Il correo/pentito riferisce fatti di reato appresi dall’imputato, quelle dichiarazioni sono pienamente utilizzabili

Anche quando l’imputato tace o nega, quelle dichiarazioni vanno semplicemente riscontrate. Soccombe l’art. 195 c.p.p., libero spazio alla valutazione giudiziale.

Il fatto tutti insieme delinquevano appassionatamente. Mariti detenuti, mogli e parenti avevano realizzato un sofisticato sodalizio criminale, funzionale alla commissione di reati di stampo mafioso quali estorsioni, acquisto e detenzione abusiva di armi e traffico di sostanze stupefacenti. Gli ordini giungevano dalla casa circondariale, a mezzo di un telefono scovato solo a seguito di una approfondita ispezione nei luoghi di detenzione. Le condanne dei tribunali di merito vengono impugnate per la mancata consistenza logica della motivazione e per vizi processuali in ordine al grado raggiunto della prova dei fatti contestati – in particolare, per il mancato riscontro delle dichiarazioni dei coimputati e per seguente violazione dell’art. 195 c.p.p., sull’attendibilità della testimonianza de relato -. La Cassazione, Prima sezione Penale, n. 48421, depositata il 4 dicembre 2013, rigetta tutti i motivi di ricorso. Lo stato di imputato” come quarta eccezione non scritta alla dovuta escussione della fonte diretta”, in caso di testimonianza de relato. La soluzione sconfessata. L’art. 195 c.p.p., impone l’escussione della fonte primaria , nel caso in cui il testimone si riferisca ad altri per la conoscenza dei fatti che riporta. Nei processi per mafia, ed in ogni altro sia ravvisabile la figura del pentito” – tecnicamente rubricabile come coimputato oppure come imputato in un procedimento connesso o collegato ex artt. 210 c.p.p. e 197 bis c.p.p. -, la fonte primaria può essere costituita dall’imputato sub iudice – come nel caso sottoposto alla Corte -, il quale di regola si sottrae a dichiarazioni confessorie. Per l’orientamento negato, appurate quelle reticenze, altre dichiarazioni de relato non sarebbero in grado di suffragare le prime, pena il costituirsi di un assurdo moto circolatorio delle notizie concernenti fatti di reato, prive di un reale ed ultimo riscontro diretto. In caso di reticenza dell’imputato/fonte primaria, le dichiarazioni de relato sarebbero dunque inutilizzabili ex art. 195, terzo comma, c.p.p. invece quelle dichiarazioni sono utilizzabili. La Cassazione giunge ad una soluzione di minor rigore, sulla scia di un recente consolidato giurisprudenziale. Plurime le ragioni. In primis , sotto un profilo sistematico, l’art. 195 è norma espressiva del principio madre del libero convincimento giudiziale ex art. 192 c.p.p., il quale costituisce la stanza di compensazione dell’insieme di prove e di riscontri giudizialmente acquisiti, non irregimentabile dalle strettoie di una ermeneutica letterale ed esigua dell’art. 195 c.p.p. Dunque, l’art. 195 c.p.p. – quando impone l’escussione della fonte diretta - non condiziona tassativamente gli spazi della discrezione giudiziale. In secundis, vanno indagate le specificità delle parti processuali coinvolte. Quando la fonte indiretta è costituita da una figura processuale specificamente individuata da altre norme - i citati artt. 210 e 197 bis c.p.p., ossia i coimputati, gli imputati in procedimenti connessi o collegati -, ai casi espressi dall’art. 195 c.p.p. di impossibilità di escussione della fonte primaria – morte, infermità o irreperibilità – vanno aggiunti i casi in cui la fonte diretta sia costituita dall’ imputato per cui è processo penale. Quando la fonte primaria è parte imputata e questa nega, la fonte indiretta può essere ritenuta credibile. Due le ragioni. La prima in tali casi la dichiarazione a proprio danno – da parte dei correi de relato - di una corresponsabilità per condotte di reato, consente una valutazione di maggiore attendibilità intrinseca delle relative dichiarazioni e giustifica un minor rigore in ordine all’insieme dei riscontri delle medesime – non occorre dunque l’escussione della fonte diretta, costituita dall’imputato, per ritenere utilizzabili quelle dichiarazioni -. La seconda spesso non sussiste l’obbligo a deporre. L’imputato infatti non può assumere la veste testimoniale, non può esserne disposto l’accompagnamento coattivo salvo faccia richiesta o consenta l’esame ex art. 208 c.p.p. Inoltre, in altri casi, il testimone già giudicato non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata in giudizio sentenza di condanna a suo carico – ex artt. 197 bis, quarto comma, e 198, secondo comma, c.p.p. -. Quindi, l’art. 195 c.p.p., quando impone l’escussione della fonte primaria ai fini dell’utilizzabilità delle dichiarazioni della fonte indiretta, cede alla specificità di questa, se costituita da parte correa imputata o testimone ex art. 197 bis c.p.p. Allora quelle dichiarazioni de relato , pur assente l’escussione della fonte diretta , possono essere utilizzate – se riscontrate in altro modo, ad esempio da analoghe dichiarazioni de relato , secondo la libera determinazione giudiziale e i canoni della valutazione probatoria –. Tanto vale, purchè sia possibile fornire una valutazione positiva della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca di ogni singola dichiarazione de relato , siccome specifica, coerente, costante e spontanea – ex art. 192, terzo comma, c.p.p. -. Al contempo verificando i rapporti personali tra il dichiarante e la fonte diretta, e l’assenza di accordi lesivi degli interessi alla verità processuale. Pur sconfessato l’art. 195 c.p.p., quando la fonte primaria è l’imputato, non si sfugge tuttavia al rigore logico delle valutazioni giudiziali in punto di prova.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 19 giugno - 4 dicembre 2013, n. 48421 Presidente Siotto – Relatore Mazzei