Censurabile per carenza motivazionale una sentenza di condanna fondata solo sulle dichiarazioni della persona offesa?

Le dichiarazioni della persona offesa possono rappresentare l’unica fonte probatoria della responsabilità penale altrui a condizione che siano sottoposte ad un positivo vaglio di credibilità oggettiva e soggettiva, e che il controllo sulle stesse sia condotto con la dovuta e necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti.

Il caso. La Corte di Appello di Genova confermava in toto la sentenza del Tribunale di Genova, con cui una donna era stata condannata alla pena di anni sei e mesi sei di reclusione per il reato previsto e punito dagli artt. 81 cpv, 600 bis comma 1 e 600 sexies comma 2 c.p. infatti, secondo la ricostruzione operata in entrambi i gradi del giudizio di merito, l’imputata avrebbe indotto – e, conseguentemente, sfruttato – la prostituzione della di lei figlia minore. In particolare, la condotta incriminata sarebbe stata posta in essere proprio all’interno della abitazione familiare e, precisamente, in occasione delle periodiche visite di un uomo il quale, intenzionalmente lasciato solo con la minore, si prodigava nell’effettuare dei palpeggiamenti sessualmente molesti nei di lei confronti. Il tutto nella piena consapevolezza da parte della donna che, al termine delle visite del predetto, riceveva da quest’ultimo delle somme di denaro in particolare 30 euro, di cui 10 destinate alla minore . Avverso la statuizione della Corte territoriale, l’imputata ricorreva per cassazione, deducendo illogicità e carenza della motivazione, sotto due diversi profili in primis , la insufficienza del materiale probatorio in atti – rappresentato dalle sole dichiarazioni della persona offesa – a legittimare una affermazione di penale responsabilità in secundis , l’assenza dell’elemento soggettivo del reato in capo alla imputata, stante la mancata dimostrazione della intenzionalità del comportamento omissivo dalla stessa tenuto. Il controllo sulle dichiarazioni accusatorie della persona offesa. La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione sentenza n. 15638/2013, depositata il 4 aprile , nel sottoporre a disamina – e nel dichiarare inammissibile per la mera riproposizione di censure fattuali in sede di legittimità – il presente ricorso, ha avuto modo di riprendere e precisare due importanti principi di diritto. In primo luogo, per ciò che concerne la pronuncia di condanna fondata sulle sole dichiarazioni accusatorie della persona offesa, è ormai orientamento pacifico e costante della Corte Regolatrice quello secondo cui tali dichiarazioni possono, sic et simpliciter , essere fonte unica ed esclusiva di prova allorquando siano sottoposte ad un positivo vaglio di credibilità oggettiva e soggettiva. Ovviamente, è stato più volte chiarito come il controllo sulle propalazioni della vittima del reato, proprio in quanto provenienti da soggetto portatore di interessi personali alla condanna, debba essere condotto con la dovuta e necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti. Ora, secondo i Supremi Giudici, nella fattispecie de qua , la Corte di appello non solo ha adeguatamente valutato le dichiarazioni della persona offesa dal punto di vista della credibilità oggettiva e soggettiva – ritenuta assolutamente sussistente – ma ha altresì legittimato la statuizione di condanna sulle stesse fondata sulla scorta di elementi esterni di riscontro alle medesime propalazioni della minore – rappresentati sia dalle dichiarazioni di due coetanei con cui la ragazza si era illo tempore confidata, che dalle parziali ammissioni dell’uomo, la cui posizione era stata stralciata poiché definitasi con le forme del patteggiamento. Per ciò che concerne, poi, l’elemento soggettivo la cui insussistenza motivazionale è stata lamentata nei motivi di ricorso, la Corte di legittimità ha chiarito come il Collegio di merito ha adeguatamente motivato sul punto, specificando come l’imputata volontariamente lasciasse sola la figlia insieme al molestatore, e ciò nella piena consapevolezza di consentire allo stesso di molestare sessualmente la minore donde, nessun vizio motivazionale è da ritenersi sussistente, anche sotto tale differente profilo. Bisogna fare i conti con i limiti del giudizio di legittimità. Fermo restando tutto quanto sopra, è utile precisare come i Giudici della Terza Sezione Penale della Suprema Corte, con la sentenza de qua , hanno ulteriormente chiarito quelli che sono i limiti del sindacato di legittimità. Altrimenti detto, l’art. 606 lett. e c.p.p. non attribuisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare criticamente le risultanze istruttorie ma, al contrario, solo quello di verificare la correttezza dell’ iter argomentativo seguito dal giudice di merito. Donde, un annullamento si imporrà quale necessario solo laddove la mancata considerazione od il travisamento della prova siano tali da incidere sulla motivazione censurata, non essendo ammissibile in sede di legittimità una nuova valutazione degli elementi fattuali attraverso una rivisitazione delle emergenze processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 21 marzo – 4 aprile 2013, numero 15638 Presidente Lombardi – Relatore Amoresano Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 27.2.2011 la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza del Tribunale di Genova del 21.4.2010, con la quale T.T.M.C. , previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, era stata condannata alla pena di anni 6, mesi 6 di reclusione ed Euro 17.000,00 di multa per il reato di cui agli artt. 81 cpv., 600 bis c.1 c.p. e 600 sexies c.2 c.p. perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, induceva e sfruttava la prostituzione della propria figlia N. , minore degli anni 18 in particolare, all'interno della propria abitazione, in occasione delle visite periodiche del M. , lasciava intenzionalmente la figlia sola in compagnia del predetto il quale palpeggiava la minore sul seno e nelle parti intime conclusa la visita il M. consegnava alla T.T. la somma di Euro 20 nonché quella di Euro 10 alla minore con l'aggravante di essere stato il fatto commesso dal genitore. Rilevava la Corte territoriale, disattendendo i motivi di appello, che correttamente i primi giudici avevano ritenuto la piena attendibilità della minore, la quale aveva riferito che la madre era pienamente consapevole delle molestie sessuali, tanto che riceveva anche delle somme di denaro. Peraltro, l'attendibilità della minore era confortata da elementi esterni, quali le dichiarazioni dei coetanei I.C. e S.S. , con i quali si era confidata, dello stesso M. che, giudicato separatamente aveva patteggiato la pena di anni 2 di reclusione , il quale, pur non riferendo alcunché in ordine alla responsabilità della donna, aveva però riconosciuto di aver dato, in più occasioni, denaro sia alla ragazza che alla madre, ed infine nelle stesse contraddizioni difensive e parziali ammissioni dell'imputata. 2. Ricorre per cassazione T.T.M.C. , denunciando la illogicità e carenza della motivazione. Con i motivi di appello si era richiesta l'assoluzione dell'imputata sotto il profilo della insufficienza del materiale probatorio a far ritenere sussistente il reato contestato e, comunque, dell'assenza dell'elemento soggettivo. Sotto il primo profilo la Corte territoriale ha ritenuto pienamente attendibile la minore soltanto in considerazione della coerenza e costanza del racconto, senza esaminare la credibilità soggettiva anche in relazione a quanto emergeva dalle relazioni psicologiche in atti in ordine alla complessità del rapporto madre-figlia e senza tener conto della mancanza di testimonianze di conferma da parte dei testi de relato . Quanto all'elemento soggettivo la Corte territoriale si è limitata apoditticamente a ritenere l'intenzionalità del comportamento omissivo dell'Imputata, senza tener conto di possibili spiegazioni alternative cui aveva fatto riferimento la stessa minore in dibattimento la p.o., peraltro, non aveva indicato con precisione il momento e le modalità con cui aveva informato la madre delle molestie subite anche la motivazione in ordine alle finalità economiche della condotta materna si risolve in una mera petizione di principio. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato, riproponendo censure in fatto già correttamente esaminate e disattese dalla Corte territoriale. 2. Come ribadito costantemente da questa Corte le dichiarazioni della persona offesa possono essere assunte anche da sole come fonte di prova ove sottoposte ad un vaglio positivo di credibilità oggettiva e soggettiva ex plurimis Cass., sez. 4^, 21 giugno 2005, Poggi . Si è anche precisato come tale controllo, considerato l'Interesse di cui la persona offesa è naturalmente portatrice ed al fine di escludere che ciò possa comportare una qualsiasi interferenza sulla genuinità della deposizione testimoniale, debba essere condotto con la necessaria cautela, attraverso un esame particolarmente rigoroso e penetrante, che tenga conto anche degli altri elementi eventualmente emergenti dagli atti Cass., sez. 3^, 26 settembre 2006, Gentile . Tali principi trovano applicazione ancor più stretta allorché la persona offesa sia un minore ed i fatti narrati possano interagire con gli aspetti più intimi della sua personalità adolescenziale. 2.1. La Corte territoriale non è limitata a richiamare tali consolidati principi, ma ne ha fatto concreta applicazione nel valutare l'attendibilità delle dichiarazioni della minore. Ha esaminato la personalità della predetta, nonché il rapporto con la figura materna, alla luce degli elaborati peritali. Ed ha ricordato come fosse emerso lo stretto legame esistente tra madre e figlia e che la conflittualità fisiologica tra un'adolescente e la genitrice non potesse indurre in alcun modo a far ritenere false le dichiarazioni accusatorie. Dai test somministrati non erano poi emersi disturbi della sfera cognitiva tali da inficiare la percezione della realtà né tratti di pensiero delirante o menzogneri o legati a pseudologia fantastica la ragazza era piuttosto dotata di capacità critica pag. 9 e 10 sent. . Ha, poi, esaminato In modo approfondito le dichiarazioni rese dalla minore, tenendo conto dei rilievi svolti nell'atto di appello, ed ha evidenziato non soltanto la coerenza, verosimiglianza e costanza del racconto, ma anche le ragioni per cui essa inizialmente aveva taciuto, per poi, una volta presa coscienza che si trattava di vere e proprie molestie sessuali, rivolgersi alla madre perché intervenisse. La ragazza era stata quindi precisa nei riferimenti, ma la donna aveva omesso di attivarsi, come veniva ribadito in sede dibattimentale pag. 6, 7 sent . La Corte territoriale ha quindi esaminato gli elementi esterni che confermavano l'attendibilità delle dichiarazioni della minore. Nel richiamare le dichiarazioni dei coetanei I.C. e S.S. , ha sottolineato che non risultava decisivo che i due non avessero riferito alcunché in ordine alle lamentele della ragazza verso la madre con argomentazioni non illogiche la Corte territoriale ha attribuito la mancanza di rivelazioni in proposito al comprensibile atteggiamento di copertura o di vergogna verso la genitrice. Né tale reticenza è in contrasto con la successiva denuncia ai Carabinieri dal momento che, come si da atto nella sentenza di primo grado, anche con essi inizialmente aveva riferito i fatti come se si trattasse della vicenda di un'amica pag. 5 sent. Trib. . Ha, comunque, ricordato la Corte territoriale che dalla testimonianza della To. e di I. era emerso una circostanza significativa che rivelava il coinvolgimento dell'imputata nella vicenda all'invito dei due ragazzi a rivolgersi alla madre, N. aveva risposto che era inutile . Anche le dichiarazioni di M.G. costituivano una indiretta conferma delle accuse, dal momento che costui aveva ammesso non solo di aver più volte palpeggiato la ragazza, ma anche di aver corrisposto denaro alla madre. Infine la stessa imputata aveva finito per riconoscere, implicitamente, di essere pienamente consapevole delle molestie sessuali, tanto che era intervenuta sul M. una volta che questi aveva abbracciato strettamente la figlia . Anche relativamente all'elemento soggettivo la Corte territoriale si è fatta carico di argomentare in ordine ai rilievi difensivi, ed ha evidenziato come la donna si appartasse nella piena consapevolezza di consentire al M. di molestare sessualmente la figlia, fornendo così un contributo causale rilevante nella realizzazione della condotta criminosa e, comunque, omettendo di intervenire nonostante l'esistenza di una posizione di garanzia derivante dal suo ruolo di genitrice. Ed ha escluso, stante la percezione, come si è visto, anche di utilità economiche, che l'imputata possa non aver creduto alle rivelazioni della figlia o aver omesso di intervenire per mera distrazione . 2.2 Le censure riproposte dato ricorrente non tengono conto, che il controllo demandato alla Corte di legittimità va esercitato sulla coordinazione delle proposizioni e dei passaggi attraverso i quali si sviluppa il tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, senza alcuna possibilità di rivalutare in una diversa ottica, gli argomenti di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento o di verificare se i risultati dell’interpretazione delle prove siano effettivamente corrispondenti alle acquisizioni probatorie risultanti dagli atti dei processo. Anche a seguito della modifica dell'articolo 606 lett. e c.p.p., con la L.46/06, il sindacato della Corte di Cassazione rimane di legittimità la possibilità di desumere la mancanza, contraddittorietà o la manifesta Illogicità della motivazione anche da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame”, non attribuisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare criticamente le risultanze Istruttorie, ma solo quello di valutare la correttezza dell'iter argomentativo seguito dal giudice di merito e di procedere all'annullamento quando la prova non considerata o travisata incida, scardinandola, sulla motivazione censurata cfr. Cass. penumero sez. 6 numero 752 del 18.12.2006 . Anche di fronte alla previsione di un allargamento dell'area entro la quale deve operare, non cambia la natura del sindacato di legittimità è solo il controllo della motivazione che, dal testo del provvedimento, si estende anche ad altri atti del processo specificamente indicati. Tale controllo, però, non può mal comportare una rivisitazione dell'iter ricostruttivo del fatto, attraverso una nuova operazione di valutazione complessiva delle emergenze processuali, finalizzata ad individuare percorsi logici alternativi ed idonei ad inficiare il convincimento espresso dai giudice di merito” così condivisibilmente Cass. penumero sez. 2 numero 23419/2007 - Vignaroli . 3. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma che pare congruo determinare in Euro 1.000,00 ai sensi dell'articolo 616 c.p.p P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di Euro 1.000,00.