L’affido familiare del minore non esclude il potere di querela del padre con diritto di visita

Nel caso di affido familiare i genitori non dichiarati dalla potestà pertinente mantengono un autonomo potere di querela.

Limiti alla potestà genitoriale? Con la sentenza n. 49063 depositata il 5 dicembre 2013, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ribadisce l’orientamento, ormai consolidato in giurisprudenza, in merito ai presunti limiti dell’esercizio della potestà genitoriale nell’ipotesi di affido familiare del minore. L’occasione è offerta dal tentativo di una madre di sottrarre la figlia minore di sei anni ,affidata ai servizi sociali dal Tribunale territoriale, all’insaputa e contro la volontà del padre. La fuga intrapresa con un viaggio aereo all’estero viene bloccata dalle autorità di polizia portuale. Da qui l’imputazione per la donna del reato di cui agli artt. 56 e 574 c.p. Condannata dal Tribunale e ricevuta la conferma anche in Corte d’appello, la donna proponeva ricorso fondandosi la sua difesa su due motivi principali. Il primo, in particolare, lamenta la violazione degli artt. 574 c.p. e 529 c.p.p. in riferimento alla carenza di legittimazione del padre a proporre querela. Doglianze della difesa è venuta meno la relazione di stabilità In buona sostanza, secondo la difesa della donna l’affido ai servizi sociali con collocamento presso una famiglia aveva fatto venir meno la relazione di stabilità e, conseguentemente, il rapporto di vigilanza e custodia con il minore. Ciò in considerazione anche della circostanza che il padre risultava nella fattispecie solo destinatario della previsione di incontri con la figlia previo appuntamento con i servizi. Il nodo interpretativo della questione, per la difesa dell’imputata, si incentra sulla necessaria esclusione della legittimazione alla querela per quei genitori con potestà genitoriale anche solo sospesa, in ragione del suo mancato concreto e attuale esercizio. Altra questione sollevata riguarda l’elemento psicologico del reato contestato in quanto non risultava in essere al momento del fatto nessun esplicito divieto di espatrio con la minore e, soprattutto, in quanto la madre aveva informato la famiglia collocataria – e quindi i servizi sociali – del viaggio. La sentenza n. 9/1964 della Corte Costituzionale Gli Ermellini valutano con sfavore la posizione argomentativa della donna ritenendo infondato il ricorso. Ciò, come argomentato già dal giudice di merito, risulta coerente con gli insegnamenti in merito pronunciati della Corte Costituzionale e che possono farsi risalire alla sentenza n. 9 del 22 febbraio 1964 . In quella sede i giudici della Consulta avevano affermato che la inclusione della sottrazione di minorenni nel titolo dei delitti contro la famiglia, lungi dall’essere il frutto di una classificazione meramente formale, trova, per questa ipotesi, una rispondenza effettiva nella natura e nella estensione dell’offesa. Se questa pertanto – proseguono i giudici della Corte Costituzionale – deve ritenersi tale da superare il circoscritto interesse inerente all’esercizio della patria potestà, ne consegue necessariamente una diversa corrispondente estensione della soggettività passiva, con la inclusione anche dell’altro coniuge, il quale investito della patria potestà pur non avendone attualmente l’esercizio, non può, in questa ipotesi, essere escluso dalla rappresentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi interessi. Ecco, dunque, il passaggio fondamentale per la valutazione del ricorso da parte della Corte di Cassazione nel caso di affido familiare i genitori non dichiarati dalla potestà pertinente mantengono un autonomo potere di querela ai sensi dell’art. 574 cod. pen. Inoltre, il diritto di visita – che nel caso specifico il padre aveva pur con appuntamento tramite i servizi sociali – costituisce manifestazione esplicita della permanenza di una potestà che viene soltanto regolamentata nel suo esercizio. Questione di merito Quanto alla doglianza relativa all’assenza di un palese divieto, i giudici di Piazza Cavour mettono in evidenza, al contrario, l’assenza di un palese formale permesso ad espatriare. In ogni caso, costituendo tale osservazione questione di stretto merito, come tale non risulta avere rilievo in sede di cassazione. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 novembre – 5 dicembre 2013, n. 49063 Presidente Agrò – Relatore Citterio Considerato in fatto 1. R.A. cittadina delle omissis era imputata del reato di cui agli artt. 56 e 574 c.p., per aver tentato di sottrarre la figlia minore di sei anni, affidata ai Servizi sociali dal Tribunale per i minorenni di Catania, all'insaputa e contro la volontà del padre J.J. da cui la donna era legalmente separata, intraprendendo un viaggio aereo diretto alle omissis , venendo bloccata dalle autorità di polizia aeroportuali fatto del in ragione delle precedenti sospensioni, il reato si prescrive il 25.11.2013 . La Corte d'appello di Catania in data 8.1.2013 confermava la sua condanna, nei termini deliberati dal locale Tribunale il 6.5.2010. 2. Il ricorso proposto dal difensore nell'interesse dell'imputata enuncia due motivi che attengono ai punti della decisione già specificamente discussi in entrambe le sentenze di merito la ritualità della querela e la sussistenza dell'elemento psicologico del reato. Il primo motivo in particolare deduce violazione degli artt. 574 c.p. e 529 c.p.p. in ordine alla carenza di legittimazione del J. a proporre querela e vizi alternativi della motivazione sul punto. La ricorrente ripropone la tesi che l'affido ai servizi sociali con collocamento presso una famiglia farebbe venir meno una relazione stabile e il rapporto di vigilanza e custodia con la minore il padre essendo nella fattispecie solo destinatario della previsione di incontri con la figlia previo appuntamento con i servizi e, quindi, la legittimazione del padre alla querela. L'art. 574 c.p. dovrebbe infatti essere interpretato nel senso di escludere la legittimazione per i genitori con potestà genitoriale anche solo sospesa, in ragione del suo mancato concreto ed attuale esercizio. Sul punto la Corte distrettuale avrebbe risposto in modo apparente, limitandosi a richiamare la motivazione del Tribunale. Il secondo motivo enuncia vizi di mancanza, illogicità e manifesta contraddittorietà della motivazione, nonché travisamento del fatto in ordine all'elemento psicologico del delitto di cui all'art. 574 c.p La ricorrente evidenzia in proposito e in particolare la mancanza di alcun esplicito divieto di espatrio con la minore allegando nota della polizia di frontiera sulla documentazione acquisita, sul possesso di passaporto e foglio di soggiorno dove ancora la minore era inserita, e sul colloquio del funzionario di polizia aeroportuale con il magistrato per i minorenni l'avere informato la famiglia collocataria e quindi i servizi sociali sicché, essendo il diritto di incontro dell'uomo subordinato ad appuntamento con gli stessi servizi, sarebbe mancata alcuna volontà di sottrazione. Lamenta in proposito che la Corte distrettuale, investita di tale complessiva prospettazione che modificava il presupposto di fatto un preesistente divieto di espatrio certamente noto alla donna dell'argomentazione del Tribunale, avrebbe eluso la risposta con un richiamo non pertinente alla giurisprudenza di legittimità sulla sufficienza del dolo generico nella fattispecie dell'art. 574 c.p Ragioni della decisione 3. Il ricorso è infondato. Al suo rigetto consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali del grado. L'obiettiva insussistenza di un diritto della ricorrente ad espatriare con la figlia è stata argomentata dai Giudici del merito con la disposizione data in proposito dal magistrato del Tribunale per i minorenni, appena contattata dalla polizia aeroportuale, attivata dal padre. Il riferimento è immune da vizi di ordine logico, perché idoneo ad attestare la situazione giuridica obiettiva connessa all'affido come in atto in quel momento. Da qui l'infondatezza in diritto del primo motivo di ricorso, già conformemente argomentata da entrambi i Giudici del merito, del resto in coerenza agli insegnamenti che risalgono ancora a Corte costituzionale sent 9/1964, certamente pertinenti anche al caso concreto, in cui l'affido familiare non aveva determinato alcuna perdita della potestà di genitore, solo regolamentandola. La Corte delle leggi aveva infatti, tra l'altro, argomentato che La inclusione della sottrazione di minorenni nel titolo dei delitti contro la famiglia, lungi dall'essere il frutto di una classificazione meramente formale, trova, per questa ipotesi, una rispondenza effettiva nella natura e nella estensione della offesa. Se questa pertanto deve ritenersi tale da superare il circoscritto interesse inerente all'esercizio della patria potestà, ne consegue necessariamente una diversa corrispondente estensione della soggettività passiva, con la inclusione anche dell'altro coniuge, il quale, investito della patria potestà pur non avendone attualmente l'esercizio, non può, in questa ipotesi, essere escluso dalla rappresentanza della famiglia e dalla tutela dei suoi interessi . Correttamente pertanto le due sentenze di merito evidenziano come nel caso di affido familiare i genitori non dichiarati decaduti dalla potestà pertinente come nella fattispecie mantengono un autonomo potere di querela ai sensi dell'art. 574 c.p. così anche Sez.6, sent. 28862/2002 per il caso in cui manchi un affidamento esclusivo . Del resto, ed è argomento sostanzialmente comune ai due aspetti rito e elemento psicologico del reato , il diritto di visita pur regolamentato secondo le contingenze del caso, nel nostro con appuntamento tramite i servizi sociali costituisce manifestazione esplicita della permanenza di una potestà che vien solo regolamentata nel suo esercizio, ma tutt'altro che esclusa. Orbene, quanto all'elemento soggettivo e pertanto alla consapevolezza della donna in ordine all'illegittimità dell'espatrio della minore a propria discrezione, i Giudici del merito hanno correttamente dato conto dell'immediata evidenza, percepibile pertanto senza alcuna indispensabile ed insuperabile mediazione culturale sull'assetto delle norme, del pregiudizio non superabile che l'espatrio avrebbe comportato per il diritto del padre, del tutto irrilevanti, sotto tale aspetto, essendo le eventuali contingenti difficoltà nei rapporti tra i vari soggetti coinvolti nella vicenda madre, padre, servizi sociali, affidataria . Tale immediata evidenza in fatto del pregiudizio che l'espatrio della minore comportava per il padre, con apprezzamento immune dai tassativi vizi logici di cui alla lettera E dell'art. 606.1 c.p.p. è stata ritenuta assorbente rispetto alla formale inesistenza di uno specifico divieto intervenuto immediatamente dopo il fatto per cui è processo . In altri termini, ciò che rilevava era non tanto l'assenza di un palese divieto evidente per il pregiudizio palese della condotta di espatrio sul diritto attuale del padre , quanto l'assenza di un palese formale permesso ad espatriare. Sul punto, va osservato che la deduzione in fatto del ricorso, relativa alla diretta informazione dei servizi sociali da parte della ricorrente, in ordine alla sua intenzione di espatriare prospettata quale fonte del convincimento della legittimità della propria successiva condotta , costituisce allo stato mera affermazione assertiva e di stretto merito, priva di rilievo in questa sede nell'atto d'appello, infatti, l'odierna ricorrente aveva dedotto di aver informato l'affidataria e di conseguenza i servizi sociali pag. quinta dell'atto d'appello , né dal riferito contenuto della deposizione di questa si evinceva alcuna affermazione della teste affidataria su autorizzazione o permesso da lei o altri dati pag. successiva né diversamente avrebbe potuto essere, la competenza essendo dell'autorità giudiziaria che, come la donna ben conosceva in ragione della disciplina di affido regolamentato in atto, trattava la vicenda dei rapporti tra i due genitori e i due figli minori. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.