Gli abiti pregiati sono un lusso … che in carcere non ci si può permettere

Consentire ad alcuni detenuti di indossare abiti ed accessori di lusso riproporrebbe le posizioni di predominio del boss, non rispettando la par condicio tra detenuti.

Abiti ed accessori di lusso, perché no? E poi, se uno può permetterseli, che male c’è? Il discorso cambia, però - e a dirlo è addirittura la Corte di Cassazione sent. n. 42605/2013, depositata lo scorso 16 ottobre - se a voler indossare abiti di questo tipo è un boss detenuto in carcere e sottoposto, tra l’altro, al regime del 41 bis . Il caso. Il Magistrato di Sorveglianza, accogliendo il reclamo di un detenuto sottoposto al regime del 41 bis Ord. Pen., disponeva la disapplicazione nei suoi confronti della circolare ministeriale relativa al divieto imposto di ricevere e detenere capi di abbigliamento ed accessori particolarmente costosi e di tipo lussuoso. I detenuti devono essere trattati tutti allo stesso modo. A rivolgersi in Cassazione sono il Procuratore della Repubblica e l’Avvocato Distrettuale dello Stato che sottolineano come le limitazioni in questione siano giustificate da preminenti ed evidenti ragioni di parità di trattamento tra detenuti , non essendo comunque ragionevole consentire a chi sia sottoposto a trattamento più rigoroso di godere di condizioni più favorevoli degli altri detenuti. Abiti di lusso in cella? La S.C. chiarisce che, come per gli oggetti personali che i carcerati possono tenere e usare, anche per quanto riguarda il vestiario di proprietà personale, per poter essere ammesso, deve essere giustificato da ragioni di particolare valore morale ed affettivo, non deve essere di consistente valore economico e non deve essere incompatibile con l’ordinato svolgimento della vita nell’istituto. Abbigliamento adatto ad altri ambienti e scenari. Infatti – osserva la Corte – l’adozione, da parte di alcuni detenuti, di un vestiario particolarmente pregiato e lussuoso sicuramente darebbe origine a contrasti e gravi disarmonie nella popolazione carceraria, nonché sarebbe di intralcio nella scansione esplicativa delle normali attività intramurarie . Inoltre, l’adozione di vestiario lussuoso, oltre ad alterare la par condicio in carcere, riproporrebbe in ambito carcerario posizioni di predominio, anche in un ben differenziato aspetto esteriore, ricalcato proprio dalle organizzazioni malavitose di provenienza . L’ordinanza impugnata viene dunque annullata senza rinvio, anche perché è davvero illogico consentire condizioni di maggiore agio personale, al limite del voluttuario, a condannati sottoposti a regime di più aspro rigore trattamentale.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 settembre – 16 ottobre 2013, n. 42605 Presidente Bardovagni – Relatore Zampetti Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 10.01.2013 il Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia, accogliendo il reclamo proposto da L.R.G.G. , detenuto sottoposto al regime di cui all'art. 41 bis Ord. Pen., disponeva la disapplicazione nei suoi confronti della circolare ministeriale e dei conseguenti ordini di servizio della Direzione dell'Istituto penitenziario relativi al divieto imposto di ricevere e detenere capi di abbigliamento ed accessori particolarmente costosi e di tipo lussuoso. Osservava invero il detto Magistrato come la disposizione ministeriale in questione avesse imposto un regime generale eccessivamente restrittivo, non giustificato da reali ragioni di sicurezza, mentre il decreto applicativo del regime ex art. 41 bis Ord. Pen. non conteneva specifiche limitazione a qualità e marca dell'abbigliamento consentito. 2. Avverso tale ordinanza proponevano ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Reggio Emilia e l'Avvocato Distrettuale dello Stato per conto dell'Amministrazione penitenziaria i quali, con atti di analogo contenuto, deducevano violazione di legge argomentando, in sintesi, nei seguenti termini le limitazioni in discussione, derivanti dalla normativa specifica, sono giustificate da preminenti ed evidenti ragioni di parità di trattamento tra detenuti, non essendo comunque ragionevole consentire a chi sia sottoposto a trattamento più rigoroso di godere di condizioni più favorevoli degli altri detenuti. Considerato in diritto 1. I ricorsi del Procuratore della Repubblica e dell'Amministrazione penitenziaria, fondati, devono essere accolti. 2. L'ordinanza impugnata deve essere annullata per violazione di legge e comunque per vizio di motivazione. Rileva invero questa Corte che il vigente ordinamento penitenziario prevede una precisa disciplina relativa al vestiario di detenuti ed internati, distinguendo tra quelli che corrisponde l'Amministrazione e quelli personali di loro proprietà. La disciplina è prevista dall'art. 7 L. 354/75 e dagli artt. 9 e 10 del DPR 230/2000 regolamento dell'ordinamento penitenziario . Orbene, premesso che è espressamente prevista la - del resto imprescindibile - emanazione di disposizioni ministeriali di attuazione specifica, va rilevato che in ordine a vestiario e corredo di proprietà espressamente sono rimessi al regolamento interno i casi in cui i ristretti possono essere ammessi a fare uso di corredo di loro proprietà e quali sono gli effetti che possono essere usati. In coerenza a tale principio, è parimenti ammesso in via generale il possesso di oggetti personali a condizione che abbiano un particolare valore morale o affettivo, pur che non abbiano - di contro - un consistente valore economico e non siano incompatibili con l'ordinato svolgimento della vita dell'istituto. È del tutto evidente che tale rigorosa disciplina prevista per gli oggetti personali non può non essere ritenuta pertinente anche al vestiario di proprietà personale, che dunque, per poter essere ammesso, deve essere giustificato da ragioni di particolare valore morale ed affettivo, non deve essere di consistente valore economico e non deve essere incompatibile con l'ordinato svolgimento della vita nell'istituto. Sotto tale ultimo profilo non può non rilevarsi che l'adozione, da parte di alcuni detenuti, di un vestiario particolarmente pregiato ed anche francamente lussuoso, adatto ad altri ambienti e scenari, sicuramente darebbe origine a contrasti e gravi disarmonie nella popolazione carceraria, nonché sarebbe di intralcio si pensi solo alla necessità di plurimi cambi d'abito nella stessa giornata nella scansione esplicativa delle normali attività intramurarie. È del tutto corretta, poi, e va condivisa, l'osservazione critica dei ricorrenti che hanno rilevato come l'adozione di vestiario lussuoso - che sarebbe possibile solo da parte dei detenuti particolarmente facoltosi - non solo altererebbe la tendenziale par condicio che deve presiedere alla condizione carceraria, che non può sopportare ingiustificate distinzioni nell'esecuzione della pena, ma finirebbe anche per riproporre ed esaltare in ambito carcerario posizioni di predominio, anche in un ben differenziato aspetto esteriore, ricalcato proprio dalle organizzazioni malavitose di provenienza, il che è davvero inammissibile. Non può non riconoscersi, invero, che il vestiario che solo un boss può permettersi, che lo ha contraddistinto in libertà, e che un mero affiliato non si sarebbe mai ardito di indossare per rispettare le ineludibili gerarchie interne , costituirebbe motivo di distinzioni, vassallaggi, ossequi o invidie, e simili gravi turbative, ben pericolose per l'ordine e la sicurezza, quanto meno interne. Queste considerazioni di carattere generale, in quanto discendenti dalla legge e dal relativo regolamento, superano -di natura loro - l'errata riflessione del giudice a quo limitate al decreto ministeriale impositivo della disciplina ex art. 41 bis Ord. Pen., atto particolare, profilo sul quale peraltro non può non concordarsi con il rilievo critico dei ricorrenti secondo cui è davvero illogico - e qui si inserisce il vizio motivazionale dell'impugnata ordinanza - consentire condizioni di maggiore agio personale, al limite - od oltre il limite - del voluttuario, a condannati sottoposti a regime di più aspro rigore trattamentale. Per conseguenza risulta evidente che è stata illegittima - e va annullata - la disapplicazione della circolare ministeriale e dei conseguenti atti interni disposta dal Magistrato di Sorveglianza di Reggio Emilia. 3. In definitiva l'ordinanza impugnata deve essere annullata per il preminente vizio di violazione di legge. L'annullamento deve essere pronunciato senza rinvio, ex art. 620 cod. proc. pen., non essendo necessario nuovo esame del reclamo del L.R. che rimane soccombente già in base alla presente pronuncia, attesa la contrarietà a legge del provvedimento qui annullato. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.