La pregressa diagnosi sanitaria è erronea. Commette reato il chirurgo che non la riscontra e procura un danno alla paziente

Il principio di affidamento” non vige nel caso delle professioni altamente specialistiche. Occorre duplicare le precauzioni diagnostiche.

Più chirurghi venivano condannati dalla locale Corte d’appello avrebbero, secondo i giudici, asportato l’organo opposto a quello realmente malato della paziente, si sarebbero affidati a diagnosi palesemente errate di cui non avrebbero compiuto alcuna verifica di riscontro. Inoltre, a danno prodotto, avrebbero grossolanamente tentato di falsificare i contenuti di parte della documentazione clinica. I ricorrenti deducono difetto di prova e contestano l’integrità della tenuta logica della motivazione di condanna. La Cassazione, Quarta sez. Penale, n. 48226/12, depositata il 13 dicembre 2012, respinge tutti i ricorsi motivando come d’appresso. Le responsabilità civili e penali nell’esercizio delle professioni sanitarie. Dalla forte tensione specialistica delle professioni sanitarie il legislatore ha tratto respiro al fine di disporre la copertura dalle responsabilità civili professionali ex art. 2236 c.c. – il quale esclude che il sanitario debba rispondere di danni ascrivibili a mera colpa lieve -, il cui contenuto protettivo trova per altro recente conferma nelle nuove disposizioni dell’art. 3 del c.d. Decreto Balduzzi , ancora in punto di responsabilità professionali. Da un lato la suddetta esenzione ha consentito di tener conto delle vastissime criticità della professione sanitaria, dall’altra ha poi motivato, ai fini punitivi, l’estensione giurisprudenziale dei margini applicativi della nozione di colpa grave , i cui comportamenti ascrivibili non soffrono di esenzione alcuna, anche sotto il profilo penalistico. La triste sorte penale del principio di affidamento. Di fatti, ben rientrerebbero sotto la scure della sanzione penale – per colpa grave - quelle condotte lesive ispirate dall’ affidamento a pregresse attività – diagnostiche o terapeutiche - da altri specialisti svolte. Occorre che il sanitario, invece, sia puntualmente in grado di ricostruire l’intera vicenda eziologica che ha condotto a quella patologia, di verificare l’esatta consistenza e qualità del male sofferto nonché dei pregressi rimedi attuati al fine di superarlo. Nel confermare il principio, aderente ad una lineare giurisprudenza, la Cassazione rimuove il valore alienante dell’affidamento ad altre diagnosi sanitarie precedentemente svolte. Il professionista deve in interiore homine soddisfare ogni precauzione diagnostica, nel caso duplicando le ecografie già realizzate ed eventualmente elevandone i costi specifici, altrimenti adotta condotte negligenti passibili di sanzione penale. Non scriminano le indicazioni della paziente confusa. La paziente non aveva consegnato le indicazioni cartacee sull’intervento da realizzare – già licenziate ed in suo possesso - ed, in più, aveva probabilmente fornito una grossolana descrizione inveritiera dei fatti patologici di cui era affetta, che avrebbero procurato l’errore dell’imputato. Assodato che mai avrebbe potuto operare un consenso dell’avente diritto al trattamento operatorio errato – in quanto l’istituto non assorbe le negligenze di chi produce una condotta di reato -, la Cassazione deduce anche l’inescusabilità dell’errore del sanitario. L’art. 47 c.p. e l’errore di fatto ivi previsto – che esclude la punibilità dell’agente – non opera per i fatti colposi, le cui regole di condotta disattese prevedono l’obbligo di verificare la fondatezza di quanto dedotto dalla paziente mediante la realizzazione di plurimi supporti diagnostici, in grado di presentare la patologia nella sua più esatta consistenza.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 17 ottobre - 13 dicembre 2012, n. 48226 Presidente Brusco – Relatore Grasso Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Trapani, con sentenza del 6/4/2009, condannò B.S. , medico, specialista in chirurgia ginecologica, P.G. , specialista in chirurgia, e M.G. , medico in servizio presso la casa di cura OMISSIS , sanitaria addetta alla formazione della cartella clinica, tutti in relazione al delitto di cui agli artt. 113, 590, comma 2, 583, comma 2, n. 3, cod. pen., commesso ai danni di N.G. e la sola M. , in relazione al delitto di cui all'art. 476, cod. pen., concesse le attenuanti generiche, con criterio di equivalenza, in favore del P. e della M. , alle pene stimate di giustizia. Inoltre, con la detta sentenza gli imputati venivano condannati, in solido, a risarcire i danni procurati alla P.C., da liquidarsi in separata sede, nonché alla rifusione delle spese legali, imponendo provvisionale di Euro 40.000,00. 1.1. La Corte d'appello di Palermo, investita della cognizione impugnatoria dall'appello proposto da tutti gli imputati, con sentenza del 29/6/2011, confermò la statuizione di primo grado. 1.2. Questa, in estrema sintesi, la ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito da prendere in considerazione nel presente giudizio di legittimità. N.G. , sottopostasi a visita ginecologica presso lo studio privato dell'imputato B. , a distanza di una quindicina di giorni, secondo le indicazioni che lo specialista le aveva dato, si recò presso la casa di cura OMISSIS , presso la quale il B. avrebbe dovuto eseguire, in laparoscopia, l'asportazione dell'ovaio destro, affetto da una cisti. Avendo la M. trascritto sulla cartella che l'intervento avrebbe dovuto interessare l'ovaio sinistro e non avendo effettuato, sia B. , in qualità di capo chirurgo, che il P. , in qualità di aiuto chirurgo, alcuna verifica di controllo, veniva erroneamente asportato l'ovaio sinistro, non interessato dalla patologia, così procurando l'indebolimento permanente dell'organo preposto alla procreazione. Inoltre alla M. veniva rimproverato di avere alterato le annotazioni sulla cartella clinica, cangiando l'indicazione di sinistro” in quella di destro”. 2. Gli imputati B. e M. proponevano ricorso per cassazione. 2.1. B.S. con l'unitario, articolato motivo, denunziando violazione di legge e difetto di motivazione art. 606, lett. b ed e in relazione agli artt. 192, commi 1 e 2, cod. proc. pen., 43, 47 e 590, cod. pen. , contesta il vaglio probatorio e, più in generale, le conclusioni della Corte territoriale. Queste, in sintesi, le questioni che il ricorrente pone all'esame del Collegio. a L'asserto secondo il quale l'errore esecutivo si sarebbe evitato ove i chirurghi avessero consultato, in limine o in corso d'intervento, la documentazione sanitaria supportante il trattamento chirurgico, trovava smentita nel principio di affidamento” e in quello della medicina dell'evidenza”. L'operatore, quanto al primo principio, non poteva non fidarsi dell'attività svolta dai medici che in precedenza si erano occupati del caso e, quindi, nella specie, di quella della M., la quale aveva raccolto i dati anamnestici e le indicazioni diagnostiche in sede di accettazione della paziente. In particolare la Dott.ssa M., pur avendo visionato il cartellino verde”, consegnatole dalla N., redatto dal B. nel corso della visita diagnostica, aveva indicato erroneamente l'ovaio da estirpare. Quanto al secondo principio, la Corte territoriale non aveva considerato che durante l'intervento in laparoscopia l'operatore, attraverso la visione sul monitor degli organi interni, trovasi nella condizione di rimediare ad eventuali errori diagnostici. Il che nel caso di specie non era avvenuto per il fortuito concomitare della sfavorevole circostanza, costituente incredibile fatalità”, che, nel mentre l'ovaio destro malato, medio tempore, si era normalizzato, apparendo sano, quello di sinistra si presentava notevolmente aumentato di volume. Queste osservazioni, che univocamente conducevano a ritenere scusabile l'errore, aveva brillantemente illustrato il C.T. prof. Ma Pe. , senza essere stato preso in considerazione dai giudici di merito. Assume il ricorrente che la natura dell'errore in parola imponeva l'applicazione dell'art. 47, cod. pen. e l'esclusione della sussistenza della volontà, a causa della difettosa rappresentazione della realtà da parte dell'agente. b L'aggravante dell'indebolimento permanente dell'organo della riproduzione andava esclusa e, pertanto, ridotta la pena il giudice di secondo grado, limitandosi ad una motivazione apparente, aveva ipotizzato pregiudizio all'equilibrio ormonale e psichico, che attiene all'aspetto del danno e non della prova dell'indebolimento d'organo. 2.2. M.G. con il primo motivo lamenta violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 113 e 590, cod. pen, per non essere stato rilevato che l'imputata era stata indotta in errore scusabile dalla stessa p.o Inoltre, i medici operatori non avrebbero potuto iniziare l'intervento chirurgico prima di aver preso visione del c.d. cartellino verde”, che per prassi, da anni, si utilizzava in clinica, che non era stato affatto consegnato dalla paziente al medico addetto all'accettazione. Illogicamente la Corte territoriale aveva ritenuto che la consegna fosse, invece, avvenuta, sulla base di testimonianza generica, smentita da altri elementi probatori, essendo stata, sul punto, equivoca anche la P.C., che aveva fatto riferimento alla consegna effettuata a mani di una non meglio identificata impiegata della clinica, che i testimoni della M., avevano indicato nel personale addetto all'ufficio amministrativo. Inoltre, poiché, a dire della stessa Corte di merito, gli operatori poterono disporre di tutta la documentazione incluso il cartellino di cui s'è detto non era dato cogliere in che potesse consistere l'addebito alla ricorrente, la quale era stata tratta in inganno dalle erronee informazioni datele dalla paziente, che si era presentata sfornita della necessaria documentazione. Senza contare che il B. , proprio perché aveva visitato la N. appena qualche giorno prima doveva essere agevolmente in grado di apprezzarne la patologia da cui era affetta. Infine, La regola dell'affidamento non poteva esonerare i chirurghi dal dovere di controllo e verifica sulla base della documentazione che era in loro possesso. 2.3. Con il secondo motivo la ricorrente, prospettando violazione dell'art. 606, comma 1, lett. b ed e , cod. proc. pen., in relazione all'art. 476, cod. pen., deduce insussistenza della condotta di reato di falso ideologico per assoluta mancanza dell'elemento soggettivo doloso”. Colta di sorpresa dalle furibonde rimostranze della N., la Dott.ssa M., visionato il cartellino verde” sottopostole dalla paziente, pensando di essere incorsa in un mero errore di trascrizione, aveva corretto la parola destra” in sinistra”, peraltro apponendo la propria firma a margine. Di poi, passata la sfuriata della N., resasi conto che le cose non stavano come le aveva urlato contro costei, aveva ricorretto la cartella, ripristinando l'originaria annotazione, riapponendo nuova firma a margine, cosa che non avrebbe fatto se si fosse trovata in mala fede. Di conseguenza, non si era perfezionato l'elemento soggettivo del reato richiesto dalla norma incriminatrice. È assolutamente illogico ritenere che l'imputata abbia voluto deliberatamente vergare di suo pugno una correzione del primo dato con l'intenzione di voler consapevolmente nascondere la verità del dato e poi, nell'immediatezza del fatto, ricorreggere la medesima annotazione ripristinando la verità dell'annotazione originaria. Ma quel che più appare troncante sul piano logico e del buon senso, appare la sottoscrizione del . doppio gesto grafico”. Ulteriormente evidenzia la ricorrente che a pag. 13 la Corte territoriale aveva affermato una sorta d'incomprensibile responsabilità oggettiva, sol perché si trattava d'intervento che aveva interessato l’atto pubblico, che una volta annota[o] esce dalla disponibilità del suo autore, sicché le eventuali modifiche apportate successivamente integrano il delitto di falso”. In definitiva, secondo l'assunto impugnatorio, si trattò di un mero errore di fatto, dal quale non potevasi trarre convincimento in ordine alla sussistenza del dolo, reso evidente dalla grossolanità e, peraltro, leggibilità, delle correzioni. 2.4 Con il terzo ed ultimo motivo la M. contesta il trattamento penale, giudicato eccessivamente severo, in assenza di qualsivoglia circostanza a valenza negativa. Considerato in diritto 3. Entrambi i ricorsi sono infondati, avendo la Corte territoriale fornito motivazione ampiamente soddisfattiva, senza, inoltre, incorrere nei denunziati errori di diritto. 4. Come puntualmente evidenziato dalla Corte d'appello di Palermo nessun principio di affidamento” può invocare a propria discolpa il B. , il quale, in spregio alla regola minima di prudenza e diligenza, aveva proceduto all'asportazione chirurgica sulla base di una mera annotazione cartacea, pur proveniente dal medico addetto all'accettazione, senza far luogo in sede preparatoria all'agevole, rapido e sicuro riscontro ecografico precauzione, questa, reputata indispensabile dallo stesso C.T. di parte . Anche l'invocazione del principio della medicina dell'evidenza”, a ben vedere, appare fuori luogo se, come ammesso, peraltro, dallo stesso imputato, la visione endoscopica, in casi del genere, non risulta risolutiva, poiché non in grado di evidenziare quale fosse l'ovaio malato da estirpare. Costituisce principio di diritto solidamente affermato in sede di legittimità Cass., IV, 26/6/2008, n. 40789 conf. n. 33619 del 2006 l'affermazione secondo la quale deve considerarsi negligente il comportamento del chirurgo responsabile dell'intervento, il quale, facendo esclusivo affidamento sulla pregressa diagnosi svolta dal suo aiuto e comunicatagli verbalmente in sala operatoria, proceda all'operazione senza aver prima proceduto al riscontro della stessa. Ove, poi, si tenga conto che il B. , sul quale incombeva la maggior responsabilità di capo dell'equipe medica operatoria Cass., Sez. IV, n. 17222 del 6/3/2012 , aveva solo qualche giorno prima visitato la paziente e dato l'indicazione chirurgica, l'errore appare franco ed eclatante. 4.1. Esaustiva e niente affatto apparente deve ritenersi la motivazione con la quale la Corte territoriale ha reputato la sussistenza dell'aggravante dell'indebolimento permanente dell'organo della riproduzione a parte il sicuro pregiudizio dell'equilibrio ormonale e psichico non può seriamente dubitarsi del fatto che l'eliminazione dell'unico ovaio sano abbia lasciato la paziente, in età di fertilità, con infime chance di restare gravida nel futuro. 5. Non può la M. addurre a propria discolpa errore scusabile indottole dalla stessa paziente. Anche a voler credere ma le risultanze istruttorie enunciate convincentemente dal giudice di merito militano in senso contrario che la p.o. non le consegnò il cartellino verde” il medico addetto all'accettazione giammai avrebbe potuto avvalorare indicazione chirurgica fornita solo labialmente dalla stessa paziente, concernente, fra l'altro, organo presente in forma gemella nell'organismo. La circostanza, poi, che, a loro volta, i chirurghi, e in ispecie il B. , ebbero a commettere successivi gravi errori non la può certo dispensare dall'addebito penale. 5.1. Nessun dubbio sulla sussistenza del reato di falso contestato alla medesima ricorrente. Del tutto irrilevante, infatti, deve ritenersi la circostanza che l'alterazione del documento sia stata controfirmata dall'imputata, la quale, una volta formato l'atto, perciò uscito dalla sua disponibilità, non poteva più intervenire sullo stesso, modificandone, peraltro, radicalmente il contenuto in termini, Cass., V, 11/772005, n. 35167 e pretendendo di avvalorarne l'alterazione con nuova sottoscrizione. 5.2. Infine, l'ultima censura afferente al trattamento sanzionatorio va giudicata inammissibile, in quanto aspecifica non solo la sentenza gravata si era fatto carico di spiegare le ragioni della quantificazione sanzionatoria prossima al minimo edittale , che le avevano fatto confermare una pena di mesi due, inferiore a quella inflitta al B. tuttavia, colpevole del solo reato di lesioni e non molto distante da quella di mesi uno inflitta all'aiuto chirurgo P.G. colpevole del solo delitto di lesioni , ma la ricorrente non si perita di spiegare in cosa sia consistito il trattamento deteriore a lei riservato rispetto agli altri imputati, cogliendosi, invece, e pienamente, le ragioni delle diversificazioni. Al capo chirurgo era andata la maggior riprovazione a riguardo del delitto di lesioni all'aiuto chirurgo, più modesta riprovazione, avuto riguardo al ruolo avuto nella commissione del delitto e alla M. , concorrente nel delitto di lesioni e colpevole del delitto di falso, l'equa pena di cui si è detto. 6. All'esposto consegue la condanna alle spese processuali e al rimborso delle spese legali affrontate dalla P.C., che si liquidano nella misura di giustizia di cui in dispositivo. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore della parte civile che liquida in complessivi Euro 2.500,00 oltre accessori come per legge.