Donna ceduta in cambio di denaro. Condannati i responsabili. Ma bisogna comunque rispettare il divieto di reformatio in peius

Il divieto di reformatio in peius vale anche nel giudizio di rinvio. La portata di tale divieto riguarda non solo l’entità complessiva della pena, ma anche tutti gli elementi che concorrono a determinarla.

Con la sentenza n. 49357/12, depositata il 19 dicembre, la Corte si è occupata di una caso di induzione alla prostituzione, chiarendo in particolare la questione processuale della reformatio in peius . Un lungo iter processuale. La sentenza in esame è l’anello finale di un lunghissimo e travagliato iter processuale a seguito di condanna in primo grado, era poi stata emessa sentenza parzialmente confermativa in appello, poi annullata con rinvio dalla Cassazione a seguito del rinvio stesso si è pronunciato un altro giudice di appello con una pronuncia che e’ stata nuovamente impugnata con ricorso per cassazione. Una sequela di reati. I protagonisti sono quattro cittadini stranieri, dei quali due imputati dei delitti di cui agli artt. 81 cpv. – 110 – 605 sequestro di persona e 609 bis c.p. violenza sessuale nonché all’art. 3 n. 5 L. 20/2/58 n. 75 induzione alla prostituzione , e due imputati dei delitti ex artt. 110 c.p. – 3 n. 4 e 4 n. 1 stessa legge reclutamento ai fini della prostituzione con aggravante dell’inganno . Le intercettazioni non dovevano essere utilizzate. La Corte di Cassazione, pronunciatasi la prima volta, aveva dichiarato l’annullamento con rinvio dell’impugnata sentenza, dal momento che censurava l’utilizzo - da parte dei giudicanti di merito – delle conversazioni telefoniche intercettate, in quanto disposte in altro procedimento ed acquisite agli atti del giudizio che ci occupa in assenza di una contestazione che consentisse l’arresto obbligatorio in flagranza di reato art. 270, comma 1, c.p.p. . La Corte, quindi, demandava al giudice di rinvio un nuovo esame del compendio probatorio già acquisito affinché ne vagliasse la consistenza, alla luce dell’inutilizzabilità delle intercettazioni stesse. La Corte di Appello – in sede di rinvio – in parziale riforma della sentenza del Tribunale, effettuava una riqualificazione dei fatti, condannando i prevenuti per i soli reati di cui alla Legge n. 75 del 1958, nella forma del delitto tentato, ritenendo sufficienti per la prova della penale responsabilità le dichiarazioni della persona offesa, quelle di alcuni testimoni e, addirittura, quelle promananti dagli imputati medesimi. Da dove risulta la responsabilità penale? Nuovamente ricorrono per Cassazione tre dei condannati, contestando la loro ritenuta responsabilità, la mancata concessione delle attenuanti generiche e la violazione del divieto di reformatio in peius in ipotesi di mancata impugnazione da parte del PM. Gli Ermellini, con un’articolata e puntuale argomentazione, osservano come il giudice di rinvio, uniformandosi alla decisione della Suprema Corte remittente, abbia proceduto ad un completo riesame dell’intera vicenda – anche alla luce delle censure mosse nei motivi di appello - e sia, quindi, approdata alla convinzione della piena prova della penale responsabilità degli imputati. Correttamente, infatti, la Corte ha rilevato come la versione della persona offesa relativamente alle violenze subite ed alle circostanze spazio – temporali delle stesse articolata nell’atto di querela, negli esami resi in sede di incidente probatorio ed in dibattimento fosse lineare, coerente e credibile il tutto malgrado qualche lieve discrasia, comunque relativa a aspetti marginali della vicenda e dovute alla prostrazione psico-fisica in cui la donna versava, dopo tutte le afflizioni subite. Inoltre, hanno completato il quadro probatorio diverse testimonianze rese in dibattimento, congruenti tra loro e aventi riscontri fattuali con i racconti della persona offesa, nonché le dichiarazioni rese dagli stessi imputati, rilevanti in termini accusatori sia per le evidenti contraddizioni, sia per l’esplicita ammissione di aver ceduto la donna, in cambio di denaro, ad alcuni uomini. E le attenuanti generiche? Quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, la Suprema Corte mette in evidenza come la sentenza impugnata coerentemente e logicamente abbia argomentato circa le ragioni del diniego oltre all’assenza di positivi elementi atti a giustificarne la concessione, erano inoltre presenti elementi che addirittura la precludevano gravità e reiterazione dei fatti, modalità esecutive, disprezzo nei confronti della vittima . Violato il divieto di reformatio in peius. Quanto alla censura secondo cui sarebbe stato violato il divieto di reformatio in peius , invece, la Corte accoglie le rimostranze difensive, dal momento che il giudice del rinvio aveva modificato in modo peggiorativo la pena complessiva originariamente comminata a due dei coimputati. La Corte specifica infatti che il principio del divieto di reformatio in peius ha portata generale e, quindi, va applicato anche al giudizio di rinvio, con la conseguenza che non è consentito che, all’esito di tale giudizio, si producano degli effetti più gravosi per l’imputato, sia in relazione alla pronuncia di primo grado, sia in relazione a quella annullata la portata di tale divieto riguarda non solo l’entità complessiva della pena, ma anche tutti gli elementi che concorrono a determinarla . Di conseguenza, la sentenza impugnata viene annullata limitatamente al regime sanzionatorio, differenziando però le posizioni dei due soggetti in un caso viene disposto l’annullamento con rinvio, affinché il giudice di merito ridetermini l’entità della pena, trattandosi di una valutazione di merito, in quanto la Corte d’appello del rinvio non aveva quantificato separatamente la quantità di aumento nell’altro è disposto solamente l’annullamento, potendo il giudice di legittimità procedere direttamente a rettificare la pena, limitandosi a elidere lo specifico aumento operato per l’aggravante di cui all’art. 4 n. 1 l. 75/1958.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 20 novembre – 19 dicembre 2012, numero 49357 Presidente Sirena – Relatore Foti Ritenuto in fatto -1 Con sentenza del 19 marzo 2007, il Tribunale di Bolzano ha ritenuto H.K. , M.M. , L.S. e R.N. colpevoli, i primi due, dei delitti di cui agli artt. 81 cpv, 110, 605 e 609 bis del codice penale, nonché del delitto di cui all'art. 3 numero 5 della legge 20.2.1958 numero 75 induzione alla prostituzione , in tali termini modificata l'originaria imputazione, i secondi due, del delitto di cui agli artt. 110 cod. penumero , 3 numero 4 e 4 numero 1 della medesima legge reclutamento al fine della prostituzione, aggravato dall'inganno , cosi modificata l'originaria imputazione, e, ritenuta la continuazione tra i reati, con la recidiva contestata al M. ed al L. , li ha condannati alle pene di dieci anni di reclusione M.M. , sette anni di reclusione H.K. , anni sei di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa L.S. , cinque anni e sei mesi di reclusione e 3.000,00 Euro di multa R.N. . Li ha condannati, altresì, al risarcimento del danno non patrimoniale patito dalla parte civile B.M. , equitativamente liquidato, con decisione dichiarata provvisoriamente esecutiva, in Euro 50.000,00. -2 Su appello proposto dagli imputati, la Corte d'Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, con sentenza del 23 ottobre 2008, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarata la parziale nullità della sentenza impugnata nei confronti degli imputati L. e R. in relazione all'aggravante di cui all'art. 4 della legge numero 75/58, ritenuta non contestata, ha ridotto le pene inflitte dal primo giudice ad anni sette e mesi otto di reclusione quanto al M. , ad anni sei e mesi quattro di reclusione quanto ad H. , ad anni quattro, mesi dieci di reclusione e 2.800,00 Euro di multa ciascuno quanto al L. ed al R. . -3 Proposto ricorso per cassazione da M. , H. e L. , la terza sezione di questa Corte, con sentenza del 6 maggio 2010, ha annullato con rinvio la sentenza impugnata. Il giudice di legittimità ha censurato l'utilizzazione, da parte dei giudici del merito, delle conversazioni telefoniche intercettate, avendo ritenuto violato il disposto dell'art. 270 del codice di procedura penale, in quanto disposte in altro procedimento penale ed acquisite agli atti del presente giudizio in assenza di una contestazione che consentisse l'arresto obbligatorio in flagranza. Atteso il rilievo che a tali conversazioni era stato attribuito dai giudici del merito, venuta meno la coerenza dell'intero impianto motivazionale, lo stesso giudice di legittimità ha demandato al giudice del rinvio un nuovo esame del compendio probatorio acquisito, al fine di verificarne la consistenza, in particolare relativamente ai passaggi motivazionali elaborati, nella sentenza annullata, esclusivamente alla luce delle intercettazioni telefoniche affette da inutilizzabilità. -4 Con sentenza del 29 giugno 2011, la Corte d'Appello di Trento, in sede di rinvio, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Bolzano, ravvisata, nei confronti di L.S. , il reato di cui agli artt. 110, 56 cod. penumero , 3 numero 4 e 4 numero 1 della legge numero 75/1958, nonché, nei confronti di H.K. e M.M. , il reato di cui agli artt. 110, 56 cod. penumero , 3 numero 5 della citata legge, in termini di tentativo modificata, dunque, la qualificazione giuridica dei fatti concernenti la violazione della legge numero 77/1958, li ha condannati, esclusa la recidiva contestata al M. ed al L. , H. e M. , alla pena di anni sette e mesi sei di reclusione ciascuno, il L. , alla pena di tre anni di reclusione e 2.000,00 Euro di multa, con esclusione delle pene accessorie allo stesso applicate. Con conferma, nel resto, della sentenza di primo grado. La corte territoriale premesso che, alla luce della sentenza di annullamento, occorreva esaminare la decisione di primo grado con riferimento agli appelli proposti dagli imputati al fine di verificare se, espunte le intercettazioni dichiarate inutilizzabili, i restanti elementi probatori acquisiti fossero o meno sufficienti per affermarne la responsabilità in esito all'analisi del compendio probatorio in atti, emendato dalle risultanze delle intercettazioni, ha concluso nel senso della sussistenza di precisi elementi probatori convergenti verso l'affermazione della responsabilità degli imputati, sia pure diversamente qualificando i fatti con riferimento alle contestate violazioni della legge numero 75/1958. Tali elementi sono stati individuati, anzitutto, nelle dichiarazioni della persona offesa, del cui rilievo probatorio la stessa corte ha dato atto, ed inoltre in quelle rese da alcuni testi e dagli stessi imputati. È stata ribadita, quindi, la responsabilità del M. e dell'H. circa i delitti di violenza sessuale e sequestro di persona, nonché di induzione alla prostituzione, sia pure quest'ultimo solo nella forma del tentativo, sulla base di quanto rivelato dai due imputati alla persona offesa circa la vendita di cui la giovane era stata oggetto ed alla necessità che la stessa si prostituisse per ripagarli del prezzo versato. Anche nei confronti del L. è stata confermata la responsabilità per il delitto di cui all'art. 3 numero 5 della legge numero 75/58, reclutamento a fine di prostituzione, sia pure ancora nella forma del tentativo, con riconoscimento dell'aggravante ex art. 4 numero 1 della stessa legge. -5 Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione, per il tramite dei rispettivi difensori, M.M. , H.K. e L.S. . 5.1 M.M. deduce a Violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, per non avere la corte territoriale adempiuto all'obbligo motivazionale enucleato dal giudice di legittimità, e violazione dell'art. 627 cod. proc. penumero , per non essersi la medesima corte uniformata ai principi di diritto affermati dallo stesso giudice nella sentenza di annullamento. Sostiene il ricorrente che il giudice del rinvio si sarebbe limitato ad enucleare e rivalutare le dichiarazioni dibattimentali rese dalla persona offesa, dimenticando le ulteriori indicazioni contenute nella sentenza di annullamento, secondo le quali la valutazione del giudice di merito avrebbe dovuto anche riguardare espunti i passaggi relativi alle conversazioni telefoniche il ruolo dei familiari della persona offesa, il comportamento della stessa nell'occasione in cui si era trovata, in compagnia dei due imputati, in un pubblico locale, i rapporti intercorrenti tra i cittadini italiani e quelli albanesi. La corte del rinvio avrebbe attribuito valenza probatoria alle dichiarazioni della persona offesa, senza individuare quegli elementi, anche di natura intrinseca, che avessero fornito, in aggiunta a quanto già valutato nei precedenti giudizi, quel quid pluris idoneo a dar forza all'impianto accusatorio. Il dictum del giudice di legittimità sarebbe stato pretermesso, laddove la corte del rinvio non avrebbe preso in considerazione l'assunto secondo cui l'unico elemento di riscontro della tesi d'accusa era rappresentato dalle intercettazioni telefoniche, laddove nella sentenza impugnata sarebbero stati riproposti argomenti e valutazioni già rappresentati dal primo giudice b Omessa motivazione in relazione alle deduzioni svolte dall'imputato nelle note di udienza, del tutto ignorate, benché in esse fossero stati indicati i punti specifici delle dichiarazioni alterate dai riferimenti alle conversazioni intercettate c Vizio di motivazione in punto di mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. 5.2 H.K. deduce a Violazione e falsa applicazione dell'art. 627 cod. proc. penumero . Sostiene il ricorrente che il giudice del rinvio avrebbe eseguito una mera parafrasi della sentenza di primo grado e non, come avrebbe dovuto, un nuovo giudizio sul compendio probatorio in atti b Violazione e falsa applicazione dell'art. 627 cod. proc. penumero Sostiene il ricorrente l'inutilizzabilità logica dell'impianto argomentativo della sentenza di primo grado, posto a base della decisione del giudice di rinvio alla stregua di quanto affermato dal giudice di legittimità circa l'individuazione delle conversazioni intercettate quale unico elemento di riscontro delle accuse della persona offesa, l'intero quadro probatorio avrebbe dovuto essere rivisto dalla corte territoriale, che invece si sarebbe appiattita sulla motivazione resa dal primo giudice c Vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere il giudice del rinvio eluso l'obbligo di motivare in ordine alle censure proposte nei motivi d'appello in ordine al possesso ed all'utilizzazione, da parte della persona offesa, del cellulare, in realtà mai sequestrato dagli imputati per il mancato esame del motivo d'appello concernente l'inattendibilità della stessa persona offesa, travisamento dell'incarto processuale sul punto circa la disponibilità, da parte dei familiari della donna, di somme di denaro e le ragioni della loro presenza in Italia in ordine all'accertata assenza, sul corpo della persona offesa, di riscontri clinici alle denunciate violenze circa la presenza della stessa persona offesa e dei presunti sequestratori e violentatori in un pubblico locale circa le presunte ammissioni degli imputati, sul punto avendo il giudice del merito travisato le risultanze processuali d Violazione di legge per il mancato assorbimento, per concorso apparente, dei delitti di cui agli artt. 605 e 609 bis cod. penumero in quello di cui agli artt. 3 e 4 della legge numero 75/1958. Si sostiene nel ricorso che l'imputato ed il correo erano convinti che la B. fosse una prostituta, i cui servizi essi avevano acquistato, essendo la stessa consenziente ciò farebbe venir meno il delitto di violenza sessuale e tuttavia, anche nel caso in cui essi avessero voluto obbligare la giovane a diventare, contro la sua volontà, una prostituta, essi dovrebbero rispondere del reato di induzione alla prostituzione aggravata dalla minaccia e dalla violenza, essendo stata la violenza sessuale finalizzata a far cessare le resistenze di ordine morale della B. tanto da indurla a prostituirsi e Violazione e falsa applicazione dell'art. 597 cod. proc. penumero in considerazione della reformatio in peius della sentenza annullata, non impugnata dal PM, che aveva ridotto a sei anni e quattro mesi la pena inflitta dal primo giudice, senza specificare le modalità del calcolo della pena della reformatio in peius della sentenza di primo grado, non impugnata dal PM, circa l'aumento di pena a titolo di continuazione, determinato dal primo giudice in un anno di reclusione pena base sei anni + un anno ex art. 81 cod. penumero e dal giudice del rinvio in un anno e sei mesi pena base sei anni + un anno e sei mesi ex art. 81 cod. penumero della mancata riduzione della pena per effetto della riqualificazione giuridica del delitto di cui all'art. 3 della legge numero 75/1958 da consumato a tentato. 5.3 L.S. deduce a Erronea applicazione dell'aggravante di cui all'art. 4 numero 1 della legge numero 75/1958 e violazione dell'art. 604 cod. proc. penumero . Detta aggravante, si sostiene nel ricorso, sarebbe stata riconosciuta benché non prevista nel capo d'imputazione b Errato riconoscimento della predetta aggravante, esclusa dalla corte territoriale con la sentenza annullata, con decisione sulla quale, non essendo stata impugnata dal PG, si sarebbe formato il giudicato interno c Vizio di motivazione, laddove il giudice del rinvio ha sostenuto che la tesi difensiva dell'imputato era stata smentita dai coimputati M. e H. , laddove tali dichiarazioni sono state ritenute illogiche e contraddittorie quando si è trattato di screditare la tesi difensiva di costoro, e sono poi divenute credibili per sostenere la pronuncia di condanna del L. d Violazione di legge in punto di determinazione della pena, anche per il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Considerato in diritto Infondato il ricorso proposto da M.M. , quelli di L.S. e di H.K. sono fondati, nei termini di seguito specificati. -1 Il motivo di ricorso concernente l'affermazione di responsabilità, comune ai tre ricorrenti, in particolare al M. e all'H. , coinvolge essenzialmente il tema della attendibilità della denunciarne e persona offesa, B.M. , che rappresenta l'elemento d'accusa di essenziale rilievo una volta espunte dal contesto probatorio le conversazioni intercettate, dichiarate inutilizzabili. In proposito occorre, anzitutto rilevare l'infondatezza delle censure con le quali si segnala la violazione dell'art. 627 cod. proc. penumero . In realtà, come già segnalato, la sentenza di annullamento ha censurato l'utilizzazione, da parte dei giudici territoriali, delle conversazioni intercettate e le ha dichiarate inutilizzabili, ai sensi dell'art. 270 del codice di rito, demandando al giudice del rinvio un nuovo esame dei restanti elementi probatori in atti, al fine di verificarne l'eventuale consistenza in termini d'accusa. Il giudice di legittimità non ha, ovviamente indicato al giudice del rinvio, né avrebbe potuto farlo, il procedimento motivazionale attraverso il quale tale nuovo esame avrebbe dovuto esser eseguito, di guisa che chiaramente infondate devono ritenersi le censure con le quali sostanzialmente i ricorrenti contestano il metodo argomentativo ed espositivo che caratterizza la motivazione della sentenza impugnata. Invero, la corte territoriale, nel procedere al riesame dell'intera vicenda, non aveva certo vincoli di metodo, nel senso che nulla imponeva loro di partire, come si sostiene da taluno dei ricorrenti, dall'elaborato motivazionale della sentenza annullata, di eliminarvi le parti riguardanti i contenuti delle conversazioni non utilizzabili e di verificare, infine, l'eventuale emergere, dalle residuali valutazioni, di elementi di responsabilità a carico degli imputati. Nulla, cioè, imponeva al giudice del rinvio di effettuare una sorta di sottrazione probatoria in base alla quale egli si sarebbe dovuto limitare ad espungere dalla motivazione della sentenza annullata le parti relative alle intercettazioni telefoniche ed a verificare se il resto fosse tale da ritenere sussistente la prova della responsabilità. Un simile approccio metodologico, non solo non è stato indicato né avrebbe potuto esserlo dal giudice di legittimità, ma si sarebbe presentato palesemente errato ed inaccettabile, sia perché avrebbe comportato il rischio di trascurare ulteriori elementi probatori, pur acquisiti in atti e ignorati ovvero sottovalutati nei precedenti giudizi, sia perché si sarebbe sostanziato in una indebita apposizione di limiti alla libera valutazione della prova da parte del giudice del merito. Né può condividersi la tesi, sostanzialmente addotta da taluno dei ricorrenti, secondo cui, avendo il giudice di legittimità affermato che gli unici elementi di riscontro alle dichiarazioni della vittima erano costituite dalle conversazioni intercettate, la conclusione altra non avrebbe potuto essere che l'assoluzione degli imputati. In realtà, a prescindere dalla considerazione secondo cui, come correttamente ha sostenuto il giudice del rinvio, ove anche non riscontrate, quelle dichiarazioni potrebbero ben assumere rilievo assoluto in tesi d'accusa, pur se prive di riscontri esterni, il giudice di legittimità non ha per nulla escluso che, oltre alle predette conversazioni, vi fossero altri elementi di riscontro, tanto che ha invitato il giudice del rinvio, espunti i contenuti delle predette conversazioni, a riesaminare tutti gli elementi probatori in atti, al fine di verificare la fondatezza dell'accusa. Premesso, dunque, che del tutto corretto deve ritenersi l'approccio del giudice del rinvio alle tematiche oggetto d'esame, osserva la Corte che lo stesso giudice, compiutamente uniformatosi alla decisione del giudice di legittimità, ha proceduto al completo riesame della vicenda, anche alla luce delle censure mosse dagli imputati nei motivi d'appello, ed ha offerto puntuali e coerenti risposte, in linea con le indicazioni fornite dallo stesso giudice di legittimità in esito al giudizio rescindente. In tale contesto, l'attenzione dei giudici del rinvio si è, anzitutto, giustamente incentrata nell'esame delle dichiarazioni della persona offesa e nella valutazione della credibilità della stessa, non prima di avere correttamente segnalato la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui tali dichiarazioni possono essere prese a base del convincimento del giudice, sia pure dopo attento e rigoroso controllo delle stesse, anche se dovessero rappresentare l'unica prova del fatto da accertare e dovessero mancare i riscontri esterni, atteso che alle stesse non si applicano le regole di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 192 cod. proc. penumero . E dunque, dopo avere esaminato quelle dichiarazioni ed il restante compendio probatorio acquisito, il giudice del rinvio ha concluso il proprio esame motivatamente affermando la piena credibilità delle accuse, specifiche e reiterate, rivolte da B.M. agli imputati, peraltro ritenute confermate dalle deposizioni di alcuni testi e persino, per certi versi, dalle dichiarazioni degli stessi imputati. In particolare, detto giudice ha esaminato le censure svolte dagli imputati nei rispettivi atti d'appello -ove erano state segnalate varie e significative discrasie ed incoerenze nel racconto della giovane ed ha ritenuto, elaborando un percorso motivazionale del tutto coerente sotto il profilo logico, che il nucleo essenziale della narrazione della B. , articolatosi, oltre che nell'atto di querela, nel corso degli esami resi in sede di incidente probatorio e in dibattimento, concernente le violenze subite, le modalità delle stesse ed il luogo ove erano state perpetrate, dovesse ritenersi del tutto credibile. Ciò malgrado talune evidenti discrasie, tuttavia riferite, a giudizio della corte territoriale, a particolari marginali del racconto quali quelli riguardanti la successione degli episodi narrati, come riassunti nella querela, in relazione ai quali la stessa persona offesa aveva segnalato, nelle prime sommarie informazioni, che esse dovevano attribuirsi alla condizione di prostrazione in cui si trovava dopo la terribile esperienza vissuta. Non ha omesso, lo stesso giudice del rinvio, di esaminare gli argomenti segnalati dagli imputati in quanto significativi, a giudizio degli stessi, dell'inattendibilità della narrazione accusatoria. È stato, in proposito, anzitutto segnalato il libero uso del telefono cellulare da parte della B. , che l'aveva ampiamente utilizzato nel periodo del preteso sequestro, che attesterebbe l'inesistenza di quella denunciata condizione che, ove realmente esistente, sarebbe stata accompagnata dalla privazione del telefono, proprio per evitare qualsiasi contatto della giovane con l'esterno. Osservazione alla quale la corte territoriale ha tuttavia contrapposto la condizione di prostrazione psicofisica della giovane, trovatasi in luoghi sconosciuti, senza conoscere la lingua del posto, in compagnia di persone altrettanto sconosciute, dalle quali aveva subito violenza, che le avevano rivelato di essere stata venduta come prostituta e di doversi quindi prostituire per ripagare le spese di acquisto , che le avevano rivelato di avere legami con appartenenti alle forze dell'ordine da essi corrotti, di avere il telefono sotto controllo e di essere sorvegliata costantemente da un complice, che l'avevano quindi ammonita a non rivelare a nessuno quanto avveniva ed a non tentare la fuga, con l'avvertimento che, in caso di violazione di tali ordini, ella sarebbe stata venduta come prostituta in . Una condizione, quindi, ritenuta di estrema afflizione psico-fisica che, secondo il coerente argomentare della stessa corte, ben giustificava il comportamento della giovane, che solo dopo avere ripetutamente taciuto ai genitori, nel corso di diverse conversazioni telefoniche, la dolorosa disavventura della quale era rimasta vittima, solo nella mattinata del 23 maggio, aveva loro rivolto il disperato grido di aiuto. E proprio in vista di tale contesto di ripetute violenze e di minacciosi avvertimenti, è stato legittimamente ritenuto comprensibile dal giudice del rinvio il comportamento remissivo tenuto dalla giovane nell'appartamento di , ove i due uomini l'avevano condotta, e nell'unica circostanza in cui, accompagnata dai suoi aguzzini, è comparsa in pubblico. Evidente, d'altra parte, ha ancora ricordato il giudice del rinvio, tale condizione di prostrazione fisica e psicologica è apparsa al personale di polizia che la mattina del OMISSIS aveva fatto irruzione nell'appartamento in cui era tenuta segregata la giovane, presentatasi ai loro occhi impaurita, tremante e piangente e persino esitante nel riferire le violenze alle quali era stata sottoposta, nel dubbio che i poliziotti fossero intervenuti su richiesta dei suoi violentatori. A riscontro delle dichiarazioni della persona offesa, è stato poi ricordato nella sentenza impugnata che ad una giovane in stato di evidente prostrazione aveva fatto riferimento la teste Ma. , gestrice dell'osteria ove i due imputati avevano condotto la B. , delle cui condizioni la teste si era mostrata preoccupata, tanto da chiederne le ragioni, avendo tuttavia ricevuto rassicurazioni dai due uomini. Mentre la teste G. , vicina di casa dell'H. nell'abitazione di , aveva ricordato di avere udito provenire dall'appartamento di costui un diverbio ad alta voce tra una donna ed un uomo e di avere poi visto un ramo di albero gettato sul terrazzo sottostante avvenimenti dei quali ella aveva subito chiesto spiegazioni allo stesso H. che si era scusato con lei. Deposizione legittimamente ritenuta dalla corte territoriale significativa, poiché riscontrava pienamente le dichiarazioni della B. , laddove la stessa aveva riferito di essere stata messa, proprio in quell'occasione, al corrente della sua vendita quale prostituta, di essere stata ancora abusata dall'H. e di avere rifiutato un rapporto orale che avrebbe voluto imporle il M. che l'aveva, per tale rifiuto, schiaffeggiata, mentre H. , nel corso della lite, aveva gettato dalla finestra un ramo. Legittimamente, d'altra parte, il giudice del rinvio ha ritenuto che le stesse dichiarazioni degli imputati dovevano ritenersi rilevanti in termini d'accusa, non solo per le palesi contraddizioni che le caratterizzavano, per essersi posti i tre in disaccordo tra loro su punti essenziali della vicenda, specificamente indicate nella sentenza impugnata, ma anche per i precisi riscontri che esse fornivano alle accuse della persona offesa. Sotto tale ultimo aspetto, tali dichiarazioni sono state ritenute significative, non perché il M. e l'H. avessero ammesso che la B. non aveva acconsentito ai rapporti sessuali, ma perché i tre avevano sostanzialmente riconosciuto che la giovane era stata ceduta a due tedeschi dietro pagamento di una somma di denaro, pur variamente indicata dalle parti coinvolte nella vicenda. Nessuna illogicità, peraltro, può riscontrarsi come vorrebbe il L. nella sentenza impugnata, laddove il giudice del rinvio, nell'approfondire i contenuti delle dichiarazioni rese dal M. e dall'H. , ne ha legittimamente dedotto, motivando in termini di piena coerenza logica, per un verso, elementi di attendibilità e, per altro verso, elementi di non credibilità, laddove le stesse sono apparse non rispondenti al vero e palesemente dirette a negare le responsabilità dei dichiaranti. Non è vero, dunque, come si sostiene nei ricorsi, che gli unici elementi di riscontro delle accuse della B. emergerebbero dai contenuti delle conversazioni intercettate, ritenute inutilizzabili al contrario, ulteriori riscontri, alle pur precise e complessivamente attendibili dichiarazioni della persona offesa, sono state legittimamente rinvenute nelle dichiarazioni di alcuni testi ed in alcune parti delle prospettazioni difensive degli stessi imputati in precedenza forse non del tutto valorizzati, probabilmente in considerazione del forte rilievo probatorio attribuito alle intercettazioni. Né rilievo hanno le obiezioni dei ricorrenti relative alla mancanza, sul corpo della giovane, di disegni di violenza ed alla posizione dei genitori della stessa anche a tale riguardo, le osservazioni del giudice del rinvio si presentano del tutto coerenti e condivisibili. Così come condivisibili sono i riferimenti nella sentenza impugnata al ruolo svolto nella vicenda dai familiari della giovane. In conclusione, sotto il profilo della responsabilità, l'argomentare della corte del rinvio, che ha preso in esame le osservazioni proposte dai ricorrenti nei motivi d'appello e negli atti successivi, non presenta alcuno dei vizi dedotti, avendo la stessa, con coerenza logica e sulla base degli elementi probatori acquisiti, rilevato a che la complessiva linearità del racconto della B. , articolato e costantemente reiterato nelle sue linee essenziali, non presentava disarticolazioni di sorta, se non talune discrasie, peraltro riguardanti elementi secondari della narrazione, riconducibili alla condizione di estrema confusione nella quale la giovane si trovava a causa delle violenze, fisiche e morali, alle quali era stata sottoposta ed allo stato di grave prostrazione che ne era derivato b che quelle dichiarazioni hanno ricevuto importanti riscontri dalle citate testimonianze e perfino, per alcuni versi, dalle dichiarazioni rese dagli stessi imputati. -2 Infondati sono, altresì, i motivi di ricorso, comuni al M. ed al L. , concernenti il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto, la motivazione della sentenza impugnata si presenta del tutto congrua e coerente, laddove sono state indicate le ragioni del diniego, legittimamente rilevate, non solo nell'assenza di positivi elementi idonei a giustificarne la concessione tra l'altro, ai due ricorrenti è stata contestata la recidiva reiterata , ma anche nella presenza di elementi che conducevano nella direzione opposta. In particolare, sono state segnalate la gravità dei fatti e la reiterazione degli stessi, le modalità di esecuzione, giustamente ritenute indicative di indifferenza per le sofferenze fisiche e morali imposte alla giovane vittima e di disprezzo nei confronti della stessa. Considerazioni che ben legittimano il diniego di dette attenuanti ed il giudizio di complessiva congruità delle pene inflitte. -3 Infondato è, altresì, il ricorso di K H. , laddove lo stesso denuncia il vizio di violazione di legge in relazione al mancato assorbimento per concorso apparente di norme dei reati previsti dagli artt. 605 e 609 bis cod. penumero in quello di cui agli artt. 3 e 4 della legge numero 75/1958. Osserva, in proposito, la Corte, anzitutto, l’improponibilità, nella sede di legittimità, delle considerazioni ed argomentazioni dedotte dal ricorrente in ordine alle modalità ed ai termini con cui la vicenda si è, nel suo complesso, dipanata, trattandosi di questioni in fatto, in relazione alle quali il giudice del merito si è espresso in termini del tutto coerenti ed in piena sintonia con gli elementi probatori acquisiti. E dunque improponibili sono i temi, sottoposti all'esame di questa Corte, relativi alla verifica dei rapporti economici intercorsi tra lo stesso ricorrente ed il M. ed i coimputati L. e R. rapporti motivatamente ritenuti dal giudice del merito connessi all'intervenuta vendita della giovane vittima dietro compenso. Ed ancora, quelli relativi alle ragioni che avevano indotto la stessa ad accompagnarsi ai due uomini, presentati come facoltosi imprenditori, titolari di un ristorante, interessati alla assunzione di una cameriera ragioni legittimamente ritenuti riconducibili alla prospettata assunzione quale cameriera, non quale prostituta. Partendo da tali accertate premesse, i giudici del rinvio, sul tema del prospettato assorbimento , si sono correttamente espressi, laddove hanno evidenziato come i reati in questione costituiscano fattispecie del tutto diverse, sia per la diversa oggettività giuridica che li caratterizza, sia per la diversità degli elementi che li costituiscono, e come essi possano quindi certamente concorrere. Giudizio, peraltro, espresso anche attraverso il richiamo dei condivisi principi sul punto affermati da questa Corte. Lo stesso H. , poi, lamenta che la corte territoriale non abbia preso in esame l'eccezione, proposta in note di udienza, di inutilizzabilità anche delle parti delle dichiarazioni della persona offesa e degli stessi imputati, asseritamente rese a seguito di contestazioni di circostanze tratte dalle intercettazioni dichiarate inutilizzabili. Non considera, tuttavia, il ricorrente che il giudizio di inutilizzabilità, già espresso dal giudice di legittimità, ha riguardato le intercettazioni, non anche le dichiarazioni rese dai vari soggetti sottoposti ad esame, alle quali esso non può certamente estendersi. A tale chiara considerazione è certamente dovuto il mancato esame della censura da parte della corte territoriale, oltre che all'evidente genericità della stessa, essendo ignote le parti delle dichiarazioni alle quali l'imputato intende riferirsi ed oscuro il rilievo delle stesse ai fini della decisione. -4 Fondati sono, viceversa, i motivi di ricorso, proposti dall'H. e dal L. , riguardanti il regime sanzionatorio, in relazione all'eccepita reformatio in peius delle sentenze emesse nei precedenti giudizi di merito. In realtà, premesso che il principio del divieto di reformatio in peius , invocato dagli odierni ricorrenti, ha portata generale, per cui va certamente applicato anche al giudizio di rinvio, di guisa che non è consentito che, in esito a tale giudizio, si producano effetti più gravi per l'imputato rispetto sia alla sentenza di primo grado sia a quella annullata, e premesso, ancora, che la violazione di tale divieto può riguardare, non solo l'entità complessiva della pena inflitta, ma anche tutti gli elementi che concorrono a determinarla, deve ammettersi che, sotto taluni profili concernenti il trattamento sanzionatorio, la decisione impugnata presta il fianco alle dedotte censure. In particolare A Con riguardo alla posizione di K H. , deve segnalarsi che il giudice di primo grado, nel determinare la pena, partendo dalla pena base di sei anni per il reato più grave, ha previsto un aumento, a titolo di continuazione, di un ulteriore anno, ed ha quindi inflitto, complessivamente, la pena di sette anni di reclusione che la corte d'appello, con la sentenza annullata, ha ridotto la pena a sei anni e quattro mesi di reclusione, senza specificare quanta parte di detta pena debba intendersi riferita alla continuazione che la corte del rinvio, con la sentenza impugnata in questa sede, ritenuto il reato ex art. 3 numero 5 della legge numero 75/1958 contestato nelle forme del tentativo, partendo dalla pena base di sei anni di reclusione per il reato più grave, ha previsto un aumento, a titolo di continuazione, di un anno e sei mesi in tal guisa avendo modificato in peius la pena complessiva originariamente comminata, a causa dell'aumento di sei mesi della pena inflitta a titolo di continuazione, pur irrogata tenendo conto della diversa qualificazione giuridica attribuita al delitto di cui all'art. 5 sopra richiamato. L'aumento, proprio in ossequio al principio del divieto di reformatio in peius , non avrebbe dovuto esser disposto nei termini sopra indicati, di guisa che, sul punto, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Trento per la determinazione della pena, alla quale non può provvedere direttamente questa Corte implicando la decisione una valutazione di merito non consentita al giudice di legittimità B Con riguardo alla posizione di L.S. , deve segnalarsi che il giudice di primo grado, affermata la responsabilità dell'imputato in ordine al reato di cui all'art. 3 numero 4 della legge numero 75 del 1958, aggravata ex art, 4 numero 1 della stessa legge, nel determinare la pena da irrogare, partendo dalla pena base di quattro anni di reclusione e 1.500,00 Euro di multa, aumentata per la recidiva contestata di due anni di reclusione e 1.500,00 Euro di multa, è pervenuto alla pena complessiva di sei anni di reclusione e 3.000,00 Euro di multa che la corte d'appello, con la sentenza annullata, esclusa la contestata aggravante, ha ridotto la pena a complessivi quattro anni, dieci mesi di reclusione e 2.800,00 Euro di multa, senza ulteriori specificazioni che la corte del rinvio, con la sentenza oggi impugnata, ritenuto il reato contestato nelle forme del tentativo, ritenuta sussistente la predetta aggravante, esclusa la recidiva, partendo dalla pena base di un anno, sei mesi di reclusione e 1.000,00 Euro di multa, aumentata di un anno, sei mesi di reclusione e 1.000,00 Euro di multa per la ritenuta aggravante, ha inflitto la pena complessiva di tre anni di reclusione e 2.000,00 Euro di multa. Proprio tale ultimo aumento, determinato per effetto dell'aggravante di cui all'art. 4 numero 1 della legge 75/1958, in precedenza esclusa dalla sentenza poi annullata, deve ritenersi inflitto in violazione del divieto di reformatio in peius , dovendosi ritenere parte del giudicato interno l'esclusione della predetta aggravante, operata con la sentenza annullata, stante il mancato intervento impugnatorio della pubblica accusa. Anche su tale punto, la sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata, nel caso di specie senza rinvio, potendo questa Corte direttamente procedere alla rettifica della pena attraverso la semplice eliminazione della pena inflitta per l'aggravante, specificamente indicata dal giudice del rinvio in un anno, sei mesi di reclusione e 1000,00 Euro di multa. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di L.S. , limitatamente al trattamento sanzionatorio, che deve essere determinato in un anno, sei mesi di reclusione e 1.000,00 Euro di multa la medesima sentenza deve essere altresì annullata nei confronti di H.K. , limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Trento che provvederà alla determinazione della stessa. Per il resto, i ricorsi del L. e dell'H. devono essere rigettati, così come quello proposto da M.M. , che deve essere condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al trattamento sanzionatorio nei confronti di L.S. , e ridetermina la pena in un anno e sei mesi di reclusione ed Euro 1.000,00 di multa rigetta nel resto il ricorso del L. . Annulla la sentenza impugnata nei confronti di H.K. , limitatamente al trattamento sanzionatorio, con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Trento per la determinazione della pena rigetta nel resto il ricorso dell'H. . Rigetta il ricorso di M.M. , che condanna al pagamento delle spese processuali.