Il giudicato progressivo non è giudicato definitivo, non si può proporre nei suoi confronti ricorso per revisione

Nel sistema giuridico italiano debbono considerarsi quali irrevocabili solo quelle sentenze interamente passate in giudicato. Fintanto che l’intera decisione non sia divenuta definitiva la sentenza non può dirsi irrevocabile e, quindi, non può essere assoggetta all’istituto previsto dall’articolo 629 c.p.p

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 40941/13 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 3 ottobre. Il caso. Il ricorrente, condannato per omicidio del cognato commesso in concorso con il padre e con altri, con sentenza definitiva con riferimento all’ an della responsabilità e rinvio a diverso giudice ai fini della quantificazione della pena, proponeva ricorso ex articolo 629 c.p.p. nei confronti della pronuncia resa dalla Corte di Cassazione. A sostegno del proprio ricorso, da proporsi avanti alla Corte d’appello territorialmente competente, la parte deduceva ed invocava nuove prove atte a far emergere la estraneità della stessa al progetto ed all’atto criminoso. La Corte territorialmente competente rigettava la richiesta di revisione dichiarandola inammissibile. Avverso detto provvedimento formulava ricorso per cassazione il condannato assumendone apoditticità, carenza motivazionale e assoluta assenza di quella valutazione in astratto delle vecchie e delle nuove prove che la legge prevede ai fini di dar corso al giudizio di revisione indebitamente invece entrando nel merito della vicenda. Il Procuratore Generale richiedeva pronunciarsi annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. La Corte, invece, si è determinata per pronuncia di inammissibilità della richiesta. Revisione della sentenza irrevocabile. La Corte con la pronuncia in commento, invero dalla motivazione stringata e in alcuni passaggi di difficile lettura, compie una, veloce e non molto approfondita, disamina dell’istituto normato con l’articolo 629 c.p.p. che, come è noto, recita è ammessa in ogni tempo a favore dei condannati, nei casi determinati dalla legge, la revisione della sentenza di condanna o delle sentenze emesse ai sensi dell’art. 444, comma 2, o dei decreti penali di condanna divenuti irrevocabili anche se la pena è già stata eseguita o è estinta . Citandolo in esito a crasi la Corte ne indica l’essenza nella formulazione seguente è ammessa la revisione delle sentenze di condanna o dei decreti penali di condanna divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguita . Alla luce di questa riscrittura della norma la Corte giunge ad affermare che nei casi di cosiddetto giudicato progressivo ovvero di pronuncia connotata dall’esistenza di una parte quella relativa alla responsabilità del condannato in relazione al reato lui ascritto coperta da giudicato e di un’altra quella relativa alla pena da irrogarsi assoggettata ancora a pronuncia in seguito a giudizio di rinvio, la richiesta di revisione non possa essere formulata per carenza del requisito della irrevocabilità della pronuncia. Il ragionamento su cui fa leva la Corte è sostanzialmente basato sul seguente sillogismo sono assoggettabili al rimedio solo le sentenze definitive, i giudicati progressivi non sono ancora definitivi proprio perché progressivi , ergo le pronunce connotate da giudicato progressivo non sono ancora assoggettabili a revisione. Il tutto ovviamente motivando in ordine e relazione alla possibilità di intervento di abrogatio delicti e di conseguente impossibilità di esecuzione della pena ed alla luce della necessità di ragionare per categorie generali ai fini di estrarre principi di diritto dal caso concreto. Qualche osservazione critica. Francamente la decisione cui la Corte perviene non è condivisibile proprio alla luce del tenore della norma e della ratio che presiede almeno così mi pare di poterla esprimere alla stessa. L’articolo 629 c.p.p. ha la funzione di porre rimedio ai cosiddetti errori giudiziari, cioè a quelle pronunce connotate dal requisito della definitiva che hanno sancito e statuito la penale responsabilità di taluno in ordine alla commissione del fatto. Ovvero esso ha la funzione di costituire rimedio e riparazione non solo e non soltanto alla e della pena ingiustamente irrogata e subita ma della buona reputazione del condannato ingiustamente. Per questa ragione e non per amore di arzigogoli giuridici poco comprensibili, la norma si è preoccupata di ammettere la riabilitazione anche nel caso di pena già subita o non eseguita. Proprio in ossequio a quella funzione non meramente retributiva che alla pena il sistema positivo ha inteso attribuire. Se infatti il problema ultimo e finale fosse da ricondursi alla certezza della pena od allo sconto della stessa una riabilitazione per pena non eseguita non avrebbe senso alcuno, e, ben poco, per vero, ne avrebbe una pronunciata per pena già scontata. Se questa è la ratio della norma è chiaro che il Legislatore pensava ad una pronuncia da ricorrersi con l’istituto previsto dall’articolo 629 del codice di rito fondata su quella dichiarazione di penale responsabilità capace di essere stigmate di carattere sociale e personale che, ove fondata su di un errore, deve necessariamente essere rimossa. Verrebbe da aggiungersi il prima possibile. Ma se così è, e davvero pare difficile giustificare altrimenti la presenza della norma del codice di procedura dettata in tema di revisione, allora non si comprende poiché taluno, condannato in ordine all’ an , allorché in possesso di elementi di prova o prove che egli ritenga tali dal poter modificare radicalmente l’esito del processo celebrato a proprio carico, debba attendere di conoscere la pena cui concretamente verrà condannato per poter far dichiarare l’illegittimità di quella pronuncia. In altri termini, per far dichiarare l’esistenza di errore circa la penale responsabilità attribuitagli egli deve conoscere anche le conseguenze, in termini di pena, che da quell’errore gli deriverebbero. Ovviamente, nei casi più gravi che sono poi quelli in cui la revisione risulta essere maggiormente utile attendendo la risposta in custodia cautelare posto che alla luce del disposto della sentenza il procedimento non sarebbe definito . La ricostruzione formata dal Supremo Collegio che propende proprio in favore della necessaria attesa della definitività della pronuncia mi pare cozzare con il buon senso prima ancora che con principi di economia ed economicità processuale. Ma tant’è se la pronuncia non è definitiva la revisione è impossibile perché manca un provvedimento stabilizzato e conclusivo del procedimento. Giudicato progressivo e prescrizione possibili effetti indesiderati. Il giudicato progressivo, che non è vero giudicato sulla scorta di quanto affermato dalla Corte, consente alla prescrizione di trascorrere? Tra la pronuncia sull’ an e quella sul quantum i termini per la prescrizione continuano il proprio decorso? La risposta logico giuridica dovrebbe essere affermativa. Se il procedimento non è terminato esso non è definito. Se non è definito, la prescrizione, istituto generale del sistema, deve continuare a decorrere. Salvo che si vogliano introdurre interpretazione in malam partem per l’imputato, non condannato definitivo poiché altrimenti legittimato alla richiesta di revisione, costituzionalmente escluse. La motivazione della pronuncia davvero di ben poche righe in commento pare deporre in questa direzione. Forse non attentamente considerata ed esaminata dagli Ermellini ma certamente sostenibile senza capziosità o forzatura alcuna proprio sulla scorta di quella necessaria generalità dei principi invocata, correttamente, dalla Corte. Ma se così fosse qualcuno, lassù, ne sarebbe indubitabilmente ben felice. Un famoso giudicato progressivo attende di divenire definitivo quod poenam . Il principio generale espresso con la pronuncia in commento potrebbe portare a declaratoria di prescrizione. E se Diritto e Giustizia fosse concausa di storiche svolte politico amministrative? Domani è un altro giorno

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 settembre – 3 ottobre 2013, n. 40941 Presidente Ferrua – Relatore Fumo Ritenuto in fatto 1. A.M.G. è stato condannato per l'omicidio del cognato I.G. , omicidio che si assume consumato in concorso con il padre, Ar.Ma.Gi. , con A.G. , A.A. e altri. La sentenza di condanna è definitiva per quel che riguarda l'accertamento della responsabilità, mentre, all'epoca in cui fu proposto il presente ricorso, pendeva ricorso per cassazione a seguito di annullamento con rinvio e nuovo giudizio di appello con riferimento al solo trattamento sanzionatorio. 2. Nell'interesse di A.M.G. fu proposta richiesta di revisione in data 22 dicembre 2011. La corte d'appello di Messina, con il provvedimento di cui in epigrafe, ha dichiarato inammissibile la predetta richiesta. 3. Ricorre per cassazione il difensore dell'interessato e deduce violazione di legge e carenza dell'apparato motivazionale, atteso che il provvedimento della corte d'appello siciliana appare apodittico e privo di una reale giustificazione argomentativa. La domanda di revisione era fondata su nuove prove, quali le dichiarazioni di A.M.S. zio del richiedente e fratello di Ar.Ma.Gi. e di I.V. , figlia della vittima era anche fondata su di una consulenza psicodiagnostica espletata sulla persona del ricorrente e su di uno scritto proveniente da Ar.Ma.Gi. , con il quale il predetto ha affermato di essere l'unico mandante dell'omicidio, scagionando completamente il figlio. 3.1. Ebbene, la corte d'appello di Messina ritiene non credibili e poco significanti le dichiarazioni dello zio del ricorrente e della figlia della vittima, in quanto entrambi avrebbero appreso i fatti che hanno riferito da Ar.Ma.Gi. , persona ultraottantenne e, come tale, certa di non subire carcerazione. Quanto alle dichiarazioni scritte provenienti da quest'ultimo, nel provvedimento impugnato se ne fa solo generica menzione, utilizzando una frase sibillina anche in tal senso si deve inquadrare l'ultimo fatto nuovo cioè la confessione dell'Ar.Ma.Gi. , che ribadisca quanto sopra riferito ” . Invero, tutto chiarisce la corte decidente tranne quale sia, appunto il senso in cui deve essere valutata la nuova prova. Quanto al fatto che il più anziano degli imputati ha ormai raggiunto gli 80 anni, si tratta di circostanza irrilevante, atteso che lo stesso, quando il processo ebbe inizio, di anni ne aveva già 78. 3.2. La ragione per la quale Ar.Ma.Gi. non scagionò immediatamente il figlio è stata adeguatamente spiegata nella richiesta di revisione egli seguì il consiglio dei suoi difensori, i quali avevano assicurato la piena assoluzione, sua e del figlio, in quanto non vi erano prove sufficienti, a loro dire, per la condanna. In sintesi, la corte d'appello di Messina non ha operato quella valutazione in astratto che la legge preliminarmente prevede, considerando unitariamente le nuove prove e quelle già valutate dai precedenti giudici, valutazione volta al vaglio della mera ammissibilità della richiesta di revisione. La corte messinese è indebitamente scesa nel merito, peraltro trascurando di considerare che le dichiarazioni dei due collaboranti gli A. , già all'epoca, apparvero confuse, contraddittorie, e non riscontrate da alcun elemento esterno. A maggior ragione, dopo l'emergere di nuove prove, la corte, investita del giudizio di ammissibilità della revisione avrebbe dovuto determinarsi diversamente. 4. In data 30 luglio 2013 è stata depositata dal difensore del ricorrente memoria di replica alle conclusioni del procuratore generale con essa si sostiene che è certamente sottoponibile al procedimento di revisione la sentenza che abbia il carattere della definitività solo in ordine all'affermazione di responsabilità dell'imputato, pur essendo ancora da determinare la misura della pena, oggetto, come nel caso di specie, di annullamento con rinvio da parte della corte di cassazione. Considerato in diritto 1. Occorre innanzitutto determinarsi sulla possibilità di instaurate procedimento per revisione in presenza di sentenza che risulti definitiva, solo con riferimento all’ an della colpevolezza e non anche al quantum della pena. 1.1. Il procuratore generale, nella sua requisitoria scritta, sostiene che co non sia possibile e conclude, come premesso, per l'annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato. Al proposito è stato chiarito che presupposto indefettibile della revisione è la mera irrevocabilità delle sentenze di condanna o dei decreti penali di condanna ASN 199300388 - RV 193835 . 1.2. Orbene, poiché ai sensi dell'articolo 631 del codice di rito, gli elementi in base ai quali si chiede la revisione devono essere tali da dimostrare, se accertati, che il condannato avrebbe dovuto essere prosciolto, sembrerebbe, a una prima considerazione, che del tutto irrilevante sia la misura della pena, in quanto oggetto del giudizio di revisione non è certamente il quantum sanzionatorio, ma unicamente fan in relazione alla colpevolezza. 2. Re melius perpensa , tuttavia, l'assunto non appare corretto. Invero, l’art. 629 cpp recita, come è noto, È ammessa la revisione delle sentenze di condanna o dei decreti penali di condanna divenuti irrevocabili, anche se la pena è già stata eseguite . 2.1. Orbene è certamente vero, come si legge nel ricorso, che il nostro sistema conosce il giudicato progressivo, nel senso che ben può darsi l’ipotesi come nel caso in esame in cui una parte della sentenza assuma il carattere della definitività, mentre pende ancora il giudizio su di un'altra parte, ma è fuori dubbio che irrevocabili sono solo le sentenze interamente passate in giudicato. Fintanto che l’intera decisione non sia divenuta definitiva, la sentenza non più ritenersi irrevocabile, con la conseguenza che, se, ad esempio, sopravvenisse una abrogatio delicti , la sentenza, sia pure non irrevocabile unicamente quoad poenam , non potrebbe – ovviamente - può trovare esecuzione. 2.2. Né vale replicare, con riferimento al caso in scrutinio, che certamente l'omicidio non potrebbe mai essere depenalizzato. È ovvio, infatti, che quando si tratta di estrarre principi dal sistema normativo, si deve ragionare per categorie generali. 3. Tanto premesso, è evidente che la soluzione cui il giudice di merito è pervenuto inammissibilità della richiesta di revisione è, in s, oggettivamente corretta, anche se il percorso motivazionale non è condivisibile. 3.1. Non vi è dunque ragione di aderire alla richiesta del procuratore generale, che ha concluso per l'annullamento senza rinvio dell'ordinanza impugnata. Si tratterebbe di un provvedimento del tutto inutiliter emesso, dovendosi, viceversa - e per le ragioni sopra specificate-giungere al rigetto del ricorso proposto contro un provvedimento che, con motivazione non pertinente, ha fornito soluzione esatta alla questione giuridica proposta. 4. Consegue condanna alle spese dei grado. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.