Bastano due sole condotte persecutorie per integrare il reato

Nel delitto di atti persecutori l’elemento costitutivo sul piano materiale non è dato solo dal fattore tempo, ma dall’evento in termini di pregiudizio alla persona da porre in stretta correlazione con il dato della ripetitività. È da escludere l’equivalenza del concetto di reiterazione con la serialità né la definizione concettuale di reato abituale data dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità alla espressione atti persecutori” vale ad escludere che due sole condotte di identica natura siano bastevoli per la configurabilità del reato.

Lo ha stabilito la Terza sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 45648 depositata il 14 novembre 2013. Il caso. Un uomo veniva condannato in primo grado per i delitti di violenza sessuale e atti persecutori, in continuazione e condannato, alla pena di anni quattro. Il giudice di seconde cure, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, rideterminava la pena complessiva in anni e mesi sei di reclusione. L’imputato proponeva ricorso per cassazione ritenendo non corretta la qualificazione della condotta nello schema dell’art. 612-bis c.p. sotto un triplice profilo 1 il concetto di reiterazione non può essere integrato soltanto dai due episodi persecutori nel caso di specie, quelli del 17 settembre e del 18 ottobre 2010, denunciati con querela del 18 ottobre 2010 in quanto per i pregressi fatti di stalking era intervenuta nel giugno 2010 remissione della prima querela 2 il delitto di atti persecutori viene escluso in caso di reciprocità delle condotte 3 per la consumazione del reato ex art. 612-bis c.p. occorre che vi sia prova documentale delle conseguenze psico-fisiche ingenerate nella persona offesa. Sul concetto di reiterazione nel reato di stalking. La Suprema Corte, nel rigettare tutti i motivi inerenti al fatto tipico della fattispecie incriminatrice degli atti persecutori, ritiene che anche due sole condotte in successione tra loro, anche se intervallate nel tempo, bastano ad integrare sotto il profilo temporale il reato per quanto riguarda l’aspetto materiale , richiamando, all’uopo, la sua precedente giurisprudenza Cass. n. 25527/2010, in Cass. pen., 2011, 966, con nota, se vis, di C. Minnella, Restano incerti i confini della punibilità del delitto di atti persecutori, ivi, 968 s. . Per la Suprema Corte, nel delitto di atti persecutori l’elemento costitutivo sul piano materiale non è dato solo dal fattore tempo, ma dall’evento in termini di pregiudizio alla persona da porre in stretta correlazione con il dato della ripetitività in altri termini, una condotta che fosse circoscritta ad una serie di atti di disturbo, non seguita dall’evento-danno sulla persona non integrerebbe la fattispecie, così come non la integrerebbe una condotta tale da provocare un senso di paura o di stress non preceduto o caratterizzato da una ripetitività dell’azione. È da escludere – conclude sul punto la sentenza in rassegna – è l’equivalenza del concetto di reiterazione con la serialità né la definizione concettuale di reato abituale data dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità alla espressione atti persecutori” vale ad escludere che due sole condotte di identica natura siano bastevoli per la configurabilità del reato . È proprio in tali passaggi che l’orientamento di Cassazione finisce per non essere condivisibile se il requisito della reiterazione degli atti di molestia o minaccia deve essere ricostruito alla luce degli eventi tipici che la norma richiede indurre un perdurante stato di ansia o di paura nella persona offesa, che si sia vista costretta a modificare le proprie abitudini di vita , è chiaro che gli atti di aggressione devono presentare un grado di invasività nella vita della vittima da determinare uno stravolgimento psichico e della stessa organizzazione della quotidianità, compatibile solo con condotte caratterizzate da costanza, permanenza, imponenza tali da costituire un vero e proprio impedimento alle sue normali abitudini di vita [Trib. Roma n. 3181/2010, per il quale due soli episodi di aggressione non sono sufficienti a configurare il delitto di atti persecutori anche per G.I.P. Trib. Reggio Emilia, 12 marzo 2009, ivi, condotte persecutorie limitate a pochi giorni non sono idonee ad integrare il reato di cui all’art. 612-bis c.p. ]. Tale conclusione lascia perplessi in quanto sembra difficile che con due soli atti di minaccia o molestia si possa arrivare a tali conseguenze, con il conseguente rischio di ampliare eccessivamente l’area del penalmente rilevante degli atti persecutori, anticipandone la soglia della punibilità prima dell’effettiva realizzazione dell’evento. In definitiva, come ben sottolineato dalla giurisprudenza di merito, sebbene la Cassazione abbia precisato, in relazione alla fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., che anche solo due condotte di minaccia o molestie siano sufficienti per la consumazione del reato, appare evidente che l’uso normativo dell’aggettivo reiterate” implichi sicuramente condotte non sporadiche e frequenti nel tempo in altre parole, la serialità appare evidentemente un requisito essenziale all’incriminazione, non comprendendosi, altrimenti, la differenza tra il reato continuato di molestie di cui all’art. 612 c.p. e quello di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. Corte Appello Napoli, 15 luglio-15 ottobre 2010 . Sussistenza del delitto di atti persecutori in caso di reciprocità delle molestie e minacce. La sentenza n. 45648/13 ritiene non fondato neanche il motivo inerente all’erronea applicazione della legge penale per avere il giudice di seconde cure confermato il giudizio di responsabilità e la qualificazione della condotta nonostante la reciprocità delle condotte disturbatrici o insolenti o petulanti o aggressive. Sulla quaestio, viene richiamata dagli ermellini la precedente giurisprudenza per la quale la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita Cass. n. 17698/2010, in CED Cass. pen. 2010, rv 247226. Nello stesso senso, Cass. n. 36737/2012 . Per giungere a tale conclusione si è partiti dalla premessa che il paradigma normativo di riferimento, ossia quello del reato di atti persecutori, prevede che dal comportamento reiteratamente minaccioso o comunque molesto dell'agente derivi, quale ulteriore evento dannoso, un perdurante stato d'ansia o di paura della persona offesa, oppure un fondato timore della stessa per l'incolumità propria o di soggetti vicini, oppure ancora il mutamento necessitato delle proprie abitudini di vita tre fattispecie che valgono a connotare la posizione della persona offesa come quella di un soggetto violato nella propria libertà morale - come si desume dalla collocazione sistematica della norma nella sezione III, del titolo 12 del secondo libro del c.p. - e costretto ad una posizione seriamente difensiva a causa del debordante invasività degli atti vessatori posti in essere dall'agente. Si tratta, come è evidente, di un accertamento che in tanto può dirsi incensurabile quanto ai requisiti della offesa e della difesa , in quanto sia esteso a sindacare tutti gli elementi utili offerti alla cognizione del giudice ed in particolare quelli che possono servire a sceverare un comportamento effettivamente persecutorio da altro comportamento invece ricadente nell'ambito di una litigiosità, ad armi pari, nell'ambito di un rapporto che risulti aggressivo, sia pure con modalità extra-ordinem, ma in maniera biunivoca. Per i giudici di legittimità, tuttavia, si intende peraltro sostenere che la reciprocità dei comportamenti molesti comporti necessariamente la esclusione, in linea di principio, del la rilevanza penale delle condotte come persecutorie ex art. 612-bis c.p. ma si vuole richiamare l'attenzione su un dato che, ove ricorrente, comporterebbe un più accurato onere di motivazione in capo al giudice in ordine al modo in cui si verrebbe a configurare in concreto, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita. Anche per Cass. civ., sez. un., 28 maggio 2012, n. 8407, in Giust. civ. Mass. 2012, 5, 677, in tema di responsabilità disciplinare del magistrato, l'illecito previsto dall'art. 4, comma 1, lett. d , d.lg. 23 febbraio 2006 n. 109 può essere integrato dal compimento di atti persecutori, anche in caso di reciprocità di comportamenti molesti, poiché la reciprocità non esclude la configurabilità del reato. Il Supremo Collegio civile la giurisprudenza di questa Corte è univocamente orientata nei senso che la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita Cass. pen. 5 febbraio 2010, Marchino . Da questo principio non vi è ragione di discostarsi, stante la sua coerenza con la disciplina degli atti persecutori, che non prevede fa reciprocità come ragione di esclusione del reato . Deve valutarsi se si configuri, nel caso della reciprocità degli atti minacciosi, la posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria. La sentenza n. 17698/2010 conclude, sul punto, che è utile sottolineare al riguardo che il reato in discussione, per l'evento di danno di cui è stato connotato, differisce - come arguibile anche dall'andamento dei lavori preparatori della legge - dalla struttura del reato di minacce che pure ne può rappresentare un elemento costitutivo la norma che incrimina la minaccia delinea infatti, a differenza di quella che qui interessa salva ovviamente la configurabilità del tentativo di quest'ultima , un reato di pericolo, per la cui integrazione non è richiesto che il bene tutelato sia realmente leso mediante l'incussione di timore nella vittima. Solo per il reato di minacce vale dunque l'osservazione che è sufficiente che il male prospettato sia anche soltanto idoneo a incutere timore in un soggetto passivo generalizzato, menomandone, per ciò solo, la sfera della libertà morale. Nel reato di atti persecutori rileva invece la risposta in concreto prodotta sul soggetto passivo effettivo . Sul rapporto tra i delitti di atti persecutori e quello di lesioni . Viene rigettato dalla sentenza n. 45648/13 pure il motivo del ricorrente per il quale mancherebbe la prova del danno psichico subito dalla persona offesa. Sul punto, vengono richiamati i precedenti arresti per i quali la sussistenza del grave e perdurante stato di turbamento emotivo, ritenuto idoneo a essere inquadrato nell'evento di cui all'art. 612-bis c.p., non dipende dall'accertamento di una stato patologico, rilevante solo nell'ipotesi di contestazione di concorso formale di ulteriore delitto di lesioni. La nuova tipologia non può essere ricondotta in una ripetizione del reato ex art. 582 c.p. - il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica - ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità, dell'equilibrio psicologico della vittima. Tale evento destabilizzante è stato correttamente ritenuto sussistente dai giudici di merito, pur non risultato progredito in uno stato patologico, il cui accertamento potrà rilevare ai fini della sussistenza di eventuale ulteriore reato di lesioni . Nessun dubbio può sussistere per i giudici di legittimità sull'autonomia delle due distinte fattispecie delittuose, concettualmente ed ontologicamente non sovrapponigli, posto che l'evento del reato di cui all'art. 612-bis c.p. non deve necessariamente sostanziarsi in uno stato patologico potendo consistere in perdurante grave stato di ansia o di paura, ove invece l'evento del reato di lesione personale, di cui all'art. 582 c.p., consiste nella malattia, genericamente intesa, nel corpo o nella mente Cass. n. 16864/2011, rv. 250158 . I detti reati possono, pertanto, pacificamente concorrere, con conseguente possibilità che il reato di lesione personale possa essere posto in rapporto di connessione teleologica con l'altra fattispecie delittuosa, che, come è noto, comporta procedibilità d'ufficio dello stesso delitto di lesione personale, ai sensi del combinato disposto degli artt. 582-585 e 576 c.p.p. Cass. n. 32147/2013 . Del concorso e dell’autonomia del delitto di atti persecutori e di lesioni personali deriva anche che la remissione di querela della vittima di stalking rende impossibile perseguire d’ufficio il reato di atti persecutori ma non impedisce di procedere per il reato di lesioni Cass. n. 38690/2013 . Secondo la Suprema Corte, infatti, l’art. 582, comma 2, c.p., nel rendere perseguibile d’ufficio la lesione personale quando concorrano alcune delle circostanze aggravanti di cui agli artt. 583 e 585 c.p., ad eccezione di quelle indicate nel n. 1 e nell’ultima parte dell’art. 577 c.p., non opera alcuna distinzione tra le circostanze aggravanti cui fa rinvio, perseguendo l’evidente finalità di sottrarre ai potere dispositivo della persona offesa la procedibilità penale in relazione a reati di particolare gravità, come appunto appare quello di lesione personale commessa in danno della stessa persona vittima del reato di cui all’art. art. 612-bis, c.p. . Se, dunque, si assume la prospettiva dell’interesse avuto di mira dal legislatore - prosegue la sentenza n. 38690/13 – è, in definitiva, quello di assicurare una protezione più intensa del bene giuridico tutelato dall’art. 582 c.p., quando esso sia aggredito con modalità particolarmente gravi ed odiose, appare evidente che l’intervenuta remissione di querela renderà senza dubbio non perseguibile il delitto di atti persecutori ma non può incidere in nessun modo sulla perseguibilità di un reato, che, in quanto aggravato secondo una delle modalità richiamate dall’art. 585, comma 1, c.p., il legislatore ha voluto venisse sottratta ai potere dispositivo della persona offesa. Sul trattamento sanzionatorio. L’unico motivo che viene accolto dalla sentenza in rassegna è quello inerente al criterio di graduazione della pena per il delitto di violenza sessuale a fronte della riconosciuta circostanza attenuante del fatto di minore gravità, avendo la Corte d'appello preso a base una pena eccessiva. Secondo la Suprema Corte, per ciò che concerne la pena base per il reato più grave di violenza sessuale, il mero riferimento alla particolare intensità del dolo in termini di pervicacia che sembra però riferirsi più agli atti vessatori che al gesto sessuale non può considerarsi un parametro di valutazione sufficiente, tanto più in considerazione della limitata offensività dell'azione sul piano della libertà sessuale, che ha indotto i giudici di secondo grado a riconoscere la circostanza attenuante del fatto di minore gravità e della situazione di incensuratezza alla base della concessione delle circostanze attenuanti generiche. Per queste ragioni ha annullato la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 maggio - 14 novembre 2013, n. 45648 Presidente Lombardi – Relatore Grillo Ritenuto in fatto 1.1 Con sentenza del 25 maggio 2012 la Corte di Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza emessa il 3 novembre 2011 dal Giudice dell'udienza Preliminare del Tribunale di Velletri nei confronti di U.G. , imputato dei delitti di atti persecutori art. 612 bis cod. pen. e violenza sessuale art. 609 bis cod. pen. , con la quale lo stesso era stato condannato, con la continuazione tra i due reati, alla pena complessiva di anni quattro di reclusione oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita, concedeva le circostanze attenuanti generiche e, per l'effetto, rideterminava la pena complessiva in anni due e mesi due di reclusione, contestualmente revocando l'interdizione temporanea dai pubblici uffici e confermando nel resto anche con riferimento alle disposte statuizioni civili. 1.2 A fondamento di detta decisione la Corte territoriale ribadiva la configurabilità del reato di atti persecutori sia sulla base delle condotte reiteratamente poste in essere dall'U. dopo l'11 giugno 2010 data nella quale la persona offesa rimetteva la querela con riferimento alle condotte pregresse , sia in relazione al comprovato stato di ansia procurato dal detto imputato alla donna per via delle minacce e pedinamenti fatti nei suoi confronti. Ancora, con riferimento al reato di cui al capo A , la Corte riteneva sussistente il reato anche in presenza di condotte reciproche di tipo molesto o intimidatorio o aggressivo o petulante. Ed infine, escludeva l'effetto estintivo del reato de quo in relazione alla intervenuta rimessione della querela peraltro dovuta al timore di ritorsioni da parte dell'U. , atteso il suo carattere collerico e violento , rilevando come in prosieguo l'atteggiamento persecutorio fosse continuato attraverso le condotte descritte dalla parte offesa nella successiva querela sporta in data 18 ottobre 2010 e relativa a due episodi avvenuti, rispettivamente, il 17 settembre e il 18 ottobre 2010. Quanto, poi, al reato di violenza sessuale, ne ribadiva la configurabilità sulla base della versione fornita dalla donna ai Carabinieri nella immediatezza del fatto, versione che la Corte riteneva credibile. Veniva, di contro, riconosciuta la circostanza attenuante del fatto di minore gravità e le circostanze attenuanti generiche originariamente negate dal G.U.P 1.3 Per l'annullamento della detta sentenza propone ricorso l'imputato a mezzo del proprio difensore articolando nove motivi che qui si espongono succintamente. Con il primo viene denunciata la manifesta illogicità della motivazione in punto di qualificazione della condotta nello schema dell'art. 612 bis cod. pen Con il secondo motivo la difesa deduce inosservanza dell'art. 597 cod. pen. per avere la Corte rimesso in discussione l'intera condotta del reato di atti persecutori, richiamando episodi travolti dalla intervenuta rimessione della querela e per i quali si era formato il giudicato. Con il terzo motivo viene dedotta inosservanza dell'art. 152 comma 1 cod. proc. pen. e violazione del principio del favor rei rilevando che, a seguito della intervenuta rimessione della querela per gli episodi antecedenti all'11 giugno 2010 data di rimessione della querela , la condotta antecedente non poteva più avere alcuna rilevanza anche in presenza di reati permanenti o abituali, se non per le condotte successive purché oggetto di separata ed autonoma querela. Con il quarto motivo la difesa lamenta inosservanza della norma penale art. 612 bis cod. pen. deducendo che, a seguito della intervenuta rimessione della querela, la condotta punibile doveva circoscriversi soltanto agli episodi successivi all'11 giugno 2010 ed oggetto della querela del 18 ottobre 2010. Con il quinto motivo la difesa lamenta analogo vizio in relazione alla non ripetitività degli atti di molestia inidonei a concretizzare l'ipotesi delittuosa contemplata nell'art. 612 bis cod. pen., essendo insufficienti due soli episodi come, invece, erroneamente ritenuto dalla Corte territoriale. Con il sesto motivo la difesa lamenta l'inosservanza degli artt. 50 e 612 bis cod. pen. con riferimento alla reciprocità delle condotte, inidonea, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, ad integrare il reato. Con il settimo motivo la difesa lamenta - con riferimento al reato di atti persecutori - mancanza di motivazione in ordine agli elementi costitutivi del reato, per avere la Corte omesso di argomentare in ordine alla conseguenze psico-fisiche ingenerate sulla donna dal comportamento dell'imputato. Con l'ottavo motivo la difesa deduce analogo vizio con riferimento alla ritenuta sussistenza del delitto di violenza sessuale, per avere la Corte distrettuale espresso un giudizio di attendibilità nei riguardi della vittima in termini superficiali. In ultimo, con il nono motivo, la difesa si duole di carenza della motivazione con riferimento al criterio di graduazione della pena per il delitto di violenza sessuale a fronte della riconosciuta circostanza attenuante del fatto di minore gravità, avendo la Corte preso a base una pena eccessiva. Considerato in diritto 1. Il ricorso è parzialmente fondato nei termini e limiti qui di seguito precisati. 2. Il primo motivo afferisce ad una pretesa contraddittorietà tra la decisione di primo grado e quella di appello in ordine alla descrizione della condotta e, in particolare, in ordine alla indicazione degli episodi integranti il reato contestato al capo A a giudizio del ricorrente, infatti, mentre la condotta accertata dal Tribunale riguarderebbe tre distinti episodi, uno dei quali quello relativo al periodo gennaio-febbraio 2010 estinto per sopravvenuta rimessione della querela e gli altri riferibili, rispettivamente, al 17 settembre e 18 ottobre 2010, quella accertata dalla Corte distrettuale riguarderebbe non solo i detti episodi ma anche altri non tenuti in considerazione dal Tribunale. La censura non è condivisibile e risulta, anzi, manifestamente infondata in quanto la Corte territoriale ha preso in considerazione ai fini della conferma del giudizio di colpevolezza unicamente i due episodi verificatisi il 17 settembre e 18 ottobre 2010 denunciati dalla donna con la querela del 18 ottobre 2010, dopo che la precedente querela avente per oggetto non solo i fatti del gennaio-febbraio 2010, ma anche altri di minore rilevanza era stata rimessa dalla persona offesa D.M. l'11 giugno 2010. 3. Il secondo motivo riguarda la presunta violazione dell'art. 597 comma 1 cod. pen. per avere la Corte territoriale rimesso in discussione un punto della decisione sulla quale si era, a giudizio del ricorrente, formato il giudicato, in quanto non sottoposta a gravame. Si tratta di un rilievo infondato perché la Corte territoriale ha preso a base della conferma del giudizio di colpevolezza unicamente i fatti non coperti da giudicato, senza alcuna rivisitazione di episodi antecedenti all'11 giugno 2010 se non in termini di mero ricordo storico avulso da qualsiasi statuizione . La norma processuale indicata dal ricorrente non ha, quindi, subito alcuna errata interpretazione avendo il giudice distrettuale rispettato il principio del tantum devolutum quantum appellatum in piena coerenza con le regole interpretative affermate al riguardo dalla giurisprudenza di questa Corte. Nessun peggioramento della posizione processuale dell'imputato è ravvisabile nella motivazione della Corte, né la descrizione delle precedenti condotte ivi compresi alcuni episodi non tenuti in conto dal G.U.P. ha comportato una decisione sfavorevole per l'imputato. 4. Altrettanto inesatta la tesi di difensiva enunciata nel terzo motivo circa la pretesa violazione dell'art. 152 comma 1 cod. proc. pen., in quanto la sentenza si riferisce essenzialmente alle condotte successive all'11 giugno 2010 e, più esattamente, a quelle oggetto della seconda querela sporta dalla D. , dopo che la precedente rimessione non aveva sortito alcun effetto deterrente nei riguardi dell'imputato che aveva proseguito imperterrito nelle proprie condotte molestatrici ed intimidatorie. Sicché, fermo l'effetto estintivo della rimessione per le condotte pregresse, il giudizio della Corte è rimasto circoscritto soltanto a quelle condotte per le quali era stata proposta autonoma querela successiva alla precedente. Il riferimento del ricorrente ai reato permanente è del tutto improprio, posto che, versandosi in tema di reato abituale, la Corte ha tenuto distinte le varie condotte, occupandosi unicamente di quelle sottoposte al suo vaglio a seguito dell'appello proposto dall'imputato. I principi contenuti nelle massime evocate dal ricorrente sono stati, quindi, puntualmente ed esattamente applicati dal giudice distrettuale invero, poiché la rimessione della querela costituisce una causa estintiva del reato ex art. 152 cod. pen. essa opera per i fatti precedenti, ma non per quelli successivi, con la conseguenza che nel caso di reato permanente o abituale come nella specie non è preclusa, pur in presenza di un effetto estintivo per le condotte pregresse, la proposizione di altra querela per le condotte susseguenti non comprese nella rimessione, suscettibili, pertanto, di formare oggetto di una nuova indagine e dunque non sottratte alla cognizione del giudice il che è esattamente avvenuto nel caso in esame. 5. Per ragioni sostanzialmente analoghe va ritenuto infondato il quarto motivo. 6. Con riferimento al quinto motivo, la censura non può essere condivisa il concetto di reiterazione della condotta contenuto nel comma 1 dell'art. 612 bis cod. pen. denota la ripetizione di una condotta una seconda volta, ovvero più' volte con insistenza. Se ne deduce, dunque, che anche due sole condotte in successione tra loro, anche se intervallate nel tempo bastano ad integrare sotto il profilo temporale la fattispecie per quanto riguarda l'aspetto materiale in termini Sez. 5^ 21.1.2010, n. 6417, Oliviero, Rv. 245881 . Secondo la difesa del ricorrente il precedente giurisprudenziale testé citato privilegia una interpretazione letterale del termine in contrasto con la ratio legislativa, apparendo preferibile un concetto di reiterazione che abbia quale presupposto ad una serialità di comportamenti. E la riprova di ciò il ricorrente la trae dalla relazione al Disegno di legge n. 1440/08 A.C. in cui è lo stesso legislatore a parlare - ai fini della configurazione della nuova figura delittuosa - di molestie assillanti . Tale affermazione pecca di troppa assolutezza, posto che in tutti i progetti di legge riguardanti l'introduzione del reato di atti persecutori si parla soprattutto di reiterazione della condotta, senza riferimento né all'arco temporale in cui tale reiterazione deve svilupparsi, né ad un concetto numerico delle azioni illegali. 6.1 Peraltro se il legislatore avesse voluto riferirsi al termine assillante per evidenziare la ripetitività delle condotte, avrebbe ben potuto adoperare tale espressione che certamente contiene in sé un riferimento temporale più esteso, ma, soprattutto, attiene alle conseguenze cagionate alla vittima più che al dato della sequenza temporale. 6.2 La Corte territoriale, oltre a sottolineare come il significato della parola reiterazione comportasse una ripetizione della condotta anche se limitata a due sole volte, ha ben evidenziato le conseguenze cagionate sulla psiche della vittima sottoposta ad una situazione di stress e di ansietà persistente non disgiunta dalla paura per la propria incolumità e per l'incolumità del figlio emblematica la citazione di un episodio riguardante la comparsa dell'U. nel campo di calcetto in cui giocava il figlio minore della persona offesa intimorita da tale sgradita visita . 6.3 Orbene la correlazione delle due condotte costituenti, peraltro, prosecuzione ideale di una condotta perdurante nel tempo iniziata nel lontano 2009 subito dopo la decisione della D. di interrompere la relazione extraconiugale con l'imputato e non cessata neanche dopo la rimessione della querela con le perverse conseguenze subite sul piano psichico dalla D. soprattutto dopo che costei aveva cercato per ragioni familiari , come da lei stessa definite, di stemperare la sequenza continua di disturbi nei suoi confronti in vario modo arrecatile, costituisce la riprova della esatta configurabilità del reato di atti persecutori in cui l'elemento costitutivo sul piano materiale non è dato solo dall'elemento tempo, ma dall'evento in termini di pregiudizio alla persona da porre in stretta correlazione con il dato della ripetitività in altri termini, una condotta che fosse circoscritta ad una serie di atti di disturbo, non seguita dall'evento-danno sulla persona non integrerebbe la fattispecie, così come non la integrerebbe una condotta tale da provocare un senso di paura o di stress non preceduto o caratterizzato da una ripetitività dell'azione. Quel che è da escludere è l'equivalenza del concetto di reiterazione con la serialità né la definizione concettuale di reato abituale data dalla dottrina e dalla giurisprudenza di questa Corte alla espressione atti persecutori vale ad escludere che due sole condotte di identica natura siano bastevoli per la configurabilità del reato. 7. Anche il motivo riguardante la erronea applicazione della legge penale per avere la Corte confermato il giudizio di responsabilità e la qualificazione della condotta nonostante la reciprocità delle condotte disturbatrici o insolenti o petulanti o aggressive, non è fondato. 7.1 Sostiene la difesa che la ricerca da parte della donna, in più occasioni, di un contatto con l'U. , si pone in posizione antinomica con il concetto di atti persecutori che presuppone una vittima alla merce del suo stalker ed impossibilitata, quindi, a reagire secondo l'interpretazione del ricorrente, la ricerca da parte della donna del contatto in via autonoma e persino dopo che da parte dell'U. veniva posta in essere una condotta minacciosa o aggressiva, dimostrerebbe, da un canto, la inoffensività della asserita condotta persecutoria descritta dalla D. sulla sua psiche e, dall'altro, una sua capacità reattiva in termini anche di indipendenza, incompatibile con il concetto di stress enunciato dalla norma incriminatrice. 7.2 Come affermato da una recente decisione di questa Corte, la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell'evento di danno, ossia dello stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, del suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone ad essa vicine o della necessità del mutamento delle abitudini di vita Sez. 5^ 5.2.2010 n. 17698, Marchino, Rv. 247226 . 7.3 Alla base di tale decisione milita la considerazione che il reato di cui si discute prevede eventi alternativi la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo deve trattarsi di un comportamento reiteratamente minaccioso o, comunque, molesto dell'agente dal quale derivi per il destinatario della molestia o minaccia reiterata , quale ulteriore evento dannoso, un perdurante stato d'ansia o di paura, oppure un fondato timore dello stesso per l'incolumità propria o di soggetti vicini, oppure, ancora, il mutamento necessitato delle proprie abitudini di vita. 7.4 Ciò comporta la necessità di una indagine approfondita volta ad accertare in quali termini tali condotte persecutorie vengano poste in essere ed in quale contesto esse originino e si sviluppino di guisa che se tali condotte maturino in un ambito di litigiosità tra due soggetti che evoca una posizione di sostanziale parità, non può parlarsi di condotta persecutoria nei termini richiesti dalla fattispecie astratta la quale si riferisce invece ad una posizione sbilanciata della vittima rispetto all'autore dei comportamenti intimidatori o vessatori. 7.5 Il termine reciprocità non vale, dunque, ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte come persecutorie ex art. 612 bis c.p., occorrendo che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d'ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l'incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita. Deve, in ultima analisi, verificarsi se, nel caso della reciprocità degli atti minacciosi, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura. Né può dirsi che la reazione della vittima comporti, comunque, l'assenza dell'evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l'idea di una vittima inerme alla merce del suo molestatore ed incapace di reagire. Anzi non è neanche da escludere che una situazione di stress o ansia possa generare reazioni incontrollate della vittima anche nei riguardi del proprio aggressore. Il reato in parola si configura come reato di evento in contrapposizione al reato di minaccia di cui all'art. 612 cod. pen. qualificato come reato di pericolo, pur costituendo la minaccia elemento costitutivo comune ad entrambe le fattispecie. 7.6 Ora nel caso in esame la Corte territoriale ha escluso che si versasse in una situazione di reciprocità, pur avendo dato atto di alcuni episodi in cui la donna avrebbe affrontato l'imputato con fare aggressivo, tale, però, da non incidere sulla sua situazione di stress rimasta inalterata ed, anzi, accentuatasi con il trascorrere del tempo e l'intensificarsi dei comportamenti intimidatori dell'U. . Non può, quindi, parlarsi nell'ambito della vicenda in esame, di reciprocità quanto meno nel senso inteso dal ricorrente, avendo la Corte escluso che le due parti agissero ad armi pari emblematico l'accenno della Corte ai tentativi operati in modo anche energico dalla D. per far desistere il suo ex amante dall'idea di diffondere le fotografie che la ritraevano in pose sexy in vista di un tentativo di recupero della pace familiare e di un riavvicinamento al proprio coniuge - vds. pag. 6 della sentenza impugnata . 8. Anche il settimo motivo non può trovare accoglimento in quanto la Corte territoriale ha adeguatamente motivato in ordine al verificarsi dell'evento, ricordando come la D. , al colmo della disperazione, quando aveva ripresentato la querela in data 18 ottobre 2010, aveva fatto riferimento allo sconvolgimento della propria vita quotidiana e di quella dei suoi familiari, soprattutto del figlio minore ed ancora alla assunzione di psicofarmaci quali coadiuvanti del sonno perduto. 8.1 La tesi del ricorrente secondo la quale mancherebbe in atti la prova del danno psichico subito dalla D. e conseguentemente la decisione della Corte sarebbe sostanzialmente priva di motivazione sul punto, è errata. Come affermato dalla giurisprudenza di questa Corte Ai fini della integrazione del reato di atti persecutori art. 612 bis cod. pen. non si richiede l'accertamento di uno stato patologico ma è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori - e nella specie costituiti da minacce e insulti alla persona offesa, inviati con messaggi telefonici o via internet o, comunque, espressi nel corso di incontri imposti - abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell'equilibrio psicologico della vittima, considerato che la fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612 bis cod. pen. non costituisce una duplicazione del reato di lesioni art. 582 cod. pen. , il cui evento è configurabile sia come malattia fisica che come malattia mentale e psicologica Sez. 5^ 10.1.2011 n. 16854, C, Rv. 250158 . 8.2 Ciò premesso, in linea generale il giudice territoriale ha fatto riferimento alle dichiarazioni rilasciate dalla donna ai carabinieri in una situazione di evidente stress emotivo determinato anche dall'inseguimento della donna ad opera dell'U. con la propria auto vero è che non è stata accertata attraverso una consulenza o perizia medica la patologia ansiogena riferita dalla D. alla P.G. ma non va dimenticato che la persona offesa è stata ritenuta, a ragione, dalla Corte distrettuale credibile e che le sue dichiarazioni sono state anche rafforzate - per quel che riguarda la ripetizione di alcune condotte minacciose o vessatorie - anche da testi vicini per ragioni di amicizia tanto alla persona offesa quanto all'imputato. L'accordata credibilità mai posta in discussione dal giudice di appello e sostanzialmente non contestata dal ricorrente che ha solo prospettato una diversa qualificazione delle proprie condotte, ha consentito alla Corte territoriale di affermare che la D. è credibile tanto quando ha parlato di condotte ripetute nel tempo di tipo intimidatorio o altrimenti vessatorio, tanto quando ha descritto drammaticamente, ma senza enfatizzazioni di sorta - come ricorda il giudice di merito - il proprio stato di ansia e di paura dati, questi, che ben possono essere ricavati dalle dichiarazioni della vittima oltre che dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall'agente e persino dalla condotta dell'imputato quale comportamento astrattamente idoneo a causare l'evento anche in relazione al contesto spaziotemporale in cui la condotta è stata posta in essere Sez. 5^ 28.2.2012 n. 14391, S., Rv. 252314 . 9. Palesemente infondato anche l'ottavo motivo riferito alla manifesta illogicità della motivazione in punto di conferma della responsabilità anche per il reato di violenza sessuale, in quanto il giudice distrettuale ha adeguatamente spiegato perché la D. dovesse essere ritenuta credibile quando ha riferito ai Carabinieri avvicinatisi alla sua auto, l'episodio del bacio, con il labbro ancora sanguinante e con l'U. accostato al finestrino dell'auto in termini tali da richiamare l'attenzione dei Carabinieri. La Corte ha motivatamente escluso che il sangue al labbro potesse avere attinenza con condotte diversamente qualificabili, rilevando, invece, come il racconto della donna nella immediatezza del fatto avesse un preciso aggancio ad una violenza sessuale subita attraverso il contatto forzoso delle labbra dell'imputato con le labbra della vittima vds. pag. 7 della sentenza impugnata . 9.1 È quindi da escludere che tale condotta possa ritenersi assorbita nel reato di atti persecutori avendo invece conservato una propria autonomia in relazione alle dichiarazioni della D. che ha escluso che in quella circostanza l'U. proseguisse con atti di disturbo nei suoi confronti, evidenziando, invece, come il gesto del bacio violento dovesse ritenersi una azione autonoma dell'imputato tendente soltanto ad importunarla sessualmente il che è poi avvenuto come constatato dai Carabinieri . Peraltro l'oggettività giuridica dei due reati sub a e b è diversa, avendo per oggetto il reato di cui all'art. 612 bis cod. pen. il bene giuridico costituito dalla libertà morale e il delitto di cui all'art. 609 bis stesso codice il bene giuridico costituito dalla libertà individuale il che osta ulteriormente all'assorbimento come richiesto dal P.G. di udienza. 10. Va, invece, ritenuto fondato l'ultimo motivo afferente al trattamento sanzionatorio che la Corte ha determinato - per quanto riguarda la pena base per il reato più grave di cui al capo A - in misura consistente, seppure non coincidente con il massimo edittale, con motivazione inadeguata invero il mero riferimento alla particolare intensità del dolo in termini di pervicacia che sembra però riferirsi più agli atti vessatori che al gesto sessuale non può considerarsi un parametro di valutazione sufficiente, tanto più in considerazione della limitata offensività della azione sul piano della libertà sessuale, che ha indotto la Corte a riconoscere la circostanza attenuante del fatto di minore gravità e della situazione di incensuratezza alla base della concessione delle circostanze attenuanti generiche. 11. Si impone, sul punto, l'annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma per la rivisitazione del trattamento sanzionatorio alla stregua delle considerazioni espresse da questa Corte. Per il resto il ricorso deve essere rigettato. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma. Rigetta, nel resto, il ricorso.