Assegni non versati al lavoratore? Datore assolto perché il denaro è sempre rimasto nel suo patrimonio

Il datore di lavoro che non versa l’indennità di malattia e gli assegni familiari falsamente riportati in busta paga non commette il reato di appropriazione indebita.

Lo ha affermato la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 41162/2013, depositata lo scorso 7 ottobre. Il caso. A proporre ricorso per cassazione è stato il procuratore generale, dopo che un datore di lavoro era stato assolto dal delitto di appropriazione indebita, per non aver versato ad una dipendente emolumenti per indennità di malattia ed assegni per il nucleo familiare. Secondo i giudici di merito, infatti, la condotta posta in essere dall’imputato – di inadempimento contrattuale e di mancato assolvimento degli obblighi fiscali - non integra la fattispecie contestata, essendo e rimanendo il denaro non versato nel patrimonio dell’imputato . Il datore non si è appropriato dei beni del lavoratore. Secondo il procuratore ricorrente, tuttavia, la condotta del datore integra il delitto di truffa ai danni dell’INPS. Non è così per la Cassazione che, oltre ad escludere la configurazione del reato di truffa, conferma che tale condotta di inadempimento contrattuale, consistendo semplicemente nel mancato pagamento, non può integrare il delitto di appropriazione indebita , visto che l’imprenditore si è limitato a non versare al lavoratore una somma di denaro che sarebbe dovuta, ma in nessun modo si appropria indebitamente di beni del lavoratore .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 26 settembre – 7 ottobre 2013, n. 41162 Presidente Gentile – Relatore Di Marzio Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale di Perugia ha assolto A L. dal delitto di appropriazione indebita, per non avere egli, quale datore di lavoro, versato ad una dipendente emolumenti per indennità di malattia ed assegni per il nucleo familiare. Ha infatti ritenuto il Tribunale che tale condotta, di inadempimento contrattuale e di mancato assolvimento degli obblighi fiscali, non integri la fattispecie contestata, essendo e rimanendo il denaro non versato nel patrimonio dell'imputato. 2. Ricorre il procuratore generale di Perugia lamentando che la condotta contestata - produzione all'INPS di documentazione ideologicamente falsa, apparentemente attestante l'esistenza del credito da compensare, credito corrispondente alle somme asseritamente erogate alla lavoratrice - integra comunque il delitto di truffa ai danni dell'ente previdenziale. Cosicché la qualificazione giuridica di detta condotta quale reato procedibile di ufficio, avrebbe dovuto comportare l'applicazione dell'articolo 516 c.p.p Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Nel capo di imputazione la condotta contestata quale appropriazione indebita e descritta come omissione da parte del datore di lavoro del versamento ad un proprio dipendente di emolumenti per indennità di malattia ed assegni per il nucleo familiare. Dunque, la modalità della condotta è ritagliata nel rapporto tra l'imputato e la propria lavoratrice subordinata, mentre nessuna menzione è fatta di eventuali coinvolgimenti dell'Inps. Correttamente il Tribunale osserva che tale condotta di inadempimento contrattuale, consistendo semplicemente nel mancato pagamento, non può integrare il delitto di appropriazione indebita giacché il datore di lavoro si limita a non versare al lavoratore una somma di denaro che sarebbe dovuta, ma in nessun modo si appropria indebitamente di beni del lavoratore. Il Pubblico ministero ricorrente non contesta un simile assunto ma ritiene che la mancata erogazione al dipendente di somme falsamente riportate in busta paga come corrisposte, e la presentazione di detto pagamento effettuata nei confronti dell'Inps al fine di ottenere una indebita compensazione con crediti che l'ente vanta rispetto all'imputato, costituisce condotta raggirante ed artificiosa intesa ad ottenere un ingiusto profitto ai danni dell'ente pubblico condotta come tale punibile ai sensi dell'articolo 640, comma 2, codice penale, e rimprovera al Tribunale di non aver assunto le determinazioni stabilite nell'art. 516 del codice di procedura. Tuttavia, il fatto contestato al capo di imputazione è radicalmente diverso da quello descritto nel ricorso in cassazione del resto nella parte conclusiva della motivazione il Tribunale, argomentando che qualora la somma sia stata in effetti versata al lavoratore direttamente dall’Inps, ente direttamente obbligato, ben potrebbe configurarsi, unitamente ad altri presupposti, altra fattispecie criminosa nei confronti appunto dell'ente previdenziale , si limita ad una mera ipotesi, opportunamente chiarendo che tale fatto non è stato contestato all'odierno imputato. Inoltre, nella condotta ascritta all'imputato neppure potrebbe eventualmente configurarsi il reato di appropriazione indebita nei confronti del lavoratore da parte del datore di lavoro, necessitando quantomeno a tal fine non la semplice contestazione che il datore di lavoro non versi quanto dovuto al lavoratore bensì la diversa e molto più articolata contestazione del fatto che il datore di lavoro trattenga le somme indebitamente portate a conguaglio in relazione a prestazioni di cui si è sostanzialmente riconosciuto debitore per conto dell'ente previdenziale e corrispondenti a somme di denaro determinate nel loro ammontare e già fatte figurare come erogate al lavoratore cfr. Cass. sez. II, 15.1.2013, n. 18762 . Nemmeno conferente è il richiamo all'articolo 516 del codice di procedura penale, giacché l'iniziativa processuale in essa contemplata spetta non al Tribunale ma al Pubblico ministero. 2. Ne consegue il rigetto del ricorso. P.Q.M. Rigetta il ricorso.