Non importa dove, l’importante è star lontani dalla persona offesa

Una volta riconosciuta la sussistenza delle esigenze cautelari tali da imporre allo stalker il divieto di avvicinarsi alla persona offesa, non è necessaria una specifica predeterminazione dei luoghi dalla stessa frequentati e interdetti all’indagato.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14297 depositata il 26 marzo 2013, ha fatto alcune precisazioni in materia di stalking e, nello specifico, sulla misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa dal reato. La fattispecie. L’analisi dei giudici di Cassazione si incentra sul d.l. n. 11/2009, convertito con l. n. 38/2009, che, oltre a prevedere la nuova fattispecie criminosa di atti persecutori o, più comunemente, stalking art. 612 bis c.p. , ha emanato la disposizione integrativa della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa art. 282 ter , comma 1, c.p.p. , secondo cui il giudice prescrive all’imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenete una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa . La libertà di circolazione della vittima di stalking non si limita alla sfera lavorativa e familiare. Tale norma, chiarisce la S.C., è finalizzata a consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità anche laddove la condotta dell’autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali . Proprio per questo è prevista la possibilità di individuare anche la stessa persona offesa - e non solo i luoghi da essa frequentati - come riferimento centrale del divieto di avvicinamento . Se sussistono le esigenze cautelari, non serve specificare i luoghi interdetti. Infatti, anche nel caso esaminato dagli Ermellini, una volta riconosciuta la sussistenza delle esigenze cautelari tali da imporre allo stalker il divieto di avvicinarsi alla persona offesa, non è necessaria una specifica predeterminazione dei luoghi dalla stessa frequentati e interdetti all’indagato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 febbraio – 26 marzo 2013, n. 14297 Presidente Zecca – Relatore Demarchi Albengo Ritenuto in fatto 1. Il gip presso il tribunale di Roma ha applicato la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa a carico di F.P. , in quanto indagato per il reato di cui all'articolo 612 bis del codice penale, per avere cagionato a D.C.M.L.D. ed ai suoi familiari un perdurante stato di ansia e di paura attraverso reiterate minacce di morte, danneggiamenti, lesioni, percosse ed ingiurie. 2. Il tribunale di Roma ha rigettato l'istanza di riesame proposta dall'indagato, confermando la gravata ordinanza. 3. Il F. propone ricorso per cassazione contro la predetta ordinanza, esponendo le seguenti doglianze a. violazione ed erronea applicazione dell'articolo 282 ter del codice penale con riferimento all'articolo 291 cod. proc. pen. la motivazione sarebbe fondata su asserzioni apodittiche del tutto indimostrate, in quanto fondate esclusivamente sulle dichiarazioni della asserita persona offesa, trascurando del tutto le numerose querele sporte dal ricorrente in sostanza contesta la sussistenza dei gravi indizi a suo carico . b. violazione ed erronea applicazione dell'articolo 282 ter, commi uno, due, tre, del codice penale per ineseguibilità, genericità ed indeterminatezza dell'ordinanza cautelare, in considerazione del fatto che la parte offesa è stata sfrattata per morosità dall'abitazione in data anteriore alla gravata ordinanza del gip ed è pertanto irreperibile, essendosi trasferita per ignota destinazione considerato inoltre che il gravato provvedimento non identifica gli asseriti prossimi congiunti, né specifica i luoghi di dimora o di lavoro, con conseguente nullità ed illegittimità dei divieti a carico del prevenuto afferma il ricorrente che il 12/10/2012 la persona offesa avrebbe rilasciato l'appartamento di via OMISSIS , trasferendosi per ignota destinazione . Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. Il primo motivo è manifestamente infondato, essendovi motivazione congrua ed adeguata in ordine ai gravi indizi di colpevolezza, con indicazione anche di riscontri esterni alle dichiarazioni della persona offesa. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è manifestamente infondato secondo il ricorrente l'applicazione della misura di cui all'art. 282 ter cod. proc. pen. esigerebbe l'indicazione specifica e dettagliata dei luoghi oggetto del divieto di avvicinamento imposto all'indagato, laddove il generico riferimento identificativo alla frequentazione di detti luoghi da parte della persona offesa non rispetterebbe la prescrizione normativa, che predica distintamente i luoghi in esame degli attributi dell'essere gli stessi determinati e abitualmente frequentati dalla persona offesa , e si risolverebbe nell'inaccettabile imposizione di un obbligo di non facere di fatto rimesso alla volontà del soggetto passivo e dall'altro la misura non comprenderebbe la possibilità di vietare incontri occasionali e non volutamente cercati dall'indagato, altrimenti imponendosi a quest'ultimo un divieto di contenuto indeterminato e la cui inosservanza può non dipendere dalla volontà del predetto. 3. Le doglianze sono destituite di fondamento occorre ricordare che la misura cautelare in esame è stata oggetto nel tempo di due interventi normativi. Con il primo L. 4 aprile 2001, n. 154, art. 1 si introduceva l'art. 282 bis cod. proc. pen., che al comma 2 prevede la possibilità per il giudice di prescrivere all'indagato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa, in particolare il luogo di lavoro, il domicilio della famiglia di origine o dei prossimi congiunti . Presupposto dell'applicazione della misura è, nell'espressa formulazione normativa, la sussistenza di esigenze di tutela dell'incolumità della persona offesa scopo della previsione è evidentemente quello di rispondere a specifiche ragioni di cautela special preventiva, riferite non solo alla personalità dell'indagato ed alla proclività dello stesso alla commissione di reati, ma anche al particolare rilievo che in questa prospettiva assumono la posizione della persona offesa ed i rapporti fra la stessa ed il soggetto agente il che ricollega il campo applicativo della norma a reati in cui è particolarmente significativa la componente vittimologica, quale è senz'altro il delitto, oggetto di successiva previsione incriminatrice, di cui all'art. 612-bis cod. pen. cfr. Sez. 5, n. 13568 del 16/01/2012, Rv. 253297 . La misura appariva già all'epoca destinata a quelle situazioni nelle quali la possibile reiterazione della condotta criminosa, al di là della sua generica incidenza sulla collettività, si indirizza specificamente nei confronti di un determinato soggetto passivo - ponendone in pericolo l'incolumità - la cui protezione acquisisce pertanto rilevanza in prospettiva cautelare. La norma prende atto della possibile insufficienza di una tutela statica dell'incolumità della vittima, laddove le circostanze rendano concreto il pericolo di un'aggressione della stessa nel corso dello svolgimento della sua vita di relazione e pertanto inadeguata una mera interdizione all'indagato del luogo di abitazione della persona offesa e d'altra parte si fa carico dell'eccessività del ricorso a misure custodiali a fronte di un'esigenza cautelare strettamente dipendente dai contatti dell'indagato con la vittima. Da ciò nasce la configurazione di una misura nell'applicazione della quale assume primaria importanza la garanzia della libertà di movimento e di relazioni sociali della persona offesa da possibili intrusioni dell'indagato, che facendo temere la vittima per la propria incolumità finiscano per condizionare e pregiudicare la fruizione di dette libertà. 4. Con il D.L. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con L. 23 aprile 2009, n. 38 - che all'art. 7 prevedeva la nuova fattispecie incriminatrice di cui all'art. 612bis cod. pen. - veniva altresì emanata all'art. 9 la disposizione integrativa della misura del divieto di avvicinamento di cui all'art. 282-ter cod. proc. pen., comma 1, per la quale il giudice prescrive all'imputato di non avvicinarsi a luoghi determinati abitualmente frequentati dalla persona offesa ovvero di mantenere una determinata distanza da tali luoghi o dalla persona offesa . La norma si inserisce coerentemente nelle finalità di tutela che si è visto essere già proprie della misura in esame nella preesistente previsione di cui all'art. 282-bis, con il palese scopo di rendere detta tutela più efficace in determinate situazioni ed è particolarmente significativo, a questo riguardo, che la disposizione sia stata introdotta contestualmente alla previsione del delitto di atti persecutori. Le modalità commissive di quest'ultimo comprendono infatti quali manifestazioni tipiche il costante pedinamento della vittima, da parte del soggetto agente, anche in luoghi nei quali la prima si trovi occasionalmente, e l'espressione di atteggiamenti minacciosi o intimidatori anche in assenza di contatto fisico diretto con la persona offesa e purtuttavia dalla stessa percepibili. Alle necessità indotte da quest'ultima tipologia comportamentale soccorre la sostanziale estensione della nozione di avvicinamento al superamento di una distanza minima della vittima, stabilita secondo le esigenze di tutela suggerite dal caso concreto. Ma, in termini più generali, il riferimento oggettuale del divieto di avvicinamento non più solo ai luoghi frequentati dalla persona offesa, ma altresì alla persona offesa in quanto tale, esprime una precisa scelta normativa di privilegio, anche nelle situazioni in esame, della libertà di circolazione del soggetto passivo. 5. La norma, in altre parole, esprime una scelta di priorità dell'esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza da aggressioni alla propria incolumità anche laddove la condotta dell'autore del reato assuma connotazioni di persistenza persecutoria tale da non essere legata a particolari ambiti locali con la conseguenza che è rispetto a tale esigenza che deve modellarsi il contenuto concreto di una misura la quale, non lo si dimentichi, ha comunque natura inevitabilmente coercitiva rispetto a libertà anche fondamentali dell'indagato. È del resto significativo che l'art. 282-ter cod. proc. pen., nel richiamare la descrizione del divieto di cui al preesistente art. 282-bis, non riproponga i pur non tassativi accenni ivi presenti al luogo di lavoro della vittima ed al domicilio della famiglia di origine della stesse a conferma che la tutela di un sereno esercizio della libertà di circolazione e di relazione della persona offesa non trova limitazione alle sfere del lavoro e della cura degli affetti familiari della stessa ed agli ambiti alle stesse assimilabili. 6. Alla luce di questi presupposti funzionali deve concludersi che la misura cautelare in esame, per effetto dell'integrazione effettuata con l'introduzione dell'art. 282-ter cod. proc. pen., ha assunto una dimensione articolata in più fattispecie applicative, graduate in base alle esigenze di cautela del caso concreto. L'originaria indicazione dei luoghi determinati frequentati dalla persona offesa rimane invero significativa nel caso in cui le modalità della condotta criminosa non manifestino un campo d'azione che esuli dai luoghi nei quali la vittima trascorra una parte apprezzabile del proprio tempo o costituiscano punti di riferimento della propria quotidianità di vita, quali quelli indicati dall'art. 282 bis cod. proc. pen. nel luogo di lavoro o di domicilio della famiglia di provenienza. 7. Laddove, viceversa, ed è situazione come si è detto ricorrente per il reato di cui all'art. 612-bis cod. pen., la condotta oggetto della temuta reiterazione abbia i connotati della persistente ed invasiva ricerca di contatto con la vittima in qualsiasi luogo in cui la stessa si trovi, è prevista la possibilità di individuare anche la stessa persona offesa, e non solo i luoghi da essa frequentati, come riferimento centrale del divieto di avvicinamento. Ed in tal caso diviene irrilevante l'individuazione di luoghi di abituale frequentazione della vittima dimensione essenziale della misura è invero a questo punto il divieto di avvicinamento a quest'ultima nel corso della sua vita quotidiana ovunque essa si svolga. 8. La predeterminazione dei luoghi di cui sopra risulterebbe del resto, nella situazione descritta, chiaramente dissonante con le finalità della misura, per come in precedenza delineate. Detta predeterminazione verrebbe di fatto a porsi come un'inammissibile limitazione del libero svolgimento della vita sociale della persona offesa, che viceversa costituisce precipuo oggetto di tutela della norma. La vittima si vedrebbe invero costretta a contenere la propria libertà di movimento nell'ambito dei luoghi indicati ovvero ad essere esposta, esorbitando dagli stessi, a quella condizione di pericolo per la propria incolumità che si presuppone essere stato riconosciuta sussistente anche al di fuori del predetto perimetro. 9. Non appaiono di contro fondate le preoccupazioni in ordine alla soggezione dell'indagato a limitazioni della propria libertà personale di carattere indefinito, estranee alle proprie intenzioni persecutorie e di fatto dipendenti dalla volontà della persona offesa. Le prescrizioni, anche nel generico riferimento al divieto di avvicinarsi alla persona offesa ed ai luoghi in cui la stessa in concreto si trovi, mantengono invero un contenuto coercitivo sufficientemente definito nell'essenziale imposizione di evitare contatti ravvicinati con la vittima, la presenza della quale in un certo luogo è sufficiente ad indicare lo stesso come precluso all'accesso dell'indagato. 10. Nel caso di specie, una volta riconosciuta la sussistenza di esigenze cautelari tali da imporre al F. il divieto di avvicinarsi alla persona offesa, deve ritenersi pertanto corretta la decisione del Tribunale laddove riteneva non necessaria una specifica predeterminazione dei luoghi dalla stessa frequentati ed interdetti all'indagato. 11. Analogo discorso deve farsi per quanto riguarda l'individuazione dei soggetti legati alla persona offesa da rapporti di parentela, di lavoro o di natura affettiva un'elencazione completa ed esauriente non sarebbe possibile e quindi la prescrizione è necessariamente generica, mirando ad evitare che attraverso attività molestatrice di persone legate alla vittima, il molestatore possa indirettamente colpire quest'ultima. È evidente, pertanto, che la norma tende ad evitare determinati comportamenti nei confronti di persone che l'indagato sa essere legate da particolari rapporti alla persona offesa, restando invece esclusi dall'obbligo imposto con la misura gli eventuali, occasionali e non prevedibili incontri ad esempio camminando per strada, purché in luoghi diversi da quelli che l'indagato sa essere abitualmente frequentati per motivi di lavoro, di vita o affettivi dalla P.O. che non si traducano in alcun tipo di contatto molesto. Non bisogna dimenticare, infatti, che ai fini della valutazione del rispetto della misura si deve tener conto anche dell'elemento soggettivo. 12. Quanto al divieto di avvicinamento all'abitazione di via OMISSIS , tra la varia documentazione prodotta dall'imputato non risulta presente l'unico atto che fa fede dell'avvenuto rilascio e cioè il verbale di esecuzione dello sfratto da parte dell'ufficiale giudiziario. Per tale motivo non vi è ad oggi certezza del definitivo allontanamento della vittima da tale abitazione e, in ogni caso l'indagato potrà proporre nelle competenti sedi una richiesta di modifica della misura fornendo adeguata prova che la D.C. non ha più alcun legame con quel luogo. 13. Consegue a quanto esposto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile alla declaratoria di inammissibilità segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché trattandosi di causa di inammissibilità riconducibile alla volontà, e quindi a colpa, del ricorrente cfr. Corte Costituzionale sent. n. 186 del 7-13 giugno 2000 al versamento, a favore della cassa delle ammende, di una somma che si ritiene equo e congruo determinare in Euro 1.000,00. 14. La natura dei reati impone particolari cautele nella diffusione del presente provvedimento, per il cui caso si dispone che siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 a favore della cassa delle ammende.