Quote societarie cedute, ma la documentazione incastra l’amministratore

Attraverso la documentazione in atti l’imputato è stato correttamente individuato come il responsabile della gestione societaria e dell’inadempimento.

Questo è il caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 40754/13, depositata lo scorso 2 ottobre. Il caso. La Corte di appello confermava la condanna di 6 mesi di reclusione emessa dal Tribunale nei confronti di un contribuente ritenuto colpevole del reato di omesso versamento di ritenute certificate art. 10 bis , d.lgs. n. 74/2000 , in relazione alle ritenute sugli emolumenti relative all’anno di imposta 2005. Accertamento avvenuto quando ormai le quote societarie erano state cedute dell’imputato. Nel ricorso per cassazione l’imputato ritiene insussistente la prova della sua responsabilità, in quanto al momento dell’avvio dell’accertamento egli aveva ceduto le quote della società e non rivestiva alcuna carica societaria. Risulta tutto dagli atti. La S.C., dal canto suo, rileva che è corretta l’individuazione dell’imputato come responsabile della gestione societaria e dell’inadempimento contestato, avvenuta sulla base della documentazione in atti. Di conseguenza – afferma la Cassazione – l’imputato non può certo dolersi del fatto di essere stato destinatario degli avvisi dell’Agenzia delle Entrate rispetto a condotte illecite da lui tenute . Visto il rigetto del ricorso, quindi, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 luglio – 2 ottobre 2013, n. 40754 Presidente Squassoni – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18/9/2012 la Corte di appello di Trieste ha confermato la condanna alla pena di sei mesi di reclusione emessa dal Tribunale di Pordenone il 3/3/2011 nei confronti del sig. T. perché colpevole del reato previsto dal'articolo 10-bis del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 in relazione alle ritenute sugli emolumenti relativi all'anno d'imposta 2005. La Corte, dopo avere provveduto alla rinnovazione del dibattimento e alla acquisizione presso la locale Agenzia delle Entrate degli atti relativi all'accertamento, ha ritenuto sussistere prova certa sia dell'avvenuto pagamento delle retribuzioni sia dell'omesso versamento delle relative ritenute alla fonte, e questo, a fronte dell'assenza di elementi contrari introdotti dall'imputato e della circostanza che il fallimento della società risale a periodo assai successivo 2008 , ha condotto alla conferma della sentenza di primo grado. 2. Avverso tale decisione il sig. T. propone ricorso, in sintesi lamentando a. errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. pen. e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. pen. per insussistenza della prova della responsabilità, in quanto al momento dell'avvio dell'accertamento il ricorrente aveva ceduto le quote della società e non rivestiva più alcuna carica societaria, così che erroneamente l'Agenzia delle Entrate lo ha fatto destinatario della richiesta di chiarimenti altrettanto erroneamente il giudicante ha ritenuto elemento di prova certa l'accertamento dell'Agenzia delle Entrate che non possiede alcuna valenza di tal fatta, soprattutto in assenza dei chiarimenti che la società non ha potuto fornire in quanto mai interpellata dall'amministrazione b. errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. pen. per avere la Corte di appello integrato il materiale probatorio richiedendo all'amministrazione informazioni già note alle parti e ricevendo da questa informazioni che non sono state introdotte mediante assunzione delle dichiarazioni testimoniali e risultano pertanto prive di valenza probatoria. Con memoria depositata il 16/6/2013 il ricorrente richiama la irritualità e incompletezza del procedimento avanti il Tribunale e la estraneità del ricorrente alla compagine societaria al momento dei controlli. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato e merita di essere rigettato. La prova della sussistenza degli illeciti è stata desunta dalla documentazione esistente in atti, che fonda la notizia di reato, e che è stata messa a disposizione dell'imputato fin dalla fase di chiusura delle indagini. Tale documentazione conteneva elementi da cui risulta che la società, di cui all'epoca il sig. T. era amministratore, dichiarò nel Mod. 770 relativo all'anno 2005 il pagamento di retribuzioni su cui aveva operato ritenute alla fonte che dovevano essere versate allo Stato dalla stessa documentazione risulta che il relativo versamento non era stato effettuato entro il termine previsto dalla legge. L'esistenza di tale inadempimento è stata comunicata dall'Agenzia delle Entrate al sig. T. con richiesta di chiarimenti e di eventuali elementi utili a ricostruire il fatto. 2. Il primo giudice ha ritenuto tali elementi idonei a sostenere la condanna e la Corte di appello, attese le contestazioni mosse dall'imputato alla prima sentenza, ha ritenuto di integrare gli elementi probatori richiedendo all'Agenzia delle Entrate ogni informazione utile, ivi compreso l'esito della procedura di accertamento. Ricevuta la documentazione, la Corte di appello ha considerato che né in sede processuale né in sede di contenzioso amministrativo il sig. T. ha introdotto elementi che contrastino l'accusa di omesso versamento delle ritenute e che tale accusa debba ritenersi fondata. 3. Ciò premesso, la Corte rileva che sulla base della documentazione in atti il sig. T. è stato correttamente individuato come il responsabile della gestione societaria e dell'inadempimento che forma oggetto della contestazione dalla quale egli è chiamato a difendersi. Risulta evidente che egli non possa certo dolersi del fatto di essere stato destinatario degli avvisi dell'Agenzia delle Entrate rispetto a condotte illecite da lui tenute, mentre avrebbe avuto dolersi, piuttosto, se egli, ormai estraneo alla compagine sociale, non fosse stato informato degli accertamenti tributari e non avesse ricevuto le comunicazioni con l'amministrazione pubblica, così trovandosi a rispondere in sede penale sulla base della esclusiva interlocuzione fra l'Agenzia delle Entrate e gli attuali amministratori o responsabili legali della società. 4. Quanto poi alle critiche mossa alla integrazione probatoria disposta in sede di appello, non si comprendono alla luce del disposto dell'articolo 603 cod. proc. pen. le ragioni per le quali l'ordinanza della Corte di appello avrebbe travalicato i limiti dei poteri della stessa corte. Tale censura, così come quella contenuta al punto B di pagina 8 del ricorso, paiono muovere dalla premessa che la condanna di primo grado sia stata emessa in assenza totale di prove di colpevolezza si tratta di premessa infondata e le ragioni che spinsero la Corte di appello ad acquisire ulteriori informazioni non sono incompatibili con la circostanza che, ricevute notizie che lo stesso ricorrente ritiene non significative, i giudici di appello abbiano ritenuto di confermare la condanna inflitta dal Tribunale. Del resto, in assenza di prove positive introdotte dall'imputato al fine di dimostrare l'errore in cui sarebbero incorsi l'amministrazione finanziaria, il pubblico ministero e il tribunale, non è dato ravvisare alcun vizio logico nel ragionamento probatorio che la Corte di appello ha seguito. 5. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p., al pagamento delle spese del presente grado di giudizio. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.