Riconoscibile il solo impedimento che rischi di aggravare le condizioni di salute dell’imputato

A prescindere dallo stato avanzato della patologia di cui è eventualmente affetto. Inoltre, la mancata assunzione di una perizia non è mai prova decisiva ai fini del ricorso in Cassazione.

Il fatto. Al danneggiato da un sinistro venne applicata una ingessatura. Questi rimosse il gesso prima della decorrenza del tempo diagnosticato per il consolidamento osseo e gettò la relativa cartella clinica, nel tentativo di eliminare la prova dell’inadempimento alle prescrizioni mediche. La cartella fu poi ritrovata, nei luoghi riconducibili al danneggiato poi imputato. Probabile il tentativo – maldestro – di dissimulare alcune condizioni cliniche e di acquisire un risarcimento più sostanzioso. Contestate le falsità materiali ex artt. 476 e 482 c.p. e la soppressione o distruzione di atti veri ex art. 490 c.p. l’imputato venne nel merito condannato. Ricorre in Cassazione, contesta la mancata assunzione di una prova – decisiva – di una perizia che in grado di rilevare i vantaggi – ai fini del risarcimento del danno – della condotta perpetrata dall’imputato. Inoltre l’imputato – sottoposto medio tempore a chemioterapie – contesta il mancato riconoscimento di un certificato impedimento a comparire all’udienza, vizio che condurrebbe alla nullità della sentenza che ha deciso ex art. 178 lett. c c.p.p. La Cassazione, Quinta sez. Penale, con la sentenza n. 43810 depositata il 25 ottobre 2013, rigetta il ricorso. Va riconosciuto il solo impedimento a comparire dell’imputato che ne determini un serio rischio alla salute e non anche quello che ne impedisca la consapevole partecipazione ai fatti processuali. L’imputato aveva prodotto una certificazione medica in cui risultavano i cicli chemioterapici cui era sottoposto, nulla aggiungeva o più specificamente chiariva. Il giudice aveva negato il rinvio richiesto dal difensore, il quale aveva rilevato l’obnubilamento cognitivo dell’assistito, assolutamente incapace, per lo stato avanzato della terapia, di prendere contezza dei contenuti delle udienze del dibattimento. Per il difensore, l’impedimento a comparire atterrebbe dunque alle idoneità alla partecipazione consapevole ai fatti processuali da parte dell’imputato. La Cassazione pare adottare un metro distinto , confortata da una recente ma già consolidata giurisprudenza, che staglia la richiesta di riconoscimento dell’impedimento più che sul deficit cognitivo dell’imputato sofferente, invece sul nocumento – alias aggravamento - che l’imputato rischierebbe di subire con la partecipazione all’udienza. Il legittimo impedimento riconoscibile dal giudice segue dunque la verifica di un fatto patologico in rischio di evoluzione, per la presenza fisica dell’imputato all’udienza, e non l’eventuale incapacità illo tempore per l’imputato di prendere cognizione di quanto accadeva nelle aule processuali. Il caso limite. Di conseguenza, l’impedimento a comparire non sarebbe necessariamente riconoscibile anche allorquando l’imputato è già in condizioni fisiche e materiali deprecabili – tali da impedire la consapevolezza di quanto accade nel processo – ma la presenza all’udienza non sarebbe comunque in grado di aggravarne il già deficitario stato patologico. La perizia, se mai assunta dai giudici del merito, non è mai prova decisiva ex art. 606, lett. d , c.p.p. La condotta del reo, in realtà, era già apparsa nervosa e grossolana, la difesa aveva chiesto una perizia medica che accertasse i vantaggi, a suo dire inesistenti, seguenti alla rimozione della cartella clinica – ai fini dell’ottenimento di un risarcimento maggiore -. Tuttavia, precisa la Cassazione, la perizia non è mai prova decisiva ex art. 606 cit., in quanto il giudice, in ogni caso, non solo può discostarsene dai contenuti adeguatamente motivando, può anche non disporne l’acquisizione quando ritiene bastevoli massime di esperienza o altri dati processuali già maturati ai fini della compiuta elaborazione di un giudizio di responsabilità. La perizia non è mai prova decisiva ai fini del ricorso in Cassazione, in quanto la relativa disposizione è atto di discrezionalità giudiziale e di valutazione del fatto in contestazione, in quanto tali preclusi al sindacato dei giudici di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 marzo - 25 ottobre 2013, n. 43810 Presidente Ferrua – Relatore Micheli Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Genova, il 25/01/2012, confermava la sentenza del Tribunale della stessa città con cui, il 14/12/2010, G S. era stato condannato alla pena di mesi 9 di reclusione, nonché al pagamento delle spese processuali, per reati di cui agli artt. 476, 482 e 490 cod. pen. i fatti si riferivano alla presunta falsificazione di un referto operatorio del 25/11/2004 riguardante il S. , a seguito di una rottura del tendine di Achille occorsagli il giorno precedente, nonché nella soppressione della cartella clinica relativa allo stesso intervento, il cui originale era stato gettato in un cestino della spazzatura il referto alterato era stato fotocopiato dopo la cancellazione della dicitura con grave degenerazione tendinea , sottraendone comunque la scheda anamnestica. 1.1 Stando alla ricostruzione dell'accaduto, come sintetizzata nelle sentenze di merito, il S. - infermiere presso lo stesso ospedale dove era stato sottoposto alla ricordata operazione chirurgica - aveva rimosso da sé la conseguente ingessatura, per poi sottoporsi a sedute di fisioterapia che tuttavia aveva interrotto a causa di forti dolori rivoltosi ad un medico legale, questi gli aveva consigliato una risonanza magnetica, invitandolo a tornare con i risultati di quell'indagine e con la copia della cartella clinica relativa all'intervento. L'infermiere si era rivolto ad altro personale del nosocomio una teste aveva riferito che il S. le aveva in effetti rivolto istanza per il prelievo della cartella, sostenendo di essere già stato autorizzato dalla collega B. , che tuttavia aveva negato la circostanza ottenendo comunque la disponibilità della cartella in questione, che l'imputato aveva sostenuto di avere riconsegnato all'archivista il giorno dopo. In un cestino dei rifiuti nei pressi di una fotocopiatrice in uso alla sala gessi, era però stato rinvenuto un documento originale pertinente a quella cartella, con i segni della cancellazione dell'anzidetta dicitura. Riteneva pertanto la Corte territoriale, disattendendo le doglianze sviluppate dalla difesa nei motivi di appello, che l'unico soggetto a poter avere concreto interesse a quelle condotte fosse sicuramente il S. in via di pura ipotesi, ammettendo un esito non risolutivo dell'intervento od errori del chirurgo che questi avesse voluto occultare, sarebbe stato semmai ragionevole che l'operatore aggiungesse il particolare di una grave degenerazione tendinea in realtà inesistente, non già il contrario. Circa la presunta inspiegabilità logica di comportamenti tanto grossolani da parte dell'imputato che secondo la difesa avrebbe avuto la possibilità di impossessarsi della cartella o restituirla accedendo personalmente nel luogo dove era custodita, senza esporsi a richieste sospette, ed avrebbe avuto altresì interesse a far sparire un originale scomodo fuori dalla struttura dell'ospedale , i giudici di appello ritenevano i rilievi difensivi privi di fondamento, non senza rilevare che - in generale - nessuno va a rovistare nei cestini, e che pertanto il S. è stato incastrato a seguito di un caso fortuito. Per ciò che attiene poi alla riposizione della cartella clinica, non è detto che - indipendentemente dal fatto che l'abbia in precedenza sottratta o avuta in consegna - il S. abbia avuto il contingente agio di rimetterla a posto senza essere notato. Ben più semplice era restituirla apertamente, asserendo o sottintendendo di averla in precedenza avuta non furtivamente”. 1.2 La Corte di appello rigettava l'impugnazione proposta nell'interesse del S. anche in ordine ad una ipotesi di nullità della sentenza di primo grado per essere stato disatteso un legittimo impedimento dello stesso imputato per l'udienza del 07/07/2010, documentato da certificazione medica. Sul punto, dato atto che il certificato in questione attestava algie con edema reattivo in portatore di morbo di Chercot deformante in piede destro in chemioterapia ricalcificante”, la Corte territoriale rilevava che non vi risultavano prenotazioni per sedute di chemioterapia per lo stesso giorno dell'udienza, né situazioni di assoluta impossibilità di comparire in Tribunale o di uscire dall'abitazione bensì una generica prescrizione di riposo e cure per 10 giorni . 2. Propone ricorso, articolato in due motivi, il difensore dell'imputato. 2.1 Con il primo motivo, il ricorrente si duole della mancata dichiarazione di nullità della sentenza del Tribunale in ragione dell'omessa considerazione del legittimo impedimento a suo tempo dedotto ad avviso della difesa, le motivazioni addotte sul punto dai giudici di merito debbono reputarsi illogiche e lesive dei diritti dell'imputato, negando prevalenza alla salvaguardia della di lui salute. Si sostiene nel ricorso che la certificazione prodotta soddisfa tutti i requisiti richiesti dalla Suprema Corte in quanto attesta un'impossibilità assoluta deducibile dalla ben conosciuta invasività della chemioterapia sul corpo umano, ed anche l'effettività e l'attualità della malattia il suddetto certificato, infatti, reca la data del 6 luglio 2010, ovvero un giorno prima dell'udienza, e prescrive un tempo determinato di riposo e cure pari a 10 giorni”. Non avrebbe alcuna rilevanza, al contrario, la sola constatazione dell'assenza in detto certificato di un veto esplicito ad uscire di casa”. In ogni caso, secondo il difensore la nozione di intervento dell'imputato contemplata dall'art. 178 del codice di rito non può essere restrittivamente intesa nel senso di mera presenza fisica nel procedimento, ma piuttosto deve consistere in una partecipazione attiva e cosciente alla vicenda processuale dell'imputato, al quale deve garantirsi l'effettivo esercizio dei diritti e delle facoltà di cui lo stesso è titolare [ .]. Altrimenti, si potrebbe giungere al paradosso di ritenere validamente presente in udienza un soggetto in stato comatoso”. Ne deriva l'illogicità della decisione impugnata, che da un lato da contezza di una cura debilitante in atto quale la chemioterapia, ed al contempo non tiene conto che un soggetto sottoposto a quel trattamento, ove presente in udienza, dovrebbe intendersi fisicamente ma soprattutto mentalmente passivo”. 2.2 Con il secondo motivo, la difesa lamenta mancata assunzione di una prova decisiva, della quale era stata fatta espressa richiesta nell'atto di appello, e correlato difetto di motivazione della sentenza impugnata. Il ricorrente segnala che nel proprio gravame aveva instato affinché il S. venisse sottoposto a visita medico-legale onde accertare se e quali vantaggi avrebbe potuto trarre il prevenuto da un'eventuale alterazione della cartella clinica, sulla scorta degli esiti dell'operazione a cui lo stesso è stato sottoposto”. Tuttavia, a fronte di tale richiesta, la Corte territoriale non si sarebbe in alcun modo pronunciata. Considerato in diritto 1. Il ricorso non può meritare accoglimento. 1.1 Per consolidata giurisprudenza, deve ritenersi legittimo il provvedimento con cui il giudice di merito - investito di una richiesta di rinvio per impedimento a comparire con allegato certificato medico - abbia ritenuto l'insussistenza del dedotto impedimento [ .], in quanto detto certificato non preclude al giudice di valutare, anche indipendentemente da una verifica fiscale e facendo ricorso a nozioni di comune esperienza, l'effettiva impossibilità per il soggetto portatore della dedotta patologia di comparire in giudizio, se non a prezzo di un grave e non altrimenti evitabile rischio per la propria salute, che costituisce condizione imprescindibile ai fini dell'integrazione dell'assoluta impossibilità di comparire che legittima l'impedimento” Cass., Sez. VI, n. 4284 del 10/01/2013, G. . Nel caso di specie, pur in presenza di un quadro patologico certamente grave, il certificato de quo non attestava alcunché a proposito della debilitazione e/o della passività mentale che il ricorrente deduce, né consentiva di desumere altrimenti una siffatta condizione generale attraverso, ad esempio, l'indicazione delle date in cui il paziente si era effettivamente sottoposto a trattamento chemioterapico si prescrivevano solamente riposo e cure per 10 giorni in relazione alla specifica diagnosi ivi attestata algie con edema reattivo . Si trattava dunque di un paziente che avvertiva dolorabilità - deve ritenersi, al piede destro - in relazione a seri problemi di salute, ma non di un paziente di cui si documentava l'assoluta impossibilità di lasciare la propria abitazione, situazione che sarebbe stato agevole descrivere per il sanitario laddove avesse in ipotesi riscontrato una impossibilità di deambulare. Ne deriva che la motivazione della sentenza impugnata, sul punto, appare immune da censure. 1.2 Quanto al tema oggetto del secondo motivo di ricorso, deve rilevarsi che la perizia, per il suo carattere neutro sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva ne consegue che il relativo provvedimento di diniego non è sanzionabile ai sensi dell'art. 606 comma primo lett. d cod. proc. pen., in quanto giudizio di fatto che se sorretto da adeguata motivazione è insindacabile in Cassazione” Cass., Sez. IV, n. 14130 del 22/01/2007, Pastorelli, Rv 236191 v. anche Cass., Sez. VI, n. 43526 del 03/10/2012, Ritorto . In ogni caso, appare ineccepibile quanto dedotto dalla Corte territoriale laddove segnala che, pur dovendosi considerare la lesione del tendine di Achille una patologia degenerativa in chi - come l'imputato - risultava affetto da diabete, e pure ammettendosi che egli, in quanto infermiere, fosse consapevole che non avrebbe ottenuto alcun concreto beneficio occultando il dato che in sede operatoria era stata riscontrata una grave degenerazione tendinea, restava il fatto incontroverso che l'odierno ricorrente si era comunque rivolto ad un medico legale, evidentemente mirando a conseguire un indennizzo, per quanto le sue cognizioni tecniche avrebbero dovuto fargli comprendere le difficoltà di ottenerlo. Anzi, proprio l'avere occultato la reale eziologia della lesione perché derivante da una degenerazione in atto, piuttosto che da possibili eventi traumatici , sottraendo al contempo la scheda anamnestica sulle patologie che affliggevano il paziente e che avrebbero facilmente spiegato quella degenerazione, dimostrava con chiarezza il dolo del S. . Argomenti che ribadiscono, al di là dell'aspetto formale sopra richiamato, l'inutilità di ulteriori accertamenti medico-legali nella fattispecie concreta. 2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del S. al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.