Visita ispettiva dell’A.S.L.: per la demolizione della canna fumaria è meglio aspettare?

La Cassazione ha chiarito i dubbi sulla legittimità della demolizione di una canna fumaria, di cui sono stati evidenziati dall’ASL competente inconvenienti legati al suo utilizzo, da parte del soggetto che subisce la situazione di pericolo.

Demolizione della canna fumaria. La questione si pone, soprattutto, con riferimento alla possibilità di configurare il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, tema deciso dalla Cassazione con sentenza n. 13046 depositata il 21 marzo 2013. Esistenza di un contenzioso in atto. Nelle sentenza in commento i giudici evidenziano che al momento della condotta violenta posta in essere dall’agente era già in atto tra gli interessati una contesa intorno alle modalità d’esercizio del diritto di utilizzo della canna fumaria realizzata dalla persona offesa. Al riguardo, per la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è affatto necessario che il diritto oggetto della illegittima tutela privata sia realmente esistente, essendo sufficiente che l’autore agisca nella ragionevole opinione di difendere un suo diritto. Con questo principio pacifico in giurisprudenza e ribadito nella sentenza in commento, la Cassazione risolve la controversia proposta in tema di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose, di cui all’art. 392 del c.p Le visioni contrastanti dei giudici di merito. Nel caso di specie, infatti, il ricorrente era stato condannato dalla Corte di appello territoriale, con riforma della sentenza di assoluzione del Tribunale monocratico, al risarcimento dei danni, in quanto riconosciuto responsabile del reato ascritto. In particolare, il ricorrente aveva demolito una canna fumaria realizzata dalla persona offesa, ritenendo la pericolosità della stessa, anche nei confronti della locataria della propria abitazione. Mentre la sentenza assolutoria di primo grado aveva valutato dubbia la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, in quanto l’autore della demolizione aveva la convinzione di agire lecitamente e a difesa delle proprie ragioni e di quelle della locataria – che, tra l’altro, aveva lamentato sia inconvenienti che pericoli legati alle emissioni di fumo e di calore con visita ispettiva dell’A.S.L. competente -, al contrario, la Corte di appello aveva ritenuto sussistente il reato ascritto al ricorrente stesso. Quest’ultimo proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che il suo agire fosse stato determinato dalla convinzione che l’intervento dell’autorità di vigilanza avesse accertato l’illiceità della situazione nella quale versava la parte civile e che la rimozione del tratto di tubazione nel quale si materializzava l’abuso in suo danno fosse dunque lecita. Violenza del ricorrente sulla canna fumaria nell’esercizio di un preteso diritto? Gli Ermellini ritengono infondato il ricorso rigettandolo. Infatti, secondo il Palazzaccio , la Corte d’Appello aveva già puntualmente replicato ai rilievi difensivi attraverso una esaustiva disamina delle risultanze processuali, in nessun modo censurabili in sede di cassazione, sotto il profilo della congruità e della correttezza logica. La vicenda, secondo la Cassazione, è stata correttamente inquadrata dai giudici di secondo grado nei suoi elementi costitutivi, quali l’esistenza di un contenzioso in atto proprio con riferimento alla presenza e al funzionamento della canna fumaria, la violenza del ricorrente adoperata sulla stessa canna fumaria, nell’esercizio di un preteso diritto e la possibilità di fare ricorso all’Autorità giudiziaria, dato che la condotta della persona offesa era risalente ormai nel tempo e pertanto non poteva essere configurata nessuna ipotesi di legittima difesa. In buona sostanza, secondo i giudici della Cassazione, a fronte della condotta illecita della persona offesa non era consentito reagire con immediatezza, delineandosi, al contrario, la condotta del ricorrente i ben diversi contorni di un illecito istantaneo con effetti permanenti. Errore su norma extrapenale. Inoltre, si legge nella sentenza, non potrebbe fondatamente sostenersi che l’errore dell’agente sull’azionabilità della pretesa costituisca errore su norma extrapenale, cadendo lo stesso su una norma che integra la fattispecie astratta, e, risultando, come tale, del tutto inidoneo ad escludere la responsabilità penale. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 23 gennaio – 21 marzo 2013, n. 13046 Presidente Agrò – Relatore De Amicis Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5 marzo 2012 la Corte d'appello di Cagliari, decidendo sull'impugnazione proposta dalla parte civile, ha riformato la sentenza con la quale il Tribunale monocratico di Oristano aveva assolto C.G. dal reato di cui all'art. 392 c.p. perché il fatto non costituisce reato, dichiarandolo responsabile del reato ascrittogli e condannandolo al risarcimento dei danni in favore della parte civile S.G. , da liquidarsi in separato giudizio, oltre alle spese da quest'ultima sostenute nel doppio grado di giudizio. 2. La decisione di primo grado aveva assolto il C. ritenendo dubbia la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, sul rilievo che egli avesse demolito una canna fumaria realizzata da S.G. nella convinzione di agire lecitamente a difesa delle proprie ragioni e di quelle riconducibili alla locataria della propria abitazione, Co.Ga. , la quale ne aveva lamentato inconvenienti e pericoli legati ad emissioni di fumo e calore, tanto che in precedenza era stata iniziata anche una causa civile ed era intervenuta un'ispezione da parte del personale dell'ASL di . La predetta decisione era stata impugnata dalla parte civile, che aveva chiesto il riconoscimento della colpevolezza dell'imputato e la sua condanna al risarcimento dei danni morali e patrimoniali subiti. 3. Avverso la su indicata decisione della Corte d'appello di Cagliari ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia del C. , deducendo quattro motivi di doglianza. 3.1. Violazione dell'art. 576 c.p.p., in relazione all'art. 606, lett. b , c.p.p., in quanto l'impugnata sentenza avrebbe dovuto limitarsi a pronunciare solo sulla responsabilità civile. 3.2. Violazione dell'art. 606, lett. c , c.p.p., in relazione all'art. 568, comma 4, c.p.p., in quanto le pretese di danno della parte civile potevano essere riproposte in sede civile, non essendo precluse dalla sentenza assolutoria, con la duplice conseguenza che lo S. non aveva interesse a proporre appello e che la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiararlo inammissibile. 3.3. Violazione dell'art. 606, lett. b , c.p.p., in relazione agli artt. 392, 51 e 52 c.p., nonché agli artt. 844, 2043 e 2059 c.c. ed ai principii che costituiscono l'ordine pubblico, in quanto la situazione possessoria della quale era stata chiesta dallo S. la tutela penale era illegittima, realizzando un reato permanente contro il quale era lecito reagire immediatamente, e doveva ritenersi illecita anche sul piano civilistico, tanto che non gli sarebbe stato possibile ottenere la tutela possessoria o risarcitoria. 3.4. Violazione dell'art. 606, lett. b , c.p.p., in relazione all'art. 47 c.p., avendo l'imputato agito nella convinzione che l'intervento dell'autorità di vigilanza avesse accertato l'illiceità della situazione nella quale versava lo S. , e che la rimozione del tratto di tubazione nel quale si materializzava l'abuso in suo danno fosse dunque lecita. Considerato in diritto 4. Il ricorso è infondato e va conseguentemente rigettato. 5. In ordine ai primi due motivi di doglianza, le censure ivi formulate devono ritenersi palesemente infondate, omettendo di considerare il portato dell'art. 573, comma primo, c.p.p., il quale precisa che l'impugnazione per i soli interessi civili è proposta, trattata e decisa con le forme ordinarie del processo penale nel caso di specie, l'appello è stato ritualmente introdotto dall'impugnazione della parte civile ai sensi dell'art. 576, comma primo, prima parte, c.p.p., ed è noto Sez. Un., n. 27614 del 29/03/2007, dep. 12/07/2007, Rv. 236539 che, anche a seguito delle modificazioni introdotte dall'art. 6 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, la parte civile conserva la facoltà di proporre appello, agli effetti della responsabilità civile, contro la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio di primo grado Corte cost., 6 febbraio 2007 n. 32 e che, come avvenuto nel caso in esame, il giudice dell'impugnazione ha, nei limiti del devoluto ed agli effetti della devoluzione, il potere di affermare la responsabilità dell'imputato agli effetti civili e di condannarlo al risarcimento o alle restituzioni Sez. 6, n. 41479 del 25/10/2011, dep. 14/11/2011, Rv. 251061 . 6. Parimenti infondati devono ritenersi, inoltre, il terzo ed il quarto motivo di ricorso, avendo la Corte d'appello già puntualmente replicato ai rilievi difensivi attraverso una esaustiva disamina delle risultanze processuali, in nessun modo censurabile, in questa Sede, sotto il profilo della congruità e della correttezza logica della fattispecie incriminatrice oggetto della regiudicanda, invero, sono stati chiaramente rappresentati tutti gli elementi costitutivi, sì come individuati nell'esistenza di un contenzioso in atto proprio con riferimento alla presenza e al funzionamento della canna fumaria, nella violenza dal ricorrente adoperata sulla stessa, nell'esercizio di un preteso diritto irrilevante essendo il fatto che l'imputato avesse o meno ragione e nella possibilità di fare ricorso all'Autorità giudiziaria, atteso che la condotta posta in essere dalla persona offesa era risalente nel tempo e non era dunque ipotizzabile, nel caso di specie, alcuna situazione idonea a configurare i presupposti della legittima difesa. Al riguardo, infatti, occorre considerare, alla stregua di un pacifico insegnamento giurisprudenziale, che al momento della condotta violenta posta in essere dall'agente era già in atto, tra gli interessati, una contesa intorno alle modalità d'esercizio del diritto di utilizzo della canna fumaria realizzata dalla persona offesa Sez. 6, n. 25595 del 17/03/2008, dep. 23/06/2008, Rv. 240523 e che per la configurabilità del reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni non è affatto necessario che il diritto oggetto dell'illegittima tutela privata sia realmente esistente, essendo sufficiente che l'autore agisca nella ragionevole opinione di difendere un suo diritto Sez. 6, n. 6387 del 06/04/1998, dep. 01/06/1998, Rv. 210909 Sez. 3, n. 1008 del 12/10/1970, dep. 30/11/1970, Rv. 115830 . Nel caso di specie, inoltre, la pretesa dal ricorrente vantata risultava essere oggettivamente azionabile, in quanto suscettiva di effettiva realizzazione giudiziale, tanto più ove si ponga mente al fatto che il verbale ispettivo dell'ASL aveva evidenziato la presenza di inconvenienti legati all'utilizzo della canna fumaria nei confronti dell'immobile oggetto di locazione e che la stessa persona offesa era stata diffidata a provvedere sulla base di ben precise prescrizioni. A fronte di tale condotta illecita, peraltro, non era affatto consentito reagire con immediatezza, sul presupposto che il protrarsi della situazione di pericolo determinata da una serie di inconvenienti legati alla forma ed alla collocazione della canna fumaria risultasse lesivo in modo permanente del bene che si pretendeva di difendere, poiché le note modali che caratterizzavano quella condotta delineavano, semmai, all'atto del comportamento di ragion fattasi posto in essere dall'imputato, i ben diversi contorni storico-fattuali di un illecito istantaneo con effetti permanenti, consolidandosi il nucleo materiale della condotta nel momento stesso della realizzazione dell'opera adiacente all'appartamento di proprietà dell'imputato, senza che alcun rilievo potesse assumere il perdurare della situazione antigiuridica dovuta alle conseguenze dannose prodottesi nel tempo, in ragione dei disturbi legati alle emissioni di fumo e calore nei confronti della detentrice dell'immobile dal ricorrente locato. Né, infine, potrebbe fondatamente sostenersi che l'errore dell'agente sull'azionabilità della pretesa costituisca errore su norma extrapenale, cadendo lo stesso su una norma che integra la fattispecie astratta, e risultando, come tale, del tutto inidoneo ad escludere la penale responsabilità Sez. 6, n. 1923 del 14/10/1983, dep. 14/11/1983, Rv. 161176 . 7. Conclusivamente, sulla base delle su esposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ex art. 616 c.p.p P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.