Reato abrogato e poi riconfigurato: il giudice dell’esecuzione deve revocare la sentenza di condanna anche se passata in giudicato?

Il provvedimento sulla revoca di una decisione passata in giudicato va sempre preso in contraddittorio e non si può mai procedere oltre i fatti contestati ed ad una diversa qualificazione giuridica.

Con la sentenza n. 42900/2013 depositata il 18 ottobre , la Corte di Cassazione, affrontando ancora una volta gli effetti dell’abrogazione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale di cui all’art. 341 c.p. oggi riconfigurato dall’art. 341 bis c.p., ha avuto modo di definire compiutamente i poteri di sindacato che spettano al giudice dell’esecuzione chiamato ex art. 673 c.p.p. a revocare una decisione passata in giudicato per abolitio criminis . Il caso. In concreto è accaduto che il ricorrente, che aveva chiesto la revoca di un decreto penale di condanna – in precedenza emesso per il reato di oltraggio ex art. 341 c.p. - in ragione dell’abrogazione della fattispecie criminosa ad opera della Legge n. 205/1999, ha lamentato l’illegittimità del provvedimento di diniego, sia perché adottato inaudita altera parte sia perché il giudice aveva fondato il suo convincimento su dati non contestati o comunque non contemplati nel capo d’imputazione in modo da poter sussumere il tutto sotto la fattispecie del nuovo art. 341 bis c.p. introdotto dalla Legge n. 94/2009, provvedendo inoltre ad una inammissibile riqualificazione giuridica del fatto sub art. 591 c.p La Corte di Cassazione, facendo leva sia sulla giurisprudenza in materia e soprattutto della sentenza n. 29023/2001 delle Sezioni unite, che ha propriamente definito i poteri spettanti al giudice dell’esecuzione in tema di revoca della sentenza per abolitio criminis , ha accolto pienamente il ricorso. Il giudice dell’esecuzione non ha alcuna possibilità di riconsiderare i dati processuali? Si è, infatti, affermato che il procedimento in questione non può essere definito de plano , dovendosi applicare l’art. 666 c.p.p., ma solo previa costituzione del contraddittorio tra le parti, allorché – ovviamente – si debba valutare nel merito la richiesta e non vi sia una inammissibilità originaria della stessa. Si è inoltre chiarito, ancora una volta e – si spesa - ormai definitivamente, che in sede esecutiva nel giudicare se vi sia continuità normativa tra le diverse fattispecie criminose bisogna necessariamente attenersi al fatto così come contestato nel capo d’accusa cristallizzato dal giudicato, essendo inibito al giudice dell’esecuzione qualsiasi possibilità di riconsiderare i dati processuali, non possedendo a tal fine i poteri tipici del giudice della cognizione. Da ultimo si è ribadito quanto espresso nella sentenza delle Sezioni unite citate e precisamente che in tema di oltraggio l’abrogazione degli articolo 341 e 344 c.p. integra un’ipotesi di abolitio criminis disciplinata dall’art. 2, comma 2, c.p., con la conseguenza che, se vi è stata condanna, ne cessano esecuzione ed effetti penali e la relativa sentenza deve essere revocata, ai sensi dell’art. 673 c.p.p., dal giudice dell’esecuzione, al quale non è consentito modificare l’originaria qualificazione o accertare il fatto in modo difforme da quello ritenuto in sentenza, riqualificando come ingiuria aggravata dalla qualità del soggetto articoli 594 e 61 n. 10 c.p. la condotta contestata come oltraggio e rideterminando, in relazione alla nuova fattispecie penale la pena già irrogata . Sentenza da revocare anche se passata formalmente in giudicato? Tale ultimo aspetto deriva dal significato che assume l’art. 673 c.p.p. nel quadro dell’attuale sistema penale, poiché con esso il giudice dell'esecuzione ha il dovere di revocare la sentenza di condanna per un reato di oltraggio, nonostante che essa sia già passata formalmente in giudicato. In tal modo, non solo si evita di dare esecuzione alla condanna per un reato che la coscienza sociale e l'ordinamento giuridico non giudicano più tale come già imponeva il secondo comma dell'art. 2 c.p. ma si dà anche attuazione a un principio generale per cui se si abolisce la premessa maggiore incriminazione dell'oltraggio è ragionevole rimuovere anche la conclusione del sillogismo giuridico basato su quella premessa sentenza di condanna . Ciò avviene proprio perché l'art. 673 c.p.p. del nuovo codice di rito ha segnato un reciso mutamento di tendenza rispetto alle prescrizioni dell'art. 2, comma 2, c.p. , poiché per quest’ultima norma l' abolitio criminis non spiega effetti sul giudicato ma esaurisce la sua valenza demolitoria sull'esecuzione della sentenza, senza alcuna efficacia risolutiva della decisione divenuta irrevocabile. Nel nuovo quadro normativo, invece, in concomitanza con i più penetranti poteri riconosciuti al giudice dell'esecuzione ed in puntuale coerenza con il processo di integrale giurisdizionalizzazione di ogni momento di tale fase ., la decisione viene ad incidere direttamente, cancellandola, sulla sentenza del giudice della cognizione Corte Cost. sentenza n. 96/1996 . Non è possibile riqualificare la condotta contestata. In altri termini, il giudice dell'esecuzione, a differenza del giudice della cognizione, non può riqualificare la condotta contestata con altra fattispecie astrattamente applicabile al caso e per conseguenza conservare o rimodulare la pena irrogata in relazione alla nuova fattispecie penale, essenzialmente perché la norma dell'art. 673 non consente affatto al giudice dell'esecuzione di modificare l'originaria imputazione o di accertare il fatto in modo difforme da quello ritenuto dalla sentenza passata in giudicato Cass. Pen., SSUU, sent. n. 29023/2001 . Se così non fosse, il sistema del processo esecutivo, sia pure giurisdizionalizzato, si snaturerebbe perché diventerebbe una replica anomala del processo di cognizione e ben potrebbero altresì sorgere dubbi di costituzionalità sullo stesso per eccesso di delega posto che le direttive nn. 96 e 97 dell'art. 2 l. n. 81/1987, riconoscono al giudice dell'esecuzione un potere di rivalutare il fatto solo per applicare la disciplina del concorso formale e della continuazione di reati vedi art. 671 c.p.p. . Conclusioni. Da quanto sopra emergono la chiarezza e persuasività della decisione in commento. Non vi è quindi nulla da aggiungere se non segnalare come gli istituti di garanzia, come quello previsto dall’art. 673 c.p.p., non possano essere utilizzati o snaturati contra reum . D’altra parte, per quanto opinabili e frettolose possano essere le scelte legislative di abrogare questo o quel reato, per poi farlo riemergere sotto altra forma e a distanza di anni, il principio di legalità penale non può essere disatteso, posto che esso – e per fortuna – garantisce i cittadini dagli arbitri politici e da una sempre più diffusa scarsa attenzione dalle riforme sempre meno epocali in materia criminale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 settembre – 18 ottobre 2013, n. 42900 Presidente Bardovagni – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza resa il 19 luglio 2012 il G.I.P. del Tribunale di Trieste, pronunciando quale giudice dell'esecuzione, respingeva l'istanza, avanzata nell'interesse della condannata P.E. , diretta ad ottenere la revocazione del decreto penale di condanna a giorni venti di reclusione, convertiti in 1.500.000 lire di multa, pronunciato il 13 novembre 1995 dal G.I.P. della Pretura circondariale di Trieste per il reato p. e p. dall'art. 341 cod. pen., commi 1 e 4. 1.1 Quel giudice fondava la decisione sulla ritenuta sussumibilità della condotta illecita nella fattispecie di reato, prevista dall'art. 341- bis cod. pen. e ciò in ragione della contestazione nel procedimento già definito della commissione della condotta in presenza di più persone, circostanza aggravante all'epoca contestata ai sensi del comma quarto dell'art. 341 cod. pen 2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione l'interessata a mezzo del suo difensore, il quale ha articolato i seguenti motivi a violazione di legge in relazione agli artt. 2, 341 e 341- bis cod. pen., 181 della legge 25 giugno 1999 n. 205 e 1, comma 8, della legge 24 luglio 2009 n. 94, 673 cod. proc. pen., nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione. La decisione impugnata non aveva considerato che il delitto di oltraggio era stato abrogato e che la nuova fattispecie, pur condividendo con la precedente alcuni profili oggettivi, ne differisce nei presupposti ed in particolare prevede tre elementi costitutivi assenti dalla precedente disciplina 1 il fatto che l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale avvenga in presenza di più persone 2 il fatto che l'offesa ali1 onore e al prestigio del pubblico ufficiale avvenga in luogo pubblico o aperto al pubblico 3 il fatto che l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale avvenga mentre il pubblico ufficiale compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, ragione per la quale la fattispecie prevista dall'art. 341- bis cod.pen. integra un reato diverso da quello già previsto dall'art. 341 cod.pen., abrogato dall'art. 181 l. 205/1999. b Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 2, 341 e 341- bis cod. pen., 181 della legge 25 giugno 1999 n. 205 e 1, comma 8, della legge 24 luglio 2009 n. 94, 673 cod. proc. pen., nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione. Anche a voler ritenere che, contrariamente a quanto esposto nel primo motivo di ricorso, il giudice dell'esecuzione non dovesse limitarsi a constatare l'avvenuta abrogazione della norma dell'art. 341 cod.pen., ma potesse verificare se la fattispecie concreta accertata con il decreto penale di cui è causa sia o meno sussumibile nel nuovo art. 341 bis cod.pen., le conclusioni raggiunte sarebbero egualmente erronee, non potendosi in sede di decisione sulla revoca della sentenza di condanna procedere ad un nuovo esame degli atti del giudizio, al fine dell'affermazione della continuità normativa tra la fattispecie per cui è intervenuta condanna e quella nuova introdotta da norma successiva e di ricavarne elementi che non siano stati oggetto di accertamento nel giudizio in cui si è formato il giudicato e rispetto ai quali la difesa non abbia potuto esercitare le sue prerogative. In particolare, nel caso in esame il giudice avrebbe dovuto verificare se l'offesa fosse avvenuta in presenza di più persone ed in luogo pubblico o aperto al pubblico, nonché se fosse stata arrecata mentre il pubblico ufficiale compiva un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni, elementi non sussistenti nel caso in esame e non contestati a suo tempo. c Inosservanza e/o erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 673, 666, 666 comma 3 cod. proc. pen., in quanto la decisione impugnata è stata assunta in assenza della previa fissazione dell'udienza e del contraddittorio tra le parti. 3. Con requisitoria scritta depositata il 22 aprile 2013 il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata e la revoca del decreto penale di condanna, emesso a carico della ricorrente, condividendone i motivi di ricorso. Considerato in diritto Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto. 1. In primo luogo, per ragioni logiche, prima ancora che giuridiche, va esaminato l'ultimo motivo di gravame, avente natura pregiudiziale, col quale si è lamentata la violazione delle disposizioni processuali, applicabili al procedimento di revoca di cui all'art. 673 cod. pen. in effetti il G.I.P. ha definito il procedimento, attivato dall'istanza della ricorrente, mediante ordinanza che l'ha respinta nel merito per la sua infondatezza, adottata però de plano , ossia senza avere previamente instaurato il contraddittorio. In tal modo si è posto in contrasto con la norma di cui all'art. 666 cod. proc. pen. e con l'insegnamento di questa Corte, secondo il quale il giudice dell'esecuzione, ove rigetti per motivi di merito l'istanza di revoca per sopravvenuta abolitio criminis ” della sentenza di condanna esecutiva, deve adottare la procedura camerale prevista dall'art. 666, comma terzo, cod. proc. pen. e non già emettere il provvedimento de plano , adottabile solo se riguardi l'ammissibilità della richiesta , secondo quanto prescritto dallo stesso art. 666 cod. proc. pen., comma 2 Cass. sez. 1, n. 14040 del 27/03/2007, Menin, rv. 236216 sez. 6, n. 1759 del 16/05/1995, De Filippis, rv. 201896 . Già di per sé siffatto rilievo impone l'annullamento del provvedimento gravato. 2. Sono parimenti fondati i restanti motivi. L'ordinanza impugnata, con motivazione lapidaria e ben poco illustrativa, ha ritenuto di poter ravvisare continuità tra la fattispecie di oltraggio a pubblico ufficiale, come disciplinata dall'art. 341 cod.pen. e la nuova ipotesi di reato, delineata e sanzionata dall'art. 341-bis cod. pen. in quanto la pronuncia delle offese, rivolte al pubblico ufficiale, era avvenuta in presenza di più persone, circostanza oggetto di specifica contestazione nell'imputazione elevata nel procedimento definito con il decreto penale di cui si è chiesta la revoca. 2.1 Tale rilievo risulta insufficiente a sostenere la decisione in verifica ed a ritenere la condotta, già accertata e sanzionata con titolo giudiziale irrevocabile, tuttora incriminata e rientrante nella previsione dell'art. 341-bis cod. pen 2.2 È noto che, disposta l'abrogazione degli articoli 341 e 344 per effetto dell'articolo 18 della legge 25 giugno 1999, n. 205, il delitto di oltraggio è stato nuovamente introdotto nell'ordinamento a seguito della legge n. 94 del 2009, che ha però delineato una nuova figura di illecito, caratterizzato sotto il profilo della condotta materiale da un'azione consistente nell'offesa dell'onore e della reputazione della vittima, con la pretesa però di ulteriori requisiti oggettivi, in precedenza non richiesti, nel senso che 1 l'offesa all'onore e al prestigio del pubblico ufficiale deve avvenire alla presenza di più persone 2 essere realizzata in luogo pubblico o aperto al pubblico 3 in un momento, nel quale il pubblico ufficiale compie un atto d'ufficio ed a causa o nell'esercizio delle sue funzioni. Come argomentato puntualmente dalla dottrina con osservazioni pertinenti e condivisibili, richiamate anche in ricorso, l'ambito oggettivo della nuova incriminazione è stato mutato per l'inserimento nella fattispecie di presupposti fattuali, qualificanti la condotta ed indicativi del fatto che ciò che viene riprovato dall'ordinamento non è la mera lesione in sé dell'onore e della reputazione del pubblico ufficiale, quanto la conoscenza di tale violazione da parte di un contesto soggettivo allargato a più persone presenti al momento dell'azione, da compiersi in un ambito spaziale specificato come luogo pubblico o aperto al pubblico e in contestualità con il compimento dell'atto dell'ufficio ed a causa o nell'esercizio della funzione pubblica. In altri termini, il legislatore incrimina comportamenti ritenuti pregiudizievoli del bene protetto a condizione della diffusione della percezione dell'offesa, del collegamento temporale e finalistico con l'esercizio della potestà pubblica e della possibile interferenza perturbatrice col suo espletamento. 2.3 Ha dunque fondamento l'opinione che ravvisa nell'ipotesi di reato di cui all'art. 341 cod. pen. una nuova ed autonoma fattispecie penale rispetto a quella abrogata, introdotta a distanza di dieci anni dall'avvenuta abolitici criminis ” con un corrispondente intervallo di assoluta non punibilità di quelle condotte, se non integranti diverse fattispecie di reato. Resta dunque escluso possa ravvisarsi continuità tra le due figure di illecito penale, sia per il notevole distacco temporale tra abrogazione della precedente ed introduzione della nuova, sia per la diversità strutturale e la differente tipologia di azione, necessaria ad integrare il reato. E tanto indurrebbe ad annullare la decisione impugnata. 3. Ma anche a voler seguire il metodo di raffronto, seguito dal giudice dell'esecuzione, il fatto che il decreto penale a carico della ricorrente fosse stato emesso per sanzionare condotta oltraggiosa, commessa alla presenza di più persone, non costituisce dato sufficiente per negare la chiesta revoca, in quanto nell'accusa elevata in quel procedimento già definito difetta l'esplicita contestazione della commissione dell'azione in luogo pubblico o aperto al pubblico e della contestualità tra offesa e compimento dell'atto pubblico ed a causa dello stesso. 3.1 Pertanto, seppur si volesse ritenere corretto il procedimento valutativo, condotto dal giudice di merito, non ne sono condivisibili gli esiti perché in contrasto con quanto prescritto dall'art. 673 cod. proc. pen. ed all'interpretazione offertane da costante indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale in tema di esecuzione, con riferimento all'ipotesi di abrogazione di una norma incriminatrice, al giudice non è consentito di procedere ad accertamenti ulteriori al fine di stabilire se il fatto per il quale era stata pronunziata condanna costituisca o meno reato, dovendo egli limitarsi ad interpretare il giudicato e quindi ad accertare se nella contestazione risultino gli elementi costituenti la nuova categoria dell'illecito la verifica, invero, demandata al giudice dell'esecuzione consiste nel confronto del fatto contestato nell'imputazione e accertato nella sentenza con gli elementi specializzanti introdotti dalla nuova normativa Cass. sez. 1, n. 13404 del 17/02/2005 Spadola, rv. 231260 sez. 5, n. 26859 del 05/04/2004, Mazzoleni, rv. 229864 Sez. 1, n. 17285 del 16/04/2008, Briatore, rv. 239629 sez. 1, n. 29170 del 01/02/2011, Bruno, rv. 250999 sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto e altri, rv. 253929 . Deve altresì tenersi conto che l'intervento chiarificatore delle Sez. Unite di questa Corte ha precisato come in tema di oltraggio, l'abrogazione degli articoli 341 e 344 c.p., disposta dall'articolo 18 l. 25 giugno 1999, n. 205, integra un'ipotesi di abolitio criminis disciplinata dall'articolo 2, secondo comma, cod pen., con la conseguenza che, se vi è stata condanna, ne cessano esecuzione ed effetti penali e la relativa sentenza deve essere revocata, ai sensi dell'articolo 673 Cpp., dal giudice dell'esecuzione, al quale non è consentito modificare l'originaria qualificazione o accertare il fatto in modo difforme da quello ritenuto in sentenza, riqualificando come ingiuria aggravata dalla qualità del soggetto passivo articoli 594 e 61 n. 10 c.p. la condotta contestata come oltraggio e rideterminando, in relazione alla nuova fattispecie penale, la pena già irrogata . Cass. Sez. U, n. 29023 del 27/06/2001, Avitabile, Rv. 219223 . 3.2 Nel caso in esame il G.I.P. ha potuto verificare la ricorrenza di uno soltanto dei presupposti oggettivi, costituenti elementi specializzanti e qualificanti la nuova figura di oltraggio, penalmente rilevante, senza avere condotto alcun riscontro sui restanti la parzialità dell'accertamento e la sottrazione agli obblighi argomentativi incombenti impongono di disporre l'annullamento dell'ordinanza impugnata senza rinvio ai sensi dell'art. 620 cod. proc. pen. e, stante il considerevole intervallo temporale tra abrogazione dell'art. 341 cod. pen. e più recente incriminazione della nuova fattispecie di oltraggio, di revocare in questa sede il decreto di condanna. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata e revoca la condanna inflitta dal G.I.P. del Tribunale di Trieste con decreto del 13 novembre 1995 a P.E. .