Risponde la Compagnia assicurativa per culpa in vigilando

Non è illogico ritenere che la Compagnia assicuratrice doveva necessariamente conoscere il pacchetto clienti della sua dipendente infedele e che quindi, ben avrebbe potuto diramare un avviso, mettendo in guardia i propri clienti della condotta truffaldina di questa.

Lo ha affermato la Corte di Cassazione nella sentenza n. 42105, depositata l’11 ottobre 2013. Il caso. La Corte d’Appello aveva dichiarato di non doversi procedere a carico di una imputata per la prescrizione dei reati di truffa aggravata, sostituzione di persona, appropriazione indebita e falso a lei ascritti e aveva confermato la condanna dell’imputata e del responsabile civile al risarcimento dei danni patrimoniali liquidati dal primo giudice in favore delle costituite parti civili. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il responsabile civile, una società assicuratrice. Secondo la ricorrente, la sentenza impugnata avrebbe riconosciuto la sua responsabilità, per il comportamento illecito dell’imputata, pur essendosi tale comportamento realizzato dopo che quest’ultima, dipendente presso un’agenzia assicurativa, era stata licenziata. La Compagnia ha contestato, inoltre, che ci sia stato un comportamento negligente da parte sua per non aver comunicato ai suoi assicurati l’avvenuto licenziamento della dipendente, eccependo che essa non avrebbe mai potuto venire a conoscenza delle posizioni fantasma” create dalla ex dipendente. Per la Suprema Corte il ricorso è infondato. Infatti, per gli Ermellini, nel caso di specie, la Corte territoriale non ha ignorato che le condotte truffaldine dell’imputata sono state compiute dopo il licenziamento della medesima, ma ha ritenuto ugualmente sussistente il rapporto di occasionalità necessaria, osservando che le condotte dell’imputata comunque si innestavano nel meccanismo dell’attività complessiva della Compagnia, in quanto dirette al procacciamento dei clienti e alla riscossione dei premi . Nessun avviso diramato. Il Collegio ha avallato la valutazione della Corte, la quale, proprio in ragione dell’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro in concomitanza con l’inizio delle condotte illecite, non ha attribuito alla Compagnia assicuratrice la responsabilità per i fatti illeciti della sua ex dipendente a titolo oggettivo, ma ha fondato il giudizio di responsabilità su un’ipotesi di culpa in vigilando, identificando un comportamento concretamente negligente della Compagnia che scoperte le irregolarità dell’imputata, si preoccupò solo del rientro delle somme non percepite e non anche della tutela della posizione dei truffati e di impedire che potesse allargarsi il numero di questi ultimi . Tali conclusioni, per Piazza Cavour, non prestano il fianco ad alcuna critica di illogicità, perciò il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 settembre - 11 ottobre 2013, n. 42105 Presidente Casucci – Relatore Gallo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 2/11/2011, la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Latina, Sezione Distaccata di Terracina, in data 12/2/2010, dichiarava non doversi procedere a carico di Z.C. per la prescrizione dei reati di truffa aggravata, sostituzione di persona, appropriazione indebita e falso a lei ascritti, revocava le statuizioni civili relative al danno morale, rinviandone la liquidazione in sede civile e confermava la condanna dell'imputata e del responsabile civile al risarcimento dei danni patrimoniali liquidati dal primo giudice in favore delle costituite parti civili. 3. Avverso tale sentenza propone ricorso il responsabile civile, Assicurazioni Generali S.p.a. sollevando tre motivi di gravame. 3.1 Con il primo motivo deduce contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione, tenuto conto delle risultanze processuali e dell'art. 2049 cod. civ Al riguardo si duole che la sentenza impugnata abbia riconosciuto la responsabilità della Società, per il comportamento illecito della Z. , pur essendosi tale comportamento realizzato dopo che l'imputata, dipendente presso l'Agenzia di Terracina, era stata licenziata nel settembre del 2001 . Contesta, inoltre, che ci sia stato un comportamento negligente da parte della Compagnia per non comunicato ai suoi assicurati l'avvenuto licenziamento della Z. , eccependo che essa non avrebbe mai potuto venire a conoscenza della posizioni fantasma create dalla Z. . Infine si duole che la condanna avrebbe attribuito al datore di lavoro una sorta di responsabilità oggettiva, non deducibile dall'art. 2049 cod. civ 3.2 Con il secondo motivo deduce l'assoluto difetto di motivazione in ordine alla questione dedotta con i motivi d'appello del concorso colposo, ex art. 1227 cod. civ., delle parti civili per la violazione del loro obbligo di diligenza, ex art. 1176 cod. civ. e della relativa incidenza sulla responsabilità, ex art. 2049 cod. civ. dolendosi che la Corte d'Appello non abbia minimamente affrontato tale tema. Con il terzo motivo si duole che la Corte d'appello non abbia dato nessuna risposta in ordine alla richiesta subordinata di manleva/regresso nei confronti di Z.C. e/o del Banco di Napoli. 4. Il difensore delle parti civili ha depositato memoria, resistendo al ricorso del responsabile civile. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. 2. Per quanto riguarda il primo motivo in punto di responsabilità della Compagnia assicuratrice per il comportamento illecito della Z. , le censure non sono fondate. In punto di responsabilità della società d'intermediazione finanziaria per i fatti illeciti dei loro promotori finanziari, le Sezioni civili della Cassazione hanno statuito che la disposizione dell'art. 5, comma quarto, della legge 2 gennaio 1991, n. 1, secondo la quale la società di intermediazione mobiliare è responsabile in solido degli eventuali danni arrecati a terzi nello svolgimento delle incombenze affidate ai promotori finanziari, anche se tali danni siano conseguenti a loro responsabilità accertata in sede penale, richiede un rapporto di necessaria occasionalità tra incombenze affidate e fatto del promotore, che è ravvisabile in tutte le ipotesi in cui il comportamento del promotore rientri nel quadro delle attività funzionali all'esercizio delle incombenze di cui è investito. Né rileva che il comportamento del promotore abbia esorbitato dal limite fissato dalla società, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall'inserimento del promotore stesso nell'attività della società d'intermediazione mobiliare e si sia realizzata nell'ambito e coerentemente alle finalità in vista delle quali l'incarico è stato conferito, in maniera tale da far apparire al terzo in buona fede che l'attività posta in essere, per la consumazione dell'illecito, rientrasse nell'incarico affidato Cass. Civ., Sez. 1, Sentenza n. 6829 del 24/03/2011, Rv. 616357 . Quindi è stato precisato che si tratta di responsabilità di natura oggettiva. Infatti la S.c. ha statuito che la società di intermediazione mobiliare risponde a titolo oggettivo dei danni causati ai risparmiatori dai propri preposti, sulla base dell'esistenza del solo nesso di occasionalità necessaria tra l'attività del promotore finanziario e l'illecito, a prescindere da qualsiasi indagine sullo stato soggettivo di dolo o colpa della preponente, ed a nulla rilevando che la condotta truffaldina del promotore abbia avuto inizio prima ancora del sorgere del rapporto di preposizione tra lo stesso e la SIM. Cass. Civ., Sez. 3, Sentenza n. 12448 del 19/07/2012, Rv. 623354 . Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha ignorato che le condotte truffatine della Z. sono state compiute dopo il licenziamento della medesima, ma ha ritenuto -ugualmente - sussistente il rapporto di occasionalità necessaria, osservando che le condotte dell'imputata comunque si innestavano nel meccanismo dell'attività complessiva della Compagnia, in quanto dirette al procacciamento dei clienti ed alla riscossione dei premi”. 3. La Corte, tuttavia, proprio in ragione dell'avvenuta cessazione del rapporto di lavoro in concomitanza con l'inizio delle condotte illecite della Z. , non ha attribuito alla Compagnia assicuratrice la responsabilità per i fatti illeciti della sua ex dipendente a titolo oggettivo, ma ha fondato il giudizio di responsabilità su un'ipotesi di culpa in vigilando, identificando un comportamento concretamente negligente della Compagnia che scoperte le irregolarità della Z. , si preoccupò solo del rientro delle somme non percepite e non anche della tutela della posizione dei truffati e di impedire che potesse allargarsi il numero di quest'ultimi”. 4. Tali conclusioni non prestano il fianco ad alcuna critica di illogicità e non sono scalfite dalle censure della ricorrente, ove si tenga presente che la Compagnia doveva necessariamente conoscere il pacchetto clienti della sua dipendente infedele e quindi, ben avrebbe potuto diramare un avviso, mettendo in guardia i propri clienti. Di conseguenza il motivo deve essere respinto. 5. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato. Nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata per non aver motivato in ordine alla eccezione di concorso del fatto colposo del creditore con riferimento al comportamento delle persone offese. Tale eccezione risultava manifestamente infondata in quanto il danno è stato provocato da comportamento doloso della ex dipendente della Compagnia. Rispetto all'attività delittuosa dell'agente non è concepibile alcun concorso di colpa delle vittime del reato. Di conseguenza nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata per non aver motivato in ordine ad un motivo d'appello palesemente inammissibile. 6. Per quanto riguarda il terzo motivo di ricorso, la censura è inammissibile per carenza d'interesse in quanto il fatto che la Corte d'appello non si sia pronunciata sulla domanda subordinata del responsabile civile di manleva nei confronti di Z.C. e/o del Banco di Napoli, non pregiudica minimamente la possibilità della ricorrente di esercitare l'azione di regresso nei confronti della sua ex dipendente infedele. 7. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché alla refusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, che si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore delle parti civili, A.A. , A.F. , D.R.E. , T.M.R. , e B.L. , delle spese sostenute nel grado che si liquidano in Euro. 3.000,00 oltre accessori di legge.