Costituisce sempre reato la coltivazione di una piantagione di cannabis?

Ribadita la punibilità della condotta di chi abbia coltivato una piantagione di cannabis quand’anche il principio attivo ricavabile dalla stessa sia inferiore alla dose media giornaliera .

Con la sentenza n. 43184 del 22 ottobre 2013, la Corte di Cassazione ha ribadito la punibilità della condotta di chi abbia coltivato una piantagione di cannabis quand’anche il principio attivo ricavabile dalla stessa sia inferiore alla dose media giornaliera , di cui al Decreto Ministeriale del 2006 proteso a definire, ex art. 73, comma 1 bis, D.P.R. n. 309/1990, le soglie entro le quali si possa ritenere che la detenzione della sostanza stupefacente sia finalizzata ad uso esclusivamente personale. Più precisamente si è affermato, facendo leva sulla più recente giurisprudenza sviluppatasi a seguito della decisione delle Sezioni unite con cui si è risolta positivamente la questione se costituisca condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale sentenza n. 28605/2008 , che la condotta in oggetto è da valutarsi come inoffensiva” soltanto se essa è priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in maniera assai limitata, minima, l’effetto psicotropo di cui all’art. 14 D.P.R. n. 309/1990, dovendosi considerare lecite solo le condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla presenza del principio attivo, da non poter indurre, neppure in misura trascurabile, la modificazione dell’assetto neuropsichico dell’utilizzatore per converso, anche dosi inferiori a quella media singola ben possono configurare il delitto in esame . Il caso. Nella specie gli imputati erano stati condannati dalla Corte d’appello in ragione della coltivazione di un quantitativo superiore a 289,75 grammi di cannabis, per il fatto che il principio attivo ricavabile 0,2% , benché inferiore al massimo tabellare 0,5% indicato dal Ministero della Salute, poteva comunque avere effetti stupefacenti. La difesa, ricorrendo per cassazione, aveva invece chiesto l’annullamento della condanna in ragione della sostanziale inutilizzabilità del materiale sequestrato attesa la nullità dei dati derivati dai campioni prelevati in mancanza di avviso ex art. 87 comma 2 D.P.R. n. 309/1990, essendo pacificamente il campionamento avvenuto senza avvertire il difensore, e – appunto – perché in ogni caso dalle piante in questione si poteva ricavare un principio attivo comunque inferiore a quello indicato ai fini di definire la dose media giornaliera . La Cassazione, pur ribadendo che il campione prelevato di per sé non fosse utilizzabile stante la violazione dell’art. 87 comma 2 D.P.R. n. 309/1990, ha ritenuto legittima la decisione di condanna fondata sulla perizia svolta su tutte le altre piante sottoposte a sequestro, posto che non si può pretendere di far risalire gli effetti del vizio dell’atto di campionatura al sequestro, che invece è immune da difetti , ed in considerazione del fatto che – come accennato – per il caso della coltivazione di piante il limite invocato dalle difesa è sostanzialmente irrilevante. E’ sempre reato coltivare una piantagione di cannabis? Nel motivare il proprio convincimento, la Corte ha richiamato, tra l’altro, la citata sentenza delle Sezioni unite con cui si è statuito che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale, atteso che è impossibile determinare ex ante la potenzialità drogante ricavabile dalla coltivazione, così da rendere ipotetiche e comunque meno affidabili le valutazioni in merito alla destinazione della droga all’uso personale piuttosto che alla cessione , spettando comunque al giudice il compito di verificare se la condotta, di volta in volta contestata all’agente ed accertata, sia assolutamente inidonea a porre a repentaglio il bene giuridico protetto, risultando in concreto inoffensiva Cass. n. 28605/2008 . Posta questa premessa, si è agevolmente concluso che l’innocenza poteva essere affermata solo se si fosse verificato in concreto l'inoffensività della condotta ovvero l'inidoneità della sostanza ricavabile dalle piante coltivate a produrre un effetto drogante significativo. Poiché, tuttavia, dalla perizia in atti emergeva la possibilità che dalle piante in sequestro potesse ricavarsi una sostanza capace di produrre alterazioni tipiche degli stupefacenti, doveva per necessità escludersi un qualunque errore della Corte d’appello. Da qui il respingimento del ricorso proposto. Concludendo . La sentenza in commento non fa che ribadire una posizione ormai granitica della Cassazione in tema di coltivazione di piante di cannabis, coltivazione che deve intendersi di per sé vietata allorché da essa si possa comunque ricavare una qualche sostanza drogante. Non è qui il caso di soffermarsi sulle ragioni logico-giuridiche affrontate specialmente dalle Sezioni unite per giustificare una simile interpretazione, anche perché in fondo il rigore interpretativo è stato di fatto giustificato da una generica ma seria difficoltà di individuare la potenzialità dannosa” del principio ricavabile dalle piante coltivate e dalla destinazione ad uso personale della droga ricavabile. Si può solo considerare che nella specie l’uso personale poteva comunque escludersi atteso il quantitativo di piante originariamente sequestrate circa 290 e conseguentemente non vi è stato il problema di giudicare il caso di chi, in maniera del tutto innocente”, abbia voluto curare e custodire nella propria abitazione piante di cannabis. Stando così le cose, non si versa in una ipotesi di irragionevolezza né è possibile criticare astrattamente la presente decisione sulla scorta del diritto di coltivare hobbies e con essi piante esotiche” di ogni tipo.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 settembre - 22 ottobre 2013, n. 43184 Presidente Brusco – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di Appello di Catanzaro ha riformato parzialmente la condanna pronunciata dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catanzaro nei confronti di C.A. e T.R. , giudicati responsabili di aver realizzato e coltivato una piantagione di cannabis sativa costituita da circa 290 piante. Il giudice di seconde cure, per contro, ha mandato assolti gli imputati per la coltivazione di un quantitativo superiore a gr. 289,75 di cannabis e, confermata la condanna limitatamente a tal ultimo quantitativo, riconosciuta l'attenuante di cui all'art. 73, co. 5 T.U. Stup. ha ridotto la pena inflitta agli imputati a mesi dieci di reclusione ed Euro quattromila di multa ciascuno, e ridotto la pena inflitta dal Tribunale. 2. Ricorrono per cassazione gli imputati con separati atti dal medesimo tenore, sottoscritti dai rispettivi difensori. Con un primo motivo si deduce violazione dell'art. 87, co. 2 T.U. Stup. Si premette che venne eseguita la campionatura delle piante cadute in sequestro senza dare previo avviso al difensore, diversamente da quanto imposto dall'art. 87 cit. Tanto determinò una nullità assoluta ed insanabile. La Corte di Appello ha sì convenuto con la dichiarazione della nullità pronunciata dal Tribunale ma ne ha dedotto che l'effetto è limitato alla capacità del campione di rappresentare il tutto, giungendo a ritenere utilizzabile come prova il reperto residuo limitatamente alla sua sola consistenza. Per gli esponenti, all'inverso, la violazione del diritto di difesa involge il tutto, residuo compreso . Con un secondo motivo si deduce mancanza o illogicità della motivazione in relazione alla valutazione fatta delle risultanze dell'accertamento peritale. Questo aveva evidenziato la presenza di un principio attivo pari a mg. 186/191 inteso come 186+191 mg. , che per la Corte territoriale può avere effetti stupefacenti, tenuto conto della diluizione della capacità drogante originaria dovuta al tempo trascorso prima della perizia e alle non perfette modalità di conservazione. Il giudice distrettuale, tuttavia, non ha tenuto conto che il perito medesimo aveva rilevato che le piante non erano probabilmente giunte a fioritura e che il processo di essiccamento non è stato adeguato. Per l'esponente ciò significa che non è possibile affermare quale sia stata la capacità stupefacente della sostanza in origine e quindi la diversa affermazione della Corte di Appello di sarebbe apodittica. Inoltre, essendo il principio attivo pari allo 0,2%, esso risulta inferiore al massimo tabellare di 500 mg., e quindi legittimamente detenibile. Considerato in diritto 3. I ricorsi sono infondati, nei termini di seguito precisati. 3.1. Va rammentato preliminarmente che, in caso di rinvenimento di una piantagione destinata alla produzione di sostanze stupefacenti, la polizia giudiziaria ben può limitare il sequestro ad alcune piante scelte a campione, procedendo contestualmente alla distruzione delle altre, e nella selezione delle piante da sottoporre al vincolo, non deve adottare le modalità previste dall'art. 87 d.P.R. n. 309 del 1990, atteso che tale disposizione disciplina la campionatura dello stupefacente già oggetto di cautela reale e non l'estrazione preliminare alla sua apposizione Sez. 4, n. 16097 del 21/01/2009 - dep. 16/04/2009, Varone e altro, Rv. 243635 . Nel caso che occupa è pacifico che la campionatura è stata eseguita solo successivamente al sequestro, con gli effetti che i giudici di merito hanno ritenuto. Il tema non costituisce più materia di discussione. La questione posta dai ricorsi è piuttosto quella della portata della nullità della campionatura, inteso come atto del procedimento. La soluzione argomentata dalla Corte di Appello è del tutto condivisibile. Il primo giudice, dopo aver dichiarato la nullità della campionatura eseguita dagli operanti per violazione dell'art. 87 T.U. Stup., aveva ritenuto comunque accertata la responsabilità degli imputati per il delitto loro contestato e quindi per la coltivazione di 290 piante di cannabis sativa , sulla scorta della descrizione dei fatti operata dai verbalizzanti, dei rilievi fotografici aventi ad oggetto la piantagione e del parere espresso da un agronomo, nominato ausiliario d p.g Per contro la Corte di Appello ha ritenuto che tali elementi non fossero sufficienti a dare dimostrazione della natura stupefacente delle piante, ancorché idonei ad individuarne il tipo e, stante la nullità della campionatura, ha affermato che il materiale vegetale costituente il campione non potesse essere considerato quale parte di un tutto. Tuttavia, ha proseguito la Corte distrettuale, la quota di piante in sequestro non valevole come campione, vale comunque a costituire prova della coltivazione delle stesse e richiamato l'esito dell'accertamento peritale eseguito, che ha evidenziato un peso lordo pari a gr. 289,75 ed un principio attivo pari allo 0,2%, per mg. 186/191 quindi un totale di mg. 377 , ha ritenuto integrato il reato contestato limitatamente a tale quota, tenendo altresì conto del processo di degradazione del principio attivo dovuto al tempo trascorso tra il sequestro e la perizia e le non perfette modalità di conservazione del reperto. Orbene, poiché la nullità ha colpito l'atto di campionatura, è proprio tale atto che perde cittadinanza nell'ambito del giudizio come già affermato dai collegi territoriali. Pretendere di estendere la portata di tale nullità al reperto in quanto tale è del tutto arbitrario, perché significherebbe far risalire gli effetti del vizio dall'atto di campionatura al sequestro, che invece è immune da difetti. 4. Quanto al secondo motivo di ricorso, mette conto rammentare che nel delitto di coltivazione l'offensività si atteggia in modo diverso rispetto a quanto non valga per il delitto di detenzione di sostanze stupefacenti. Il delitto di coltivazione domestica risulta integrato dalla condotta di coltivazione, dalla quale esula la destinazione alla cessione a terzi del prodotto della coltivazione medesima. Il dato ponderale, che pure risulta valorizzabile ai fini dell'accertamento della finalità per la quale si detiene della sostanza stupefacente, non assume quindi il medesimo valore all'interno della diversa ipotesi di coltivazione. Tuttavia, la circostanza che anche la coltivazione risulta punibile sempre che la condotta risulti offensiva in concreto del bene giuridico tutelato implica la non irrilevanza del dato ponderale, dal momento che esso può dare indicazioni sulla offensività o meno della condotta oggetto del giudizio. Ed invero, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che Ai fini della punibilità della coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, spetta al giudice verificare in concreto l'offensività della condotta ovvero l'idoneità della sostanza ricavata a produrre un effetto drogante rilevabile Sez. U, n. 28605 del 24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239921 Sez. U. 24/4/2008, Valletta Sez. 4, n. 1222 del 28/10/2008, Nicoletti, Rv. 242371 Sez. 4, n. 25674 del 17/02/2011, P.G. in proc. Marino, Rv. 250721 . Le Sez. Un. Di Salvia insegnano che la condotta è inoffensiva soltanto se il bene tutelato non è stato leso o messo in pericolo anche in grado minimo irrilevante, infatti, è a tal fine il grado dell'offesa , sicché, con riferimento allo specifico caso in esame, la offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile . Quanto al parametro al quale va fatto riferimento a tal scopo, appare corretto il principio di diritto posto da altra decisione di questa sezione, secondo la quale il decreto ministeriale 2006 ha l'unica finalità di definire, ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1 bis, soglie quantitative che possono indurre a ritenere, eventualmente in accordo con altre acquisizioni, che la detenzione delle sostanze stupefacenti sia finalizzata ad uso esclusivamente personale. Per quel che qui interessa ciò significa che la disciplina ministeriale, attese le sue finalità, individua la dose media con riferimento al principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo. Tale dose media costituisce a sua volta la base per la definizione della dose media giornaliera. La disciplina, dunque, essendo finalizzata ad individuare i bisogni medi di un soggetto assuefatto, non esclude affatto che dosi inferiori a quella media siano prive di rilievo penale. Si deve infatti considerare anche l'effetto drogante nei confronti di soggetti non dipendenti, che può essere evidentemente prodotto da dosi inferiori a quella media di cui si discute . Inoltre, se l'inidoneità dell'azione, relativamente alle fattispecie previste dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, va valutata unicamente avuto riguardo ai beni oggetto della tutela penale, individuabili in quelli della salute pubblica, della sicurezza e dell'ordine pubblico e della salvaguardia delle giovani generazioni, beni che sono messi in pericolo anche dallo spaccio di dosi contenenti un principio attivo al di sotto della soglia drogante Sez. un. 24/06/1998 Rv. 211073 , la configurazione della tipicità oggettiva non può comunque prescindere del tutto dalla considerazione della farmacologia attitudine delle diverse sostanze a produrre i loro effetti caratteristici. L'art. 14 T.U. Stup. richiama l'azione narcotico-analgesica dell'oppio e degli oppioidi l' azione eccitante della coca l'azione eccitante sul sistema nervoso centrale degli anfetaminici ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore la cannabis con i suoi effetti tipici ed ogni altra pianta i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali . Lo stesso richiamato decreto ministeriale del 2006 fa riferimento al potere di indurre alterazioni comportamentali e scadimento delle capacità psicotrope . In conseguenza, una configurazione dell'incriminazione in una guisa che prescindesse del tutto dal concreto effetto psicotropo finirebbe con il cancellarle il tratto più tipico della fattispecie, connesso, appunto, alla concreta attitudine ad influenzare in qualche anche lieve misura l'attività neuropsichica del consumatore. Pertanto, e conclusivamente, la condotta è inoffensiva soltanto se essa è priva della concreta attitudine ad esercitare, anche in misura assai limitata, minima, l'effetto psicotropo evocato dal già richiamato D.P.R., art. 14. Esulano, quindi, dalla sfera dell'illecito solo le condotte afferenti a quantitativi di stupefacente talmente tenui, quanto alla presenza del principio attivo, da non poter indurre, neppure in misura trascurabile, la modificazione dell'assetto neuropsichico dell'utilizzatore per converso, anche dosi inferiori a quella media singola ben possono configurare il delitto in esame Sez. 4, n. 21814 del 12/05/2010, Renna, Rv. 247478 . Tali conclusioni confutano il risalente orientamento, cui si richiama il ricorrente, per il quale in materia di coltivazione non autorizzata di piante stupefacenti, una volta accertata l'idoneità di una pianta a produrre il tetraidrocannabinolo thc che è l'elemento produttivo degli effetti psicotropi, essa deve essere considerata, agli effetti finali, alla stessa stregua di una cannabis indica , a nulla rilevando la sua particolare, diversa denominazione, e la maggiore o minore concentrazione di principio attivo, purché non inferiore allo 0,5 per cento. Sez. 6, n. 16648 del 20/10/1989, Biscardi, Rv. 182682 . 5. Nel caso che occupa l'accertamento tecnico ha stabilito che le piante esaminate permettevano di ricavare mg. 377 mg. di principio attivo non vi è quindi alcun dubbio in ordine alla capacità del quantitativo presente nel materiale vegetale mantenuto in sequestro di produrre gli effetti di alterazione neuropsichica sopra descritta. Ciò rende irrilevante ogni ulteriore considerazione in ordine alle implicazioni dell'effetto di decadimento dell'originaria capacità drogante. La sentenza impugnata è pertanto immune da censure. 6. Segue al rigetto, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.