Richieste pressanti, troppo pressanti per vedere la figlia... Marito condannato per stalking

Destinataria dei messaggi e delle telefonate è la moglie. Obiettivo dell’uomo è riuscire a vedere e sentire più spesso la figlia, ma il suo comportamento ha solo l’effetto di provocare ansia e timore nella donna, come testimoniato dalla presentazione di tre querele in tre mesi.

Obiettivo riuscire a vedere più spesso la figlia, nonostante il dictum del Tribunale per i minorenni. Ma lo strumento utilizzato da un uomo è davvero quello sbagliato non la strada più conciliante nel rapporto con la moglie, bensì quella delle minacce, realizzate tramite telefonate e messaggi sul cellulare della donna. Inevitabile non ottenere il risultato previsto. Ma logica è anche la condanna per il reato di stalking. Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza n. 48755 depositata oggi Marito e moglie Nel passaggio tra primo e secondo grado, comunque, l’uomo vede alleggerita la propria posizione in Tribunale, difatti, gli erano stati contestati i reati di tentata violenza privata e atti persecutori , mentre in Corte d’Appello rimane sul tappeto solo la contestazione del reato di stalking. Ciò comporta una condanna ridotta non più due anni di reclusione , bensì solo” un anno e quattro mesi di reclusione , per avere rivolto alla moglie frasi minacciose con l’obiettivo di costringerla a fargli vedere e sentire frequentemente la figlia . Persecuzione. Nonostante tutto, però, l’uomo decide comunque di proporre ricorso in Cassazione, mirando a un ulteriore ‘alleggerimento’ della propria condanna. Per raggiungere tale obiettivo viene portata avanti una tesi precisa il comportamento tenuto, sostiene l’uomo, non ha provocato ansia e paura nella donna che, addirittura, ha intrapreso un’altra relazione sentimentale . Per giunta, negli ultimi mesi la condotta era diventata meno aggressiva , come confermato anche dalla donna. Ma queste obiezioni vengono respinte dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, alla luce della vicenda così come ricostruita nei primi due gradi di giudizio, ritengono acclarati non solo i plurimi episodi di minacce e di molestie , ma anche, anzi soprattutto, lo stato di ansia e di timore palesato dalla donna e testimoniato da plurime richieste di aiuto e da tre querele proposte nel periodo di tre mesi . E poi, sottolineano i giudici, anche due sole condotte di minaccia possono bastare per contestare il delitto di atti persecutori . Tutto ciò conduce, quindi, alla conferma definitiva della condanna nei confronti dell’uomo per il reato di stalking.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 marzo – 5 dicembre 2013, numero 48755 Presidente Oldi – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 5.7.2011 la Corte di Appello di Trieste in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Pordenone in data 13.1.2011 nei confronti di B.A., imputato dei reati di tentata violenza privata e atti persecutori condannato dal primo giudice ad anni due di reclusione ed al risarcimento del danno a favore della parte civile - dichiarava il reato di cui agli artt. 56-81-610 CP ascritto per avere rivolto alla moglie, Marcon Manola, frasi minacciose, se ti tiro un calcio ti lascio segni perenni” – hai distrutto la mia vita fallo un’altra volta o vengo io da te”, inviate con telefonate e messaggi,per costringere la persona offesa a fargli vedere e sentire frequentemente la figlia anche in contrasto con quanto stabilito dal Tribunale per i Minorenni - assorbito in quello contestato sub B - ai sensi dell’articolo 612 bis CP. e - previa esclusione dell’aggravante ex articolo 61 numero 2 CP - rideterminava la pena inflitta in anni uno e mesi quattro di reclusione, con la diminuente del rito abbreviato, condannando l’imputato alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile . Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore,deducendo 1 - erronea applicazione dell’articolo 612 bis CP. A riguardo evidenziava che la sentenza si presentava carente nella motivazione in ordine ai presupposti che integrano l’oggettività della condotta delittuosa, richiedendosi l’attitudine della condotta persecutoria ad ingenerare ansia e stato di paura per la propria ed altrui incolumità personale,alla stregua del dettato giurisprudenziale inerente all’ars. 612 bis CP. Censurava dunque la sentenza ritenendo carente la motivazione sul punto. Inoltre smentiva l’assunto accusatorio in riferimento alla circostanza che la donna aveva intrapreso un’altra relazione sentimentale non evidenziando un particolare stato di ansia - - La difesa negava in tal senso che vi fosse prova del mutamento delle abitudini di vita della persona offesa,ed osservava che la condotta tenuta dall’imputato negli ultimi mesi era diventata meno aggressiva, secondo quanto ammesso dalla persona offesa, in sede di sommarie informazioni rese il 27.5.2010 e il 16.6.2010 . 2 - carenza dell’elemento psicologico del reato,rilevando che il comportamento tenuto dall’imputato era derivato unicamente alla volontà di riallacciare i rapporti con la propria figlia minore, dovendo ritenersi in tal senso esclusa l’intenzione di molestare la moglie. 3 - la violazione dell’articolo 192 CPP, rilevando che il giudizio di responsabilità dell’imputato era stato fondato sulle dichiarazioni della persona offesa che si era costituita parte civile, e che non ne era stata verificata l’attendibilità. Per tali motivi chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata. Rileva in diritto Il ricorso è privo di fondamento. In ordine al primo motivo va evidenziato che dal testo del provvedimento impugnato si desume la corretta applicazione della ipotesi di reato enunciata dall’articolo 612 bis CP. in quanto il giudice di merito ha evidenziato con congrua motivazione il verificarsi di plurimi episodi di minacce e molestie, che costituivano espressione della condotta tesa a realizzare il perdurante stato di ansia della persona offesa - secondo le precise e coerenti argomentazioni svolte dal giudice di appello ove sottolinea lo stato di ansia e timore palesato dalla donna, che aveva rivolto plurime richieste di aiuto,ed aveva presentato tre querele nel periodo di tre mesi. Inoltre risulta evidenziato che lo stato di timore della persona offesa era emerso altresì da relazione dei Servizi Sociali del 29.1.2010 menzionata a fl. 5 sentenza . Ugualmente privi di fondamento risultano gli ulteriori rilievi difensivi, concernenti la presunta violazione dell’articolo 192 CPP. A riguardo deve evidenziarsi che risulta puntualmente valutata, secondo i criteri dettati dall’articolo 192 CPP., la condotta criminosa, oltre che sulla base di quanto denunciato dalla persona offesa, alla stregua di ulteriori elementi, con attenta analisi della globalità degli elementi probatori, specificando che le manifestazioni della condotta illecita risultavano attestate anche dal contenuto di relazione dei Servizi Sociali e da un intervento dei CC. come si desume dalla motivazione della sentenza impugnata. In tal senso deve escludersi pertanto il fondamento delle censure della difesa relative alla carenza degli elementi costitutivi del reato ex articolo 612 bis CP. v. Cass.V - sentenza del 17 febbraio 2010, numero 6417. Oliviero - RV 245881-secondo cui integrano il delitto di atti persecutori anche ,due sole condotte di minaccia o molestia,come tali idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice. Alla stregua della adeguata e specifica motivazione resa dal giudice di appello, devono ritenersi inoltre inammissibili i rilievi svolti dalla difesa articolati in fatto, e quelli tendenti alla diversa interpretazione della vicenda di cui si tratta,restando tali rilievi privi di efficacia ai fini della decisione perché meramente ripetitivi delle deduzioni formulate in grado di appello, come tali ininfluenti in questa sede. In conclusione deve essere pronunciato il rigetto del ricorso, ed il ricorrente va condannato, come per legge, al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute dalla costituita parte civile, che vengono liquidate in complessivi € 2.800,00, oltre accessori dovuti per legge. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,e alla rifusione delle spese in favore della parte civile liquidate in € 2.800,00 complessivi oltre accessori come per legge. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’articolo 52 Dlgs.numero 196/03.