata come concorrente nel reato proprio dell'amministratore, con immutazione dell'elemento materiale e di quello psicologico - il vizio di motivazione in relazione all'elemento soggettivo del reato di cui al capo d bancarotta preferenziale , non essendo ravvisabile l'intenzione di favorire taluno dei creditori nei pagamenti effettuati per far fronte a istanze di fallimento o per ricompensare l'attività dell'amministratore o del consulente - il vizio di motivazione in relazione al capo e bancarotta per distrazione . In maniera del tutto irragionevole, deduce, è stata ravvisata nel contratto di affitto d'azienda l'intenzione di P. di mantenere il controllo della società, posto che fu lo stesso P. a richiedere, poco tempo dopo, il fallimento dell'impresa. Inoltre, il contratto d'affitto non ebbe esecuzione, per cui dallo stesso non derivò alcun danno. Lamenta, infine, che non siano state spese parole a dimostrazione dell'elemento soggettivo - la violazione di legge per mancata assunzione di prove decisive, ex art. 606, comma 1, lett. d , cod. proc. penale. Deduce che il Tribunale fece limitato uso dei poteri conferitogli dall'art. 507 cod. proc. pen. ed accolse solo in parte le richieste difensive formulate all'esito dell'istruttoria dibattimentale tra cui quella di sentire il liquidatore della Prefabbricati Peruzzi spa e di acquisire documentazione varia e che il giudice d'appello, sebbene sollecitato a rimediare, abbia errato nel ritenere le nuove prove non decisive - il vizio di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza invece che di prevalenza tra attenuanti e aggravanti, motivato col comportamento processuale dell'imputata, che si limitò ad esercitare il proprio diritto di difesa. 2.2. Quanto a M.L. , lamenta l'illogicità della motivazione resa in punto di responsabilità per il reato a lui ascritto al capo e . Deduce che, contro ogni logica, la Corte d'appello ha ravvisato nella costituzione della nuova società la Costruzioni Prefabbricati srl e nel contratto di locazione dell'1/10/1996 l'intenzione di P.R. di mantenere il controllo dei beni necessari allo svolgimento dell'attività da tempo esercitata in altro ambito societario, giacché tale ricostruzione contrasta con le emergenze processuali, dalle quali si evince che fu lo stesso P.R. a chiedere il fallimento della Prefabbricati Peruzzi srl. Lamenta, inoltre, che la Corte abbia riconosciuto il ruolo marginale svolto dal M. e ravvisato nella sua iniziativa lo scopo di mantenere il posto di lavoro e che, nonostante questo, abbia ritenuto sussistente l'elemento soggettivo della bancarotta. 2.3. In data 19/09/2013 l'avv. Diodà ha depositato, nell'interesse di A.M. , memoria con motivi nuovi , con cui ha nuovamente argomentato sui punti toccati dal ricorso. Ha sottolineato, in ordine al capo e terzo motivo di ricorso , il fatto che i beni oggetto del contratto di locazione non appartenevano alla società fallita, ed ha eccepito la prescrizione dei reati. Considerato in diritto Nessuno dei motivi di ricorso merita accoglimento, anche se, essendo nel frattempo maturata la prescrizione per il reato di cui al capo d , va disposto per A. il rinvio al giudice a quo per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Motivi di A.M. . 1. Il primo motivo è infondato, essendo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui si ha violazione del principio di corrispondenza tra accusa e decisione solo nel caso l'imputato risulti concretamente pregiudicato nel suo diritto di difesa. Per accertare se la modifica dell'addebito nella sentenza determini un vulnus di tale diritto non è sufficiente il mero confronto letterale fra l'imputazione e la decisione, ma bisogna accertare se sia mutato il fatto, vale a dire se risulti radicalmente trasformata la fattispecie concreta contestata, in maniera tale da risultare incerto l'oggetto della contestazione. Al contrario, deve escludersi la violazione del diritto de quo allorquando l'originaria contestazione, considerata nella sua interezza, contenga gli stessi elementi del fatto costitutivo del reato ritenuto in sentenza e si accerti che l'indagato si è trovato, in concreto, nella condizione di difendersi. Inoltre, ai fini della valutazione della corrispondenza tra pronuncia e contestazione di cui all'art. 521 c.p.p., deve tenersi conto non solo del fatto descritto in imputazione, ma anche di tutte le ulteriori risultanze probatorie portate a conoscenza dell'imputato e che hanno formato oggetto di sostanziale contestazione, sicché questi abbia avuto modo di esercitare le sue difese sul materiale probatorio posto a fondamento della decisione. Alla luce di tanto nessuna violazione di legge può dirsi consumata. Basti osservare, in proposito, che - come si legge nell'impugnato provvedimento - all'imputata era stato contesto di aver eseguito personalmente i pagamenti preferenziali di cui al capo d e di aver posto in essere personalmente, quale amministratore di fatto, le operazioni di cui al capo e , e che rispetto a tali contestazioni l'A. si è difesa nel corso di tutto il procedimento, negando un suo ruolo nelle operazioni sopra descritte e contestando la stessa qualificazione dei fatti. La sua difesa, pertanto, non ha subito alcun pregiudizio dall'accertata compartecipazione ai fatti di P.R. , amministratore di diritto, giacché la fattispecie originariamente contestata è più ampia e coinvolgente di quella ritenuta in sentenza, essendo quest'ultima della stessa natura giuridica ma più circoscritta in fatto, con conseguente delimitazione del thema probandum. Un quadro, quindi, che esclude sia l'ignoranza che l'ampliamento o il mutamento della sostanza accusatoria. 2. Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso, concernente l'elemento psicologico della bancarotta preferenziale, che è integrato dal dolo specifico di favorire taluno dei creditori in danno degli altri, ma non occorre che il danno alla massa sia voluto direttamente dall'agente, essendo sufficiente l'accettazione della sua eventualità Cass., 20/5/2009, n. 31168 N. 4431 del 4/3/1998. Conf. N. 7856 del 1987, Rv. 176284 N. 6681 del 1988, Rv. 178537 N. 7230 del 1991, Rv. 187698 . Pertanto, è vero che l'esecuzione, da parte dell'imprenditore, di pagamenti in un periodo di difficoltà dell'impresa non concreta sempre un'ipotesi di bancarotta preferenziale, potendo essere mosso dalla prospettiva di superare difficoltà contingenti in vista di un presumibile riequilibrio finanziario e patrimoniale prospettiva che esclude, sotto l'aspetto psicologico, l'intenzione di discriminare i creditori tuttavia, tale finalismo non è invocabile di fronte ad un dissesto grave e irreversibile, che lascia intravedere, in termini più che probabilistici, il dissolvimento dell'impresa. In questo caso non solo i pagamenti eseguiti a favore dell'amministratore e a coloro che lo coadiuvano sono da ricondurre - com'è costantemente affermato in giurisprudenza - all'ipotesi della bancarotta fraudolenta quantomeno di quella preferenziale , ma anche quelli eseguiti a favore dei creditori - e anche quelli fatti per ottenere desistenze dall'iniziativa di fallimento - devono ricevere analoga qualificazione, essendo logicamente accompagnati dalla consapevolezza, anche solo a livello di dolo eventuale, di alterare, in prospettiva, l'ordinato concorso dei creditori sul compendio fallimentare Cass., 24/2/1998, n. 4427 . Nella specie è stato correttamente rilevato che nessuno dei pagamenti specificati al capo d era giustificato dalle condizioni di totale decozione dell'impresa non quello a favore dell'amministratore, che non è mai ammesso a soddisfarsi con preferenza rispetto agli altri creditori da ultimo, Cassazione penale, sez. 5, 16/04/2010 n. 21570, che ha escluso l'esistenza del più grave reato di bancarotta patrimoniale, ma ha ribadito la ricorrenza di quella preferenziale non quello a favore dell'A. , che concorreva con i crediti aventi pari o miglior privilegio e doveva sottostare, quindi, alle regole della concorsualità non quello a favore dei fornitori, che erano addirittura chirografari e destinati a rimanere, con ogni probabilità, totalmente insoddisfatti nel riparto fallimentare. Le doglianze della ricorrente sono, quindi, del tutto infondate, anche se la sentenza va annullata sul punto perché il reato si è, nel frattempo, prescritto. 3. Nemmeno il terzo motivo - concernente la bancarotta per distrazione di cui al capo e - è fondato. Secondo il costante insegnamento di questa Corte, il distacco del bene dal patrimonio dell'imprenditore poi fallito con conseguente depauperamento in danno dei creditori , in cui si concreta l'elemento oggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, può realizzarsi in qualsiasi forma e con qualsiasi modalità, non avendo incidenza su di esso la natura dell'atto negoziale con cui tale distacco si compie, né la possibilità di recupero del bene attraverso l'esperimento delle azioni apprestate a favore della curatela. In conseguenza di ciò - è stato affermato - costituisce condotta idonea ad integrare un fatto distrattivo riconducibile all'area d'operatività dell'art. 216, comma primo, n. 1, legge fall., l'affitto dei beni aziendali per un canone incongruo Cass., n. 44891 del 9/10/2008 , specie se stipulato al fine di mantenere la disponibilità materiale dell'immobile locato alla famiglia del titolare della società fallenda 49642 del 2/10/2009 o anche di altro soggetto giuridico n. 46508 del 27/11/2008 la conclusione di contratti nella specie affitto di azienda privi di effettiva contropartita e preordinati ad avvantaggiare i soci a scapito dei creditori Cass., 10742 del 15/2/2008 il contratto di locazione di beni aziendali perfezionato nella immediatezza della dichiarazione di fallimento senza la previsione di una clausola risolutiva espressa da fare valere nel caso di imminente instaurarsi della procedura fallimentare Cass., N. 7201 del 18/1/2006 . Trattasi di giurisprudenza da cui non si intravedono motivi per discostarsi, posto che l'oggetto giuridico del reato è dato, nella specie, dalla tutela dell'integrità del patrimonio del debitore in funzione dell'interesse dei creditori integrità certamente compromessa da atti che, seppur formalmente leciti, determinano, per il modo e le circostanze in cui vengono posti in essere, un danno per i creditori. Nel caso di specie il contratto d'affitto è stato stipulato a favore di società riconducibile ai P. , posto che i suoi soci erano persone da loro scelti la società affittuaria non si accollava i debiti della locatrice con l'affitto dei beni alla Costruzioni Prefabbricati srl la società poi fallita perdeva la possibilità di svolgere qualsiasi proficua attività, per cui non avrebbe consegnato al curatore un'azienda fornita di residua vitalità anche in vista di un esercizio provvisorio il contratto era stipulato per sei anni e non prevedeva alcuna clausola di gradimento per la curatela pertanto, sulla base della normativa dell'epoca art. 80 L.F. , il curatore poteva solo subentrare nel contratto e accettarne gli effetti, con tutte le conseguenze che ne derivavano per i creditori compresa quella di attendere lo spirare del sessennio per avviare la liquidazione dei beni locati . In maniera più che logica, pertanto, i giudici hanno ritenuto che tale contratto fosse stato stipulato nell'interesse dei P. e che esso determinasse un impoverimento della massa fallimentare, comportando una drastica riduzione del valore dei beni che ne erano oggetto. Né ha rilievo che i beni non fossero ancora entrati definitivamente nel patrimonio del locatore, né che il contratto non avesse avuto ancora esecuzione. Tra i beni del fallito sono ricompresi, infatti, non solo quelli di sua proprietà, ma anche quelli sui quali l'impresa vanti un diritto reale, sia pure sottoposto a condizione, o personale di godimento, in quanto nel primo caso, sussiste in capo al curatore il diritto di subentro nel contratto, ovvero, in caso di risoluzione per inadempimento, un diritto alla restituzione delle rate già riscosse ex art. 1526 cc nel secondo caso si tratta pur sempre di un diritto avente contenuto economico, di cui il curatore può, a seconda delle circostanze e della natura del contratto, avvalersi. Esatta è, pertanto, l'interpretazione dei giudici di merito, i quali hanno ritenuto che la riserva di proprietà dei beni a favore della P.P.spa non abbia influenza nella qualificazione della condotta. Quanto, poi, al fatto che il contratto dovesse avere decorrenza a partire dall'1-12-1996, trattasi di circostanza legittimamente ritenuta ininfluente, pacifico essendo che il reato di bancarotta patrimoniale è integrato, dal punto di vista oggettivo, dalla semplice esposizione a pericolo dell'interesse protetto, a nulla rilevando che un danno non si sia, in concreto, verificato ex multis, Cass., 22/6/2010, n. 30932 . Peraltro, tale evenienza non è nemmeno rispondente alla realtà di questo processo, in quanto - come è stato chiaramente messo in evidenza nella sentenza impugnata - il contratto di cui si discute non è stato affatto indolore per la curatela, che è stata costretta ad imbarcarsi in lunghe e costose azioni giudiziarie per recuperare la disponibilità dei beni locati pag. 13 della sentenza d'appello . Infondate sono anche le doglianze in tema di elemento soggettivo, posto che concorre in qualità di extraneus nei reati di bancarotta patrimoniale e documentale il consulente contabile che, consapevole dei propositi distrattivi o di confusione contabile dell'imprenditore, fornisca consigli o suggerimenti sui mezzi giuridici idonei a sottrarre i beni ai creditori o lo assista nella conclusione dei relativi negozi ovvero ancora svolga attività dirette a garantirgli l'impunità o a rafforzarne, con il proprio ausilio e con le proprie preventive assicurazioni, l'intento criminoso ex multis, Cass., n. 39387 del 27/6/2012 . Nella specie, tutta la ricostruzione operata dalla Corte d'appello evidenzia come l'A. abbia consapevolmente proposto, coltivato e insistito affinché venissero posti in essere atti depauperatori del patrimonio sociale a danno dei creditori pag. 13 né assume rilievo la circostanza che sia stato il P. a chiedere il fallimento della società, posto tale comportamento non è logicamente incompatibile con l'intenzione di conservare la disponibilità dei beni sociali attraverso prestanomi anzi, lo presuppone . 4. Nemmeno merita accoglimento il motivo in rito il quarto . La mancata assunzione di una prova decisiva - quale motivo di impugnazione per cassazione - può essere dedotta solo in relazione ai mezzi di prova di cui sia stata chiesta l'ammissione a norma dell'art. 495, secondo comma, cod. proc. pen., sicché il motivo non potrà essere validamente invocato nel caso in cui il mezzo di prova sia stato sollecitato dalla parte attraverso l'invito al giudice di merito ad avvalersi dei poteri discrezionali di integrazione probatoria di cui all'art. 507 cod. proc. pen. e da questi sia stato ritenuto non necessario ai fini della decisione Cass., n. 9763 del 6/12/2013 . Nella specie non risulta, né è stato dedotto, che le prove ritenute non decisive dal giudice siano state chieste a norma dell'art. 495 cod. proc. pen., per cui lo doglianza relativa alla mancata escussione del liquidatore della Prefabbricati Peruzzi spa e all'acquisizione documentazione specificata a pag. 15/16 del ricorso è destituita di fondamento. Senza fondamento è anche la lamentata violazione dell'art. 603 cod. proc. penale. Nel giudizio d'appello, trattandosi di un procedimento critico che ha per oggetto la sentenza impugnata, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale è un istituto di carattere eccezionale, rispetto all'abbandono del principio di oralità del secondo grado, nel quale vale la presunzione che l'indagine istruttoria abbia ormai raggiunto la sua completezza nel dibattimento svoltosi innanzi al primo giudice. In una tale prospettiva, l'art. 603, comma 1, c.p.p. non riconosce carattere di obbligatorietà all'esercizio del potere del giudice d'appello di disporre la rinnovazione del dibattimento, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma vincola e subordina tale potere, nel suo concreto esercizio, alla rigorosa condizione che il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non poter decidere allo stato degli atti. Con la conseguenza che, se è vero che il diniego dell'eventualmente invocata rinnovazione dell'istruzione dibattimentale deve essere spiegato nella sentenza di secondo grado, la relativa motivazione sulla quale nei limiti della illogicità e della non congruità è esercitabile il controllo di legittimità può anche ricavarsi per implicito dal complessivo tessuto argomentativo, qualora il giudice abbia dato comunque conto delle ragioni in forza delle quali abbia ritenuto di potere decidere allo stato degli atti Cassazione penale, sez. 4, 28/04/2011, n. 23297 . Tanto è in concreto avvenuto, avendo la Corte territoriale ritenuto che fosse già ricostruita in modo articolato e puntuale nel corso del giudizio di primo grado la natura dei rapporti intercorsi tra A. e il liquidatore prima e il curatore poi della P.P. spa e comunque potendo essi riferire di circostanze non decisive in ordine alla sussistenza dei reati anche nella loro componente soggettiva mentre, per quanto riguarda la documentazione di cui veniva chiesta l'acquisizione, è stato sottolineato che riguardava reati prescritti o era attinente a circostanze irrilevanti. La suddetta motivazione è logica e puntuale, per cui assolve all'obbligo motivazionale con la necessaria completezza. 5. In conclusione, i motivi di ricorso dell'A. sono tutti infondati. Si rileva, tuttavia, che il passaggio del tempo ha comportato l'estinzione per prescrizione del reato contestato all'imputata al capo d , in applicazione della normativa vigente prima della L. 5 dicembre 2005, n. 251. Di conseguenza, la sentenza va annullata relativamente a detto capo con rinvio alla Corte d'appello di Milano per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio. Tale soluzione si impone perché, ai sensi dell'art. 170 cod. pen., l'estinzione di taluno fra più reati connessi non esclude, per gli altri, l'aggravamento di pena derivante dalla connessione . Ne consegue che, sebbene il reato di cui al capo d risulti prescritto, non diviene inoperante, per questo, la circostanza aggravante di cui all'art. 219, comma 2, n. 1, L.F., da sottoporre a giudizio di bilanciamento, ai sensi dell'art. 69 cod. pen., con le attenuanti generiche, già concesse dal giudicante. Ricorso di M.L. . Anche il ricorso di M. è infondato. Costituisce ius receptum che, in tema di bancarotta fraudolenta impropria, l'extraneus concorre nel reato proprio dell'amministratore quando sia l'istigatore o il beneficiario di operazioni dolose volte a depauperare il patrimonio dell'impresa, allorché risulti consapevole del rischio che le suddette operazioni determinano per le ragioni dei creditori della società, non essendo invece necessario che egli abbia voluto causare un danno ai creditori medesimi. Circa l'effetto pericoloso per la società delle operazioni a lui addebitate valga quanto evidenziato al punto 3. Né lo scopo da lui asseritamente perseguito conservare il posto di lavoro elide l'antigiuridicità della condotta, posto che il dolo di bancarotta è integrato, nella specie, dalla consapevole volontà dei singoli atti di sottrazione, occultamento o distrazione e, comunque, di quegli atti con i quali si viene a dare la patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell'impresa, con la consapevolezza di compiere atti che cagionano, o possono cagionare, danno ai creditori Cass., sez. 5, 16/10/2008, n. 43216 Cass., 10/1/2008 Cass., 15/11/2007, n. 46921 . Ciò posto, si rileva, comunque, che il reato si è prescritto, per M. , il 6/1/2012. Pertanto, la sentenza va annullata nella parte che lo riguarda. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di M.L. per essere il reato ascrittogli estinto per prescrizione e nei confronti della A. limitatamente al capo d per essere il reato estinto per prescrizione. Rinvia gli atti ad altra sezione della Corte d'appello di Milano, limitatamente al giudizio di comparazione relativo al capo e , nei confronti della A. . Rigetta nel resto il ricorso di quest'ultima.