Troppi gatti poco curati in casa: donna condannata per maltrattamenti

Pessima la situazione in cui i felini erano costretti a vivere poco spazio, condizioni igieniche precarie. Evidente il disagio subito dagli animali. E gli effetti sono avvertiti anche dal vicinato terribile l’olezzo che arriva all’esterno dell’abitazione, e che porta la donna a essere condannata anche per l’emissione di odori molesti.

Gattara criminale. Con comportamenti pericolosi, per giunta, non solo per gli animali ma anche per le persone. Conseguenziale, quindi, la condanna nei confronti di una donna, in particolare per avere provocato gravi sofferenze ai suoi gatti, obbligandoli a vivere, in casa propria, in spazi ristretti, in una costante situazione di disagio e in condizioni igieniche pessime Corte di Cassazione, sentenza n. 49298, terza sezione Penale, depositata oggi . Casa invivibile. A richiamare l’attenzione è stato, però, il pessimo odore proveniente dall’appartamento della donna, olezzo legato a doppio filo alla presenza – in situazione precaria – di ben settanta gatti. Deprimente il quadro presentatosi agli occhi delle forze dell’ordine, che hanno ‘ispezionato’ l’abitazione assolutamente incredibili le condizioni di vita degli animali, assolutamente insopportabile il tanfo avvertito appena entrati in casa. E a definire assolutamente grave il comportamento della donna provvedono, poi, i giudici in Tribunale, comminandole un’ammenda di 4mila euro e addebitandole il reato di maltrattamento di animali e quello di emissioni di odori nauseabondi per le famiglie del vicinato. Disagio animale. Secondo la donna, però, le valutazioni compiute dai giudici sono erronee da un lato, perché ella voleva dare cura e assistenza a quei gatti, e, dall’altro, perché ella non era solita aprire le finestre dell’appartamento e quindi nessun olezzo poteva essere avvertito all’esterno . Ma queste rimostranze sono ritenute assolutamente non fondate dai giudici di Cassazione, i quali, richiamando le immagini presentatesi agli occhi delle forze dell’ordine, ricordano che la donna teneva nella propria abitazione circa settanta gatti, in condizioni igieniche di indescrivibile degrado i pavimenti e il mobilio erano ricoperti da deiezioni di animali i gatti erano, per la maggior parte, chiusi, e in condizioni di salute precaria . Evidenti i maltrattamenti compiuti sugli animali costretti a vivere in condizione di disagio testimoniata dalle malattie da cui erano affetti , dalla impossibilità di muoversi e dalla loro situazione di denutrizione . Allo stesso tempo, i giudici chiariscono, richiamando quanto evidenziato in Tribunale, che nonostante non fosse consuetudine della donna arieggiare l’abitazione , ogni volta che veniva aperta una finestra si propagava un odore nauseabondo, data la situazione ributtante che c’era all’interno dell’immobile . Ciò è sufficiente per catalogare quell’olezzo come offesa al benessere dei vicini e grave pregiudizio per il tranquillo svolgimento della loro vita di relazione . Complessivamente, quindi, è assolutamente da confermare, anche in Cassazione, la pronunzia di condanna nei confronti della donna.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 novembre – 19 dicembre 2012, n. 49298 Presidente Gentile – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto Il Tribunale di Udine, con sentenza del 13/6/2011, ha dichiarato G.T. colpevole dei reati di cui agli artt. 674 e 727, co. 2, cod. pen., per avere provocato emissioni nell’ambiente circostante la sua abitazione di odori nauseabondi ed esalazioni moleste per il vicinato, in quanto deteneva all’interno dell’appartamento circa settanta gatti in pessime condizioni igieniche, producendo sugli animali gravi sofferenze, anche perché scarsamente nutriti, e la ha condannata alla pena di euro 4,000,00 di ammenda, pena sospesa. Propone ricorso per cassazione la difesa della prevenuta con i seguenti motivi - inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, segnatamente dell’art. 674 cod. pen., rilevato che non può ritenersi concretizzato il reato contestato in quanto la prevenuta non era solita aprire le finestre dell’appartamento e di arieggiare l’immobile, con la conseguenza che nessuna immissione intollerabile avrebbe potuto essere avvertita all’esterno - il Tribunale ha, altresì, erroneamente applicato il disposto di cui all’art. 727 cod. pen., dando una valutazione distorta alle emergenze istruttorie. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. La argomentazione motivazionale, adottata dal giudice di merito in ordine alla concretizzazione dei reati in contestazione e della ascrivibilità di essi in capo all’imputata, è del tutto logica e corretta. Con i motivi di ricorso la difesa della T. eccepisce la erronea applicazione dell’art. 674 cod. pen. e la non corretta lettura delle emergenze istruttorie, determinante la ritenuta sussistenza dell’illecito di cui all’art. 727 cod. pen. Osservasi come dal vaglio di legittimità, a cui è stata sottoposta l’impugnata pronuncia, è data rilevare che il decidente è pervenuto ad affermare la colpevolezza della prevenuta per le contravvenzioni in contestazione a seguito di una esaustiva analisi valutativa della piattaforma probatoria, effettuando puntuali richiami alle emergenze istruttorie che, oltre ogni ragionevole dubbio, hanno dimostrato la fondatezza della tesi accusatoria. La T. teneva nella propria abitazione circa 70 gatti, in condizioni igieniche di indescrivibile degrado i pavimenti e il mobilio erano ricoperti da deiezioni di animali i gatti erano per la maggior parte chiusi, anche in numero di due all’interno di trasportino, e in condizioni di salute precarie l’aria nell’immobile era irrespirabile e quando la imputata apriva le finestre fuoriusciva dall’appartamento un odore nauseabondo che si espandeva nelle zone limitrofe deposizioni G., dott. B., M.llo F., M. . Il decidente ha, pertanto, ritenuto, a giusta ragione, pienamente concretizzata la fattispecie contravvenzionale di cui all’art. 727 cod. pen., vista la condizione di notevole, obiettivo disagio in cui erano costretti a vivere gli animali, non foss’altro per le malattie da cui erano affetti, per la impossibilità di muoversi e per la situazione di denutrizione. Sul punto il Tribunale evidenzia che il reato di cui all’art. 727 cod. pen., prendendo in considerazione il concetto ampio di maltrattamento, non punisce solo gli atti di sevizie, torture, crudeltà, caratterizzati da dolo, ma anche quei comportamenti colposi di abbandono ed incuria, che offendono la sensibilità psico-fisica degli animali, quali autonomi esseri viventi, capaci di reagire agli stimoli del dolore, come alle attenzioni amorevoli dell’uomo, con la conseguenza che la carenza di cibo, la costrizione in ambienti ristretti e sporchi, senza possibilità di deambulare, possono costituire, nel loro insieme, comportamenti di vero maltrattamento Cass. 24/4/95, Parussolo Cass. 11/2/04, n. 14426 . Del pari, correttamente, il giudice di merito ha ravvisato la sussistenza del reato di cui all’art. 674 cod. pen., atteso che, se è pur vero che non fosse consuetudine della T. arieggiare costantemente la sua abitazione, nondimeno ogni qualvolta la stessa si determinava ad aprire una finestra all’esterno si propagava un odore nauseabondo, data la situazione ributtante che c’era all’interno dell’immobile. Questa Corte ha avuto modo di affermare che le esalazioni maleodoranti, provenienti da luoghi in cui sono ricoverati animali in numero rilevante e promananti da escrementi prodotti dagli stessi, costituiscono offesa al benessere dei vicini e grave pregiudizio per il tranquillo svolgimento della loro vita di relazione, sì da concretizzare quelle molestie di cui è cenno nell’art. 674 cod. pen., di guisa che tale tipo di condotta è penalmente sanzionato dalla predetta norma Cass. 29/11/95, Viale . Tenuto conto della sentenza del 13/6/2000, n. 186, della Corte Costituzionale, e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che la T. abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la stessa, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., deve, altresì, essere condannata al versamento di una somma, in favore della Cassa delle Ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 1.000,00. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di euro 1.000,00.