La quantificazione del profitto del reato deve essere attentamente valutata dal Riesame

Il giudice, nel decidere un ricorso avverso una misura cautelare, deve accertare la congruità degli elementi rappresentati a sostenere la provvisoria imputazione e tenere nel debito conto le contestazioni difensive.

E’ quanto ribadito la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3159, depositata il 21 gennaio 2013. GIP, Riesame, Cassazione, Riesame e, infine, di nuovo Cassazione. E’ indagato per dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, ex art. 2, d. lgs. n. 74/2000. Il GIP, su richiesta del PM, decide il sequestro preventivo per equivalente di denaro, mobili, immobili o crediti dell’indagato. Il Tribunale del Riesame respinge il ricorso avverso tale provvedimento. La questione giunge in Cassazione, che annulla e rinvia per un nuovo esame. Contro la nuova decisione del Tribunale, l’indagato ricorre nuovamente in sede di legittimità. La S.C. si preoccupa di verificare che il nuovo provvedimento del riesame si sia attenuto a quanto dalla stessa rilevato in sede di annullamento. Il Riesame deve considerare le contestazioni difensive. La S.C. analizza quindi la sua precedente statuizione. Alla giurisdizione compete un controllo non puramente formale di legalità . Il Tribunale del Riesame, nell’ambito delle indicazioni date dal PM, deve accertare la congruità degli elementi rappresentati a sostenere la provvisoria imputazione e tenere nel debito conto le contestazioni difensive . Nel caso specifico i Giudici non hanno preso in considerazione la confutazione dell’indagato, sulla realtà delle operazioni riportate nelle fatture, che potevano aver rilievo sulla quantificazione del profitto del reato e, di conseguenza, sul valore dei beni che potevano essere vincolati . Il delitto previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, è integrato, per le imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle operazioni figuranti nelle fatture relativa alla diversità totale o parziale tra costi indicati e sostenuti mentre, con riguardo all'Iva, il reato comprende anche la inesistenza soggettiva, cioè, quella relativa alla diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello precisato in fattura . In tal modo, non rispondendo alle deduzioni dell’indagato, il Tribunale non ha correttamente svolto il ruolo di garanzia e di controllo che la legge gli demanda . La nuova motivazione è corretta e sufficiente. Nel giudizio di rinvio sono state fornite invece adeguate motivazioni. C’è inesistenza oggettiva delle operazioni fatturate, non soggettiva. Il sequestro è giustamente limitato all’importo del profitto del reato, individuato non nell’importo delle fatture, ma nell’ammontare delle imposte evase . Per questi motivi, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 settembre 2012 – 21 gennaio 2013, n. 3159 Presidente Marzano – Relatore Ciampi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 6 aprile 2012 il Tribunale del riesame di Savona respingeva il ricorso avverso il provvedimento di sequestro preventivo per equivalente emesso ex art. 322 ter c.p. e 321 comma 2 bis c.p.p. in data 9 maggio 2011 dal GIP del Tribunale di Savona avente ad oggetto denaro, mobili, immobili e crediti di proprietà o nella disponibilità di D.G. sino all'importo di Euro 552.252,85 in relazione al reato di cui all'art. 81 cpv c.p. e art. 2 D.lgs.vo n. 74/2000. 2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso a mezzo dei propri difensori il D. , lamentando la inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, la violazione di legge ed il difetto di motivazione ex art. 606 comma 1 lett. b ed e c.p.p Considerato in diritto 3. Va premesso che il provvedimento del Tribunale di Savona è stato emesso quale giudice di rinvio a seguito dell'annullamento da parte di questa Corte di legittimità dell'ordinanza del Tribunale del riesame in data 3 giugno 2011. A riguardo la III Sezione così motivava il Tribunale di Savona ha respinto la richiesta di riesame di un sequestro preventivo per equivalente avente ad oggetto beni mobili, immobili, denaro, crediti fino all'importo di Euro 552.252 nella disponibilità di D.G. indagato per il delitto previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2. Per giungere a tale conclusione, i Giudici hanno rilevato - che occorreva valutare unicamente la astratta configurabilità del reato, requisito sussistente nel caso in esame - che il provvedimento applicativo del vincolo era legittimo in quanto doveva solo precisare il limite del valore dei beni sequestrati essendo demandata alla fase esecutiva l'indicazione concreta dei beni da vincolare - che la stima delle res effettuata dalla Polizia non è macroscopicamente errata e la vantazione di parte sarà vagliata in prosieguo. Per l'annullamento della ordinanza, l'indagato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge e difetto di motivazione, in particolare, rilevando - che le fatture erano soggettivamente inesistenti nel senso che i lavori erano stati effettuati da una impresa diversa da quella che risultava nei documenti - che, in questo caso, non essendoci una evasione di imposta, dal momento che i costi indicati sono stati sostenuti, non esiste il reato di dichiarazione fraudolenta mediante fatture fittizie - che tali deduzioni, sottoposte all'esame del Tribunale, non sono state valutate - che, in merito al profitto del reato da intendersi come immediata conseguenza economica della azione criminosa , la motivazione del provvedimento è solo apparente e non tiene conto delle contestazioni difensive. In materia di sequestri, manca la trasposizione delle condizioni generali per l'applicazione delle misure cautelari personali ed occorre evitare che la funzione del Tribunale del riesame si risolva in un processo nel processo ciò non significa che i Giudici che procedono a sensi dell'art. 324 c.p.p., debbano limitarsi a prendere atto delle ipotesi di reato formulate dalla pubblica accusa ed a valutarne la sola non arbitrarietà. La giurisprudenza di questa Corte sino dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 23/1996 ha precisato che alla giurisdizione compete un controllo non puramente formale di legalità il Tribunale del riesame - pur nell'ambito delle indicazioni del fatto offerte dal Pubblico Ministero - deve accertare la congruità degli elementi rappresentati a sostenere la provvisoria imputazione e tenere nel debito conto le contestazioni difensive. Se su tali temi il provvedimento del Tribunale presenta una carenza assoluta di motivazione, e si determina una violazione di legge precisamente dell'art. 111 Cost., comma 6, e art. 125 c.p.p., comma 3 per la quale può essere proposto il ricorso in Cassazione a sensi dell'art. 325 c.p.p., comma 1 Sezioni Unite sentenza n. 25932/2008 . Tale è il caso in esame nel quale i Giudici non hanno preso in considerazione la confutazione dell'indagato, sulla realtà delle operazioni riportate nelle fatture, che potevano avere rilievo sulla quantificazione del profitto del reato e, di conseguenza, sul valore dei beni che potevano essere vincolati. Sul punto, si rileva che il delitto previsto dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2, è integrato, per le imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle operazioni figuranti nelle fatture relativa alla diversità totale o parziale tra costi indicati e sostenuti mentre, con riguardo all'Iva, il reato comprende anche la inesistenza soggettiva, cioè, quella relativa alla diversità tra il soggetto che ha effettuato la prestazione e quello precisato in fattura Cass. Sez. 3 sentenza 103394/2010 . Per l'omessa risposta a precise e conferenti deduzione dell'indagato, si deve concludere che il Tribunale non ha correttamente svolto il ruolo di garanzia e di controllo che la legge gli demanda di conseguenza, il provvedimento impugnato deve essere annullato con rinvio al Tribunale di Savona . Ritiene il Collegio che - contrariamente a quanto sostenuto da parte ricorrente - il provvedimento impugnato si sia attenuto a quanto rilevato in sede di annullamento fornendo congrue motivazioni a riguardo, tali da ovviare al rilevato vizio motivazionale. In particolare ha posto in rilievo gli elementi da cui emerge la pressoché integrale inesistenza delle operazioni alla base delle fatturazioni, fra cui in particolare le dichiarazioni del V. ha precisato trattarsi di inesistenza oggettiva delle operazioni figuranti nelle fatture e non di inesistenza soggettiva e che il GIP aveva correttamente limitato il sequestro all'importo del profitto del reato, individuato, a differenza di quanto richiesto dal PM, non nell'importo delle fatture, ma nell'ammontare delle imposte evase. 4. Il ricorso va pertanto respinto. Ne consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.