Illegittimità del fatto e giustificato turbamento necessari per l’esimente della provocazione

Per l’applicazione dell’esimente, la reazione deve essere conseguenza di un fatto che per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile, abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell’animo dell’agente.

L’esimente della provocazione. Con la sentenza n. 40344 depositata il 30 settembre 2013, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione interviene in tema di provocazione, chiarendo l’ipotesi in cui sia possibile configurare l’esimente. In particolare, secondo gli Ermellini, in base ad ormai consolidato orientamento, per l’applicabilità dell’esimente della provocazione, prevista per i reati di ingiuria e diffamazione dal secondo comma dell’art. 599 c.p., occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile, abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell’animo dell’agente. Ciò che non si è verificato, secondo i giudici di Piazza Cavour, nel caso in questione, non potendosi ritenere sussistenti i presupposti dell’applicabilità dell’esimente, riferibili ad una situazione di generica illegalità del comportamento manifestato dalla persona offesa. Il caso impossessamento dell’abitazione. La vicenda aveva preso le mosse in una fredda giornata di febbraio del 2010 quando l’imputata, dopo aver fatto ingresso nell’esercizio gestito dalla vittima, ne aveva offeso l’onore e il decoro in presenza di più clienti, urlandole accuse di averla imbrogliata e di essersi impossessata di una sua abitazione di proprietà. Il giudice di pace aveva giudicato colpevole la donna del reato di cui all’art. 594, comma 1, c.p. condannandola alla pena di € 300 di multa previa concessione delle attenuanti generiche. Esimente della provocazione? Il difensore aveva proposto ricorso per cassazione sostenendo sia l’inidoneità della espressione usata ad integrare l’elemento oggettivo del reato contestato, nonché il dolo, sia la mancata applicazione della esimente della provocazione. Infatti, secondo la difesa, non solo la frase rivolta alla persona offesa da parte dell’imputata costituiva manifestazione di un diritto di critica, ma soprattutto che l’episodio contestato era avvenuto nella immediatezza del fatto ingiusto realizzato dalla persona offesa – assunzione del possesso illegittimo di un immobile di proprietà del padre dell’imputata - con necessaria e conseguente applicabilità dell’invocata esimente di cui all’art. 599 c.p Infatti, secondo la difesa, rifacendosi a precedente giurisprudenza della Cassazione in materia, la caratterizzazione di ingiustizia deve essere parametrata non già all’ipotetica illegittimità del comportamento dell’imputato, quanto piuttosto alla conformità della condotta dell’ingiuriato alle ordinarie regole del vivere civile. La condotta intrinsecamente ingiusta. Come si è visto, con la sentenza in commento il Palazzaccio non fa che confermare il suo precedente orientamento in materia ritenendo privo di fondamento il ricorso. Vero è – si legge nella sentenza – che una illegittima permanenza della persona offesa dal reato in un immobile del quale era stata concessa la locazione dal genitore dell’imputata ad un’altra persona, di per sé non configura l’ipotesi di una condotta intrinsecamente ingiusta e lesiva delle regole di comune convivenza. Pertanto, non sussisteva nella specie alcuna possibilità di applicare la richiamata esimente della provocazione. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 30 aprile – 30 settembre 2013, n. 40344 Presidente Zecca – Relatore De Berardinis Ritenuto in fatto Con sentenza in data 19.7.11 il giudice di Pace di Sant'Elpidio a Mare dichiarava Z.P. responsabile del reato di cui all'articolo 594 comma I CP., ascrittole perché, dopo aver fatto ingresso nell'esercizio gestito da A T. , ne aveva offeso l'onore e il decoro in presenza di una pluralità di clienti, urlando all'indirizzo della T. accuse di averla imbrogliata e di essersi impossessata in tal modo di un'abitazione di proprietà di essa Z. , fatto acc. in data omissis . Per tale reato era stata inflitta all'imputata la pena di Euro 300,00 di multa previa concessione delle attenuanti generiche. Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore, deducendo 1 - inidoneità della espressione usata ad integrare l'elemento oggettivo, nonché il dolo del reato contestato. 2 - mancata applicazione della esimente prevista dall'articolo 599 CP Evidenziava a sostegno del gravame la situazione in cui si era verificato l'episodio, rilevando che il Giudice non aveva tenuto conto del contesto. In tal senso osservava che la Z. aveva rivolto alla persona offesa frase che costituiva manifestazione di un diritto di critica, atteso che la persona offesa aveva assunto il possesso illegittimo di un immobile di proprietà del padre dell'imputata, che era stato dato in locazione alla zia della predetta persona offesa, con divieto di sublocazione. In tal senso la difesa evidenziava che l'episodio in contestazione era avvenuto nella immediatezza del fatto ingiusto realizzato dalla persona offesa e dunque riteneva applicabile l'invocata esimente ex articolo 599 CP. Richiamando giurisprudenza di questa Corte - Sez. V - 26.5.2009, n. 21709 - per cui la caratterizzazione di ingiustizia deve essere parametrata non già all'ipotetica illegittimità del comportamento dell’imputato, quanto piuttosto alla conformità della condotta dell'ingiuriato alle ordinarie regole del vivere civile. Per tali motivi chiedeva pertanto l'annullamento della sentenza impugnata. Rileva in diritto Il ricorso deve ritenersi privo di fondamento. Invero - premesso che la difesa della ricorrente non contesta il verificarsi del fatto con le modalità descritte nel capo d'imputazione innanzi richiamato - deve rilevarsi che nella specie non si ravvisano i presupposti della applicazione dell'esimente prevista dal secondo comma dell'articolo 599 CP. A riguardo va evidenziato in primo luogo che secondo i canoni giurisprudenziali, l'applicazione della esimente non resta di per sé esclusa dalla circostanza che il c.d. fatto ingiusto addebitabile alla persona offesa dal reato sia riferito a comportamento manifestato verso persona diversa dall'imputato la allo stesso legata da rapporto di contiguità, v. in tal senso Cass. Sez. V - 21.11.2007, n. 43087 - RV 238502- . Pertanto, in astratto, non si ritiene nella specie improponibile il motivo di ricorso. Tuttavia va evidenziato che le censure difensive, con le quali ci si riferisce ad una illegittima permanenza della persona offesa dal reato in un immobile del quale era stata concessa la locazione dal genitore dell'imputata ad un'altra personali per sé non configura l'ipotesi di una condotta intrinsecamente ingiusta e lesiva delle regole di comune convivenza. Sul punto giova annoverare il principio sancito da questa Corte con sentenza Sez. V - del 9/12/1986, n. 13942, Tivioli - secondo la quale - per l'applicabilità dell'esimente della provocazione, prevista per i reati di ingiuria e di diffamazione dal secondo comma dell'articolo 599 CP., occorre che la reazione sia conseguenza di un fatto che per la sua intrinseca illegittimità o per la sua contrarietà alle norme del vivere civile, abbia in sé la potenzialità di suscitare un giustificato turbamento nell'animo dell'agente. Alla stregua dei rilievi difensivi, riferibili ad una situazione di generica illegalità del comportamento manifestato dalla persona offesa, non ricorrono pertanto i presupposti per l'applicazione della esimente indicata dal secondo comma dell'articolo 599 CP. Infine si osserva che la sentenza impugnata rende specifica motivazione, del tutto coerente con le risultanze processuali, in merito alle prove del fatto contestato e della responsabilità dell'imputata, onde la decisione si presenta esente da vizi di legittimità. Deve dunque essere pronunziato il rigetto del ricorso, a cui consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.