Foto compromettenti in cambio di denaro: è estorsione

La richiesta di intervento alla Polizia Giudiziaria non esclude lo stato di costrizione cui la vittima di estorsione è sottoposta. L’estorsione è da considerarsi consumata, non solo tentata.

Il caso. Insieme ad alcuni complici otteneva la consegna di una somma di denaro da parte delle vittime che erano ritratte in fotografie rappresentanti incontri intimi con l’imputata. Il Giudice per le indagini preliminari di Torino, ritenendo configurata la costrizione all’autolesione del proprio patrimonio, dietro minaccia di rendere pubbliche dette fotografie, condannava l’imputata per estorsione consumata, con l’aggravante di aver commesso il fatto con più persone riunite. Nessun tentativo, il reato è consumato. La Corte investita del ricorso giudica inammissibile la difesa con cui si sosteneva che il reato era solo nella forma tentata – con conseguente riduzione della pena – perché vi era stato un pronto intervento della Polizia Giudiziaria che aveva arrestato l’imputata e i suoi complici, così privandoli immediatamente della somma di denaro appena estorta alle vittime. Il reato di estorsione si consuma quando la cosa è materialmente consegnata dal soggetto passivo a quello attivo che, così, ne acquista il possesso in questo senso, già Cass. Pen. 27601/2009 . Il tempo breve o trascurabile – prima dell’intervento dell’autorità e della riconsegna del maltolto – non è rilevante. Il reato nella forma tentata si verifica invece quando vi è solo la mera offerta della possibilità di acquistare foto compromettenti così, Cass. Pen. 43317/2011 , ma prima che vi sia un passaggio di denaro. Lesione del bene giuridico. La norma incriminatrice protegge il bene patrimoniale ma anche la capacità di autodeterminazione della vittima che ricopre un ruolo fondamentale nella dinamica delittuosa l’estorsione appartiene a quel gruppo di reati c.d. di cooperazione artificiosa con la vittima vedi anche circonvenzione di incapace, truffa che è indotta o costretta a depauperare il proprio patrimonio. Basta lo stato di costrizione. L’attacco al bene tutelato si materializza già con la coazione esercitata sulla vittima a tenere una condotta positiva o negativa in ambito patrimoniale. Irrilevanti per accertare l’evento sono invece i motivi che portano la vittima a cedere, nei confronti dell’agente, nel fare o omettere qualche cosa.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 30 novembre – 20 dicembre 2012, n. 49380 Presidente Casucci – Relatore Di Marzio Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe la Corte di Appello di Torino ha parzialmente confermato la sentenza pronunciata dal Gup del medesimo Tribunale in data 11.4.2011, di condanna di M.C. per il delitto di estorsione aggravata, avendo la stessa con l'ausilio di complici estorto a due vittime denaro dietro la minaccia di rendere altrimenti pubbliche fotografie relative a incontri intimi di quelle con l'imputata. 2. Propone personalmente ricorso per cassazione l'imputata, presentando due motivi. Nel primo, pur dichiarandosi a conoscenza del contrario indirizzo di legittimità applicato dal tribunale al caso di specie, lamenta come erronea la qualificazione del fatto da parte della Corte territoriale. Ciò per essere stato ritenuto sussistere la penale responsabilità per il delitto consumato, e non semplicemente tentato, pur essendo stati arrestati l'imputata e un complice in flagranza di reato dai carabinieri precedentemente avvertiti dalla parte offesa e dunque pur avendo essi acquisito il possesso del denaro richiesto alla vittima sia precariamente che per un tempo del tutto trascurabile. Nel secondo motivo si contesta la ricorrenza dell'aggravante di aver commesso il fatto in più persone riunite, aggravante riconosciuta dai giudici di merito pur non avendo mai la donna rivolto minacce alle vittime, invece a tal fine contattate dai complici della stessa. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato. Nella sentenza impugnata è chiaramente richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui si ha consumazione, e non mero tentativo del delitto di estorsione, allorché - come è accaduto nel caso in esame - la cosa venga materialmente consegnata dal soggetto passivo all'estorsore, il quale ne acquisisce così il possesso, e ciò anche nelle ipotesi in cui sia stato predisposto l'intervento della polizia giudiziaria che, agendo immediatamente dopo l'avvenuta consegna provveda all'arresto del reo ed alla restituzione del bene all'avente diritto. Così, da ultima, Cass. sez. II 6.7.2009 n. 27601, che ha richiamato la precedente decisione secondo cui in tale figura delittuosa la modalità di lesione si incentra sulla coazione esercitata dall'agente sulla vittima perché tenga una condotta positiva o negativa in ambito patrimoniale, il cui esito è il profitto che il reo intende procurarsi, che non può essere integrato da altre note, quali la disponibilità autonoma della cosa, senza violare la tassatività della fattispecie Cass. SS.UU. n. 19 del 27/10/1999 . Come precisato dalla richiamata decisione del 6.7.2009, n. 27601, i motivi della scelta di aderire alla pretesa espressa dal soggetto agente attengono al foro interno della persona lesa e non rilevano ai fini del verificarsi dell'evento. Il fatto che la vittima dell'estorsione si adoperi affinché la polizia giudiziaria possa pervenire all'arresto dell'autore della condotta illecita non elimina lo stato di costrizione, ma è una delle molteplici modalità di reazione soggettiva della persona offesa allo stato di costrizione in cui essa versa. Il legislatore, con la formula adottata costringendo taluno a fare od omettere qualche cosa prende in considerazione lo stato oggettivo di costrizione e non distingue le ragioni che possono indurre la persona offesa ad aderire alla pretesa estorsiva in precedenza, v. Cass. Sez. 2A, Sentenza n. 44319 del 18/11/2005 Ud. dep. 05/12/2005 Rv. 232506 . Invece, integra il delitto di tentata estorsione la mera condotta di offerta alla vittima della possibilità di acquistare le foto compromettenti Cass. sez. II 20.10.2011 n. 43317 . Circa la ricorrenza della contestata aggravate, deve rilevarsi che la relativa contestazione non ha costituito motivo di appello cosicché del tutto legittimamente la Corte territoriale non ha svolto apposita motivazione sul punto. Infatti, secondo l'orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, l'obbligo di motivazione da parte del Giudice di appello sussiste - a meno che si tratti di questione rilevabile di ufficio - soltanto in relazione a quanto dedotto con l'atto di impugnazione”. Cass. Sez. 5A sent. 1099 del 26.11.1997 dep. 27.01.1998 rv 209683 . Nel caso di specie la questione di diritto non era rilevabile di ufficio inoltre, l'esame della stessa comporterebbe un previo accertamento di fatto, inammissibile in sede di legittimità ai sensi dell'art. 606, comma 3, c.p.p. 2. Ne consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.