Le tre fatiche della Cassazione: CEDU, Corte di Strasburgo e Giusto Processo

Non costituisce violazione del disposto dell’articolo 6 della CEDU con il significato che ad esso viene dato con le sue sentenze dalla Corte di Strasburgo, la riqualificazione giuridica del fatto operata dal Giudice dell’appello se l’imputato abbia concretamente potuto prevedere che l’accusa formulata nei suoi confronti potesse essere riqualificata, invocare adeguati strumenti di difesa, e discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti e se l nuova qualifica non abbia comportato una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione.

Il caso . L’imputato ed il PM presentavano appello nei confronti della sentenza resa dal Giudice di prime cure. All’esito del giudizio d’appello, celebrato senza rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, la Corte d’Appello di Genova riformava la sentenza di primo grado riqualificando il fatto contestato all’imputato sub capo b dell’imputazione quale tentato omicidio ed escludendo l’applicabilità del regime della continuazione tra i reati contestati sub capo d violazione delle norme sulla circolazione stradale e quelli sub capo g detenzione di sostanza stupefacente. Avverso la pronuncia formulava ricorso l’imputato il quale deduceva violazione di legge in relazione all’applicazione dell’art. 81, comma 2, c.p., vizio di motivazione per contraddittorietà o manifesta illogicità per non aver considerato la Corte d’appello che l’imputato deteneva droga nella propria abitazione esclusivamente ai fini d’utilizzo personale, e per aver ingiustamente negato il riconoscimento dell’attenuante del fatto di lieve entità pur avendo ammesso che lo stupefacente era almeno in parte destinato al consumo personale. Violazione di legge e vizio di motivazione per avere la Corte distrettuale qualificato in termini di tentato omicidio aggravato la condotta contestata all’imputato sub capo b dell’imputazione già ritenuta dal giudice di primo grado integrante gli estremi del meno grave reato di lesioni personali, in una situazione nella quale era dubbia la configurabilità del dolo diretto e per aver violato altresì il disposto dell’articolo 6 paragrafo 1 della CEDU che nella più recente interpretazione delle Corte di Strasburgo, impedirebbe al giudice d’appello di riformare una sentenza di primo grado senza avere almeno parzialmente rinnovato l’istruttoria dibattimentale. Violazione di legge in ordine all’applicazione dell’art. 61, comma 1, n. 10, c.p. e violazione di legge con riferimento agli artt. 62, commi 1 e 6, e 133 c.p Il ricorrente richiedeva altresì di dichiarare la prescrizione dei due reati contravvenzionali ascrittigli. Le implicazioni giuridiche . Al di là della fondatezza delle lagnanze mosse dal ricorrente nei confronti della sentenza resa dal Giudice dell’appello, appare evidente che la sentenza in commento si caratterizzi per le applicazioni ed i risvolti, di carattere giuridico, che le argomentazioni ed i principi in essa contenuti sono destinati ad assumere. Ovviamente non solo e non tanto in tema di applicazione dell’istituto della continuazione, del dolo, del vizio di motivazione o della concedibilità dell’attenuante speciale prevista dall’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/90, temi sui quale la Corte si limita a ribadire i temi tipici di un granitico e costante insegnamento, quanto piuttosto in relazione all’applicazione dei principi del Giusto Processo per come interpretati dalla Corte di Strasburgo nel nostro sistema giuridico. Segnatamente, nel caso di specie, la Corte si dimostra particolarmente attenta ad analizzare la possibilità, concessa al giudice dal disposto dell’articolo 597 comma 3 c.p.p., di riqualificare il fatto giuridico. La riqualificazione del fatto . Noti da tempo i problemi causati dalla disposizione codicistica in commento, ed altrettanto pacifica l’applicabilità diretta ex art. 117 Cost. delle disposizioni contenute nella Convenzione Europea dei Diritti dell’uomo, certificata e sancita dalla stessa Corte Costituzionale con le cosiddette sentenze gemelle Corte Cost. nn. 348 e 349 del 2007 , la Corte di Cassazione si trova nella non semplice situazione di dar attuazione a precetti che debbono trovare, e per vero hanno trovato, diretta ed immediata applicazione nel sistema positivo ma che stridono, e non poco, con alcune disposizioni di sistema la cui abolizione , per applicazione del diritto vivente , ovvero dell’interpretazione giurisprudenziale, sarebbe a dir poco problematica. Particolare oggetto di censure da parte della Corte di Strasburgo è stato proprio il precetto contenuto nell’art. 57 c.p.p. che, come è noto, ha subito ampia censura nella pronuncia Drassich CEDU 11.12.2007 che ha statuito come la ri–qualificazione giuridica del fatto non possa avere luogo allorché non sia consentito all’imputato di potersi difendere nel merito circa la contestazione effettuata, contestazione che deve intendersi quale complessivamente costituita e dalla qualificazione fattuale, ovvero dalla somma delle descrizioni materiali inerenti il fatto reato, e dalla qualificazione giuridica che degli stessi fatti l’accusa ha effettuato. La lettura della sentenza resa dalla Corte, avrebbe dovuto indurre, come denunciato dal ricorrente, i giudici del Supremo Collegio a cassare la pronuncia della Corte distrettuale. La Corte invece, pur non disattendendo, formalmente il precetto contenuto nella sentenza Drassich, anzi, ribadendolo, se ne discosta. L’operazione ermeneutica è resa possibile nel caso concreto dall’essere l’originaria contestazione formulata nei confronti dell’imputato identica a quella ritenuta dal Giudice dell’appello. Ovvero, la pubblica accusa, in un atto del complesso iter procedimentale e processuale aveva provveduto a qualificare il fatto, storicamente rimasto immutato, e le conseguenze giuridiche da questi dipendenti, ovvero la sua qualificazione, in maniera identica rispetto a quanto ritenuto da un Giudice nel corso del processo. Dunque, e questo è il filo logico che sostiene le motivazioni rese dalla Corte, l’imputato ha potuto conoscere compiutamente l’accusa mossa nei suoi confronti. Sia sotto il profilo fattuale che sotto il profilo che detti fatti potevano assumere giuridicamente. Detta circostanza rende, a parere dei Giudici del supremo Collegio, perfettamente compatibile l’iter processuale inerente la pronuncia gravata con il disposto della CEDU. Il che significa che, argomentando a contrario, ove la contestazione non fosse stata effettuata nella forma completa ovvero la pubblica accusa non avesse nel corso del procedimento postulato l’esistenza dell’atto giuridico per come esso è stato poi riqualificato dalla Corte distrettuale, il processo promosso nei confronti del ricorrente non avrebbe avuto le caratteristiche sufficienti e necessarie a definirlo quale Giusto processo ai sensi della CEDU. Con ogni conseguenza del caso. Il che, a ben vedere, da un lato pare porre limiti ben definiti al potere di riqualificazione giuridica del fatto da parte del Giudice e, dall’altro, spazi di riflessione e meditazione circa la possibilità dell’accusa di formulare imputazioni alternative circa la qualificazione giuridica dei fatti. Certo è che i principi del Giusto processo premono con forza contro gli argini del sistema giuridico italiano che, davvero e nonostante l’attività della Corte di Cassazione, faticano a contenerli. La valutazione del testimone . Altro principio assolutamente interessante che la Corte di Cassazione, probabilmente distratta in punto, sembra voler dar per pacificamente assunto, è quello inerente la capacità-possibilità del Giudice di valutare la testimonianza. Ora è noto come sia principio fondamentale inerente il primo grado di giudizio che l’assunzione delle prove, e segnatamente delle prove testimoniali, spetti al Giudice che dovrà pronunciare la sentenza. Con tutto ciò che il principio importa. Altrettanto pacifico, almeno fino ad oggi, che il Giudice dl gravame valuti la deposizione del teste senza averne assunto direttamente la testimonianza ma anzi, e sempre più speso, recependola dal verbale stenotipico o, ahinoi, da verbalizzazioni delle deposizioni effettuate dal Giudice o dal cancelliere. La Corte, nel richiamare i principi espressi dai Giudici di Strasburgo in tema di valutazione dei testimoni, i quali hanno affermato come coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza degli accusati, in linea di principio, devono essere in grado di sentire i testimoni e di valutare la loro affidabilità in prima persona ed ancora che la valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere raggiunto da una semplice lettura delle sue parole registrate , apre un vero e proprio squarcio nel sistema processuale italiano riferito al secondo grado di giudizio e, ancor di più in quello, a parere di chi scrive fortemente a rischio CEDU , inerente l’appello reso in relazione alle pronunce rese dal Giudice di Pace laddove le deposizioni assunte sono filtrate dall’attività interpretativa del Giudice stesso. Si tratta di una indiscutibile e importantissima, seppur involontaria, apertura della Corte in relazione alla possibilità di effettiva celebrazione di due giudizi di merito, a cognizione completa. Ovviamente, come la Corte si affretta ad affermare, si tratta di affermazioni valide in linea di principio e da valutarsi in relazione a ciascuno specifico contesto processuale. Non è moltissimo ma per chi si batte per l’applicazione concreta e costante dei principi del Giusto Processo è un preciso segnale di possibile riscrittura non delle regole, o almeno non di tutte le regole, ma della loro prassi applicativa. In omaggio ed in ossequio a quella funzione giurisdizionale cui stiamo, lentamente ma inesorabilmente, abituandoci. Il paese del diritto vivente ha bisogno di interpreti coraggiosi e non rassegnati capaci di cogliere i segni dello sbrecciarsi del muro di contenimento costruito attorno al processo italiano cui, per lunga pezza, sono stati applicati canoni e terapia di sterilizzazione rispetto ai principi del Giusto Processo.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 - 13 febbraio 2013, n. 7195 Presidente Di Virginio – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Genova, decidendo sulle impugnazioni presentate dal P.G. e dall'imputato, riformava, esclusivamente riformulando il reato di cui al capo b dell'imputazione, escludendo la continuazione tra il reato di cui ai capo g dell'imputazione e gli altri reati ritenuti sussistenti, rideterminando le pene, e confermava nel resto la pronuncia di primo grado del 15/12/2009 con la quale il Tribunale della stessa città aveva condannato P S. alla pena di giustizia in relazione ai reati di cui agli artt. 337 cod. pen. capo a , 56, 575, 576 comma 1 n. 1, 61 comma 1 n. 2 cod. pen. capo b , 81 cpv., 582, 585, 576 comma 1 n. 1, 61 comma 1 nn. 2 e 10 cod. pen. capo e , 116 comma 13 cod. strada capo d , 635 comma 2 n. 3 cod. pen., in relazione all'art. 627 n. 3 cod. pen. capo e , 4 legge n. 110 del 1975 capo f e 73 comma 1 bis d.P.R. n. 309 del 1990 capo g , commessi in Genova il 11/10/2008. Rilevava la Corte di appello come gli elementi di prova acquisiti nel corso dell'istruttoria dibattimentale di primo grado avessero provato la responsabilità del S. in ordine ai reati innanzi elencati, per avere, nella data innanzi indicata, al fine di sottrarsi ad un controllo dei carabinieri mentre si trovava al volante di una vettura, attuato una fuga guidando senza aver conseguito la patente tale mezzo nelle vie cittadine ad altissima velocità, in modo da mettere in pericolo gli utenti della strada investito volontariamente il capitano dei carabinieri Gi Se. , che gli aveva intimato l'alt, allo scopo di eseguire la considerata resistenza a pubblico ufficiale, compiendo così atti idonei diretti in maniera non equivoca a cagionarne la morte, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà urtato violentemente e così danneggiando la vettura dei carabinieri, bene destinato ad un pubblico servizio, che lo stava inseguendo, e così cagionato - allo scopo di eseguire il suddetto reato di resistenza e in danno di pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni - all'app. A T. e al carabiniere C.F. lesioni personali giudicate per ciascuno guaribili in dieci giorni ancora, per avere portato fuori dalla propria abitazione, senza giustificato motivo, un coltellino tipo cutter, atto ad offendere la persona e per avere illecitamente detenuto all'interno del proprio domicilio, a scopo di cessione a terzi, gr. 562,3 di sostanza stupefacente del tipo marijuana, contenente principio attivo idoneo al confezionamento di 315 dosi medie singole. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il S. , con atto sottoscritto personalmente, il quale ha dedotto il seguenti cinque motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione all'art. 81 comma 2 cod. pen., per avere la Corte di appello erroneamente negato l'esistenza di un vincolo della continuazione tra il delitto riguardante la violazione della disciplina sugli stupefacenti e tutti gli altri delitti per i quali era stata affermata la colpevolezza dell'imputato, nonostante fosse risultato evidente che questi ultimi erano stati commessi per evitare un controllo all'interno della sua abitazione e, dunque, la scoperta della droga ivi custodita. 2.2. Vizio di motivazione, per contraddittorietà o manifesta illogicità, per avere la Corte territoriale confermato la condanna del S. in ordine al delitto di detenzione illegale di stupefacente, benché il prevenuto avesse spiegato che la droga nascosta in casa era destinata al suo consumo personale e che nell'immobile non era stato rinvenuto altri oggetti che potessero far pensare ad un'attività di spaccio e per aver ingiustificatamente negato il riconoscimento della circostanza attenuante del fatto di lieve entità, pur avendo ammesso che la sostanza era probabilmente destinata, almeno in parte, al consumo esclusivo dell'imputato. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione, per avere la Corte distrettuale qualificato in termini di tentato omicidio aggravato la condotta contestata al S. al capo B dell'imputazione, già ritenuta dal giudice di primo grado integrante gli estremi del meno grave reato di lesioni personali, in una situazione nella quale era dubbia la configurabilità di un dolo diretto e per avere, altresì, violato l'art. 6 parar. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo che, nella più recente interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo, impedirebbe al giudice dell'appello di riformare una sentenza di primo grado senza avere almeno parzialmente rinnovato l'istruttoria dibattimentale. 2.4. Violazione di legge, in relazione all'art. 61 comma 1 n. 10 cod. pen., per avere la Corte genovese confermato, con riferimento al delitto di lesioni personali, la sussistenza dell'anzidetta circostanza aggravante, pur essendo stata la situazione sottostante già considerata quale elemento costitutivo del concorrente delitto di resistenza a pubblico ufficiale. 2.5. Violazione di legge, in relazione agli artt. 62 comma 1 n. 6 e 133 cod. pen., per avere la Corte ligure ingiustificatamente omesso di valorizzare il comportamento tenuto dall'imputato dopo la commissione dei reati, contenuto la riduzione di pena in relazione all'avvenuto risarcimento dei danni, benché effettuato dal S. con tutti i suoi risparmi ed ancora, per avere calcolato la pena da irrogare partendo da una sanzione, per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, pari al limite massimo edittale, nonché negando che il predetto potesse aver subito percosse dai carabinieri che lo avevano arrestato, circostanza, invece, confermata dai referti medici acquisiti agli atti. 2.6. Il ricorrente, infine, ha chiesto dichiararsi la prescrizione dei due reati contravvenzionali ascrittigli ai capi d ed f . Considerato in diritto 1. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato. 2. Il primo motivo del ricorso presentato dal S. è manifestamente infondato. La Corte di appello ha fornito, con corretta ed adeguata motivazione, immune da vizi logici, una spiegazione delle ragioni del suo convincimento, richiamandosi ai principi interpretativi consolidati in materia e sottolineando, in particolare, come nella fattispecie il diniego dell'applicazione della disciplina della continuazione fosse giustificato dalle diversità intrinseche e dalle differenti connotazioni dei reati in questione, posto che il processo non aveva offerto alcun elemento concreto da cui poter desumere che l'imputato, dandosi alla fuga per sottrarsi al controllo dei carabinieri, avesse consumato la resistenza a pubblico ufficiale ed i connessi tentato omicidio, lesioni personali e danneggiamento aggravato, in quanto aveva temuto che i militari avrebbero potuto trovare la droga che egli custodiva in casa. Tanto si evince anche dalle dichiarazioni a suo tempo rese dallo stesso imputato, il quale aveva ammesso di essere fuggito in quanto stava guidando l'autovettura senza patente talché, per un verso, sarebbe irragionevole sostenere che, laddove l'imputato si fosse fermato all'alt, i carabinieri avrebbero esteso le loro iniziative di polizia giudiziaria anche all'abitazione del prevenuto per altro verso, bisognava prendere atto come non vi fosse stato alcun legame tra la detenzione della droga e le condotte criminose poste in essere ai danni dei militari operanti, non essendo presente nell'auto alcun dato cui poter collegare anche solo il sospetto di un possibile spaccio di droga sostanza che era fondato ritenere fosse stata acquistata e nascosta in casa sulla base di un disegno criminoso al quale erano del tutto estranei gli altri reati, oggetto di addebito, che sarebbero stati commessi dall'albanese nella giornata del 11/02/2008 pag. 11 sent. impugn. . Al riguardo va rammentato che, affinché possa riconoscersi un'unicità del disegno criminoso, occorre che le diverse condotte delittuose siano comprese, sin dalla commissione della prima azione, almeno nei loro lineamenti essenziali, nel quadro di una preventiva, anche se generica o sommaria, progettazione intellettiva. È necessaria, dunque, una preordinazione di fondo dei singoli episodi delittuosi, che devono rientrare nella previsione originaria che funge da elemento di cognizione intellettuale fra gli stessi, preordinazione della quale, nel caso di specie, i Giudici di merito hanno convincentemente assento l'assenza. 3.1. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile perché, in parte, presentato per fare valere ragioni diverse da quelle consentite dalla legge, e, in altra parte, manifestamente infondato. Il ricorrente solo formalmente ha indicato, come motivo della sua impugnazione, il vizio di manifesta illogicità della motivazione della decisione gravata, non avendo prospettato alcuna reale contraddizione logica, intesa come implausibilità delle premesse dell'argomentazione, irrazionalità delle regole di inferenza, ovvero manifesto ed insanabile contrasto tra quelle premesse e le conclusioni né essendo stata lamentata, come pure sarebbe stato astrattamente possibile, una incompleta descrizione degli elementi di prova rilevanti per la decisione, intesa come incompletezza dei dati informativi desumibili dalle carte del procedimento. Il ricorrente, invero, si è limitato a criticare il significato che la Corte di appello di Genova aveva dato al contenuto delle emergenze acquisite durante l'istruttoria dibattimentale di primo grado in ordine alle finalità della detenzione della sostanza stupefacente sequestrata. E tuttavia, bisogna rilevare come il ricorso, lungi dal proporre un travisamento delle prove, vale a dire una incompatibilità tra l'apparato motivazionale del provvedimento impugnato ed il contenuto degli atti del procedimento, tale da disarticolare la coerenza logica dell'intera motivazione, è stato presentato per sostenere, in pratica, una ipotesi di travisamento dei fatti oggetto di analisi, sollecitando un'inammissibile rivalutazione dell'intero materiale d'indagine, rispetto al quale è stata proposta dalla difesa una spiegazione alternativa alla semantica privilegiata dalla Corte territoriale nell'ambito di un sistema motivazionale logicamente completo ed esauriente. Questa Corte, pertanto, non ha ragione di discostarsi dal consolidato principio di diritto secondo il quale, a seguito delle modifiche dell'art. 606, comma 1, lett. e , cod. proc. pen., ad opera dell'art. 8 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, mentre è consentito dedurre con il ricorso per cassazione il vizio di travisamento della prova, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova obiettivamente ed incontestabilmente diverso da quello reale, non è affatto permesso dedurre il vizio del travisamento del fatto, stante la preclusione per il giudice di legittimità a sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si domanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, qual è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione così, tra le tante, Sez. 3, n. 39729 del 18/06/2009, Belluccia, Rv. 244623 Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, Casavola, Rv. 238215 . La motivazione contenuta nella sentenza impugnata possiede una completa capacità persuasiva, nella quale non sono riconoscibili vizi di manifesta illogicità avendo la Corte ligure evidenziato, per un verso, come il quantitativo dello stupefacente rinvenuto nell'abitazione dell'imputato, ben 562,3 gr. di marijuana, fosse incompatibile con la tesi di una destinazione esclusivamente personale della sostanza e, per altro verso, come la destinazione allo spaccio di quella non esigua partita di droga potesse essere desunta in via indiziaria anche dalle precarie condizioni economiche del S. e dal fatto che lo stesso fosse stato notato in compagnia di un tossicodipendente. Correttamente i Giudici di merito hanno, poi, escluso di poter valorizzare il fatto del mancato rinvenimento di un bilancino o di altra attrezzatura atta al taglio della droga e al confezionamento delle dosi da spacciare, tenuto conto che, al momento del loro intervento nell'abitazione del S. , i carabinieri avevano trovato il fratello del prevenuto in una casa messa a soqquadro, come se il giovane presente sul luogo, appresa la notizia dell'arresto del germano, avesse inteso eliminare le tracce di quanto avrebbe potuto gravemente pregiudicare la posizione dell'imputato v. pag. 5 sent. impugn. . 3.2. Quanto alla patte restante della doglianza difensiva, va ricordato come, per il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità, ai fini della concedibilità o del diniego della circostanza attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 73 comma 5 d.P.R. n. 309 del 1990, il giudice sia tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, quindi, sia quelli concernenti l'azione mezzi, modalità e circostanze della stessa , che quelli che attengono all'oggetto materiale del reato quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa , dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell'attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità così, ex plurimis, Sez. 4, n. 6732/12 del 22/12/2011, P.G. in proc. Sabatino, Rv. 251942 Sez. 4, n. 43399 del 12/11/2010, Serrapede, Rv. 248947 . 4, Sentenza n. 38879 del 29/09/2005, Frank, Rv. 232428 . Di tale regula iuris la Corte di appello di Genova ha fatto corretta applicazione chiarendo, con motivazione congrua, nella quale non sono riconoscibili lacune o vizi di manifesta illogicità, dunque con argomenti non censurabili in questa sede, come la condotta del S. non potessero essere qualificata in termini di ridotta offensività ovvero di scarso allarme sociale, dato che aveva avuto ad oggetto la detenzione di ben 562,3 gr. di marijuana, idonea alla preparazione di 315 dosi medie, destinata, dunque, ad un numero considerevole di potenziali acquirenti v. pagg. 5-6 della sentenza impugnata . 4.1. Il terzo motivo del ricorso è infondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale il dolo eventuale è costituito dalla consapevolezza che l'evento, non direttamente voluto, ha probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione, nonché dall'accettazione di tale rischio, che potrà essere graduata a seconda di quanto maggiore o minore l'agente consideri la probabilità di verificazione dell'evento diversamente, sussiste il dolo alternativo nel caso in cui l'agente ritenga altamente probabile o certo l'evento, non limitandosi a prevederne e ad accettarne il rischio, ma prevedendo ed accettando l'evento stesso e quindi, pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente lo vuole con un'intensità evidentemente maggiore di quelle precedenti così, in particolare, Sez. 1, n. 267/12 del 14/12/2011, Meraviglia, Rv. 252046 . Di tale regula iuris la Corte di appello di Genova ha fatto corretta applicazione, chiarendo - con una motivazione congrua e priva di lacune o palesi illogicità - che l'investimento del capitano S. , lungi dall'apparire la conseguenza di una maldestra manovra di un guidatore inesperto, era stato direttamente voluto dal S. il quale, come avevano riferito alcuni testi oculari, percorrendo ad alta velocità una strada destrorsa con una larga carreggiata ed una doppia corsia, invece che frenare o spostarsi a sinistra, come le dimensioni e le caratteristiche di quella via gli avrebbero consentito di fare per non colpire l'ufficiale dei carabinieri che gli aveva intimato l'alt, rimanendo però a circa un metro e mezzo dal marciapiede, aveva con decisione sterzato verso la destra proprio per travolgere il malcapitato che aveva cercato di opporsi alla sua fuga, un uomo alto un metro e ottanta e pesante più di cento chili, che era stato sbalzato sul cofano, poi sul tetto dell'auto, per essere lasciato, violentemente cadere nella parte di dietro del mezzo. Né vi sono dubbi, sulla base dell'accurata ricostruzione dell'accaduto privilegiata dai Giudici di merito, in ordine alla sussistenza del richiesto elemento soggettivo, correttamente qualificato in termini di dolo alternativo e, dunque, compatibile con la contestata figura del tentato omicidio ed infatti, si è puntualizzato come la versione dell'imputato, che aveva cercato di far credere di aver voluto sterzare a sinistra per evitare il pedone, fosse stata clamorosamente smentita dai testi oculari presenti sul luogo del reato e come dovesse escludersi l'ipotesi del caso fortuito, quasi che l'ufficiale dei carabinieri che era sì in abiti borghesi si fosse parato improvvisamente di fronte al conducente della vettura, tenuto conto che il S. era inseguito da un'auto militare a sirene spiegate e che egli aveva già imboccato, ad alta velocità varie strade cittadine, pure in contromano, sicché era ragionevole pensare che egli si fosse reso conto che altri agenti, anche non necessariamente in uniforme, in macchina o a piedi, avrebbero potuto cercare di fermarlo v. pagg. 2-4 sent. impugn. . 4.2. Va, altresì, osservato come la soluzione adottata dalla Corte di appello - che, a mente dell'art. 597 comma 3 cod. proc. pen. ha riqualificato il fatto, già contestato come tentato omicidio e derubricato dal giudice di prime cure in termini di lesioni personali, senza però modificare la misura delle pena detentiva irrogata con la pronuncia di primo grado - non si ponga in contrasto con il principio del giusto processo previsto dall'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo CEDU e con il significato che ad esso viene dato con le sue sentenze dalla Corte di Strasburgo. In effetti la Corte costituzionale, fin dalle ben note sentenze gemelle del 2007 Corte cost., n. 348 e n. 349 del 2007 , ha statuito che, nel sistema delle fonti del nostro ordinamento, alle disposizioni della CEDU debba essere assegnato un rango subcostituzionale di norme interposte, nel senso che, attraverso il meccanismo di adattamento previsto dall'art. 117, comma 1, Cost., esse integrano il relativo precetto della Carta fondamentale e diventano esse stesse parametro di legittimità costituzionale delle altre norme dell'orientamento di fonte secondaria ma, soprattutto, che il giudice nazionale, nell'applicare una norma del diritto interno, è sempre tenuto ad interpretarla in maniera non solo costituzionalmente orientata, ma anche convenzionalmente orientata, a tal fine considerando tanto le disposizioni formalmente cristallizzate nell'articolato della CEDU, quanto le stesse norme come interpretate nelle sue sentenze dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo. Tale criterio generale, che è nel contempo regola di ordine nel sistema delle fonti e criterio di ermeneutica giuridica, ha già trovato numerose attuazioni nella stessa giurisprudenza costituzionale si vedano, in particolare, Corte cost., n. 1 e n. 113 del 2011 Corte cost., n. 93, n. 138, n. 187 e n. 196 del 2010 Corte cost., n. 239, n. 311 e n. 317 del 2009 Corte cost., n. 39 del 2008 v., in specie, Corte cost., n. 80 del 2011, che ha riaffermato e precisato la portata di quel criterio dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona del 2007 . Tuttavia, nel caso di specie non è riconoscibile alcuna violazione del principio sancito dal richiamato art. 6 CEDU. Di certo il precetto dell'art. 6 CEDU non è stato disatteso nella parte in cui è stata operata la riqualificazione giuridica del fatto, posto che risultano rispettate le condizioni che la Corte Europea occorre che sussistano per ritenere legittima quella operazione di riqualificazione e, cioè, che sia sufficientemente prevedibile per il ricorrente che l'accusa inizialmente formulata nei suoi confronti [poteva essere] riqualificata se il ricorrente avrebbe potuto invocare adeguati mezzi di difesa se avesse avuto la possibilità di discutere della nuova accusa formulata nei suoi confronti ed ancora, quali siano state le ripercussioni della nuova accusa sulla determinazione della pena del ricorrente , in particolare se la nuova qualifica abbia comportato una modifica in peius del trattamento sanzionatorio e del computo della prescrizione Corte eur. dir. uomo, 11 dicembre 2007, Drassich. c. Italia . Ed infatti, nel caso di specie era facilmente prevedibile per l'imputato che, in presenza dell'impugnazione del P.G., la Corte di appello avrebbe potuto riqualificare il fatto, riproponendo la veste giuridica che già era stata prospettata con l'originaria contestazione dell'addebito ed è sicuro che l'imputato sia stato messo in condizione di poter far valere le sue ragioni, tanto nel corso del giudizio di secondo grado, quanto, come ha poi concretamente fatto, con la presentazione del ricorso per cassazione. D'altro canto, è evidente come quella modificazione della qualificazione giuridica del fatto non abbia comportato per l'imputato alcuna variazione in peius nel trattamento sanzionatorio, avendo la Corte di merito avuto cura di applicare pedissequamente il divieto di reformatio fissato dall'art. 597 comma 3 cod, proc. pen. né abbia determinato l'operatività di un più negativo criterio di computo del termine di prescrizione, dato che, anche per la meno grave ipotesi delittuosa delle lesioni personali, la scadenza del termine di estinzione del reato sarebbe stato molto lontano nel tempo. In tale ottica, è del tutto improprio il richiamo che il ricorrente ha fatto nel suo atto di impugnazione ad un'altra recente sentenza che la Corte di Strasburgo ha emesso in materia di equo processo con riferimento al giudizio in grado di appello Corte eur. dir. uomo, 5 luglio 2011, n., Dan c. Moldavia si tratta di una sentenza adottata in un caso moldavo nel quale i Giudici Europei, richiamando la propria consolidata giurisprudenza Corte eur. dir. uomo, 21 settembre 2010, Marcos Barrios c. Spagna Id., 27 novembre 2007, Popovic c. Moldavia Id., 27 giugno 2000, Costantinescu c. Romania , hanno sì affermato che coloro che hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l'innocenza degli accusati, in linea di principio, devono essere in grado di sentire i testimoni e di valutare la loro affidabilità in prima persona e che la valutazione dell'attendibilità di un testimone è un compito complesso che di solito non può essere raggiunto da una semplice lettura delle sue parole registrate , ma ciò hanno fatto con riferimento ad una situazione processuale ben differente da quella portata all'odierna attenzione di questo Collegio, nella quale la Corte di appello moldava aveva condannato l'imputato che era assolto in primo grado. Ciò senza neppure trascurare come la Corte di Strasburgo abbia puntualizzato che l'applicazione di quei criteri ermeneutici va necessariamente adeguata alle caratteristiche specifiche del procedimento che si sta celebrando e che, solo in relazione a ciascuno specifico contesto processuale, va appurato se sia compatibile con i valori del giusto processo una decisione circa la colpevolezza o l'innocenza dell'imputato adottata in secondo grado senza effettuare una valutazione diretta delle prove laddove, nel caso di specie, la determinazione della Corte di appello di Genova non ha riguardato l'alternativa assoluzione-condanna dell'imputato, bensì, come si è visto, la corretta qualificazione giuridica delle condotte illecite come concretamente accertate. 5. Il quarto motivo del ricorso è infondato. È vero che questa Corte ha avuto modo di sostenere che l'aggravante, di cui all'art. 61 comma 1 n. 10 cod. pen., dell'aver commesso il fatto contro un pubblico ufficiale, non è configurabile il relazione al delitto di lesioni personali volontarie commesso in concorso con il delitto di resistenza a pubblico ufficiale, poiché la medesima condotta non può essere posta a carico dell'imputato come integrativa sia del citato reato sia della circostanza aggravante così Sez. 6, n. 11780 del 07/01/2010, Foti, Rv. 246477 Sez. 2, n. 19669 del 22/04/2008, Bastelli, Rv. 239765 , ma tale principio deve ritenersi operante nei casi in cui vi sia una piena sovrapponibilità del fatto in cui si sostanzia l'aggravante rispetto a quello che rappresenta l'elemento costitutivo del delitto di cui all'art. 337 cod. pen Tale situazione non è ravvisabile nel caso di specie, nel quale la condotta di resistenza a pubblico ufficiale non si era esaurita nella commissione del delitto di lesioni personali in danno dei due carabinieri che guidavano la vettura di servizio all'inseguimento dell'auto guidata dall'imputato, ma aveva avuto una portata ontologica ben più ampia, sostanziandosi anche nella guida spericolata lungo strade cittadine, che aveva messo in pericolo gli utenti della strada, nonché nell'investimento del già citato ufficiale dei carabinieri che, a piedi, aveva cercato di fermare la corsa della macchina condotta dal S. . Situazione, dunque, nella quale l'azione lesiva realizzata in danno dei due carabinieri che, nell'esercizio delle loro funzioni, erano stati speronati mentre si trovavano alla guida della loro auto, rappresenta solo una parte della più articolata condotta integrante gli estremi dell'altro delitto di resistenza a pubblici ufficiale. In tal senso, deve escludersi che la decisione gravata della Corte territoriale abbia comportato alcuna violazione di legge, in quanto appare più confacente alla fattispecie in esame il principio, pure enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che si concretizza nella resistenza opposta al pubblico ufficiale che sta compiendo un atto del proprio ufficio, non anche gli ulteriori atti violenti che, esorbitando da tali limiti, cagionino al pubblico ufficiale lesioni personali in quest'ultima ipotesi, il reato di lesioni personali è aggravato dall'essere stato commesso in danno di un pubblico ufficiale, e può concorrere con quello di cui all'art. 337 cod. pen. così Sez. 2, n. 12930 del 13/01/2012, Giunta, Rv. 252810 . 6. Il quinto motivo del ricorso è manifestamente infondato. Questa Corte ha avuto modo reiteratamente di chiarire, da un lato, che, ai fini della configurabilità della circostanza attenuante di cui all'art. 62 comma 1 n. 6 cod. pen., il risarcimento del danno deve essere integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011, Allegra, Rv. 251508 Sez. 1, n. 11207 del 29/09/1994, Bellotti, Rv. 199623 e, da altro lato, che la scelta operata dai giudici di merito circa la misura della riduzione da operare sulla pena in conseguenza del riconoscimento di una circostanza attenuante è espressione dell'esercizio di un potere discrezionale, non sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da adeguata e logica motivazione. Di tali principi la Corte di appello ligure ha fatto buon governo confermando il riconoscimento, già operato dal giudice di prime cure, all'imputato dell'attenuante di cui all'art. 62 comma 1 n. 6 cod. pen., ma negando che la riduzione della pena potesse essere significativamente elevata, tenuto conto della scarsissima incidenza del risarcimento, invero tropo modesto appena 3.000 Euro rispetto ai rilevanti danni patrimoniali e non provocati dalle condotte del S. . Analogo discorso vale per le decisioni adottate circa la graduazione della pena, rientranti nella discrezionalità del giudice di merito, il quale la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen Poteri discrezionali, quelli innanzi considerati, che il giudice di merito esercita non in maniera illimitata e sottratta al controllo di legittimità, dovendo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati, con l'indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta senza necessità di valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo, essendo all'uopo sufficiente che il giudice faccia riferimento ai parametri di cui all'articolo 133 c.p. e specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento, senza, però, che li esamini tutti così, tra le tantissime, Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, Cilia, Rv. 238851 Sez. 2, n. 2285 del 11/10/2004, Alba, Rv. 230691 . Ora, nella sentenza impugnata è stata fatta corretta applicazione delle richiamate disposizioni del codice di rito, avendo la Corte territoriale asserito - con riferimento ai reati di resistenza a pubblico ufficiale, tentato omicidio e lesioni personali, di cui ai capi a , b e c dell'imputazione, per i quali vi doglianza nel ricorso - che la pena base del calcolo in relazione al più grave reato, tra quelli posti in continuazione, quello di cui all'art. 337 cod. pen., ben potesse determinarsi in misura pari al limite edittale massimo, in ragione della eccezionale gravità obiettiva dei fatti accertati, della elevata intensità del dolo manifestata dall'imputato con iniziative delittuose persistenti nel tempo, e del pessimo comportamento processuale tenuto dal S. , il quale aveva negato pure l'evidenza, arrivando ad accusare i carabinieri di averlo gratuitamente percosso v. pagg. 7-8 sent. impugn. . 7. Va disattesa, da ultimo, la richiesta difensiva di declaratoria della estinzione dei due reati contravvenzionali riconosciuti a carico del ricorrente in quanto per gli stessi, commessi ovvero accertati il 11/02/2008, non è ancora decorso il termine massimo di prescrizione di cinque anni, di cui al combinato disposto degli artt. 157 comma 1 e 162 cod. proc. pen 8. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., al pagamento In favore dell'erario delle spese del presente procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.