La sentenza di patteggiamento è sempre più una condanna, ma la prescrizione va dichiarata in udienza

La sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti costituisce – come una sentenza di condanna pronunciata all’esito del giudizio ordinario – il presupposto dell’essere stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzione concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio previsto dall’art. 707 c.p.

Con la sentenza n. 49281/12, depositata il 19 dicembre, la Corte di Cassazione ha statuito questo e un ulteriore principio di diritto anche in presenza della prescrizione del reato, sussiste l’interesse dell’imputato alla dichiarazione di nullità della sentenza di appello che abbia deliberato de plano l’improcedibilità del reato, perché solo il giudice del merito può valutare la sussistenza delle condizioni per il proscioglimento ai sensi dell’art. 129 comma 2 c.p.p., con riferimento al contenuto di tutti gli atti del processo . Il caso. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Ancona che aveva pronunciato de plano il proscioglimento dell’imputato per la contravvenzione di cui all’art. 707 c.p. per intervenuto decorso del termine prescrizionale propone ricorso per cassazione il difensore deducendo, da un lato, la violazione del contraddittorio, con conseguente nullità della impugnata sentenza per essere stata la stessa adottata in assenza di contraddittorio con conseguente impossibilità per la difesa di esporre le ragioni per ottenere un più favorevole proscioglimento nel merito. Con un secondo motivo, il medesimo difensore lamenta l’omessa assoluzione nel merito in quanto l’imputato era gravato da precedenti condanne per reati contro il patrimonio – presupposto indefettibile per la sussistenza della fattispecie di cui all’art. 707 c.p. –, costituite unicamente da sentenze di applicazione pena, equiparate solo quanto agli effetti a sentenze di condanna, ma non tali da integrare il presupposto soggettivo di cui all’art. 707 c.p., non essendo tale condizione soggettiva un mero effetto della sentenza di condanna. La nullità delle declaratorie di prescrizione adottate de plano” in appello. La questione della nullità - di carattere generale - per violazione del diritto di intervento ed assistenza dell’imputato della sentenza della Corte di Appello che dichiari de plano e, dunque, senza nemmeno fissazione di udienza e relativo avviso alle parti è stata più volte affrontata dalla Suprema Corte e sempre risolta nel senso della affermazione della sussistenza della nullità. Le ragioni di economia e celerità processuale non possono certo legittimare un’opzione che appare - come chiarito anche nella Sentenza n. 249/1989 della Corte Costituzionale - adottata in radicale violazione del diritto al contraddittorio in quanto deliberata al di fuori della fase processuale ed evidentemente lesiva dell’interesse dell’imputato a vedere adeguatamente valutate dal giudice del merito tutte le ragioni di proscioglimento esplicitamente indicate nell’art. 129 c.p.p., rispetto alle quali la valutazione dell’intervenuto decorso del termine di prescrizione è necessariamente postergato. Nel caso in esame, dunque, la Corte di Appello non può che riaffermare il principio statuendo l’annullamento della impugnata sentenza, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello per valutare la sussistenza di tutte le condizioni per il proscioglimento ai sensi dell’art. 129, comma 2, c.p.p., con riferimento al contenuto di tutti gli atti del processo. Sulla natura di sentenza di condanna del patteggiamento. In innumerevoli occasioni la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla natura o meno della sentenza di condanna e non può certo revocarsi in dubbio come il succedersi delle pronunce giurisprudenziali in uno con le intervenute modifiche legislative abbiano sempre di più avvicinato - in un percorso che non ha conosciuto soste significative - a tutti gli effetti di legge – tranne quelli espressamente esclusi dal dettato normativo – la sentenza di patteggiamento ad una sentenza di condanna. Sotto il profilo legislativo come non menzionare la novella della legge n. 97/2001 che, modificando l’art. 653 c.p.p., ha attribuito efficacia di giudicato alla sentenza di patteggiamento nel giudizio disciplinare la legge n. 134/2003, che ha riconosciuto l’applicabilità della misura della confisca facoltativa al patteggiamento e la possibilità di revisione delle sentenze ex art 444 e ss c.p.p Sotto il profilo giurisprudenziale costituiscono oramai giurisprudenza consolidata le pronunce che riconoscono la rilevanza delle sentenze di applicazione pena al fine della contestazione della recidiva ovvero al fine della ammissione alla pena sostituiva ex lege n. 698/81. Nella pronuncia in esame gli Ermellini compiono una interessante disamina dei precedenti della Suprema Corte, della Corte Costituzionale ed infine delle più recenti pronunce a Sezioni Unite, per affermare che la sentenza di patteggiamento, in ragione della legislativa equiparazione ad una sentenza di condanna, in mancanza di una espressa ed esplicita previsione legislativa di deroga, come costituisce titolo per la revoca della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa ex art. 168, comma 1, c.p.p., ha effetti del tutto eguali a quelli della sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio ordinario. Il patteggiamento come sentenza di condanna, salve deroghe espresse. Il principio di diritto di carattere generale, e per tale ragione assolutamente importante, che viene ribadito nel caso in esame è che gli effetti della sentenza di patteggiamento sono del tutto identici a quelli di una sentenza di condanna, salvi espliciti limiti legislativi, e ciò anche alla luce della giurisprudenza della Corte Costituzionale sentenza n. 336/2009 , che non ha esitato a parlare di un principio di sistema che parifica le due sentenze . Affermato tale principio la soluzione del caso in esame appare necessitata non essendovi alcuna norma di legge che esclude che la sentenza di patteggiamento non possa essere considerata il presupposto per la condanna ai sensi dell’art. 707 c.p., la sentenza di patteggiamento è equiparata, agli effetti della disposizione testé citata, ad una sentenza di condanna emessa a seguito di rito ordinario.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 4 – 19 dicembre 2012, n. 49281 Presidente Esposito – Relatore Iasillo Osserva Con sentenza del 31/10/2011, la Corte di appello di Ancona - dopo aver chiesto il parere del Procuratore Generale - dichiarava, de plano, non doversi procedere nei confronti di N.R. per essere il reato di cui all'art. 707 del c.p. estinto per intervenuta prescrizione in primo grado l'imputato era stato condannato a mesi 6 di arresto . Avverso la predetta sentenza ricorre il difensore dell'imputato sostenendone la nullità assoluta 1 per violazione del principio del contraddittorio, in quanto l'imputato e il suo difensore non hanno potuto interloquire per evidenziare le ragioni per le quali si poteva arrivare ad un'assoluzione nel merito 2 che nel caso di specie risulta dalla stessa sentenza della Corte di appello che non sussistono i presupposti per ritenere l'imputato responsabile del reato di cui all'art. 707 del c.p. infatti le precedenti condanne del N.R. per reati contro il patrimonio -elemento essenziale per la sussistenza del predetto reato - sono state inflitte con sentenza di patteggiamento e tale sentenza è solo equiparata ad una sentenza di condanna quanto agli effetti e la condizione soggettiva di già condannato non è un mero effetto della condanna. Conseguentemente la contravvenzione di cui all'art. 707 del c.p. non sussisterebbe. Dunque in questo caso la stessa Corte di Cassazione potrebbe applicare l'art. 129, II comma, del cod. proc. pen. e annullare senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. Il ricorrente conclude, pertanto, per l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza perché il fatto non sussiste e in subordine per l'annullamento con rinvio per violazione del contraddittorio. Motivi della decisione Il ricorso è fondato, nei termini che seguono. È certo, nella fattispecie, che la Corte distrettuale ha deliberato la sentenza impugnata de plano, quindi prima della trattazione del processo in udienza e senza alcuna interlocuzione dell'imputato e del suo difensore. Sussiste pertanto la nullità assoluta dedotta dal ricorrente, per violazione del contraddittorio, rilevabile in ogni stato e grado del giudizio e comunque in concreto dedotta tempestivamente. È altrettanto certo che il reato per cui si procede è estinto per prescrizione - circostanza non contestata nello stesso ricorso - e che non vi è stata alcuna rinuncia del ricorrente alla sopravvenuta causa estintiva, neppure all'interno dell'atto di ricorso primo atto con cui la parte privata si rivolge all'autorità giudiziaria dopo l'intervenuta prescrizione e che, pertanto, può e deve contenere tale eventuale rinuncia da ultimo, anche Sez. U, Sentenza n. 43055 del 30/09/2010 Ud. - dep. 03/12/2010 - Rv. 248379 . La giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente insegnato, con riferimento alla fattispecie astratta oggetto del ricorso, che, quando la Corte d'appello procede de plano alla deliberazione di prescrizione, la sentenza deve essere annullata. Invero, la sentenza con la quale la Corte d'appello dichiari de plano prima del dibattimento l'estinzione del reato, oltre ad essere affetta da nullità assoluta di ordine generale in quanto incidente sull'intervento e assistenza dell'imputato, non è nemmeno giustificata dall'art. 129 cod. proc. pen., la cui prescrizione dell'obbligo di dichiarare immediatamente la sussistenza di una causa di non punibilità può operare in relazione ad un giudizio in senso tecnico e non anche per la fase predibattimentale. La Corte costituzionale con la sentenza 249/1989 allerta, poi, sulla peculiarità della nullità assoluta per violazione del contraddicono, che caratterizza la sentenza d'appello deliberata de plano in presenza della prescrizione del reato poiché la cognizione ex art. 129 cod. proc. pen. della Corte di Cassazione è limitata al contenuto delle sentenze e degli atti di impugnazione, mentre quella del giudice d'appello si estende al contenuto di tutti gli atti del processo di primo grado - sicché radicalmente diversa è la fonte dell'evidenza di una causa di proscioglimento nel merito - sussiste l'interesse dell'imputato alla pronuncia in contraddittorio del giudice del merito, perché le ragioni del proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. che potrebbero essere dedotte davanti allo stesso giudice del merito sono più ampie, e qualitativamente diverse, da quelle conoscibili dal giudice di legittimità. Pervenendo, allora, alla conclusione, ancorché non costituisca provvedimento abnorme, la sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. deliberata dalla Corte d'appello prima dell'udienza è affetta da nullità assoluta per una violazione radicale del contraddittorio che è caratterizzata da due peculiarità da un lato, è conseguenza diretta dell'essere stata deliberata al di fuori della fase processuale, con un esercizio scorretto del potere di giudizio, che pur sussiste e permane, e, dall'altro, per sé determina l'interesse dell'imputato alla sua dichiarazione, nonostante l'intervenuta prescrizione, ad essa inevitabilmente conseguendo la decisiva restrizione dei parametri di cognizione della valutazione ex art. 129, comma 2, cod. proc. penale. Conseguentemente va ribadito il principio di diritto che anche in presenza della prescrizione del reato, sussiste l'interesse dell'imputato alla dichiarazione di nullità della sentenza d'appello, che abbia deliberato de plano l'improcedibilità del reato, perché solo il giudice del merito può valutare la sussistenza delle condizioni per il proscioglimento ai sensi dell'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. con riferimento al contenuto di tutti gli atti del processo Sez. 6, Sentenza n. 24062 del 10/05/2011 Cc. - dep. 15/06/2011 - Rv. 250499 Sez. 2, Sentenza n. 47432 del 25/11/2009 Ud. - dep. 14/12/2009 - Rv. 246796 . Il difensore del ricorrente e il Procuratore Generale ritengono, poi, che questa Corte potrebbe giungere ad un annullamento senza rinvio perché dagli atti processuali emerge in modo evidente che il fatto non sussiste e, quindi, si deve applicare l'art. 129, comma 2, del cod. proc. penale. Le parti giungono a tale conclusione sulla base di quanto affermato da due sentenze di questa Corte nelle quali si afferma che non si configura, per difetto della condizione soggettiva di persona condannata per delitti determinati da motivi di lucro, il reato di possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli se l'autore ha come unico precedente una sentenza di patteggiamento per un tentativo di furto, in quanto la sentenza di patteggiamento non è una sentenza di condanna ma a questa è solamente equiparata quanto agli effetti, e tra gli effetti non rientra l'assunzione della condizione di persona già condannata Sez. 2, Sentenza n. 21423 del 05/05/2006 Ud. - dep. 20/06/2006 - Rv. 234342 Sez. 2, Sentenza n. 1365 del 24.11.2010, non massimata e secondo il ricorrente - anche se solo implicitamente - dalla Sez. 2, Sentenza n. 21544 del 06.05.2008 . Quanto richiesto dal difensore del ricorrente e dal P.G. non è, però, accoglibile, perché questo Collegio non condivide i motivi che giustificano le decisioni sopra citate. L'esame delle ragioni esposte nelle predette sentenze riguarderà, in effetti, solo quelle contenute nella sentenza del 2006 n. 21423. Infatti, nella sentenza n. 1365 del 2010 si ripete solo il principio di diritto fissato con la sentenza del 2006 in modo del tutto acritico e nella sentenza n. 21544 del 2008 - che secondo il difensore del ricorrente confermerebbe implicitamente il principio delle due predette sentenze - in relazione alla contestazione della mancanza di precedenti condanne per delitti determinati da motivi di lucro si afferma solo che dall'esame del certificato penale in atti, da cui risultano oltre alla sentenza di patteggiamento precedenti sentenze irrevocabili di condanna in relazione tra l'altro ai reati di detenzione e cessione illecite di sostanze stupefacenti donde la ricorrenza del presupposto del reato di cui all'art. 707 c.p., rappresentato dall'esistenza anche di una sola condanna per delitto determinato da motivi di lucro . Invero il tenore letterale della norma è di tale ampiezza da riferirsi non solo ai delitti contro il patrimonio, ma a tutti i delitti in cui il fine di lucro operi come uno dei motivi più o meno remoti del reato. È evidente che la frase oltre la sentenza di patteggiamento non viene specificato neppure per quale tipo di reato non esplicita se il Collegio abbia ritenuto tale sentenza rilevante o meno al fine della configurazione della contravvenzione di cui all'art. 707 del cod. penale e nel caso non ne avesse tenuto conto il perché ad esempio reato non determinato da motivi di lucro . Tanto premesso si deve osservare, preliminarmente, come risulti evidente che la sentenza n. 21423 del 2006 segua solo i principi di diritto fissati da questa Suprema Corte e dalla Corte Costituzionale prima delle varie modifiche apportate dal Legislatore all'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti c.d. patteggiamento è sufficiente, a tal proposito, constatare le date delle decisioni richiamate a pagina 2 della predetta sentenza. Si può, ora, entrare nell'esame specifico della sentenza n. 21423 del 2006. In essa si afferma che la condizione personale indicata nell'art. 707 del c.p. di essere stato condannato per delitti determinarti da motivi di lucro non può essere ravvisata per il soggetto che ha come precedente un'applicazione di pena su richiesta delle parti. Si individua, poi, la norma sulla quale si poggia la suddetta affermazione - art. 445, comma 1 bis, del cod. proc. pen. così come modificato dalla L. 134/2003 -, che dispone salve diverse disposizione di legge, la sentenza ex art. 444 del cod. proc. pen. nds. é equiparata a una pronuncia di condanna . Nella sentenza del 2006, di cui sopra, si evidenzia che su tale articolo si sono pronunciate recentemente le Sezioni Unite Sez. U, Sentenza n. 17781 del 29/11/2005 Cc. - dep. 23/05/2006 - Rv. 233518 e si sottolineano correttamente alcuni principi enunciati dalle medesime Sezioni Unite ad esempio l'ineludibile unitarietà dell'istituto regolato dall'art. 444 e ss. cod. proc. pen. che hanno affermato, infine, che la sentenza di patteggiamento, in ragione dell'equiparazione legislativa ad una sentenza di condanna in mancanza di un'espressa previsione di deroga, costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, comma primo, n. 1 cod. pen., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa. Con questo richiamo si conclude l'esame della motivazione delle Sezioni Unite effettuato nella sentenza di questa Corte n. 21423 del 2006 sentenza questa che ha, con evidenza, ritenuto che i principi fissati dalle Sezioni Unite confermassero quelli della consolidata giurisprudenza di questa Corte -formatasi prima delle varie modifiche dell'istituto del patteggiamento - citati a pagina 2 e di cui si è già detto in premessa. Infatti, nella motivazione - a pagina 2, appunto - subito dopo l'enunciazione del principio delle Sezioni Unite relativo alla sospensione condizionale, di cui sopra, si afferma questa Corte rileva, poi, che la costante giurisprudenza di legittimità e si richiamano proprio quelle decisioni ad esempio Sez. U, Sentenza n. 11 del 08/05/1996 Cc. - dep. 04/06/1996 - Rv. 204826 imp. Da Leo Sez. U, Sentenza n. 3600 del 26/02/1997 Ud. - dep. 18/04/1997 - Rv. 207245 imp. Bahrouni Sez. U, Sentenza n. 31 del 22/11/2000 Ud. - dep. 03/05/2001 - Rv. 218526, imp. Sormani che sono state esaminate, criticate e superate dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 17781 del 29.11.2009. D'altronde un'ulteriore conferma di quello che si è sopra affermato si ricava dal fatto che nella sentenza n. 21423 del 2006 non si rinviene neppure un superficiale esame di cosa volessero dire le Sezioni Unite allorché hanno stabilito - ciò che, tra l'altro, viene riportato a pag. 2 della sentenza 21423/2006 - che il regime di equiparazione, ora codificato alla stregua della normativa complementare più volte menzionata, non consente di rifuggire dall'applicazione di tutte le conseguenze penali della sentenza di condanna che non siano categoricamente escluse né si affronta la questione del perché la sentenza di patteggiamento costituisca titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, comma primo, n. 1 cod. pen., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa e non possa costituire, invece, valido presupposto per ritenere sussistente la contravvenzione di cui all'art. 707 del cod. penale. L'esame della sentenza di questa Corte n. 21423 del 2006 si conclude, quindi, con l'affermazione del principio di diritto di cui alla massima sopra evidenziata. Orbene, gli argomenti posti a sostegno della decisione di questa Corte n. 21423 del 2006 non giustificano, certo, la rivisitazione del principio di diritto posto dalle Sezioni Unite principio confermato, tra l'altro, in modo costante dalla successiva giurisprudenza di questa Corte di Cassazione. Invero, come si è già accennato, nella decisione di cui sopra non si critica nessuno degli argomenti sostenuti dalle Sezioni Unite ed anzi si ritiene, erroneamente, che le stesse Sezioni Unite, con la sentenza n. 17781 del 29.11.2009, abbiano confermato l'indirizzo giurisprudenziale precedente. Questo Collegio, invece, condivide pienamente il lungo iter argomentativo della sentenza delle Sezioni Unite che esaminano criticamente le motivazioni delle 3 precedenti decisioni delle stesse S.U. proprio quelle citate a conforto della decisione sull'art. 707 oggetto dell'odierno esame critico alla luce anche delle varie e rilevanti novelle all'istituto del patteggiamento a partire da quelle del 1999 per finire a quella della L. n. 134 del 2003. È proprio in base a ciò che, poi, affermano che la sentenza emessa all'esito della procedura di cui agli artt. 444 cod. proc. pen. e segg. poiché è, ai sensi dell'art. 445, comma 1 bis, equiparata, salvo diverse disposizioni di legge che non vi sono per la revoca della sospensione condizionale, così come non vi sono per escludere che la condanna di patteggiamento costituisca il presupposto per la sussistenza del reato di cui all'art. 707 del c.p. , ad una pronuncia di condanna costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168 c.p., comma 1, n. 1, della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa si vedano Sez. U, Sentenza n. 17781 del 29/11/2005 Cc. - dep. 23/05/2006 - Rv. 233518, Conf. a S.U., 29 novembre 2005, n. 17782/06, Duduman, non massimata si vedano Sez. 4, Sentenza n. 2987 del 22/11/2007 Ud. - dep. 21/01/2008 - Rv. 238667 Sez. 1, Sentenza n. 43158 del 23/10/2008 Cc. -dep. 19/11/2008 - Rv. 242415 Sez. 6, Sentenza n. 10094 del 25/02/2011 Ud. - dep. 11/03/2011 - Rv. 249642 . In particolare le Sezioni Unite sono giunte a questa conclusione all'esito di una diffusa analisi delle mutazioni subite dall'istituto del patteggiamento, quali ad esempio la novella che ha attinto l'art. 653 cod. proc. pen. in forza della L. n. 97 del 2001, attribuendo alla sentenza di patteggiamento l'efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare si veda, in proposito, anche la sentenza della Corte costituzionale n. 394 del 2002 le novelle normative introdotte con la L. n. 134 del 2003 sul c.d. patteggiamento allargato, che ha rimodulato il rito alternativo con le previsioni dell'applicabilità della misura della confisca c.d. facoltativa e della possibilità di revisione per ogni sentenza di patteggiamento. Non si deve, poi, dimenticare che varie decisioni di questa Corte riconoscevano - già prima delle riforme dell'istituto del patteggiamento - che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti è equiparata ad una pronuncia di condanna, e tale equiparazione rende possibili gli effetti concernenti la contestazione della recidiva e la valutazione della sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. ai fini dell'ammissione alla sostituzione della pena detentiva, secondo quanto disposto dall'art. 59 della legge 24 novembre 1981 n. 689 Sez. 3, Sentenza n. 7939 del 04/06/1998 Ud. - dep. 07/07/1998 - Rv. 211684 Sez. 4, Sentenza n. 11225 del 15/06/1999 Ud. - dep. 29/09/1999 - Rv. 214770 . Proprio per quanto sopra evidenziato le Sezioni Unite concludono affermando la necessità di un ritorno al regime della equiparazione della sentenza di patteggiamento a quella di condanna in termini di assoluto rigore ermeneutico. Una tale conclusione, peraltro, non implica un processo di vera e propria identificazione tra i due tipi di pronuncia, ma sta univocamente a significare che il regime di equiparazione, ora codificato alla stregua della normativa complementare più volte menzionata, non consente di rifuggire dall'applicazione di tutte le conseguenze penali della sentenza di condanna che non siano categoricamente escluse. E sul punto la Corte Costituzionale - dopo aver evidenziato i condivisi motivi che hanno portato le Sezioni Unite ad affermare il principio di diritto di cui sopra Cass., Sez. un., 29 novembre 2005, n. 17781/06 - ha rilevato che spetta dunque al Legislatore, in questa prospettiva, prescegliere, nei confini che contraddistinguono il normale esercizio della discrezionalità legislativa, quali siano gli effetti che - in deroga al principio di sistema che parifica le due sentenze - diversificano, fra loro, la sentenza di condanna pronunciata all'esito del patteggiamento rispetto alla condanna pronunciata all'esito del giudizio ordinario. Una logica, dunque, del tutto antitetica rispetto a quella presupposta dal Collegio rimettente che sembra essere anche quella seguita nella sentenza di questa Corte n. 21423 del 2006, oggetto di critica nds , il quale, invece, muove dalla erronea tesi di ritenere che gli effetti del patteggiamento debbano ontologicamente differenziarsi da quelli della sentenza ordinaria, salvo le deroghe -espressamente previste - che assimilino le conseguenze derivanti dai due tipi di pronunce Sentenza della Corte Cost. n. 336 del 14 dicembre 2009 con tale sentenza la Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 445, comma 1-bis, e 653, comma 1-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, secondo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo comma . Si deve, infine, ricordare che nella stessa sentenza della Corte Costituzionale n. 336 del 2009 si afferma che la scelta del patteggiamento rappresenta un diritto per l'imputato - espressivo, esso stesso del più generale diritto di difesa si veda, al riguardo, l'excursus contenuto nella ordinanza della stessa Corte Cost. n. 309 del 2005 -, al quale si accompagna la naturale accettazione di tutti gli effetti -evidentemente, sia favorevoli che sfavorevoli - che il legislatore ha tassativamente tracciato come elementi coessenziali all'accordo intervenuto tra l'imputato ed il pubblico ministero ed assentito dalla positiva valutazione del giudice. Da tutto quanto sopra esposto appare, quindi, evidente che la domanda - sul significato e la valenza di quanto affermato dalle Sezioni Unite - che non si è posta la sentenza di questa Corte n. 21423 del 2006 trova una risposta chiara nella stessa decisione delle Sezioni Unite n. 17781/06. In particolare che la sentenza di patteggiamento, in ragione dell'equiparazione legislativa ad una sentenza di condanna, in mancanza di un'espressa previsione di deroga, costituisce titolo idoneo per la revoca, a norma dell'art. 168, comma primo, n. 1 cod. pen., della sospensione condizionale della pena precedentemente concessa. Quindi se non vi è un'espressa deroga, fissata esclusivamente per legge, gli effetti della sentenza di condanna pronunciata all'esito del patteggiamento sono eguali a quelli della sentenza di condanna pronunciata all'esito del giudizio ordinario. Non è un caso che la Corte Costituzionale, nella sentenza n. 336 del 2009, citata, parli di principio di sistema che parifica le due sentenze , che può essere derogato solo da una legge che di volta in volta individui gli effetti che non possono discendere dalla sentenza di condanna pronunciata all'esito del patteggiamento. Da ciò discende, con evidenza, che poiché nessuna norma prevede che la sentenza di condanna pronunciata all'esito del patteggiamento non debba essere considerata il presupposto precedente condanna per delitto motivato da lucro della contravvenzione di cui all'art. 707 del cod. pen., è chiaro che, nel caso di specie, tale reato sussiste in forza del seguente principio di diritto la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti c.d. patteggiamento costituisce - come una sentenza di condanna pronunciata all'esito del giudizio ordinario - il presupposto dell'essere stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio previsto dall'art. 707 cod. penale. Pertanto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Ancona per un nuovo giudizio. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Ancona per un nuovo giudizio.