«Papà coltiva canapa indiana», lui non è d’accordo: non può esserci concorso

Lui è il proprietario del fondo ma il reale gestore è suo padre, per questo sono illegittimi gli arresti domiciliari nei suoi confronti se la coltivazione di canapa indiana è iniziata contro la sua volontà.

La fattispecie. 1070 piante di canapa indiana coltivate nell’azienda agricola di famiglia scatta la misura cautelare in carcere per un uomo, reale gestore dell’azienda, e gli arresti domiciliari per suo figlio, a cui è intestata l’azienda. Proprio quest’ultimo propone ricorso per cassazione sent. n. 48120, depositata il 3 dicembre 2013 . Pare – secondo quanto dichiarato dal ricorrente – che l’azienda fosse a lui intestata perché il padre era stato dichiarato fallito in passato. E, inoltre, c’era stata una lite con il genitore nel momento in cui era venuto a conoscenza dell’illecita condotta tenuta dal padre. Tutto ciò era ritenuto insufficiente dai giudici di merito per escludere il concorso nel reato, ma i giudici di legittimità sono di diverso parere. Inammissibile la responsabilità oggettiva attribuita al ricorrente. Infatti, la motivazione dei giudici di merito sembra avere inammissibilmente attribuito all’attuale ricorrente una sorta di responsabilità oggettiva ed un obbligo giuridico di denuncia del padre, inesistenti nel nostro ordinamento ma ritenuti invece ricollegabili ad una pretesa posizione di garanzia che deriverebbe esclusivamente dalla sua qualità di formale proprietario dell’azienda agricola. In realtà – conclude la Corte, annullando l’ordinanza impugnata - non sono indicate concrete condotte addebitabili al ricorrente idonee ad integrare una agevolazione o un concorso nella illecita attività paterna e, ancora, nemmeno si dice che vi siano gravi indizi di una sua diretta partecipazione alla illecita coltivazione, o la sua presenza nella serra, o la disponibilità di cose pertinenti al reato .

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 19 novembre – 3 dicembre 2013, n. 48120 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo Con l'ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Roma confermò l'ordinanza emessa il 21.6.2013 dal Gip di Latina che aveva applicato a C.M. la misura cautelare degli arresti domiciliari ed a C.A. la misura cautelare della custodia in carcere, in relazione al reato di cui all'art. 73 d.p.R. 309 del 1990, per avere coltivato 1.070 piante di canapa indiana e detenuto altri gr. 5 di canapa indiana e gr. 2 di marijuana. Osservò il tribunale che C.M. , pur non condividendo l'operato del padre che era il reale gestore dell'azienda agricola intestata al figlio, tuttavia, quale proprietario della stessa, rivestiva un ruolo di indubbia, oggettiva responsabilità, che implicava, nei casi - come quello di specie - di accettazione consapevole di una situazione illecita, una evidente forma di agevolazione della stessa sotto il profilo dell'apporto non solo morale, ma anche logistico-fattuale. Trattandosi poi di reato non occasionale vi era rischio di recidiva. C.M. , a mezzo dell'avv. Antonio Urciolo, propone ricorso per cassazione deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione. Ricorda che l'azienda era stata a lui intestata perché il padre, che di fatto la gestiva, era stato in precedenza dichiarato fallito che egli era per caso venuto a conoscenza solo pochi mesi prima che in una delle cinque serre erano coltivate piante di canapa indiana che non aveva condiviso questa scelta entrando in contrasto col padre che in sede di interrogatorio di garanzia aveva reso dichiarazioni accusatorie nei confronti del padre. Lamenta che il tribunale del riesame ha invece ritenuto una sua responsabilità oggettiva non prevista nel nostro ordinamento. Egli non aveva certo l'onere di denunciare il padre, essendovi anzi in casi analoghi tutele giuridiche di segno opposto. Egli è inoltre dipendente di altra attività che si occupa di lavori di piccola muratura. Non esistono pertanto nei suoi confronti gravi indizi di colpevolezza. Motivi della decisione Il ricorso è fondato. L'ordinanza impugnata sembra avere ammesso che effettivamente l'azienda agricola in questione era gestita dal solo C.A. che l'azienda era stata intestata al figlio M. perché il padre era stato dichiarato fallito che C.M. era venuto a conoscenza per caso che in una delle cinque serre era coltivata canapa indiana e si era opposto, tanto da avere litigato col padre. Ha però ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza anche a carico di C.M. per il testuale motivo che non è, infatti, sufficiente, per escludere il concorso nel reato, affermare solo a parole che non si condividono le scelte illecite del genitore e litigare con lui quando, nella qualità di titolare dell'azienda agricola adibita a coltivazione illecita, si riveste un ruolo di indubbia, oggettiva responsabilità, che implica, nel caso - come quello di specie - di accettazione consapevole di una situazione illecita, una evidente forma di agevolazione della stessa sotto il profilo dell'apporto non solo morale, ma anche logistico-fattuale”. Si tratta però di una motivazione erronea, oltre che meramente apparente, perché sembra avere inammissibilmente attribuito all'attuale ricorrente una sorta di responsabilità oggettiva ed un obbligo giuridico di denuncia del padre, inesistenti nel nostro ordinamento ma ritenuti invece ricollegabili ad una pretesa posizione di garanzia che deriverebbe esclusivamente dalla sua qualità di formale proprietario dell'azienda agricola. L'ordinanza impugnata afferma che la consapevole accettazione di questa situazione da parte del figlio ossia, sembrerebbe di capire, la mancata denunzia del padre si sarebbe risolta nel caso di specie in un concorso nel reato, nella forma della agevolazione del reato stesso sotto il profilo non solo morale ma anche logistico-fattuale. L'affermazione è rimasta però meramente apodittica perché non è in alcun modo spiegato in cosa sarebbe consistita questa agevolazione logistica-fattuale” o questo concorso anche soltanto morale. Non sono indicate concrete condotte addebitabili al ricorrente idonee ad integrare una agevolazione o un concorso nella illecita attività paterna e nemmeno si dice che vi siano gravi indizi di una sua diretta partecipazione alla illecita coltivazione, o la sua presenza nella serra, o la disponibilità di cose pertinenti al reato. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata per carenza di motivazione con rinvio per nuovo esame al tribunale di Roma. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla l'ordinanza impugnata con rinvio al tribunale di Roma.