Nessuna conseguenza penale per la demolizione di un bene culturale in pendenza del procedimento di tutela

Quale efficacia rivestono le norme cautelari di tutela dei beni culturali?

E’ questo il quesito sostanziale a cui risponde la Corte di Cassazione con la sentenza n. 49325 depositata il 9 dicembre 2013. Si tratta di un intervento chiarificatore che precisa i limiti della tutela del patrimonio culturale in Italia, facendo tuttavia intravedere tutta una serie di rischi che ben potrebbero risolversi in un ulteriore colpo mortale” alla conservazione della nostra memoria storica a vantaggio di un’azione edilizia sempre più invasiva e, per certi versi, soffocante. Il caso. La fattispecie concreta è nota in quanto tanto scalpore aveva suscitato per la demolizione dell’Ex Zuccherificio Eridania nel forlivese immobile dichiarato di interesse culturale dal Ministero per i beni e le attività culturali, il cui provvedimento dichiarativo giungeva a perfezionamento successivamente alla demolizione stessa. In buona sostanza, dopo l’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale – oggi normato dal Codice dei beni culturali, all’epoca dei fatti dal T.U. dei beni culturali e ambientali - veniva disposta e realizzata la demolizione dell’edificio citato con un’ordinanza contingibile ed urgente. Da qui la contestazione ai vari soggetti coinvolti – tecnici comunali e impresa - , dei reati di cui agli artt. 110 e 323 c.p., art. 44, lett. c , T.U.E. e art. 118 T.U. dei beni culturali e ambientali ed, infine, per il reato di falsità ideologica di cui all’art. 479 c.p. Giudizi di merito contrastanti. Il tribunale assolve gli imputati per l’abuso d’ufficio e la falsità ideologica in quanto il fatto non sussiste e per il reato in materia edilizia e dei beni culturali perché il fatto non costituisce reato. Al contrario, la Corte di appello territoriale dichiarava, in parziale riforma della sentenza di primo grado, il non doversi procedere perché il reato contestato di cui all’art. 118 d.lgs. n. 490/1999 risultava estinto per prescrizione e la condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile Ministero per i beni culturali. Il ricorso per cassazione proposto dagli imputati si fonda sulla presunta configurazione del reato di cui all’art. 118, d.lgs. n. 490/1999, che punisce la demolizione, senza autorizzazione, solo dei beni che sono già stati oggetto della relativa espressa dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene culturale, i cui effetti decorrono dalla notificazione alla proprietà privata della dichiarazione stessa. In definitiva, le doglianze della difesa si incentrano sulla circostanza che all’epoca del fatto la dichiarazione non era ancora intervenuta, ma vi era soltanto la comunicazione dell’inizio del relativo procedimento di cui all’art. 7 T.U. dei beni culturali e ambientali. La tutela penale, infatti, si può avere nel caso concreto solo con la dichiarazione formale di cui al’art. 118 cit. Necessaria la dichiarazione di interesse. Gli Ermellini dichiarano la fondatezza del ricorso dando vita ad una interpretazione destinata ad avere importanti conseguenze nel settore dei beni culturali. Dopo aver richiamato sommariamente la normativa applicabile – non solo gli articoli specifici di riferimento del T.U. dei beni culturali e ambientali, ma anche di quelli analoghi del Codice dei beni culturali - , i giudici di Piazza Cavour individuano la questione da risolvere, cioè stabilire se l’art. 118, comma 1, lett. a , d.lgs. n. 490/1999, punisca penalmente la demolizione, senza autorizzazione, solo dei beni che sono già stati oggetto della relativa espressa dichiarazione di apposizione del vincolo, a norma dell’art. 6, ovvero anche dei beni per i quali non vi sia ancora avvenuta tale dichiarazione, ma vi sia stata solo la comunicazione del relativo procedimento a norma dell’art. 7. Dalla valutazione dei giudici della Suprema Corte emerge il corretto operato dei giudici del Tribunale che hanno interpretato la norma incriminatrice solo con riferimento a quei beni che sono stati dichiarati di interesse culturale, facendone decorrere gli effetti esclusivamente dalla notificazione alla proprietà privata della dichiarazione stessa. Infatti – si legge nella sentenza -, se si interpretasse la norma incriminatrice nel senso di estendere l’applicazione della sanzione penale anche agli immobili per i quali vi fosse stata la semplice comunicazione dell’inizio del procedimento, si determinerebbe una violazione del principio di tassatività che deve connotare l’interpretazione delle norme penali. D’altra parte, quando la normativa intende sanzionare anche condotte relative a beni soggetti a mera tutela cautelare lo fa in modo espresso ed in equivoco come nel caso di cui all’art. 118, lett. b , che sanziona il distacco di affreschi e stemmi, ecc. Al contrario, secondo i giudici della Corte di Cassazione, la corte di appello ha dato luogo ad una interpretazione errata della norma in quanto dall’applicazione delle norme cautelari di tutela – quelle che il legislatore ha previsto dal momento dell’avvio del procedimento di interesse culturale fino allo spirare dei termini del procedimento stesso - non è possibile far discendere l’applicazione dell’art. 118 T.U. dei beni culturali e ambientali. Sostenendo l’applicabilità di tale disposizione ai soggetti che abbiano demolito immobili sottoposti a procedimenti di tutela – ma non ancora dichiarati di interesse culturali – i giudici della Corte di appello territoriale hanno posto una conclusione che va al di là della lettera della disposizione incriminatrice, risolvendosi in una non consentita applicazione analogica della norma penale. Esclusa l’applicazione analogica della norma penale. Infatti, osservano gli Ermellini , le disposizioni che dispongono l’applicazione cautelare delle norme di tutela al momento dell’avvio del procedimento di dichiarazione di interesse culturale non richiamano in alcun modo le norme sanzionatorie di cui all’art. 118 T.U. dei beni culturali e ambientali. Ci si potrebbe chiedere quale efficacia potrebbe avere una disposizione cautelare priva di conseguenze sul piano sanzionatorio – e di questo si vedrà lo sviluppo nelle prossime fattispecie concrete - , ma i giudici della Corte di Cassazione sul punto sembrano sicuri nell’individuare la ratio della mancata estensione degli effetti penali alle norma cautelari di tutela nella certezza necessaria che deve essere riservata in capo al privato. D’altra parte, il sistema sanzionatorio, oltre alle sanzioni amministrative, non esclude la possibilità di sanzione penale per i beni culturali privati per i quali non si sia ancora perfezionata la dichiarazione di apposizione di vincolo, restando in vigore il reato di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale di cui all’art. 733 c.p. Tuttavia, a parere di chi scrive, tale ultimo strumento risulta troppo labile e di difficile applicazione viste le rigorose condizioni richieste. D’altra parte togliere efficacia sanzionatoria all’applicazione delle norme cautelari non può che aprire la strada verso repentine demolizioni che rimarrebbero del tutto impunite, a fronte di un procedimento di tutela di un bene culturale che richiede ancora troppo tempo per acquisire reale efficacia. La parola passa ora al legislatore per trovare una soluzione ad un problema di non poco conto nell’economia della effettiva tutela de beni culturali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 15 ottobre - 9 dicembre 2013 numero 49325 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo 1. Gli odierni ricorrenti vennero rinviati a giudizio per rispondere dei seguenti reati capo A N.P. e P.V. in concorso con R.F. e M.L. del reato di cui all'art. 110 - 323 cod. penumero perché il R. quale sindaco di XXXXX, il M. quale vice segretario generale del comune in concorso tra loro, con provvedimento qualificato ordinanza contingibile ed urgente emesso in data 8 agosto 2002 disponevano e realizzavano la demolizione di manufatti posti all'interno del complesso immobiliare denominato Ex Zuccherificio Eridania , sottoposto a dichiarazione di interesse per ragioni storiche dalla Soprintendenza Regionale per i Beni Architettonici ed Ambientali ai sensi dell'art. 6 D.L.vo numero 490/99, in violazione delle norme di legge, procurando intenzionalmente un ingiusto vantaggio patrimoniale al P. , quale titolare della ditta Immobiliare Ex Zuccherificio , e al N. , quale rappresentante e fiduciario della stessa capo b tutti dei reati di cui all'art. 44, lett. c , d.p.R. 6 giugno 2001, numero 380, ed all'art. 118 d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490, perché, in concorso tra loro nelle già indicate qualità, nonché F.R. e F.G. quali esecutori e V.R. quale socio della Immobiliare Ex Zuccherificio s.r.l. , effettuavano lavori di demolizione di manufatti posti all'interno del complesso immobiliare denominato Ex Zuccherificio Eridania , sottoposto a dichiarazione di interesse per ragioni storiche dalla Soprintendenza Regionale per i beni e le attività culturali, senza la prescritta autorizzazione e senza munirsi del permesso di costruire capo c R. e M. del reato di cui all'art. 479 cod. penumero 2. Con sentenza in data 17.1.2007, il tribunale di Forlì assolse gli imputati dai reati loro rispettivamente ascritti in particolare assolse R. , M. , P. e N. dal reato di concorso in abuso d'ufficio capo A , perché il fatto non sussiste tutti gli imputati dai reati in materia di tutela di beni di interesse storico culturale ed in materia urbanistica di cui al capo B , perché il fatto non è previsto dalla legge come reato R. e M. dal reato di concorso in falsità ideologica commessa da pubblici ufficiali in atto pubblico capo C , perché il fatto non sussiste. 3. Proposero appello il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello di Bologna, il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Forlì, e la parte civile Ministero dei beni e delle attività culturali. 4. La corte d'appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarò non doversi procedere nei confronti di N.P. , F.G. , F.R. , V.R. e P.V. in ordine al reato di cui all'art. 118, d.lgs. 490/1999 contestato al capo B , perché estinto per prescrizione e li condannò al risarcimento del danno in favore della parte civile Ministero per i beni culturali. 5. N.P. , F.G. , F.R. , V.R. e P.V. , a mezzo dell'avv. Marco Martines, propongono ricorso per cassazione avverso la detta sentenza nella parte in cui ha dichiarato non doversi procedere per il reato di cui all'art. 118 d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490 perché estinto per prescrizione e li ha condannati al risarcimento del danno in favore della parte civile, deducendo il seguente motivo Violazione degli artt. 2, 6, 7, 10, 21, 118 d.lgs. 29/10/1999 numero 490 in relazione agli artt. 129 comma 2 c.p.p., 576, 578 c.p.p Lamentano che la corte d'appello ha errato nel non applicare l'art. 129 cod. procomma penumero in quanto la corretta inter-pretazione della norma incriminatrice è quella data dal tribunale, secondo cui l'art. 118 cit. punisce penalmente la demolizione, senza autorizzazione, solo dei beni che sono già stati oggetti della relativa espressa dichiarazione di apposizione del vincolo rectius dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene , a norma dell'art. 6, i cui effetti decorrono dalla sua notificazione alla proprietà privata prevista dal successivo art. 10. Nella specie invece all'epoca del fatto non era ancora avvenuta questa dichiarazione ma vi era stata solo la comunicazione dell'inizio del relativo procedimento di cui all'art. 7. Esattamente il giudice di primo grado aveva osservato che una lettura delle norme che e-stendesse l'applicazione della sanzione penale anche agli immobili per i quali vi fosse stata semplice comunicazione dell'inizio del procedimento sarebbe in violazione del principio di tassatività che deve connotare l'interpretazione delle norme penali. Invero la tutela penale si ha solo con la giuridica apposizione del vincolo, che interviene solo con la dichiarazione formale di cui all'art. 6. Difatti, l'art. 118 cit. contiene una disposizione che non è meramente sanzionatoria e descrive compiutamente l'oggetto materiale riferendosi ai soli beni culturali indicati nell'art. 2 dichiarati, se appartenenti a privati, a norma dell'art. 6 . Questa interpretazione, del resto, è confermata anche dal vigente testo unico in materia di beni culturali d.lgs 42/2004 . Motivi della decisione 1. Il ricorso è fondato perché effettivamente appare corretta l'interpretazione seguita in primo grado dal tribunale di Forlì, mentre quella contraria adottata dalla corte d'appello di Bologna appare erronea, alla luce sia del criterio letterale sia di quello sistematico, e si risolve, in realtà, in una inammissibile applicazione analogica di una norma penale incriminatrice. La questione proposta consiste nello stabilire se l'art. 118, comma 1, lett. a , del d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490, punisce penalmente la demolizione, senza autorizzazione, solo dei beni che sono già stati oggetti della relativa espressa dichiarazione di apposizione del vincolo, a norma dell'art. 6, ovvero anche dei beni per i quali non vi sia ancora avvenuta tale dichiarazione ma vi sia solo stata la comunicazione del relativo procedimento, a norma dell'art. 7. 2. Va ricordato che l'art. 2, comma 1, del d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490, dispone che sono beni culturali disciplinati a norma di questo Titolo a le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, o demo-etno-antropologico .” mentre l'art. 6, comma 1, prevede che Salvo quanto disposto dal comma 4, il Ministero dichiara l'interesse particolarmente importante delle cose indicate all'art. 2, comma 1, lettera a appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati all'art. 5, comma 1 ” ossia le regioni, le province, i comuni, gli altri enti pubblici e le persone giuridiche private senza fine di lucro . L'art. 7 prescrive, al comma 1, che Il Ministero avvia il procedimento di dichiarazione previsto dall'art. 6 . dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore ” e, al comma 4, che La comunicazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dalla sezione I del Capo II e dalla sezione I del Capo III di questo Titolo ”. L'art. 8, comma 1, dispone poi che La dichiarazione prevista dall'art. 6 è notificata al proprietario, possessore o detentore delle cose che ne formano oggetto ”. L'art. 21, comma 1, prevede che I beni culturali non possono essere demoliti o modificati senza l'autorizzazione del Ministero ”. Il capo VII, sezione I, prevede poi le sanzioni penali, disponendo, all'art. 118, comma 1, che è punito con l'arresto da 6 mesi ad 1 anno e con l'ammenda da lire 1.500.000 a lire 75.000.000 a chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero, senza approvazione, esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell’art. 2, dichiarati, se appartenenti a privati, a norma dell'art. 6 b chiunque procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, senza l'autorizzazione del soprintendente, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall'art. 6 ”. Norme analoghe sono poi contenute nel vigente d. lgs. 22 gennaio 2004, numero 42, il quale dispone, all'art. 10, comma 1, che Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoan-tropologico ” ed, al comma 3, che Sono altresì beni culturali, quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall'art. 13 a le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli indicati al comma 1 . ”. L'art. 13 regola la dichiarazione dell'interesse culturale ”, stabilendo, al comma 1, che La dichiarazione accerta la sussistenza, nella cosa che ne forma oggetto, dell'interesse richiesto dall'art. 10, comma 3 ”. L'art. 14 regola il procedimento di dichiarazione, stabilendo, al comma 4, che La comunicazione comporta l'applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dal Capo II, dalla sezione I del Capo III e dalla sezione I del Capo IV del presente Titolo ”. L'art. 15 prevede che la dichiarazione di cui all'art. 13 deve essere notificata al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto. L'art. 169, poi, prevede le sanzioni penali stabilendo al comma 1, che È punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da Euro 775 a Euro 38.734,50 a chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati, nell'art. 10 b chiunque, senza l'autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall'art. 13 ”. 3. Il tribunale affermò che l'art. 118, comma 1, lett. a , del d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490, punisce penalmente la demolizione, senza autorizzazione, soltanto dei beni che sono già stati oggetti della relativa espressa dichiarazione di apposizione del vincolo, a norma dell'art. 6. E ciò sulla base, innanzitutto, della chiara lettera della norma incriminatrice, che individua sia la tipologia di opere che intende sanzionare chiunque senza autorizzazione demolisce , sia gli immobili oggetto di tutela, e cioè quelli indicati dall'art. 2 dichiarati, se appartenenti a privati, a norma dell'art. 6 . Ritenne quindi evidente che occorresse, relativamente a detti beni, che si fosse concluso l'iter iniziato con la comunicazione di cui all'art. 7, con la espressa dichiarazione di apposizione del vincolo rectius dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene , i cui effetti decorrono dalla sua notificazione alla proprietà privata prevista dal successivo art. 10. Osservò inoltre il tribunale che, se si interpretasse la norma incriminatrice nel senso di estendere l'applicazione della sanzione penale anche agli immobili per i quali vi fosse stata semplice comunicazione dell'inizio del procedimento, si determinerebbe una violazione del principio di tassatività che deve connotare l'interpretazione delle norme penali. Secondo il tribunale, l'interpretazione adottata era conforme anche al criterio sistematico, perché il medesimo art. 118, nella successiva lettera b , sanziona il distacco di affreschi, stemmi ecc .anche se non vi è ancora stata la dichiarazione prevista dall'art. 6 . Il che rende evidente che laddove la normativa intende sanzionare anche condotte relative a beni soggetti a mera tutela cautelare, tanto esprime in modo inequivoco. Infine, rilevò il tribunale di Forlì, che la norma non appare irrazionale, atteso che solo con il perfezionarsi della citata procedura si ha la giuridica certezza di ciò che è effettivamente meritevole di tutela. Oggetto della specifica tutela apprestata dalla norma sanzionatoria dell'art. 118, comma 1, lett. a , è la giuridica apposizione del vincolo, che interviene solo con la dichiarazione formale di cui all'art. 6, laddove la fase cautelativa precedente non ne è coperta, e può trovare le adeguate sanzioni penali nel menzionato art. 118, comma 1, lett. b . 4. La corte d'appello ha invece affermato una opposta interpretazione sulla base della considerazione che l'art. 7, comma 4, d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490, prevede espressamente che la comunicazione al proprietario, possessore o detentore del bene dell'avvio del procedimento di dichiarazione di interesse del bene medesimo comporta V applicazione, in via cautelare, delle disposizioni previste dalla sezione I del capo II e della sezione II del capo III di questo Titolo , ossia V applicazione, tra le altre, della disposizione di cui all'art. 21, in base alla quale i beni culturali non possono essere demoliti o modificati senza l'autorizzazione del Ministero , la cui assenza è per l’appunto sanzionata dall'art. 118, lett. a . Da questa disposizione la corte d'appello ha poi fatto discendere le seguenti conseguenze a che anche la demolizione o modifica dei beni in relazione ai quali sia stato meramente comunicato l’avvio della procedura di dichiarazione di interesse di cui all'art. 7 sono soggetti a previa autorizzazione b che in difetto di detta autorizzazione, si configura la fattispecie penale di cui all'art. 118, lett. a , d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490. Nella specie, pertanto, il reato era sussistente perché la demolizione degli edifici in questione era avvenuta quando già era stata comunicato l'inizio del procedimento ex art. 7, sebbene non fosse stato ancora emesso e notificato il provvedimento di dichiarazione di interesse ex art. 6. 5. La conclusione della corte d'appello non può però essere condivisa perché va al di là della lettera della disposizione incriminatrice e si risolve in una non consentita applicazione analogica della norma penale. È vero infatti che l'art. 7, comma 4, d. lgs. 29 ottobre 1999, numero 490, riconnette alla mera comunicazione di avvio del procedimento di dichiarazione di interesse l'applicazione in via cautelare delle disposizioni previste dalla Sez. I del capo II e della Sez. II del capo III del titolo I, ma ciò non significa che possa intendersi richiamata anche l'applicazione dell'art. 118, lett. a . Il richiamo invero è espressamente fatto esclusivamente alle disposizioni previste dalla Sez. I del capo II ossia a quelle degli artt. da 21 a 28, in tema di controlli e sanzioni cautelari di tipo amministrativo ed a quelle della Sez. II del capo III, sempre del titolo I ossia a quelle degli artt. da 54 a 58, in tema di alienazione dei beni culturali . Nessun richiamo è invece fatto all'art. 118, le cui disposizioni quindi non possono ritenersi applicabili in forza dell'art. 7 e delle disposizioni da esso richiamate. Può pertanto ritenersi esatta solo la prima delle due conseguenze enunciate dalla corte d'appello, ossia che, in forza del richiamo fatto dall'art. 7, comma 4, all'art. 21, la sola comunicazione di inizio del procedimento comporta che ai beni ivi indicati si applichi la norma dell'art. 21, comma 1, secondo cui i beni culturali non possono essere demoliti o modificati senza l'autorizzazione del Ministero. Non è invece esatta la seconda conseguenza, ossia che il mero richiamo all'art. 21 comporterebbe l'applicazione nella fase cautelare anche dell'art. 118, che invece non rientra nelle disposizioni espressamente richiamate dall'art. 7, comma 4. Ciò, come esattamente rilevato dal tribunale di Forlì, si evince da una interpretazione sia letterale sia sistematica. Innanzitutto, infatti, l'art. 118 non contiene affatto una norma meramente sanzionatoria di precetti contenuti in altre disposizioni come faceva invece l'art. 59, comma 1, della previgente legge 1 giugno 1939 numero 1089 , ma al contrario fissa direttamente il precetto, senza rimandare al divieto di cui all'art. 21, contemplando diverse condotte ulteriori. Inoltre, l'art. 118, comma 1, descrive compiutamente l'oggetto materiale del reato ivi previsto, precisando che i beni oggetto di tutela sono i beni culturali indicati nell'art. 2, dichiarati, se appartenenti ai provati, a norma dell'art. 6 ”. In altri termini, la disposizione è inequivoca nell'indicare che oggetto materiale del reato, quando si tratti beni appartenenti a privati, è costituito solo dai beni culturali dichiarati a norma dell'art. 6. In caso di beni appartenenti a privati, dunque, presupposto del reato è costituito dalla avvenuta dichiarazione di apposizione del vincolo ai sensi dell'art. 6, i cui effetti decorrono dalla notifica alla proprietà privata prevista dal successivo art. 10. Va condivisa anche l'altra esatta osservazione del tribunale di Forlì, ossia che questa interpretazione è confermata dal fatto che la successiva lett. b del medesimo art. 118 sanziona il distacco di affreschi, stemmi, ecc, anche se non vi è ancora stata la dichiarazione prevista dall'art. 6 ”, il che appunto rende e-vidente che il legislatore, quando ha voluto sanzionare anche condotte relative a beni soggetti a mera tutela cautelare, lo ha espressamente indicato. 6. Esattamente nel ricorso si rileva poi che l'interpretazione seguita dal tribunale di Forlì è confermata anche dal vigente Codice dei beni culturali approvato con d. lgs. 22 gennaio 2004, numero 42. le cui disposizioni, peraltro, quand'anche fossero per ipotesi più sfavorevoli, non potrebbero applicarsi ai fatti oggetto del presente giudizio, avvenuti il 9 agosto 2002. E difatti, la nuova norma che prevede l'irrogazione della sanzione penale per le opere illecite, ossia l'art. 169, punisce, al comma 1, lett. a , chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell'art. 10 ” e l'art. 10, al comma 3, lett. a , stabilisce che le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico particolarmente importante, appartenenti a soggetti diversi da quelli di cui al comma 1 ”, ossia appartenenti a privati, sono beni culturali soltanto quando sia intervenuta la dichiarazione prevista dall’art. 13 ”, e cioè dichiarazione di interesse culturale. In continuità con la previgente normativa del resto in ossequio alla legge di delegazione la detta dichiarazione identifica il bene culturale appartenente al privato, tanto da costituire requisito indefettibile della relativa nozione normativa, e conseguentemente la sanzione penale apprestata dall'art. 169, comma 1, lett. a , non può che riguardare violazioni commesse esclusivamente sugli immobili per i quali sia già intervenuto il formale provvedimento dichiarativo dell'interesse culturale. 7. La scelta legislativa non potrebbe nemmeno ritenersi manifestamente irrazionale e ingiustificata tanto da dubitare della sua legittimità costituzionale dal momento che la ratio che la ispira è evidentemente quella di prevedere, alla luce di altri valori costituzionali, che solo con il perfezionarsi della procedura dell'art. 7 e con la formale dichiarazione di apposizione del vincolo si ha la certezza di ciò che è effettivamente meritevole di tutela penale nelle ipotesi indicate nell'art. 118, comma 1. Il legislatore ha cioè previsto che la dichiarazione di interesse culturale costituisce la certezza necessaria in capo al privato e la base non soltanto dello statuto del bene, ma anche della disciplina penale dello stesso. D'altra parte, il sistema sanzionatorio oltre alle sanzioni amministrative, non esclude del tutto anche al di fuori dell'ipotesi dell'art. 118, comma 2 , la possibilità di sanzione penale per i beni culturali privati per i quali non si è ancora perfezionata la dichiarazione di apposizione del vincolo, dal momento che resta sempre applicabile il reato di cui all'art. 733 cod. penumero danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale , il quale è configurabile anche su una cosa non sottoposta a vincolo purché ricorrano due condizioni la oggettiva e generale notorietà del rilevante pregio del bene ed un effettivo nocumento al patrimonio archeologico o artistico nazionale Sez. III, 1.3.1995, numero 3967, Balzan, m. 202072 . Non è perciò irrazionale un sistema sanzionatorio che, in mancanza della dichiarazione di interesse culturale, rispetto a condotte quali quella in esame aventi ad oggetto beni privati, sia integrato ora da sanzioni di tipo amministrativo, ovvero risarcitorio o ripristinatorio, ora a sanzioni penali che in difetto del requisito di certezza sulla culturalità del bene costituito dall'atto ministeriale si modellino esclusivamente su quei beni il cui rilevante pregio sia evidente, anche in difetto della statuizione ministeriale e sempre che dal fatto derivi un nocumento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale . La realtà è che la Corte d’appello ha evidentemente ritenuto – sulla base di una valutazione che esula dai compiti del giudice – che l’apparato sanzionatorio predisposto dal legislatore non fosse sufficiente a garantire una effettiva tutela di beni culturali appartenenti a privati per i quali sia stata solo iniziata la procedura per la dichiarazione di interesse particolarmente importante del bene, ed ha ritenuto di poter porre rimedio a questa presunta lacuna ideologica includendo anche l’art. 118, comma 1, nella sfera delle norme richiamate dall’art. 7, comma 4. Il che però si è risolto nella applicazione analogica della norma penale incriminatrice ed in ogni caso di una interpretazione non conforme ai principi di tassatività delle norme penali e della riserva di legge. 8. Nella specie dello stesso capo di imputazione risulta che si trattava di un bene che non rientrava tra quelli di cui all’art. 733 cod. penumero che infatti non è stato contestato e che no nera ravvisabile il tipico nocumento previsto da tale norma. In conclusione – confermando la decisione della sentenza di primo grado emessa dal Tribunale di Forlì – la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio limitatamente al reato di cui al capo B perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui al capo B perché il fatto non è previsto dalla legge come reato.