Niente illusioni per i garantisti: nella bancarotta propria non occorre nesso causale tra condotta e insolvenza … l’assoluzione va cercata altrove!

Il dissesto della società è estraneo alla struttura del delitto di bancarotta propria, in quanto mero substrato economico della insolvenza. Estraneo al reato è anche, di conseguenza, il rapporto causale fra la condotta ed il dissesto, che è rilevante solo laddove il legislatore lo abbia espressamente previsto come tale, come accaduto nella fattispecie di bancarotta impropria di cui all’art. 223, comma 2, l. fall

Questo il principio di diritto estrapolabile dalla sentenza n. 41887 del 10 ottobre 2013 della Corte di Cassazione. Quando una rondine non fa primavera” Con queste parole venne salutata da autorevole dottrina F. D’Alessandro la ormai celeberrima sentenza della V Sezione Penale n. 47502/2012 sulla bancarotta del Ravenna calcio, che superando una granitica giurisprudenza della Cassazione aveva affermato che la dichiarazione di fallimento costituisce a tutti gli effetti l’evento del reato di bancarotta e, pertanto, deve essere in nesso causale con la condotta delittuosa ed illuminato dall’elemento psicologico del reato. Peraltro, al di là, come vedremo, della lungimiranza di questa dottrina, che la pronuncia sul Ravenna calcio non fosse nata sotto i migliori auspici lo si era capito dalla lettura della motivazione di altra sentenza, pronunciata dalla medesima V Sezione proprio nel corso della stessa udienza pubblica Cass. Pen. n. 733/2013 ! In tale pronuncia si affermava esplicitamente l’esatto contrario e cioè che la punibilità della condotta di bancarotta per distrazione non è subordinata alla condizione che la stessa distrazione sia stata causa del dissesto, in quanto una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento i fatti di distrazione assumono rilevanza penale in qualsiasi tempo siano stati commessi e, quindi, anche quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza né è rilevante, trattandosi di reato di pericolo, che al momento della consumazione l’agente non avesse consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa per non essersi lo stesso ancora manifestato . ma è indice imprescindibile che occorre una riforma . Il pronunciamento sul Ravenna calcio non era tuttavia stato un inopinato scivolone degli Ermellini, ma una scelta consapevole che ripercorreva criticamente la consolidata giurisprudenza contraria, giungendo, sulla base di indubbiamente pregevoli argomentazioni, a conclusioni diametralmente opposte. Fra di esse si evidenziava che l’opzione di ritenere non indispensabile, al fine della configurabilità del delitto di bancarotta propria prefallimentare per distrazione, un legame causale tra le condotte di bancarotta e il fallimento avrebbe potuto portare a conseguenze aberranti in punto di aleatorietà della sanzione, soprattutto alla luce dei più recenti interventi normativi di riforma della legge fallimentare. Le recenti riforme alla legge fallimentare hanno, infatti, ampliato gli spazi delle c.d. soluzioni alternative alle crisi d’impresa e hanno scelto di valorizzare, in maniera particolarmente marcata, il ruolo della volontà del ceto creditorio. Come si è già avuto modo di osservare su questa rivista, è evidente che la legge fallimentare appare oggi improntata ad agevolare altre procedure concorsuali concordato preventivo, art. 67 lett. d l.f., accordi di ristrutturazione , che sono ispirate ad un’ottica radicalmente opposta a quella tradizionale meramente liquidatoria , in quanto si valorizzata oggi la capacità di ripresa del soggetto - imprenditore, che si è trovato in difficoltà. Secondo l’estensore della sentenza sul Ravenna calcio, poiché il fallimento può dipendere da fattori estremamente eterogenei, rinunciare alla prova che esso derivi effettivamente dalle condotte fraudolente dell’imprenditore significa ammettere la possibilità di punire arbitrariamente il fallimento di per sé, principio che appare incompatibile con le recenti modifiche normative. Tale ragionamento deve ritenersi certamente condivisibile, apparendo difficilmente spiegabile come, di fronte ad un siffatto mutamento di prospettiva del legislatore sulla disciplina del fallimento, non vi sia stato un altrettanto significativo quanto necessario intervento sulla disciplina penale del fallimento, che, invece, è rimasta sostanzialmente immutata. Ed il contrasto mai sorto. Se, dunque, la sentenza sul Ravenna calcio appare meritevole di condivisione per aver stigmatizzato l’esigenza di un adeguamento della disciplina penale del fallimento a fronte dei nuovi principi ispiratori delle recenti riforme strutturali sulla legge fallimentare, per contro non si può certo affermare che abbia aperto, almeno ad oggi, un contrasto giurisprudenziale significativo. Allo stato, infatti, tale pronuncia è divenuta tanto celebre in quanto rappresenta un unicum nel panorama della giurisprudenza di legittimità in tema di bancarotta. Ed infatti, dopo la citata decisione, gli Ermellini non hanno esitato a smentire – con giurisprudenza altrettanto granitica quale quella che aveva preceduto la sentenza n. 47502 – i principi di tale sentenza, e ciò è avvenuto in modo quanto mai esplicito e categorico nella pronuncia che si annota. Nel caso in esame, infatti, è sempre la Sezione V ad affermare che il fallimento non è evento del reato e, dunque, non deve essere conseguenza delle condotte di distrazione, in quanto, laddove il legislatore ha inteso attribuire tale ruolo al fallimento, lo ha fatto con esplicita indicazione legislativa come è accaduto con il D.lgs. n. 61/2002, che ha modificato in tale senso il testo dell’art. 223, comma 2, l.f Se analoga innovazione, si osserva nella motivazione della sentenza che si annota, non è stata introdotta nella ipotesi di bancarotta propria, appare evidente che in tale ultima fattispecie detto nesso causale non è richiesto. l’assoluzione è altrove. È sotto altro profilo dunque che la Cassazione, nel caso in esame, interviene ad inferire la insussistenza del delitto di bancarotta. Secondo i giudici di merito, infatti, il reato era stato integrato dalla cessione da parte dell’amministratore di alcuni cespiti immobiliari della società, poi fallita, ad altra società, di cui era socio lo stesso amministratore, il cui prezzo non era stato poi integralmente pagato. Secondo gli Ermellini, una volta smentita in punto di fatto dal ricorrente la circostanza che l’amministratore fosse anche socio, al momento della compravendita degli immobili, della società acquirente, il mero mancato pagamento parziale del prezzo da parte della società acquirente integra, in difetto di altre circostanze, mero inadempimento contrattuale e non condotta di bancarotta per distrazione. È pertanto su questo aspetto che cade la mannaia della Suprema Corte, che annulla con rinvio, ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, la pronuncia di condanna.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 settembre - 10 ottobre 2013, n. 41887 Presidente Dubolino – Relatore Zaza Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Roma del 10/01/2008, veniva confermata l'affermazione di responsabilità di S.M. per il reato di cui all'art. 216 r.d. 16 marzo 1942, n. 267, commesso quale amministratore della DP Costruzioni s.r.l., dichiarata fallita in omissis , distraendo il patrimonio immobiliare della società, costituito da immobili acquistati nel 2001 dalla DG Costruzioni s.r.l., che venivano ceduti il omissis alla Arcnova 93 s.r.l., della quale la S. era socia, la quale corrispondeva solo parzialmente il prezzo pattuito, risultando non versata la somma di Euro 166.903,66. La decisione di primo grado veniva altresì confermata nella condanna della S. alla pena di anni due di reclusione, e invece riformata con la concessione all'imputata del beneficio della non menzione. L'imputata ricorre sull'affermazione di responsabilità, e deduce contraddittorietà della motivazione nell'indicazione del passivo fallimentare, comunque di per sé non dimostrativo della sussistenza del reato di bancarotta patrimoniale, in misura che non teneva conto dell'accollo dei mutui da parte della Arcnova e dei crediti vantati dalla fallita nella qualificazione dell'imputata come socia della Arcnova 93 all'epoca della vendita degli immobili, in contrasto con la consulenza tecnica come da tabella allegata al ricorso e nell'indicazione del prezzo concordato per la vendita degli immobili in Euro. 594.800 anziché in Euro 516.500, come risulta dall'atto di vendita anch'esso allegato al ricorso, e nella conseguente determinazione della differenza non pagata nell'importo indicati in premessa in luogo di quello effettivo di Euro 88.603,66, sostanzialmente coperta dalla transazione intervenuta fra la curatela e la Arcnova 93 per la somma di Euro. 80.000, come da relativo atto allegato. La ricorrente lamenta altresì mancanza di motivazione sull'irrilevanza, nella determinazione del fallimento, della differenza di cui sopra e comunque dell'esiguo valore degli immobili, gravati da ipoteche a garanzia dei mutui. Considerato in diritto Il ricorso è fondato nei seguenti termini. Le censure della ricorrente non hanno per il vero fondamento con riguardo alla dedotta rideterminazione dell'importo della somma non pervenuta nelle disponibilità della fallita in misura corrispondente al valore della transazione con la Arcnova 93. Anche a voler seguire il diverso computo prospettato nel ricorso, la definizione transattiva di una pendenza attinente ad una somma sottratta alla fallita non fa venir meno la rilevanza penale della contestata condotta distrattiva Sez. 5, n. 5158 del 27/02/1992, Capriolo, Rv. 189958 , avuto riguardo alla natura di reati di pericolo che connota i delitti in materia fallimentare ed attribuisce valenza lesiva anche alla mera potenzialità di un danno per le ragioni dei creditori Sez. 5, n. 12897 del 06/10/1999, Tassan Din, Rv. 214860 sez. 5, n. 11633 dell'08/02/2012, Lombardi Stronati, Rv. 252307 Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, Rossetto, Rv. 253932 e non esclude pertanto, nel caso di specie, la portata lesiva della ipotizzata distrazione di una somma che, pur ridotta, rimane, anche nella diversa ricostruzione del ricorrente, come apprezzabile differenza fra il prezzo pattuito e quello versato per la cessione degli immobili della fallita. Infondata è altresì la doglianza di mancanza di motivazione sull'esiguità della predetta somma ai fini dell'incidenza della distrazione della stessa sulla causazione del fallimento. Tale aspetto è infatti irrilevante ai fini della configurabilità reato di bancarotta fraudolenta, il cui evento è costituito unicamente dalla lesione dell'interesse patrimoniale della massa creditoria Sez. 5, n. 16759 del 24/03/2010, Fiume, Rv. 246879 , già riconducibile alla condotta di sottrazione di beni a detrimento della garanzia patrimoniale o di documentazione in pregiudizio delle possibilità di verifica contabile, e non anche dal dissesto della società, estraneo alla struttura del reato in quanto mero substrato economico dell'insolvenza Sez. 1, n. 40172 dell'01/10/2009, Simonte, Rv. 245350 . Estraneo al reato è di conseguenza anche il rapporto causale fra la condotta ed il dissesto Sez. 5, n. 34584 del 06/05/2008, Casillo, Rv. 241349 Sez. 5, n. 232 del 09/10/2012 07/01/2013 , Sistro, Rv. 254061 Sez. 5, n. 7545 del 25/10/2012 15/02/2013 , Lanciotti, Rv. 254634 che peraltro, ove inteso dal legislatore come viceversa rilevante per la ravvisabilità del reato, è espressamente previsto per le sole fattispecie di bancarotta impropria di cui all'art. 233, comma secondo, legge fall., norma significativamente modificata dall'art. 4 d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61, con l'estensione della necessità del nesso causale fra il dissesto e la commissione di determinati reati societari, senza che analoga disposizione sia stata con l'occasione introdotta per gli altri reati fallimentari. Sono invece fondate le censure relative all'effettiva ravvisabilità, nel mancato versamento della descritta parte del prezzo dovuto alla fallita, di una condotta distrattiva. La circostanza dell'incompletezza del pagamento, in sé considerata, non è infatti in sé univocamente indicativa di un'operazione preordinata a sottrarre disponibilità della DP Costruzioni in favore della Arcnova 93, mediante la vendita alla stessa degli immobili ad un prezzo di fatto inferiore al valore concordato o, comunque, l'omessa pretesa dell'integrale versamento del prezzo stabilito essendo altresì ipotizzabile, in alternativa, che il mancato pagamento, soprattutto in quanto parziale, fosse dovuto ad un mero inadempimento contrattuale della società acquirente. Tenuto conto di questo, acquisisce di conseguenza rilevanza determinante, nella concludenza motivazionale della sentenza impugnata, l'ulteriore riferimento della stessa all'identità degli assetti proprietari della DP Costruzioni e della Arcnova 93. In una prospettiva del genere, infatti, l'inadempimento in quanto tale, per essere risultato di una scelta volontaria di soggetti analoghi a quelli titolari della società fallita, assumerebbe inevitabilmente il significato di un'operazione consapevolmente depauperativa in danno di quest'ultima. Proprio il dato di cui sopra era tuttavia oggetto di una specifica deduzione dell'atto di appello, reiterata con il ricorso in discussione anche attraverso l'allegazione di una tabella estratta dalla consulenza tecnica in atti dalla quale risulta che l'imputata, alla data della cessione degli immobili, non era socia della Arcnova 93, avendo ceduto le quote il OMISSIS a tali B.G. e C.M. , e neppure ne era più amministratore, avendo dismesso tale carica il OMISSIS . In considerazione di ciò, la prova del carattere distrattivo dell'operazione avrebbe richiesto un'adeguata motivazione sulla presenza di ulteriori elementi, indicativi di una persistente cointeressenza della S. nella gestione della Arcnova 93 e tali da dimostrare che il mancato versamento di parte del prezzo della cessione degli immobili fosse stato voluto o comunque accettato dall'amministratore della fallita e non invece subito quale inadempimento attribuibile esclusivamente all'iniziativa della società acquirente. Difettando completamente di una siffatta motivazione, ed anzi trascurando il rilievo difensivo sulla mancanza di formali rapporti societari e gestionali dell'imputata con la Arcnova 93, la sentenza impugnata è pertanto carente su un aspetto decisivo dell'argomentazione a sostegno delle decisione di condanna. La stessa deve di conseguenza essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma per un nuovo esame sui descritti profili motivazionali. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra Sezione della Corte d'Appello di Roma.