La rata del mutuo per la casa e l’autoconsumo alimentare non sono spese eccessive

Sono spese eccessive ai sensi dell’art. 217 l.f. le spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali, risultano sproporzionate alla capacità economica dell’imprenditore per entità, tenuto conto del periodo di tempo al quale devono essere fatte risalire ed al numero dei beneficiari.

Questo il principio di diritto statuito dalla V Sezione Penale della Cassazione, con la pronuncia n. 44248 depositata il 30 ottobre 2013. Il campo di applicazione dell’art. 217, comma 1, n. 1, l.f. Va preliminarmente osservato che la contestazione di cui all’art. 217 comma 1, n. 1, l.f., ovvero di aver sostenuto spese personali o per la famiglia eccessive, può trovare applicazione solo ed esclusivamente nel caso in cui sia dichiarato fallito anche l’imprenditore – persona fisica personalmente. La condotta incriminata, infatti, risulta offensiva solo laddove l’imprenditore, in quanto dichiarato fallito in proprio, sia chiamato a rispondere dei debiti dell’impresa anche con tutto il proprio patrimonio personale, che risulta menomato dalle spese eccessive. Nel caso di bancarotta societaria è, dunque, evidente che tale fattispecie sarà applicabile solo quando vi siano dei soci illimitatamente responsabili come, a titolo meramente esemplificativo, nella società in accomandita , che siano in conseguenza di tale fatto anch’essi dichiarati falliti. In tutti gli altri casi, infatti, le spese eccessive per sé o per la famiglia del titolare non avranno alcuna autonoma rilevanza, tranne, evidentemente, nell’ipotesi in cui, per fare fronte a tali spese, si sia attinto al patrimonio sociale, dovendosi, in questo caso, ritenere integrata la condotta di bancarotta fraudolenta per distrazione. L’amministratore di società, come chiarito nell’ incipit in diritto della pronuncia che si commenta, non può, infatti, sostenere alcuna spesa personale, neppure se non eccessiva, con il patrimonio della società, configurandosi in tal caso una vera e propria distrazione di beni sociali, con conseguente configurabilità del più grave delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. Nella vicenda in esame, l’originaria imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione, elevata con riferimento ad una serie di ingiustificati prelievi, era stata riqualificata, sin dalla sentenza di primo grado, in bancarotta semplice proprio in considerazione del fatto che gli imputati rispettivamente amministratore di fatto e socio accomandatario erano stati dichiarati falliti personalmente ed avevano utilizzato detti prelievi per spese personali o famigliari eccessive. Le spese eccessive. Quanto alla individuazione delle spese eccessive per sé o per la famiglia, va preliminarmente osservato, banalmente, che anche la singola spesa ben può integrare la fattispecie in oggetto laddove risulti eccessiva rispetto alla condizione economica dell’imprenditore. Al contrario, se le spese non sono realizzate per sé o per la famiglia, ma per l’attività imprenditoriale, le stesse potranno al più assumere rilevanza ai sensi dell’art. 217 comma 1, n. 2, l.f., ma non certo integrare la fattispecie di cui al numero 1. Meno agevole, invece, delineare il contorno dell’aggettivo che vale a qualificare e rendere penalmente rilevanti le spese per sé o per la famiglia. Eccessive dovranno ritenersi, secondo un non contrastato orientamento giurisprudenziale, quelle spese che superano in maniera non irrilevante i redditi di cui l’imprenditore dispone. Contro tale impostazione si è, tuttavia, levata autorevole voce critica in dottrina, evidenziandosi come tale tesi pecchi, da un lato, per eccesso e, dall’altro, per difetto. Per eccesso, in quanto qualsiasi spesa superiore in modo significativo al reddito costituirebbe bancarotta semplice, per difetto, in quanto anche una spese inferiore al reddito ben potrebbe intaccare la garanzia patrimoniale rappresentata dai beni dell’imprenditore, che stia già divenendo insufficiente. Tale impostazione individua l’evento naturalistico della predetta ipotesi di bancarotta semplice nella lesione della garanzia, che non deve essere confusa con la mera diminuzione del patrimonio. La fattispecie in esame, in effetti, non richiede l’esistenza di alcun nesso causale fra la spese eccessive ed il successivo fallimento, ma non vi è ombra di dubbio che il lasso temporale sempre più ristretto fra la il momento in cui sono state sostenute le spese ed il fallimento impone una valutazione sempre più rigorosa di dette spese. È appena il caso di ricordare, infine, che le spese eccessive per sé o per la famiglia sono ontologicamente incompatibili con l’esenzione dalla bancarotta prevista nell’art. 217 bis l.f., che, introdotto con la legge n. 122/2010, individua una serie di operazioni esenti dalla applicazione della disciplina della bancarotta semplice e preferenziale. Il caso. Nel caso in esame la Corte di Appello di Trieste, pur ridimensionando notevolmente l’importo oggetto di contestazione e preso atto dell’assunto difensivo che dette somme sarebbero state utilizzate per autoconsumo di cibi e bevande, nonché per il pagamento della rata di mutuo dell’abitazione dell’imprenditore, non si era premurata di argomentare per quali ragioni dette spese dovessero essere ritenute eccessive rispetto all’arco temporale in cui erano state sostenute, al numero dei soggetti beneficiari ed al patrimonio dell’imprenditore. Proprio tale punto è fatto oggetto di annullamento con rinvio da parte della Suprema Corte, che non manca altresì di evidenziare come l’avvenuto notevole ridimensionamento delle somme spese debba avere una incidenza anche sotto il profilo della perdurante o meno sussistenza dell’elemento psicologico del reato la colpa , ovvero quanto meno sotto il profilo di una eventuale attenuazione del trattamento sanzionatorio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 luglio - 30 ottobre 2013, n. 44248 Presidente Bruno – Relatore Vessicchelli Fatto e diritto Propongono ricorso per cassazione M.F. e M.S. avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste in data 19 aprile 2012 con la quale è stata confermata quella di primo grado emessa nel 2009 all'esito di giudizio abbreviato , di condanna in ordine al reato di bancarotta semplice ex articolo 217 primo comma n. 1 legge fallimentare. Tali ricorrenti, nelle qualità, rispettivamente, di amministratore di fatto e di socio accomandatario della società in accomandita semplice SIMAR di Morigi Simona & amp C, dichiarata fallita il omissis , sono stati ritenuti responsabili, in concorso fra loro, ai sensi della norma dell'art. art. 217 sopra citata e quindi quali imprenditori individuali personalmente falliti, di avere effettuato spese personali o per la famiglia eccessive rispetto alle loro condizioni economiche, così nuovamente qualificata l'originaria imputazione di bancarotta fraudolenta per distrazione, contestata con riferimento a prelievi ingiustificati effettuati dal 2001 al 2004. Il giudice dell'appello ha ritenuto che, in relazione al periodo quadriennale preso in considerazione, i prelievi ingiustificati si riducessero alla somma complessiva di Euro 59.000, inferiore rispetto a quella Euro 135.000 indicata nel capo d'imputazione e che comunque si trattasse di un importo dato da prelievi che non potevano trovare giustificazione legale poiché non potevano dirsi spesi per soddisfare bisogni essenziali per il sostentamento degli imprenditori e della loro famiglia. Ed infatti l'importo in questione era costituito da mancati pagamenti per somministrazione di alimenti e bevande forniti dalla società in favore dei ricorrenti da prelievi in parte del tutto ingiustificati e, infine, da un importo che sarebbe servito per consentire a M.S. di pagare una rata di mutuo. Era rimasta invece destituita di prova l'affermazione che parte delle somme sarebbero state prelevate a titolo di compenso degli amministratori. Deducono 1 il vizio della motivazione. La Corte territoriale aveva riconosciuto, in accoglimento di uno specifico motivo d'appello, che l'ammanco di cui al capo A doveva ridursi di due terzi e cioè sino a Euro 59.000, ma poi aveva finito per confermare la sentenza di primo grado che aveva accertato una distrazione di Euro 135.000, fatto risultato non vero. Lo stesso vizio di motivazione riguarda l'affermazione del giudice dell'appello secondo cui costituirebbero spese non giustificate anche quelle rappresentate dal mancato pagamento di prestazioni alimentari ricevute dalla società, la quale operava nel campo della ristorazione. Il giudice non aveva valutato adeguatamente la tesi del autoconsumo sostenuta dalla difesa la quale aveva anche osservato che tali prestazioni pasti erano soggetti soltanto alla avvenuta contabilizzazione per finalità puramente fiscali dovendo risultare come spese sostenute dalla società. In altri termini sarebbe abnorme pretendere che l'amministratore pagasse a se stesso un servizio erogato ma anche usufruito dello stesso soggetto. In ordine alla somma utilizzata per pagare una rata del mutuo da parte di M.S. , la difesa insiste sulla tesi dell'essere, un simile pagamento, espressione di un bisogno primario in quanto riferito all'abitazione dove si vive e comunque destinato ad incrementare il patrimonio personale dell'imprenditore il quale, così facendo, dovendo rispondere di debiti della società di persone anche con i beni personali, non aveva determinato un depauperamento delle garanzie dei creditori. Alla luce delle argomentazioni sopra esposte dovrebbe essere considerata apodittica e manifestamente illogica anche l'affermazione del giudice dell'appello secondo cui le somme spese per pasti e bevande e per il mutuo della casa di abitazione, pari rispettivamente a Euro 33.000 per il quadriennio e Euro 13.450, non erano destinate a soddisfare bisogni primari. Il ricorso è fondato. Occorre prendere le mosse dal rilievo che il reato di bancarotta semplice ai sensi dell'articolo 217 comma 1 n. 1 legge fallimentare appare ritenuto a carico degli odierni imputati ricorrenti nelle qualità di imprenditori dichiarati personalmente falliti. Tanto si desume, da un lato, dal primario rilievo che la peculiare fattispecie applicata già dal primo giudice, disciplinando e punendo le spese personali eccessive dell'imprenditore dichiarato fallito, è tipicamente riferibile all'imprenditore individuale e non all'amministratore di società il quale non può essere ritenuto legittimato a spese personali neppure se non eccessive, mentre può essere chiamato a rispondere di operazioni manifestamente imprudenti o delle altre fattispecie previste dei numeri 4 e 5 dell'articolo 217, norma che, in tali limiti, deve ritenersi richiamata dall'articolo 224 con riferimento, appunto, all'amministratore di società dichiarata fallita. Il secondo argomento è costituito dal rilievo che, in base all'art. 222 L. fall., l'art. 217 si applica al socio illimitatamente responsabile della s.a.s. dichiarata fallita, salva la operatività delle norme sul concorso personale riguardo a condotte di terzi compartecipi. Il terzo argomento è dato dall'articolo 147 legge fallimentare il quale prevede, tra l'altro, che la sentenza dichiarativa di fallimento della società in accomandita semplice produce anche il fallimento dei soci illimitatamente responsabili, tale dovendosi ritenere, ai sensi dell'articolo 2313 c.c, il socio accomandatario. Il quarto argomento si ricava dalla stessa sentenza impugnata nella quale, a pagina cinque, è accreditata la tesi che l'articolo 217 comma uno legge fallimentare, riguardante l'imprenditore individuale, è stato applicato nella specie alla società di persone a base familiare . Tale impostazione giuridica non risulta avere formato oggetto di contestazioni da parte della difesa e se ne debbono ritenere integrati, pertanto, tutti presupposti. Ciò posto, è pure da osservare che il giudice dell'appello sembra avere valutato la sussistenza della fattispecie astratta menzionata, con riferimento all'ammanco di Euro 59.000, tale essendo quello riferibile al periodo di tempo esattamente indicato nel capo d'imputazione. Tale conclusione, in primo luogo, radica il vizio della motivazione della sentenza la quale, ciò nonostante, non ha dato atto nel dispositivo dell'assai minore entità della distrazione ritenuta penalmente accertata, rispetto a quella, pari quasi al triplo, enunciata nel imputazione. Ma, quel che più conta ai fini dell'integrazione del vizio denunciato, è la totale mancanza di valutazione in ordine alla eventualità che l'importo parziale del menzionato ammontare complessivo, rappresentato dai circa Euro 33.000 accertati quale mancato corrispettivo per la fruizione di pasti da parte degli imputati con corrispondente depauperamento delle garanzie dei creditori della società, potesse, in sé, costituire o meno una spesa eccessiva degli imprenditori illimitatamente responsabili. Partendo cioè dal preliminare rilievo che sono spese eccessive le spese personali o per la famiglia che, pur essendo razionali e più o meno connesse alla vita dell'azienda risultano sproporzionate alla capacità economica dell'imprenditore Rv. 119090 , il giudice dell'appello avrebbe dovuto soffermarsi ad esaminare non tanto la loro natura ed origine - dipendente direttamente dalla fattispecie normativa applicata - bensì se, per entità, quelle dovessero essere considerate sproporzionate, tenuto conto del periodo di tempo al quale dovevano essere fatte risalire e al numero dei soggetti beneficiari. Per colmare tale lacuna s'impone l'annullamento con rinvio dovendosi considerare che delimitazione dell'importo della spesa eccessiva, di cui all'articolo 217 legge fallimentare comporta la necessità della rivalutazione dell'elemento psicologico e comunque dell'intera vicenda quantomeno ai fini della ridefinizione del trattamento sanzionatorio. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Trieste per nuovo esame.