Condizioni inumane di detenzione? È da verificare, e comunque il Magistrato di Sorveglianza non può esprimersi su eventuali risarcimenti

Il detenuto lamenta condizioni inumane di detenzione, ma al momento della verifica da parte del Magistrato di Sorveglianza non vengono riscontrate illegalità. Comunque sia, non è in suo potere pronunciare condanne di tipo risarcitorio.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 42901/13 della Corte di Cassazione, depositata il 18 ottobre scorso. La fattispecie. Un detenuto aveva lamentato le condizioni inumane e violatrici della vigente normativa interna e comunitaria del proprio stato di restrizione, nonché l’insufficienza delle strutture per la necessaria socialità, chiedendo pertanto una somma a titolo risarcitorio. Soldi che non si era visto riconoscere dal Magistrato di Sorveglianza, rivolgendosi dunque ai giudici di Cassazione. Il Magistrato di Sorveglianza non ha il potere di pronunciare condanne di tipo risarcitorio In primis , la S.C. sottolinea che il Magistrato di Sorveglianza non ha competenza per liquidare somme a favore del detenuto, in relazione a lamentati danni per le condizioni della detenzione, né potrebbe pronunciare condanna dell’Amministrazione Penitenziaria a tale titolo . ma di dare disposizioni in materia di violazione dei diritti dei detenuti. Tale magistrato ha infatti il compito di dare disposizioni per la rimozione di eventuali condizioni che determinino la violazione dei diritti, e dunque per il futuro, ma non ha il potere di pronunciare condanne di tipo risarcitorio. È per tali ragioni – conclude la Cassazione – che il Magistrato di Sorveglianza ha preso atto che non sussistevano, al tempo della sua decisione, patenti illegalità. Il ricorso, dunque, viene rigettato in toto .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 settembre – 18 ottobre 2013, n. 42901 Presidente Bardovagni – Relatore Zampetti Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza pronunciata in data 21.06.2012 e depositata il 15.01.2013, il Magistrato di Sorveglianza di Lecce rigettava il reclamo proposto da M G. , detenuto nel locale carcere, che aveva lamentato le condizioni della concreta restrizione, asseritamente inumane e violatrici della vigente normativa interna e comunitaria, le insufficienti strutture per la necessaria socialità, ed aveva quindi richiesto una somma a titolo risarcitorio. Rilevava invero detto Magistrato che, acquisite le necessarie informative presso la competente amministrazione carceraria, era risultato che le specifiche condizioni di restrizione del G. e la possibilità di fruizione di spazi e strutture di socialità erano, al presente, rispettose delle relative norme e per nulla induttive di trattamento inumano o degradante. 2. Avverso tale ordinanza proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto condannato che motivava l'impugnazione deducendo, con atto personale, violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare argomentando - in sintesi - nei seguenti termini - il provvedimento era pressoché immotivato sui punti di particolare criticità oggetto del reclamo - in realtà lo spazio disponibile nella cella era stato a lungo inferiore ai limiti fissati in sede comunitaria - le strutture per la socialità erano del tutto insufficienti - errato era di conseguenza il diniego del chiesto risarcimento o indennità . Il ricorrente concludeva quindi per l'annullamento dell'impugnato provvedimento. Considerato in diritto 1. Il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, non può essere accolto. Va premesso, per la migliore comprensione delle problematiche sollevate dal detenuto con il suo reclamo, che il G. poneva due questioni di massima lo spazio ridotto della cella e gli strumenti insufficienti della socialità finalizzate ad una richiesta conclusiva un ristoro monetario a titolo risarcitorio . 2. Va ancora detto che, avendo il Magistrato di Sorveglianza di competenza respinto i due profili su cui era basata la richiesta risarcitoria, ritenuti in concreto insussistenti, è risultata implicitamente, ma coerentemente, respinta anche quest'ultima domanda, sulla quale, peraltro, la doglianza mossa dal G. nel suo atto di ricorso è meramente di tipo inferenziale e dunque generica. Del resto, per completezza, va qui ricordato e ribadito che è giurisprudenza di questa Corte di legittimità che la Magistratura di Sorveglianza non ha competenza per liquidare somme a favore del detenuto, in relazione a lamentati danni per le condizioni della detenzione, né potrebbe pronunciare condanna dell'Amministrazione Penitenziaria a tale titolo sul punto, si veda Cass. Pen. Sez. 1, n. 4772 in data 15.01.2013, Rv. 254271, Vizzari . In proposito è bene ricordare che la competenza del Magistrato di Sorveglianza è circoscritta, sullo specifico tema, dall'art. 69, comma 5, L. 354/75 Impartisce, nel corso del trattamento, disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dei condannati e degli internati , nell'ambito dei poteri di vigilanza a lui affidati. Dunque il Magistrato di Sorveglianza può - e, se ravvisa la violazione, deve - dare disposizioni all'Amministrazione per la pronta rimozione di eventuali situazioni illegali, in quanto violatrici di diritti, ma non ha potere di pronunciare condanne di tipo risarcitorio, per le quali l'ordinamento, allo stato attuale della legislazione, predispone solo l'ordinario strumento della causa da introdurre davanti alla giurisdizione civile. 3. Ciò detto, venendo ora agli specifici motivi del ricorso, se ne deve affermare l'infondatezza. Quanto alla prima questione, relativa agli spazi disponibili nella cella, del tutto correttamente il Magistrato di Sorveglianza, sollecitato dal reclamo, ha richiesto formali informative alla Direzione dell'Istituto i cui risultati sono contrari alle tesi del reclamante. Risultava, invero, che nella situazione in atto - al momento della decisione in esame - il G. divideva con un altro detenuto una cella di mq. 10,17, il che rendeva lo spazio disponibile per ciascuno ben superiore al limite dei 3 mq. ritenuto in sede comunitaria il limite al di sotto del quale si determina il trattamento inumano. In relazione ai suoi poteri - che sono quelli di dare disposizioni per la rimozione di eventuali condizioni che determinino la violazione dei diritti, e dunque per il futuro si veda, ancora, sul punto, la sopra citata sentenza Vizzari - il Magistrato di Sorveglianza correttamente ha dovuto prendere atto che non sussistevano, al tempo della sua decisione, patenti illegalità. Né era suo compito, proprio per i limiti di sistema e comunque ex art. 69 Ord. Pen., compiere accertamenti sulle situazioni pregresse, come tali superate e non bisognose di interventi per eliminarle si tratta dunque di accertamento da rimettere all'eventuale sede civile, giudice ordinario dei diritti, ove adita . 4. Quanto alla seconda questione, parimenti il ricorso - che si risolve nella ripetizione delle doglianze di cui al reclamo - non può essere accolto. Anche sul punto va ripetuto lo schema argomentativo di cui al precedente paragrafo, in relazione ai limiti del potere del magistrato di Sorveglianza dare disposizioni dirette ad eliminare eventuali violazioni dei diritti dunque un'indagine sull'attuale rivolta al futuro . In proposito il giudice di competenza ha preso atto, con valutazione in fatto logica e coerente, non sindacabile nella presente sede, che le strutture dell'Istituto garantiscono una sufficiente socialità nei suoi vari aspetti ed articolazioni. Per tali profili, poi, anche per il passato non vi sono state marcate insufficienze, atteso che i pur deprecabili limiti strutturali degli strumenti disponibili non hanno impedito un apprezzabile trattamento risocializzante, di cui fa fede il diploma scolastico conseguito dal G. , circostanza pacifica. 5. In definitiva il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere respinto. Al completo rigetto dell'impugnazione consegue ex lege , in forza del disposto dell'art. 616 Cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.