L’omissione deve attribuire all’atto un senso differente, per poter essere qualificato come tale

Il falso per omissione si configura solo quando il silenzio dell’atto su un determinato fatto si traduca nell’attestazione della sua insussistenza, in contrasto con la realtà il dato omesso, quindi, deve attribuire all’atto stesso un senso diverso, cosicché l’enunciato descrittivo assume, nel complesso, un significato contrario al vero.

Così ha statuito la Cassazione con la sentenza n. 45118/13, depositata il 7 novembre. Concorso svolto in maniera anomala. La Corte di Appello dichiarava l’inammissibilità dell’appello del P.M. agli effetti penali, ma riformava, ai fini civilistici, la pronuncia assolutoria di prime cure, condannando gli imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili. In tesi d’accusa gli stessi si sarebbero resi responsabili di falso ideologico in atto pubblico, in concorso tra loro, in quanto - quali componenti della commissione esaminatrice del concorso per l’abilitazione all’insegnamento di materie artistiche – avrebbero effettuato una verbalizzazione connotata da falsità, sia omissive, sia commissive. Nessuna regola. Ad avviso della Corte di Appello, infatti, la commissione aveva omesso di dare atto nei verbali dell’avvenuto inserimento, nelle buste piccole contenenti le generalità dei candidati di fotografie polaroid raffiguranti ogni candidato accanto alla propria opera, così mettendo a repentaglio l’anonimato della prova la stessa, poi, aveva omesso di specificare con quali modalità fosse stato effettuato l’abbinamento delle buste, così lasciando intendere che fosse avvenuto nella istantaneità della chiusura della prova, mentre era avvenuto tempo dopo. Dal punto di vista commissivo, il verbale relativo ad una prima valutazione – avvenuta in assenza della segretaria redattrice – è stato da questa redatto, ma non sottoscritto, il giorno successivo alla prova, utilizzando gli appunti del presidente inoltre, i verbali delle operazioni successive hanno attestato lo svolgimento delle operazioni in uno stabile anziché in un altro. Gli imputati impugnano per cassazione la sentenza di seconde cure, lamentando, in primis , la mancanza di legittimazione attiva delle parti civili e la carenza di danni risarcibili infine, deducono la carenza motivazionale, perché la Corte non avrebbe confutato con specificità le argomentazioni poste a fondamento dell’assoluzione da parte del Giudice di prime cure. Legittimazione della parte civile. La Corte disattende le doglianze meritevoli di trattazione preliminare quanto alla carenza di legittimazione posto che la sede appropriata per invocarla sarebbe stata la richiesta di esclusione delle parti civili ex art. 80 c.p.p. , va rilevato come la stessa sia infondata l’avvenuta ammissione dei candidati alla prova successiva a quella ‘viziata’, poi bocciati per ragioni ad oggi neutre, non involge profili di mera legittimazione. La dedotta mancanza di danni risarcibili, poi, non ha alcuna ragion d’essere infatti, a norma dell’art. 539 c.p.p., quando le prove acquisite non consentano la liquidazione del danno, il giudice ben può limitarsi ad una condanna generica, con remissioni della parti dinnanzi al giudice civile per la quantificazione. La disposizione si applica anche nell’ipotesi – come quella in oggetto - in cui la condanna di penale sia mancata e la responsabilità degli imputati sia accertata ai soli fini civili. Per costante giurisprudenza, infatti, la condanna generica al risarcimento del danno contenuta in una sentenza penale non esige nécomporta alcuna indagine circa la effettiva esistenza di un danno risarcibile, postulando solamente l’accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell’esistenza – in termini probabilistici – di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato restano compito del giudice civile l’accertamento dell’entità e la conseguente liquidazione. Omissioni motivazionali. Risulta, invece, fondata la censura inerente al deficit motivazionale di cui si sono resi colpevoli i giudici di seconde cure, i quali sono incorsi in vizi di consequenzialità logica e di incompletezza argomentativa, non specificando, neppure, con quali modalità si sarebbe arrecato un vulnus all’anonimato. Quanto alle varie tipologie di condotte, gli Ermellini ricordano che la falsità in atto pubblico può assumere forma omissiva qualora l’attestazione incompleta attribuisca all’atto stesso un senso diverso non è dato apprendere, dalla sentenza di appello, quale sia, in concreto, il reale accadimento contrastante con il significato da attribuire al verbale. In relazione alle condotte commissive, parimenti la motivazione non si presenta esaustiva la stessa, peraltro, non tiene neppure in considerazione che, perché sussista il falso ideologico con riferimento all’elemento temporale del verbale é necessario che in esso le azioni siano collocate in una data differente da quella reale in caso contrario, il mero fatto che la redazione del verbale non sia contestuale alle operazioni descritte non ne inficia la verità contenutistica a meno di non ipotizzare una falsità materiale, nel caso di specie non prospettata . Alla luce delle evidenti carenze motivazionali espresse, gli Ermellini hanno annullato la sentenza impugnata, con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 aprile – 7 novembre 2013, n. 45118 Presidente Marasca – Relatore Oldi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 20 dicembre 2011 la Corte d'Appello di Palermo, dichiarata l'inammissibilità dell'appello proposto dal pubblico ministero agli effetti penali, ha riformato ai fini civili la pronuncia assolutoria emessa dal locale Tribunale nei confronti di R D.F. , F L.C. e A M. , imputati del delitto di falso ideologico in atti pubblici, in concorso fra loro, quali componenti il M. in qualità di presidente della commissione esaminatrice del concorso per l'abilitazione all'insegnamento di materie artistiche, con specifico riferimento alla prova pratica di modellazione ha quindi condannato i tre imputati al risarcimento dei danni in favore delle parti civili A B. , N C. , G C. , Ca Me. , Sa Mi. , V.M. , G.M.P G. , A Q.B. , C T. , M C. , B.G.M. , G.M G. , R A. e B.S. . 2. Ha ritenuto la Corte d'Appello che la verbalizzazione delle operazioni svolte dalla commissione fosse connotata da molteplici falsità, di tipo omissivo e commissivo. 2.1. Sotto il primo profilo ha osservato che la commissione aveva omesso di dare atto dell'avvenuto inserimento, nelle buste piccole contenenti le generalità dei candidati da inserire nelle buste grandi recanti gli elaborati in formato cartaceo, anche di fotografie polaroid raffiguranti l'effigie di ciascun candidato e il modello plastico da lui realizzato così mettendo a rischio, secondo quel collegio, l'anonimato della prova aveva, inoltre, omesso di specificare le modalità di abbinamento alle buste grandi delle fotografie in formato 13 x 18 riproducenti gli elaborati, così lasciando intendere che l'inserimento nelle buste fosse avvenuto subito dopo la chiusura della prova, mentre era avvenuto successivamente e con modalità che avevano, a loro volta, messo a rischio l'anonimato. 2.2. I falsi commissivi erano consistiti, secondo la sentenza di appello, nel fatto che il verbale attestante una prima valutazione di massima degli elaborati tridimensionali, avvenuta il omissis presso i locali del II Liceo Artistico in via omissis in assenza della segretaria, fosse stato da costei redatto -ma non sottoscritto - il giorno successivo, trascrivendo gli appunti predisposti dal presidente che, inoltre, i verbali delle operazioni svolte successivamente avessero attestato che le valutazioni finali si erano svolte nei locali di via omissis , omettendo tuttavia di precisare che erano stati esaminati i soli rilievi fotografici, e non gli elaborati plastici rimasti in via omissis . 3. Hanno proposto separatamente ricorso per cassazione i tre imputati, per il tramite dei rispettivi difensori, ciascuno per le ragioni di seguito indicate. 3.1. R D.F. affida il ricorso a due motivi. Col primo contesta la configurabilità del reato di cui all'art. 479 cod. pen., sostenendo che i verbali hanno fedelmente attestato lo svolgimento delle operazioni di esame, omettendo soltanto attestazioni non richieste dalla legge, né dal bando di concorso. Osserva che il regolare espletamento della prova è stato riconosciuto anche dal T.A.R. siciliano, con sentenza di rigetto del ricorso presentato da un candidato. Nega che l'aver inserito nelle buste piccole un'istantanea di ciascun candidato accanto al rispettivo elaborato plastico abbia compromesso l'anonimato della prova, comunque non ottenibile stante la riconoscibilità degli oggetti tridimensionali in argilla. Quanto al verbale del omissis , osserva che la non rispondenza al vero riguarda soltanto la contestualità della sua materiale redazione, ciò risolvendosi in un falso innocuo e come tale non punibile. Dei verbali relativi alle operazioni successive nega la falsità, osservando che in nessuna parte di essi si attesta che la valutazione finale sia stata effettuata sugli elaborati nella loro consistenza tridimensionale. Col secondo motivo denuncia carenza di motivazione, non avendo la Corte d'Appello specificamente confutato le argomentazioni addotte dal Tribunale a sostegno della pronuncia assolutoria. 3.2. Censure sostanzialmente analoghe sono sviluppate nei primi due motivi di ricorso di F L.C. , coi quali è analiticamente contrastata la configurabilità delle diverse ipotesi di falso omissivo e commissivo ravvisate dalla Corte d'Appello. Con un terzo motivo il ricorrente deduce la carenza di legittimazione attiva delle parti civili appellanti e, comunque, l'insussistenza di danni da esse patiti. 3.3. Anche il primo dei due motivi di ricorso dedotti dall'imputato A M. si sofferma sulle eccezioni riguardanti la carenza di legittimazione delle parti civili e la mancanza di danni risarcibili. Rinnovando le argomentazioni già svolte in una memoria depositata in appello, di cui lamenta l'omessa disamina, il ricorrente rileva che tutti i candidati costituitisi parti civili erano stati ammessi alla seconda prova d'esame e che il solo motivo per cui non avevano superato il concorso era dipeso dall'esito della terza prova, rimasta immune da contestazioni. Col secondo motivo rinnova le difese svolte nella memoria difensiva a contestazione degli addebiti, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle già viste e ponendo, in particolare, l'accento sul fatto che le fotografie in formato 13 x 18 non avrebbero mai potuto essere inserite nelle buste contenenti gli elaborati, poiché richiedevano i tempi necessari per lo sviluppo e la stampa e, una volta pronte, non potevano essere introdotte nelle buste già sigillate sicché l'abbinamento era stato eseguito mediante l'apposizione di numeri corrispondenti e quelli delle buste e dei relativi modelli plastici. Considerato in diritto 1. Per ragioni di priorità logica - stante la loro potenziale attitudine ad infirmare in radice la pronuncia di condanna, emessa soltanto agli effetti civili - vengono dapprima in considerazione le eccezioni con le quali i ricorrenti L.C. e M. deducono la carenza di legittimazione attiva in capo alle parti civili e l'insussistenza di danni risarcibili. Entrambe sono da disattendere, per le ragioni di seguito esposte. 1.1. La pretesa carenza di legittimazione non è evocata a proposito sia perché la sede appropriata per la relativa deduzione sarebbe stata la richiesta di esclusione delle parti civili ex art. 80 cod. proc. pen., che invece non è stata proposta nel termine perentorio ivi fissato ininfluenti essendo le ragioni che a ciò abbiano spinto le difese sia perché le ragioni addotte a sostegno, e cioè l'avvenuta ammissione alla prova successiva di tutti i candidati, poi bocciati per ragioni indipendenti dai fatti per cui è processo, non involgono questioni di legittimazione quest'ultima, invero, va ricondotta alla nozione di legitimatio ad causam , che consiste nel potere di ottenere dal giudice un qualsiasi provvedimento positivo o negativo di merito, alla stregua della prospettata causa petendi , e che prescinde dalla verifica circa l'esistenza effettiva del diritto fatto valere. 1.2. Il profilo inerente alla dedotta mancanza di danni risarcibili non ha ragion d'essere. L'art. 539 cod. proc. pen. espressamente dispone che il giudice, ove pronunci la condanna penale dell'imputato e la conseguente responsabilità agli effetti civili, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, si limiti a una condanna generica rimettendo le parti davanti al giudice civile la disposizione si applica anche al caso in cui la condanna penale sia mancata e la responsabilità dell'imputato sia accertata ai soli effetti civili, in accoglimento dell'impugnazione proposta dalla parte civile avverso la pronuncia assolutoria e ad essa si è attenuta la Corte d'Appello di Palermo, rimettendo per l'appunto le parti davanti al giudice civile. Non ha, dunque, ragion d'essere la doglianza con cui i ricorrenti testé menzionati pretendono di valorizzare l'insussistenza del danno. Ed invero, anche a prescindere dall'inequivocabilità della disposizione in concreto applicata, giova il richiamo al principio giuridico, mutuabile dalla giurisprudenza formatasi in sede civile, secondo cui la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato il quale, giova qui ricordarlo, può anche essere di natura morale , mentre resta impregiudicato l'accertamento riservato al giudice della liquidazione e dell'entità del danno Cass. civ. Sez. 3, n. 24030 del 13/11/2009, Rv. 609978 . 2. Sono invece fondate, e meritano accoglimento sotto il profilo del deficit motivazionale, le censure mosse da tutti e tre i ricorrenti in ordine alla ritenuta configurabilità del reato di falsità ideologica in atti pubblici, nelle diverse articolazioni enucleate nella sentenza impugnata. Come si è ricordato in narrativa, infatti, la Corte d'Appello ha ravvisato distinti profili di condotta omissiva e commissiva, in relazione al contenuto dei verbali redatti dalla commissione esaminatrice composta dai tre imputati. 3. Le falsità per omissione vizierebbero, secondo l'ipotesi accusatoria recepita dal giudice di merito, il verbale della prima seduta d'esame tenutasi il giorno 1 settembre 2000, nella parte riguardante la formazione delle buste grandi” contenenti gli elaborati in forma grafica dei candidati e le buste piccole destinate e contenere l'indicazione delle generalità, da aprirsi soltanto dopo il completamento delle valutazioni. Si addebita ai componenti della commissione di aver omesso di precisare che nelle buste piccole erano state anche inserite delle fotografie polaroid ritraenti ciascun candidato accanto alla propria opera in argilla, così mettendo a rischio l'anonimato della prova, nonché di aver taciuto le modalità di abbinamento delle fotografie in formato 13 x 18 raffiguranti gli elaborati plastici realizzati il silenzio su quest'ultimo punto lascerebbe intendere, nell'ottica del deliberato, l'avvenuto inserimento delle fotografie nelle buste grandi prima della sigillatura di queste, mentre nella realtà ciò non è accaduto. La Corte territoriale ipotizza, in via alternativa, che le buste siano rimaste aperte, oppure che siano state regolarmente sigillate, ma riaperte in un secondo momento, per consentire l'inserimento postumo delle fotografie in entrambi i casi la falsità omissiva sarebbe consistita nell'aver tenuto nascosta un'operazione illegittima, tale da mettere a rischio l'anonimato della prova. Ma la motivazione non è appagante dal duplice punto di vista della consequenzialità logica e della completezza argomentativa. 3.1. Sotto il primo profilo va rimarcata l'aporia logica insita nel ravvisare una messa in pericolo dell'anonimato della prova per la presenza nella busta piccola di una fotografia ritraente ciascun candidato accanto alla sua opera che, secondo la ricostruzione stessa della Corte d'Appello, era destinata ad essere visionata solo al momento dell'apertura di quella busta, quando cioè l'identità del candidato - a quel punto già valutato - si sarebbe resa nota comunque, e necessariamente, attraverso la lettura delle sue generalità. Quanto alle riproduzioni fotografiche in formato 13 x 18, poiché la visione di esse doveva precedere la valutazione della commissione, cui era infatti finalizzata, non si comprende in base a quale ragionamento sia possibile ipotizzare un qualsiasi vulnus dell'anonimato, a motivo del loro abbinamento alle rispettive buste in un momento successivo alla consegna degli elaborati plastici. E ciò va detto anche a prescindere dalla considerazione, svolta nel ricorso di R D.F. , per cui la giurisprudenza del Consiglio di Stato ha riconosciuto l'inapplicabilità dell'anonimato alle prove pratiche, diverse dalle prove scritte da redigersi su supporti cartacei Cons. Stato, Sez. 6, n. 1285 del 19/03/2007 . 3.2. Sotto il secondo profilo deve tenersi conto del principio giuridico a tenore del quale la falsità in atto pubblico può assumere la forma omissiva qualora l'attestazione incompleta - perché priva dell'informazione su un determinato fatto - attribuisca al tenore dell'atto un senso diverso, così che l'enunciato descrittivo venga ad assumere nel suo complesso un significato contrario al vero v. Sez. 5, n. 18191 del 09/01/2009, De Donno, Rv. 243774 Sez. 5, n. 6244 del 14/01/2004, Bongioanini, Rv. 228077 . Alla stregua di tale regula iuris la Corte di merito, anziché ipotizzare le possibili illiceità che avrebbero potuto celarsi dietro l'omessa descrizione delle modalità di abbinamento delle fotografie alle buste, avrebbe dovuto spiegare quale fosse, in concreto, il reale accadimento contrastante col significato da attribuirsi al verbale della commissione. In assenza di un accertamento in tal senso, non essendo dato intendere quale sia il fatto positivo che il verbale avrebbe dovuto - in thesi - attestare e che, non attestandolo, avrebbe implicitamente negato, l'affermazione di responsabilità a titolo di falso omissivo rimane priva di logica motivazione. 4. Gli addebiti riguardanti la falsità commissiva si articolano, a loro volta, in due fattispecie l'aver fatto redigere alla segretaria, in data 3 settembre 2000, un verbale attestante il compimento, da parte della commissione, di operazioni che invece si erano svolte nel giorno precedente, in sua assenza l'aver attestato nei verbali successivi che la valutazione degli elaborati plastici si era svolta nei locali del II Liceo artistico di via OMISSIS , sebbene i manufatti dei candidati fossero custoditi in altra località, e precisamente nell'istituto di via OMISSIS . Anche in ordine a tali addebiti la motivazione addotta dalla Corte territoriale non giustifica adeguatamente le conclusioni raggiunte. 4.1. E emerso, in punto di fatto, che la segretaria della commissione, non avendo presenziato alla valutazione di massima degli elaborati in argilla eseguita il OMISSIS , fu invitata a redigere il giorno successivo il verbale di tali operazioni, da essa non firmato, avvalendosi degli appunti all'uopo fornitile dal presidente. Orbene, perché possa ravvisarsi una falsità ideologica del verbale con riferimento alla componente temporale dell'enunciato descrittivo, è necessario che in esso le azioni delle quali è attestato il compimento siano collocate cronologicamente in una data diversa da quella in cui si verificarono nella realtà in caso contrario, il fatto che la redazione del verbale non sia contestuale alle operazioni ivi descritte non inficia la veridicità del suo contenuto salvo ipotizzare una falsità non ideologica, ma materiale, qualora non corrisponda al vero l'indicazione della data di redazione e di sottoscrizione del verbale poiché in tal caso si sarebbe in presenza dell'alterazione di un dato facente parte della rappresentazione documentale v. Sez. 5, n. 14561 del 10/02/2005, Minghelli, Rv. 231716 . Ma della configurabilità di un illecito in tale proiezione - che comunque comporterebbe una diversa qualificazione giuridica del fatto, con ogni conseguenza in ordine alla necessità di istituire un apposito contraddittorio v. Sez. 6, n. 36323 del 25/05/2009, Drassich, Rv. 244974 - non si coglie alcuna menzione nella motivazione della sentenza impugnata ivi essendo soltanto valorizzato, peraltro incongruamente per quanto dianzi osservato, lo scostamento temporale fra la redazione del verbale e le attività descritte 4.2. Dei successivi verbali la ritenuta falsità ancora viene ricondotta dalla Corte di merito, a ben guardare, ad ipotesi di natura omissiva, anziché commissiva non si spinge, infatti, quel collegio ad affermare che le operazioni di valutazione si siano in realtà svolte in via Michelangelo, anziché in via Senofonte, ma si limita ad evidenziare l'omessa precisazione che dette operazioni si siano svolte sulla base del mero esame dei rilievi fotografici. Orbene, anche sul punto in questione vale richiamarsi al già ricordato principio giuridico secondo cui può configurarsi il falso per omissione soltanto quando il silenzio dell'atto su un determinato fatto si traduca nell'attestazione della sua insussistenza, in contrasto con la verità nel caso specifico la sentenza impugnata non spiega per quale via logica possa trarsi dal verbale, descrittivo dell'esecuzione di operazioni compiute in via Senofonte, l'attestazione di una visione diretta - in quel momento e in quel luogo - degli elaborati plastici situati altrove elaborati che i commissari avevano certamente già visionato il giorno OMISSIS , come accertato in altro passaggio motivazionale, e che erano riprodotti nelle fotografie in formato 13 x 18 contenute nelle buste grandi a loro disposizione. La notazione, che si legge nel primo paragrafo a pag. XXIII della sentenza, secondo cui il verbale del OMISSIS non potrebbe costituire prova affidabile del compimento della prima valutazione di massima delle opere in argilla” sembra voler negare la verità di un fatto, comunque accertato nella sua storicità, soltanto perché invalidamente verbalizzato il che non è predicabile, anche a prescindere dal deficit motivazionale - già evidenziato più sopra - che inficia il giudizio di falsità del menzionato verbale. 5. Conclusivamente, la sentenza impugnata deve essere annullata a motivo dei vizi fin qui rilevati. Il giudice di rinvio, che si designa nel giudice civile competente per valore in grado di appello, giusta il disposto dell'art. 622 cod. proc. pen., sottoporrà a rinnovata verifica il fondamento dell'imputazione di cui al capo e e dell'azione civile ad essa correlata, tenendo conto dei principi giuridici dianzi richiamati e motivando adeguatamente il deliberato. 6. La ripartizione delle spese di difesa nei rapporti fra le parti private seguirà al giudizio rescissorio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili con rinvio per nuovo esame al giudice civile competente per valore in grado di appello.