Cooperazione colposa per il medico titolare di posizione di garanzia

La mancata pronuncia di assoluzione nel merito quando è decorso il termine per pronunciare estinzione per prescrizione non vale automaticamente ad affermare la colpevolezza e la responsabilità dell’imputato ai fini civili.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 43988 del 28 ottobre 2013. Il caso. Un medico specialista veniva giudicato – in cooperazione colposa con altri colleghi – per le lesioni subite da un paziente a seguito di un intervento chirurgico. In particolare, si contestava al medico di non aver adempiuto gli obblighi derivanti dalla posizione di garanzia che lo vincolava a verificare se la condotta dei colleghi medici - che avevano già interagito con il paziente - fosse corretta e, se del caso, di correggerla. Oggetto del giudizio in Cassazione, però, non è tanto il merito della vicenda, quanto la sentenza con cui la Corte d’appello territoriale aveva rilevato la prescrizione del reato, pronuncia che non trovava adesione da parte del medico che invoca un’assoluzione nel merito, secondo quanto previsto dall’art. 129, comma 2, c.p. Assoluzione se l’estraneità emerge ictu oculi. Il codice prevede che quando dagli atti si evincano, in modo non contestabile, circostanze idonee ad escludere il reato o la sua commissione da parte dell’accusato, quand’anche sia decorso il termine per pronunciare l’estinzione per prescrizione, il giudice deve concludere per l’assoluzione. Più che apprezzamento, si tratta di constatazione”, ossia di percezione diretta, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento. Le cause delle lesioni secondo l’incidente probatorio. Il medico-legale nominato imputava le lesioni, consistenti in necrosi del dito, alla sottovalutazione del quadro clinico pre-operatorio e, in specie, dai fattori di rischio vascolare annotati nella cartella clinica e ignorati dal personale medico. Al contrario, tali indici dovevano suggerire un approfondimento vascolare e nervoso del dito da trattare chirurgicamente. Si aggiunga infine che non erano state adottate le cautela necessarie in sede operatoria. La posizione specifica. Ad essere oggetto di contestazione non è il nesso causale tra le condotte attive od omissive e l’evento lesivo, bensì la specifica posizione assunta dal ricorrente il quale assumeva di non aver svolto alcun ruolo determinante né in fase pre-operatoria, né durante l’intervento chirurgico, né in fase di dimissioni del paziente. La diversa ricostruzione alternativa dei fatti formulata dal ricorrente non può però trovare ingresso davanti ai giudici di legittimità, in quanto la motivazione della sentenza impugnata è sorretta da argomenti logici e coerenti. Così la Cassazione liquidava l’argomento dell’assoluzione in luogo della pronuncia di prescrizione per dedicarsi alla nota che concerne la responsabilità medica d’équipe, ai fini della condanna civile che sopravvive in ogni caso alla prescrizione dichiarata in appello. Responsabilità e cooperazione. Nelle ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell’attività medico-chirurgica anche laddove non sia svolta contestualmente, ogni sanitario è tenuto ad osservare gli obblighi incombenti su ciascuno e che derivano dalla convergenza di tutte le attività verso un fine comune e unico la salute del paziente. Se il fine è la stella polare dell’attività, ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare le attività poste in essere dai colleghi, siano esse contestuali o precedenti, né può esimersi dal valutarne correttezza e, se necessario, predisporre rimedi opportuni ad errori evidenti e che siano rilevabili ed emendabili per mezzo degli strumenti ordinari e le conoscenze scientifiche comuni del professionista medio. Mancata osservanza di regola precauzionale esclude il principio dell’affidamento. Il principio dell’affidamento nella corretta e legittima condotta tenuta da altri parimenti tenuti non può essere invocato da chi non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l’altrui condotta colposa. Sopravvive la responsabilità anche del primo garante principio di equivalenza delle cause salvo che si possa affermare l’efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, tale che abbia fatto venir meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l’abbia talmente modificata da escludere la riconducibilità della scelta operata al garante precedente. Concretamente responsabile o no? Si impone di precipitare i principi generali, anche giurisprudenziali, sul piano pratico della situazione imputata. Certamente il ricorrente era uno specialista della materia ed era in grado di valutare la correttezza delle operazioni compiute. Vi era, quindi, una premessa adeguata all’imputazione dell’illecito. La premessa però non è sufficiente e andava verificato se l’imputato era concretamente nelle condizioni di esaminare, valutare e correggere le attività compiute dai colleghi. La conferma positiva non può essere tratta dalla mancata assoluzione nel merito ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p., ma deve essere compiutamente affrontata, specie alla luce delle statuizioni civili e degli specifici rilievi difensivi. Sotto questo profilo, la motivazione della sentenza impugnata viene giudicata carente, perché detti profili sono omessi, non risultando alcunché riguardo allo scambio di informazioni tra i colleghi, al fine di valutare se vi sia stata negligenza sul piano cognitivo e metodologico, nulla veniva indicato riguardo all’eventuale ripartizione dei compiti. Definita la posizione penale in forza della sentenza dichiarativa della prescrizione, non compromessa dalla decisione della Cassazione, per i rilievi esaminati, influenti sulle statuizioni civili, non restava che annullare agli effetti civili la sentenza con rinvio al giudice civile.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 giugno - 28 ottobre 2013, n. 43988 Presidente Sirena – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di L'Aquila ha parzialmente riformato la sentenza con la quale il Tribunale di Avezzano ha pronunciato la condanna di B.F. per il delitto di lesioni personali colpose commesse in cooperazione colposa con C.V. in danno di D.G.D. , dichiarando non doversi procedere nei confronti dell'imputato per essere il reato estinto per prescrizione e confermando però le statuizioni civili già fissate dal primo giudice. B.F. è stato ritenuto responsabile delle lesioni personali subite dal D.G. e consistite nella amputazione del dito mignolo della mano sinistra mentre la perdita della funzionalità del mignolo della mano destra veniva giudicata non imputabile alla condotta dei medici perché, nelle fasi di preparazione, di esecuzione e durante il decorso post-operatorio dell'intervento chirurgico al predetto dito aveva eseguito in modo scorretto le relative pratiche, impedendo la normale circolazione arteriosa nelle dita ed aveva poi omesso di somministrare farmaci antiaggreganti in grado di prevenire i danni derivanti dall'ostruzione del circolo ed infine aveva omesso di sorvegliare il decorso postoperatorio e l'insorgenza di eventuali complicanze, sicché si verificava una necrosi del dito con gli effetti che si sono sopra descritti. 2. La Corte di Appello, avendo rilevato l'estinzione del reato per prescrizione, ha ritenuto che sulla scorta delle conclusioni del perito medicolegale nominato nell'incidente probatorio fosse stato accertato che la necrosi del dito era stata determinata, o quantomeno co-determinata, dalla sottovalutazione del quadro clinico presentatosi prima dell'intervento e in particolare dei fattori di rischio vascolare che erano rilevabili dalla cartella clinica. Tali fattori avrebbero dovuto suggerire agli operatori più approfonditi accertamenti e l'adozione di particolari cautele nel corso dell'intervento. Al contrario, non solo non c'era stato alcun approfondimento della componente vascolare e nervosa del dito, ma nel corso dell'intervento non erano state adottate le cautele che erano imposte proprio per la presenza degli evidenziati fattori di rischio. Infatti era stato posizionato un laccio emostatico in corrispondenza della base del quinto dito della mano sinistra, il quale non risultava esser stato allentato periodicamente, onde impedire o almeno ridurre la compressione sulle strutture vascolo-nervose del dito. Inoltre era stato posto un tutore in iper-estensione, che aveva definitivamente alterato il flusso sanguigno. Questi elementi erano ritenuti dalla Corte distrettuale sufficienti a fondare la concorrente responsabilità dell'imputato per le lesioni patite dal D.G. . Il B. , infatti, aveva assunto una posizione di garanzia con la partecipazione all'intervento e al post-operatorio gestito dalla C. , quale primo operatore al riguardo, la Corte territoriale si richiamava alla giurisprudenza di legittimità che in materia di attività medicochirurgica di equipe richiede ad ogni sanitario di osservare gli obblighi sul medesimo gravanti ma anche di conoscere e valutare l'attività precedente e contestuale svolta da altri operatori nonché di controllarne la correttezza. Il B. era specialista della materia ed era quindi in grado di valutare la correttezza delle tecniche operatorie adottate e aveva l'obbligo di intervenire. 3. Ricorre per cassazione nell'interesse dell'imputato il difensore di fiducia avv. Giuliana Martinelli. 3.1. Con un primo motivo deduce violazione dell'art. 129, co. 2 cod. proc. pen. e vizio motivazionale. Premessa una sintesi di quanto l'esponente ritiene sia emerso dall'istruttoria dibattimentale diagnosi di artrite giovanile emessa dal dr. T.G. inesistenza di rimedi diversi dall'intervento chirurgico assenza di visite pre-intervento da parte del dr. B. esecuzione del medesimo da parte della dr.ssa C. , con il B. presente in funzione di aiuto esito positivo dell'intervento e del post-operatorio visita e dimissioni eseguite dalla dr.ssa C. , si afferma che la Corte di Appello ha ignorato che si trattava di specialisti che operavano in équipe in maniera assolutamente paritaria , ed ha quindi omesso di considerare che ciascun componente deve rispondere solo del corretto adempimento dei doveri di diligenza, prudenza e perizia inerenti all'attività che deve svolgere, dovendo fare affidamento sulla professionalità degli altri operatori . Si rileva, inoltre, che la ristrettezza del campo operatorio non consentiva agli altri chirurghi presenti un controllo quale quello possibile al primo operatore. Tutto ciò, per l'esponente, doveva condurre ad una pronuncia assolutoria nel merito, laddove la Corte di Appello non ha operato alcuna valutazione in ordine alla possibile evidenza che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato e ciò, nonostante la necessità di una approfondita valutazione ai fini delle statuizioni civili. 3.2. Con un secondo motivo si deduce violazione degli artt. 113 e 590 cod. pen., in relazione agli artt. 582, 583 cod. pen. e 533 cod. proc. pen Si assume che nel caso che occupa il principio di affidamento - che nella specie si traduce nell'affidamento del B. sul fatto che altri soggetti componenti l'equipe medica agissero nell'osservanza delle regole di diligenza proprie - avrebbe dovuto condurre ad escludere la responsabilità dell'imputato. L'affermazione della Corte di Appello per la quale il B. , siccome specialista della materia, era in grado di valutare la correttezza delle tecniche operatorie adottate, non tiene conto della ridotta estensione del campo operatorio, che non gli consentiva di essere parte attiva. Il ricorrente prospetta quindi l'ipotesi che la necrosi vascolare a carico del dito mignolo della mano sinistra non fosse derivata da errate procedure nelle fasi precedenti all'intervento e durante il medesimo ma da una manomissione del tutore che vi era stato applicato, avvenuta successivamente alla dimissione del D.G. e prima del controllo del omissis . Non vi fu, quindi, alcun errore operatorio. 3.3. Con un terzo motivo di deduce violazione degli artt. 192 e 194 cod. pen. nonché vizio motivazionale. Ad avviso dell'esponente il giudice di merito ha dato assoluta prevalenza alle dichiarazioni del genitore della persona offesa, peraltro costituita parte civile, nonostante il contrasto di quelle con quanto riferito da soggetti estranei alla vicenda. Considerato in diritto 4. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. 4.1. Sin da subito va esplicato che il terzo motivo è aspecifico, giacché non evidenzia le asserite divergenze dichiarative né ne argomenta la rilevanza decisiva. 4.2. Quanto ai restanti motivi va rammentato che, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 comma secondo, cod. proc. pen. soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244274 . Quanto evidenziato dalla Corte di Appello in funzione della verifica imposta dall'art. 578 cod. proc. pen. sulla quale infra esclude di per sé che il giudice di secondo grado abbia violato la regola della prevalenza del proscioglimento per ragioni di merito sussistendone l'evidenza. Va poi ribadito che l'accertamento condotto nei gradi di merito non può essere sovvertito da questa Corte, ove sorretto da adeguata motivazione come si registra nel caso di specie. L'identificazione della causa della lesione patita dal D.G. è stata motivatamente rintracciata nella sottovalutazione del quadro clinico prima dell'intervento . e dalla omessa adozione di cautele doverose nel corso di questo. In tale quadro al B. è stato rimproverato di aver formulato l'erronea diagnosi di ingresso sospetta artrite reumatoide e di aver partecipato all'intervento chirurgico. Le diverse affermazioni del ricorrente si traducono nella prospettazione di una ricostruzione alternativa dei fatti che si vorrebbe veder avallata da questa Corte, ben oltre i poteri a questa conferiti. 4.3. Tuttavia, il tema dell'attribuzione del fatto illecito ad uno specifico soggetto in casi come quello che occupa non può esaurirsi nella sola evocazione del principio che regola la ripartizione delle responsabilità nell'ambito della attività medico di équipe. Com'è noto, la giurisprudenza di questa Corte segnala che, in tema di colpa professionale, nel caso di equipe chirurgica e più in generale in quello in cui ci si trovi di fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell'attività medicochirurgica, sia pure svolta non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico. Principio dal quale discende che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio Sez. 4, n. 18548 del 24/01/2005 - dep. 18/05/2005, Miranda ed altri, Rv. 231535 Sez. 4, n. 33619 del 12/07/2006 - dep. 06/10/2006, Iaquinta, Rv. 234971 . Né può invocare il principio di affidamento - e tanto va rimarcato, a fronte della doglianza mossa dal ricorrente - l'agente che non abbia osservato una regola precauzionale su cui si innesti l'altrui condotta colposa, poiché allorquando il garante precedente abbia posto in essere una condotta colposa che abbia avuto efficacia causale nella determinazione dell'evento, unitamente alla condotta colposa del garante successivo, persiste la responsabilità anche del primo in base al principio di equivalenza delle cause, a meno che possa affermarsi l'efficacia esclusiva della causa sopravvenuta, che deve avere carattere di eccezionalità ed imprevedibilità ciò che si verifica solo allorquando la condotta sopravvenuta abbia fatto venire meno la situazione di pericolo originariamente provocata o l'abbia in tal modo modificata da escludere la riconducibilità al precedente garante della scelta operata Sez. 4, n. 46824 del 26/10/2011 - dep. 19/12/2011, Castellano e altro, Rv. 252140 . Simili statuizioni vanno in ogni caso rapportate ai principi valevoli in materia di responsabilità penale, di talché va verificato, oltre al concreto comportamento omissivo o commissivo che, provvisto di valenza con-causale, rappresenta il contributo reso dall'imputato tratto a giudizio al verificarsi dell'illecito, anche se quel contributo gli sia concretamente rimproverabile sul piano soggettivo”, secondo i noti criteri elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina in tema di colpa. Pertanto, il fatto che il B. sia specialista della materia e come tale in grado di valutare compiutamente la correttezza delle tecniche operatorie adottate - posto dalla Corte di Appello a fulcro del proprio giudizio - è soltanto una delle premesse dell'attribuzione dell'illecito, dovendo pur sempre essere accertato - ed espresso con adeguata motivazione - se egli abbia avuto la concreta possibilità di conoscere e valutare l'attività svolta da altro collega, nella specie la dr.ssa C. di controllarne la correttezza di agire ponendo rimedio o facendo in modo che si ponesse rimedio agli errori da quella commessi perché evidenti e quindi da lui rilevabili ed emendabili. E ciò anche tenuto conto dei rilievi difensivi. Un simile accertamento è doveroso nel caso in esame, posto che l'inserzione nel procedimento penale dell'azione civile alla quale sia conseguita condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati , impone, ai sensi dell'art. 578 cod. proc, pen., di decidere sull'impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili. A tal fine i motivi di impugnazione proposti dall'imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno dalla mancanza di prova della innocenza dell'imputato, secondo quanto previsto dall'art. 129, co. 2 cod. proc. pen. in tal senso, tra le altre, Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876 Sez. 6, n. 16155 del 20/03/2013 - dep. 08/04/2013, Galati e altri, Rv. 255666 . La motivazione impugnata risulta in parte qua omessa nulla è espresso e reso oggetto di valutazione quanto allo scambio di informazioni tra il primo operatore e l'aiuto, onde valutare l'eventuale negligenza di quest'ultimo rispetto alla parzialità o erroneità del quadro cognitivo o alle opzioni metodologiche prescelte per l'intervento nulla è espresso e valutato quanto alla ripartizione dei compiti in sede di intervento. 5. In conclusione la sentenza impugnata va annullata, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, al quale va rimessa la regolamentazione delle spese tra le parti anche per questo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata agli effetti civili, con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, cui rimette la regolamentazione delle spese tra le parti anche per questo giudizio.