Sono deducibili i costi riconducibili a tale condotta criminosa?

La norma relativa all’indeducibilità dei costi comunque riconducibili alla condotta criminosa art. 8 d.l. n. 16/2012 non ha alcun riflesso sulle disposizioni penali relative all’incriminazione di condotte come la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.

È quanto si evince dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 41694, depositata il 9 ottobre 2013. Il caso. Il Tribunale del riesame aveva confermato il sequestro preventivo per equivalente nei confronti del legale rappresentante di una società svolgente attività nel settore del recupero e dell’intermediazione commerciale di rifiuti. Egli era indagato per aver indicato nelle dichiarazioni, ai fini delle imposte dirette, elementi passivi fittizi, avvalendosi di documenti per operazioni inesistenti. Contro tale decisione, l’indagato ha proposto ricorso per Cassazione, in quanto, a suo dire, non sarebbe stata data risposta al motivo di riesame con il quale si evidenziavano gli effetti, nel caso di specie, della normativa di cui all’art. 8 d.l. n. 16/2012, relativa alla possibilità di dedurre i costi effettivamente sostenuti, seppure documentati con fatture soggettivamente inesistenti. Per la Suprema Corte non sussiste la presunta violazione di legge relativa alla mancata applicazione dell’articolo citato, con il quale il legislatore ha ridotto l’ambito di quei componenti negativi del reddito in qualche misura collegati a illeciti penali e non ammessi in deduzione nella determinazione del reddito tassabile. Gli Ermellini hanno ritenuta corretta l’interpretazione della suddetta disposizione nel senso che sono indeducibili i costi comunque riconducibili alla condotta criminosa. Quindi, i costi sostenuti per la realizzazione di una frode essendo essi stessi lo strumento per realizzare l’evasione di imposta, sono indeducibili e l’intervento legislativo, attuato con il d.l. n. 16 /2012 convertito con l. n. 144/2012 , non ha alcuna incidenza sulla fattispecie in esame. Piazza Cavour, quindi, ha dichiarato che l’invocata disposizione si è limitata a precisare una regola di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, stabilendo che non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o a altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione, norma che non ha alcun riflesso sulle disposizioni penali relative all’incriminazione di condotte fraudolente quali quelle contestato all’indagato . Il patrimonio del legale rappresentante può essere aggredito con sequestro per equivalente in vista della futura confisca del profitto del reato. Infine, i giudici di legittimità, relativamente all’ulteriore censura fondata sul presupposto che il sequestro non potrebbe avere a oggetto beni dell’autore del reato, ma beni della società, hanno ribadito che non sussiste nessun impedimento normativo al vincolo, finalizzato all’escussione, del patrimonio del legale rappresentante gravemente indiziato di essere l’autore dell’illecito penale tributario. Alla luce di ciò, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 24 aprile - 9 ottobre 2013, n. 41694 Presidente Teresi – Relatore Rosi Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del riesame di Savona con ordinanza del 6 dicembre 2012 ha confermato, riducendone l'importo ad Euro 903.095,57, il sequestro preventivo per equivalente di cui al decreto datato 16 ottobre 2012, emesso dal G.I.P. presso il medesimo Tribunale nei confronti di S.M. , indagato per i reati di cui agli artt. 81 cpv c.p. e 2 d.lgs n. 74 del 2000, quale legale rappresentante della Comet Recycling srl, società svolgente attività nel settore del recupero e dell'intermediazione commerciale di rifiuti, consistente nell'indicazione nelle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette relative alle annualità dal 2007 al 2010 di elementi passivi fittizi, avvalendosi di documenti per operazioni inesistenti, come meglio specificate nella imputazione provvisoria. 2. L'indagato ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, chiedendo l'annullamento della sentenza per i seguenti motivi 1 Violazione di legge e difetto di motivazione quanto alla correttezza del sequestro preventivo disposto sul patrimonio personale dell'indagato a fronte di condotte riconducibili alla persona giuridica, nell'interesse della quale si è agito. Mancherebbe la norma di colpire il patrimonio del fruitore dell'evasione fiscale 2 Motivazione incoerente ed illogica circa il fumus delicti , in quanto è stata contestata l'utilizzo di fatture materialmente false in quanto mai rilasciate dai soggetti risultanti emittenti inoltre non è stata data risposta al motivo di riesame con il quale si evidenziavano gli effetti nel caso di specie della normativa di cui all'art. 8 del D.L. n. 16 del 2012, relativa alla possibilità di dedurre i costi effettivamente sostenuti, seppure documentati con fatture soggettivamente inesistenti, come avvenuto nel caso di specie ed asseverato dalla consulenza di parte 3 Era stato lamentato al riesame che la verifica aveva riguardato solo il 20% dei documenti reperiti a seguito dell'accesso nella società, ed il Tribunale del riesame ha ritenuto irrilevante che fosse stato effettuato un controllo a campione, affermando che ciò inciderebbe solo sul numero di operazioni di cui potrà ritenersi dimostrata la fittizietà 4 L'ordinanza impugnata avrebbe ritenuto che la consulenza tecnica di parte non avrebbe altra valenza che quella di un generico riscontro di compatibilità, mentre il perito di parte dott. V. si è basato sulla documentazione della società, per cui non può essere definita un'allegazione sfornita di dimostrazione 5 L'ordinanza impugnata ha fornito una motivazione incongrua circa la questione in ordine alla quantificazione del profitto 6 Il Tribunale del riesame, nello stabilire l'ammontare dell'imposta evasa avrebbe errato, riferendosi ad prospetto contenuto nell'annotazione della Guardia di finanza che non era stata allegata al decreto di sequestro preventivo. 3. Con memoria difensiva depositata dai difensori, l'indagato insisteva nel primo motivo di ricorso e sul fatto che il provvedimento di sequestro avrebbe dovuto avere ad oggetto i beni della società inoltre lamentava il fatto che il Tribunale aveva proceduto ad una mera verifica burocratica del fumus delicti , a fronte di cessioni di rottami metallici effettivamente avvenute fa infatti ricordato che l'onere di fornire la prova dell'inesistenza incombe sull'accusa, mentre nel caso di specie tutto è fondato in base all'analisi di solo un campione di documentazione inoltre il ricorrente insiste sul fatto che il giudice del riesame non avrebbe fornito risposta adeguata circa l'ammontare del profitto sequestrabile, calcolando un ammontare di imposta asseritamente evasa corrispondente non ad essa 823.206,00 , ma all'importo delle complessive contestazioni 903.095,97 . Considerato in diritto 1. Va premesso che il ricorso per cassazione contro le ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice, così, Sez. U, n. 25932 del 26 giugno 2008, Ivanov, Rv. 239692 in precedenza, con la sentenza Sez. U, n. 5876 del 13 febbraio 2004, P.C. Ferazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226710, è stato precisato che mentre rientra nel sindacato di legittimità la mancanza di motivazione o la presenza di una motivazione meramente apparente, non vi rientra la sua eventuale illogicità manifesta . Pertanto non possono essere censurati in questa sede presunti vizi di motivazione del provvedimento impugnato. 2. Deve anche essere ricordato che - alla stregua della giurisprudenza di questa Corte Suprema - nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto provvedimenti di sequestro, non è ipotizzabile una plena cognitio del Tribunale, al quale è conferita esclusivamente la competenza a conoscere della legittimità dell'esercizio della funzione processuale attribuita alla misura ed a verificare, quindi, la correttezza del perseguimento degli obiettivi endoprocessuali che sono propri della stessa, verificando la sussistenza del fumus delicti e del periculum in mora, ma senza alcun potere conoscitivo circa il fondamento dell'accusa, potere questo riservato al giudice del procedimento principale. 3. Alla luce dei principi prima evidenziati la prima parte del secondo motivo, il terzo ed il quarto motivo di ricorso sono infondati, in quanto questo Collegio rileva che l'impugnata ordinanza non è manchevole di motivazione e non può considerarsi meramente apparente quella posta a fondamento del rigetto del ricorso ex art. 309 c.p.p., avendo i giudici del riesame esposto le ragioni significative che hanno sorretto la decisione, menzionando gli elementi che hanno fatto ritenere sussistenti i requisiti del fumus delicti fornendo adeguata risposta alle censure, dopo aver considerato e valutato gli elementi addotti da accusa e difesa, ivi compresa la consulenza di parte. 4. Pari infondatezza deve essere affermata in riferimento ai due ultimi motivi di ricorso, in quanto i giudici del riesame hanno determinato la somma da sequestrare sulla base di valutazioni di fatto che non possono essere nella presente sede di legittimità rivisitate, ed ancor meno può essere ammessa la richiesta di una rideterminazione da parte di questo Collegio, del quantum da sottoporre a sequestro gli elementi esaminati dal Tribunale del riesame risultano sufficienti, atteso l'ambito della sede cautelare, ferma restando la necessità di verificare nella pertinente sede di merito l'esatta quantificazione del profitto connesso agli illeciti tributari una volta accertatane in giudizio la sussistenza. 5. Né sussiste la presunta violazione di legge, relativa alla mancata applicazione dell'art. 8 del D.L. n. 16 del 2012, che ha modificato l'art. 14, e. 4 bis della legge n. 537 del 1993 seconda parte del secondo motivo . Con la nuova formulazione del comma 4-bis, il legislatore ha ridotto l'ambito di quei componenti negativi del reddito in qualche misura collegati ad illeciti penali e non ammessi in deduzione nella determinazione del reddito tassabile di cui all'art. 6, comma 1, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi , limitandolo ai soli costi e [ ] spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo”, in relazione al quale delitto il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale o, comunque, [ ] il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell'articolo 424 del codice di procedura penale ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'articolo 425 dello stesso codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall'articolo 157 del codice penale [ ]”. Ritiene questo Collegio che sia corretta l'interpretazione della suddetta disposizione nel senso che sono indeducibili i costi comunque riconducibili” alla condotta criminosa. Quindi i costi sostenuti per la realizzazione di una frode essendo essi stessi lo strumento per realizzare l'evasione di imposta, sono indeducibili e l'intervento legislativo, attuato con il decreto legge n. 16 del 2012, convertito con modificazioni dalla legge 26 aprile 2012, n. 144, non ha avere alcuna incidenza sulle fattispecie in esame. Infatti l'invocata disposizione si è limitata a precisare una regola per le procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, stabilendo che non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione, norma che non ha alcun riflesso sulle disposizioni penali relative all'incriminazione di condotte fraudolente quali quelle contestate allo S. . 6. Del tutto privo di fondamento anche la pretesa violazione di legge censurata con il primo motivo, fondata sul presupposto che il sequestro non potrebbe avere ad oggetto beni dell'autore del reato, ma beni della società. La giurisprudenza di questa Sezione ha affermato il principio secondo cui il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, previsto dall'art. 19, c.2, del D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, nei confronti delle persone giuridiche, non può essere disposto sui beni di qualsiasi natura appartenenti alla persona giuridica ove si proceda per le violazioni finanziarie commesse dal legale rappresentante della società, sulla base dell'art. 1 comma 143 della legge n. 244 del 2007, atteso che gli artt. 24 e ss. del citato D.Lgs. non prevedono i reati fiscali tra le fattispecie in grado di giustificare l'adozione del provvedimento, salva sempre l'ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio, utilizzato dal reo per commettere gli illeciti in tal caso infatti il reato non risulta commesso nell'interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma a diretto vantaggio del reo attraverso lo schermo dell'ente, cfr. Sez. 3, n. 25774 del 14/6/2012, dep. 4/7/2012, PM. in proc. Amoddio e altro, Rv. 253062 e Sez.3, n. 1256 del 19 settembre 2012, dep. 10/1/2013, Unicredit spa, parte motiva . Per cui non sussiste nessun impedimento normativo al vincolo, finalizzato all'escussione, del patrimonio del legale rappresentante gravemente indiziato di essere l'autore del reato cfr. Sez.3, n. 7138 del 27/1/2011, dep.24/2/2011, Mazzitelli anzi, è vigente il principio esattamente contrario è proprio il patrimonio del legale rappresentante, gravemente indiziato dell'illecito penale tributario, a poter essere aggredito con un provvedimento di sequestro per equivalente , in vista della futura confisca del profitto del reato. Di conseguenza il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente deve essere condannato, ex art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.