Chiarimenti tra partner, ma la donna è costretta a un rapporto sessuale: nessuna attenuante

Nel reato di violenza sessuale rileva l’offesa diretta e univoca alla libertà sessuale della vittima mentre non è decisivo lo scopo dell’agente o eventuali fini ulteriori.

Il caso. L’imputato aveva attirato l’ex partner con il pretesto di un chiarimento sui loro pregressi rapporti, ma aveva costretto con violenza e minaccia la donna a subire un rapporto sessuale, cagionandole altresì lesioni personali derivate dall’averla colpita con calci e pugni e stretto con forza al collo. Mancanza del consenso. La documentazione agli atti del giudizio abbreviato e il successivo giudizio d’appello avevano accertato la coscienza e volontà dell’imputato di invadere la libertà sessuale della persona offesa, così come l’indubbio dissenso al rapporto sessuale manifestato dalla vittima. La ricostruzione dei fatti era puntuale i Carabinieri giunti sul posto avevano trovano la donna in evidente stato di agitazione, con tracce ematiche sui vestiti e sul corpo, ecchimosi e tumefazioni. Tutto ciò trovava conferma pure nella documentazione fotografica e nei referti ospedalieri, nonché nelle dichiarazioni della persona offesa e della donna che l’aveva soccorsa. Plurimi dunque gli elementi su cui era fondato il giudizio di volontà contraria in particolare, dirimenti erano i segni della violenza inaudita, definita pestaggio , che aveva preceduto il rapporto sessuale così denunciandolo e connotandolo , oltre ogni dubbio, come certamente ed obiettivamente non consensuale . Minore gravità? La Suprema Corte giudica legittimo il diniego dell’attenuante della minore gravità di cui al co. 3 dell’art. 609 bis c.p., cioè la c.d. attenuante della minima compressione della libertà sessuale da accertarsi sulla base delle modalità esecutive e delle circostanze dell’azione, nonché del grado di coartazione esercitato e delle condizioni concrete della vittima condizioni fisiche e psichiche, caratteristiche psicologiche valutate anche in base all’età, l’entità della lesione, il danno arrecato . Il diniego trovava giustificazione proprio sulla base delle modalità dell’azione e delle conseguenze patite nel caso specifico, globalmente considerate. Risarcimento del danno inadeguato. Anche l’attenuante del risarcimento del danno veniva negata dal giudice di merito di fronte all’offerta – giudicata insufficiente – di euro 400 e malgrado la dichiarazione dell’interessata di esserne soddisfatta. La mera dichiarazione liberatoria non esclude infatti il dovere del giudice di merito di accertare l’integralità del risarcimento in relazione al reato contestato e secondo i giudici decidenti non può dirsi che il risarcimento offerto fosse adeguato a ristorare integralmente i danni ravvisabili da una violenza sessuale condotta nel modo descritto. Il risarcimento deve anticipare il giudizio, deve essere integrale, ma non è sufficiente un accordo transattivo tra imputato e vittima per ritenerlo congruo e tale da meritare l’applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 62 n. 6 c.p. a ciò si aggiunga che l’attenuante non opera quando il danno da risarcire abbia natura psichica o morale, come nel caso di danno da violenza sessuale, perché queste conseguenze non sono spontaneamente ed efficacemente attenuabili o eliminabili.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 novembre – 19 dicembre 2012, numero 49306 Presidente Fiale – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 30.5.2011, la Corte di appello di Torino ha confermato la decisione in data 23.4.2010 con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Mondovì aveva riconosciuto S S. responsabile dei reati di cui agli artt. 609 bis e 582, commi 1 e 2 in relazione agli artt. 61 numero 2, 576 numero 1 e 585 cod. penumero , per aver costretto con violenza e minaccia G V. a subire un rapporto sessuale dopo averla attirata con il pretesto di un chiarimento sui loro pregressi rapporti e per averle cagionato, colpendola con calci e pugni e stringendola con forza al collo, lesioni personali giudicate guaribili in 15 giorni. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione. 2. Con un primo motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione in relazione alla sussistenza del dolo, rilevando che la Corte territoriale non avrebbe considerato adeguatamente lo svolgimento dei fatti e, in particolare, la circostanza che fu la donna a salire spontaneamente nell'appartamento del compagno nonostante avesse notato che aveva bevuto, a chiedere allo stesso di spostarsi dalla cucina alla camera da letto ed a sedersi sul bordo del letto non opponendo resistenza mentre veniva svestita, salvo poi affermare di essere stanca. Aggiunge che i giudici del gravame avrebbero omesso anche di motivare circa il dissenso alla consumazione del rapporto sessuale, violando peraltro i canoni di valutazione probatoria della regola dell'oltre ogni ragionevole dubbio. 3. Con un secondo motivo di ricorso denuncia il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della ipotesi lieve di cui all'art. 609 bis, comma 3, cod. penumero in quanto la Corte del merito non avrebbe indicato le ragioni del diniego. 4. Il vizio di motivazione viene ulteriormente dedotto nel terzo motivo di ricorso, con riferimento all'ulteriore diniego dell'attenuante del risarcimento del danno di cui all'art. 62 numero 6 cod. penumero , che la Corte territoriale non avrebbe giustificato. 5. Infine, con un quarto motivo di ricorso, lamenta ancora una volta il vizio di motivazione riguardo all'utilizzazione di una mera clausola di stile per giustificare l'aumento della pena applicato per la continuazione tra i reati contestati. Insiste, pertanto, per l'accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 6. Il ricorso è infondato. Occorre ricordare, con riferimento al primo motivo di ricorso, che la giurisprudenza di questa Corte ha più volte evidenziato come il dolo, nel reato di violenza sessuale, sia generico e richieda esclusivamente che l'agente abbia la coscienza e volontà di realizzare gli elementi costitutivi del medesimo Sez. III numero 21336, 4 giugno 2010 Sez. III numero 39178, 12 ottobre 2009 Sez. III numero 28815, 11 luglio 2008 e che lo stesso può desumersi da elementi esterni, in particolare da quei dati della condotta del reo che, per l'offensività o per l'obiettivo disvalore sociale, si presentano come maggiormente idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente Sez. III numero 11866, 26 marzo 2010 . Tali principi sono stati peraltro affermati con riferimento a casi in cui, per le modalità dell'azione, l'integrazione della fattispecie criminosa era posta in discussione con riferimento alla finalità specifica della condotta ed allo scopo di chiarire che ciò che rileva è l'offesa diretta ed univoca alla libertà sessuale della vittima, mentre non assume valenza decisiva lo scopo dell'agente e l'eventuale soddisfacimento di ulteriori fini, di concupiscenza, ludici o d'umiliazione. Nella fattispecie, la Corte del merito ha chiaramente individuato la coscienza e volontà dell'imputato di compiere un atto certamente invasivo della libertà sessuale della persona offesa sulla scorta di una serie di dati fattuali opportunamente indicati, tenendo conto anche delle osservazioni formulate dalla difesa nell'atto di appello. I giudici del gravame, infatti, dimostrano di aver sicuramente considerato la inequivoca invasività della sfera sessuale della persona offesa che connotava la condotta posta in essere dall'imputato e l'altrettanto indubbio dissenso al contatto sessuale manifestato dalla donna. Tale convinzione risulta chiaramente dedotta dalla puntuale ricostruzione dei fatti, dall'individuazione dei rapporti intercorrenti tra imputato e parte offesa, nonché da altri dati fattuali emergenti. La Corte del merito richiama, invero, la descrizione delle condizioni della vittima accertate dai Carabinieri intervenuti nell'immediatezza dei fatti, i quali riscontrarono un evidente stato di agitazione e la presenza di tracce ematiche sui vestiti e sul corpo oltre a numerose ecchimosi e tumefazioni la documentazione fotografica riproducente le lesioni riportate dalla donna, poi refertate in ospedale le dichiarazioni da quest'ultima rese nell'immediatezza dei fatti, nonché le dichiarazioni rese dalla sorella della donna che aveva prestato i primi soccorsi. Non mancano, i giudici del gravame, di evidenziare che, nonostante il timore manifestato dalla donna ed anche i tentativi della stessa di minimizzare l'accaduto in un secondo tempo, le sue dichiarazioni seguono uno sviluppo sostanzialmente lineare. A fronte di tale quadro indiziario, pienamente utilizzabile in ragione del rito prescelto, la Corte d'appello ricava fondatamente la convinzione che il rapporto sessuale sia stato consumato contro la volontà della donna. Tale assunto, pienamente legittimo perché assistito da coerenza e privo di salti logici, si basa dunque su plurimi elementi e non anche, come sembra ipotizzare il ricorso, su una mera presunzione, poiché oltre alla considerevole violenza esercitata, definita dai giudici del merito come vero e proprio pestaggio” e di per sé già indicativa dell'assenza di qualsivoglia consenso ad un contatto sessuale, la Corte territoriale, come si è già detto, non manca di considerare gli ulteriori, inequivocabili elementi di riscontro, adempiendo così in pieno all'onere motivazionale impostogli dalla legge. 7. Ciò consente anche di evidenziare la palese infondatezza dell'ulteriore censura concernente la violazione del principio che richiede che l'affermazione di responsabilità avvenga oltre ogni ragionevole dubbio. Questa Corte ha più volte affermato che la regola di giudizio compendiata nella formula al di là di ogni ragionevole dubbio, impone di pronunciare condanna a condizione che il dato probatorio acquisito lasci fuori soltanto eventualità remote, pur astrattamente formulabili e prospettabili come possibili in rerum natura ma la cui effettiva realizzazione, nella fattispecie concreta, risulti priva del benché minimo riscontro nelle emergenze processuali, ponendosi al di fuori dell'ordine naturale delle cose e della normale razionalità umana” Sez. I numero 17921, 11 maggio 2010 Sez. I numero 23813, 9 giugno 2009 Sez. I numero 31456, 29 luglio 2008 . Va rilevato che tale principio, peraltro già delineato dalla giurisprudenza ancor prima della modifica dell'articolo 533 cod. proc. penumero , appare certamente condivisibile e che la regola di giudizio appena richiamata è stata ritenuta compatibile anche con una condanna pronunciata in appello con riforma di una sentenza di assoluzione di primo grado Sez. III numero 15911, 16 aprile 2009 . Nella fattispecie, tuttavia, i giudici del gravame hanno seguito un percorso valutativo del tutto adeguato pervenendo, come si è già detto, con argomentazioni logiche e coerenti, al richiesto grado di certezza processuale richiesta dal richiamato principio. 8. A conclusioni analoghe deve pervenirsi per quanto attiene al secondo motivo di ricorso. Il ricorrente, dopo aver richiamato alcuni principi fissati da questa Corte in merito all'ambito di applicabilità dell'ipotesi di lieve entità di cui all'ultimo comma dell'art. 609 bis cod. penumero , osserva che la valutazione ai fini del riconoscimento dell'attenuante deve avere ad oggetto la qualità dell'atto compiuto” più che la quantità di violenza fisica esercitata, dovendosi attribuire rilievo alla modalità della condotta criminosa ed al danno arrecato alla vittima. Invero, come questa Corte ha avuto modo di osservare, l'attenuante di cui all'ultimo comma dell'articolo 609 bis cod. penumero può essere applicata allorquando vi sia una minima compressione della libertà sessuale della vittima, accertata prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell'azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all'età, l'entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico Sez. III numero 45604, 6 dicembre 2007 Sez. III numero 1057, 17 gennaio 2007 Sez. III numero 40174, 6 dicembre 2006 . Ciò posto, in disparte la circostanza che non si vede come la violenza esercitata sulla vittima di abuso sessuale possa ritenersi irrilevante nell'ambito di una valutazione di qualità dell'atto compiuto”, risulta di tutta evidenza che la Corte del merito ha adeguatamente giustificato il diniego richiamando le modalità dell'azione e le conseguenze subite dalla parte lesa già dettagliatamente descritte in precedenza, mostrando così di essersi pienamente adeguata ai richiamati principi giurisprudenziali, senza quindi incorrere nel vizio infondatamente denunciato. 9. Il terzo motivo di ricorso è infondato e formulato in modo estremamente generico, essendosi il ricorrente limitato a sostenere, senza alcuna ulteriore specificazione, che la Corte di appello non avrebbe indicato i motivi del diniego della invocata attenuante del risarcimento del danno. In realtà le ragioni del diniego sono chiaramente esplicate nella sentenza impugnata, osservando che la corresponsione alla vittima dell'abuso sessuale, a titolo di risarcimento, della somma di Euro 400,00 non poteva ritenersi idonea a comprovare la sussistenza del requisito della integralità del risarcimento, pur in presenza di una dichiarazione della parte offesa che afferma di ritenersi così soddisfatta. La decisione viene peraltro assunta richiamando il principio, più volte affermato da questa Corte, secondo il quale, ai fini dell'applicazione dell'attenuante in questione, l'integralità del risarcimento deve essere accertata dal giudice e non può desumersi sulla base di una mera dichiarazione liberatoria della parte offesa Sez. Il numero 19663, 25 maggio 2010 Sez. I numero 6679, 7 giugno 1995 Sez. IV numero 9582, 14 settembre 1991 Sez. II numero 10643, 27 luglio 1989 Sez. IV numero 7147, 12 maggio 1989 Sez. IV numero 4050, 2 maggio 1983 e ciò in quanto detta dichiarazione potrebbe essere dettata da ragioni di mera convenienza, pur riconoscendosi al giudice, in forza del principio del libero convincimento, la possibilità di considerare motivatamente veritiera l'affermazione della persona offesa Sez. II numero 7988, 16 luglio 1992 . Si è ulteriormente precisato che l'integralità del risarcimento deve essere accertata dal giudice di merito il cui giudizio, se motivato, non è sindacabile in sede di legittimità Sez. IV numero 11149, 4 agosto 1990 . Con specifico riferimento alle ipotesi di violenza sessuale, si è già avuto modo di riconoscere la compatibilità con l'attenuante di cui all'art. 62 numero 6 cod. penumero , precisando che il risarcimento del danno deve intervenire, prima del giudizio, in misura integrale, non essendo sufficiente, a tal fine, una qualsivoglia forma di accordo in via transattiva Sez. III numero 16146, 17 aprile 2008 ed escludendone, invece, l'applicabilità quando il danno risarcibile sia di natura psichica o morale, poiché le sue conseguenze non sono suscettibili di spontanea ed efficace elisione od attenuazione Sez. III numero 24090, 13 giugno 2008 . Alla luce dei principi sopra richiamati emerge pertanto che, anche sul punto, la Corte del merito non è incorsa nel vizio denunciato. 10. Altrettanto deve riconoscersi, infine, con riferimento al quarto motivo di ricorso, ove il vizio di motivazione viene denunciato riguardo all'aumento di pena calcolato per la ritenuta continuazione. Tale motivazione non è, tuttavia dovuta, dovendosi fare riferimento alle ragioni poste a sostegno della quantificazione della pena base, non sussistendo alcun obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena a titolo di continuazione Sez. V numero 27382, 13 luglio 2011 Sez. V numero 11945, 19 ottobre 1999 Sez. III numero 3034, 10 novembre 1997 . Nella fattispecie, la Corte di appello ha fatto specifico riferimento alla determinazione della pena nel suo complesso operata dal primo giudice, peraltro non limitandosi ad un mero richiamo, ma ribadendo la valutazione di congruità sulla base della gravità dei fatti come desumibile dalle modalità dell'azione e dalla loro natura, con specifico riferimento alla assoluta equità della pena in ogni sua parte, quindi anche in quella concernente l'aumento per la continuazione ed alla conseguente impossibilità di operare una eventuale riduzione. Anche in questo caso, i giudici del gravame hanno adeguatamente adempiuto all’onere motivazionale. 11. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.