Qual è il discrimine tra connivenza non punibile e concorso di persone nel reato?

Ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe stato ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà.

Il caso. Il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Varese condannava G.C. alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione ed euro ventiduemila di multa, riconoscendo la sua penale responsabilità per il reato previsto e punito dall’art. 73 commi 1 e 1 bis, D.P.R. 309/90. In particolare, dall’attività di indagine era emerso come l’imputata, in concorso con il di lei marito per cui si è proceduto separatamente, deteneva sostanza stupefacente presso la comune abitazione, e cedeva la stessa ai vari acquirenti che ivi si presentavano. La Corte di Appello di Milano, a seguito di rituale impugnazione della G.C. confermava, in toto, la statuizione di prime cure. Avverso tale decisione, l’imputata, per il tramite del proprio difensore, ricorreva per Cassazione, deducendo cinque diversi motivi di gravame i primi tre afferenti la contraddittorietà, mancanza e manifesta illogicità della motivazione, con specifico riferimento sia alla penale responsabilità della G.C., sia al contributo causale dalla stessa offerto all’illecita condotta del marito che, infine, alla valutazione delle dichiarazione di una teste gli ultimi due motivi erano, invece, precipuamente relativi alla manifesta illogicità e carenza della motivazione con esclusivo riguardo al trattamento sanzionatorio applicato alla ricorrente. Responsabilità penale differenza giuridica tra contributo causale, mera agevolazione ed atteggiamento passivo. La Quarta Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, assegnataria del ricorso, nel sottoporre a disamina l’impugnazione dell’imputata, preliminarmente argomenta circa la ratio sottesa al necessario provvedimento di rigetto dei primi tre motivi. Ad avviso dei Supremi Giudici, infatti, la motivazione della Corte Territoriale risulta essere assolutamente congrua ed adeguata, sia con riferimento alla valutazione del compendio probatorio – ivi compresa, pertanto, la dichiarazione testimoniale contestata – che al contributo causale, da cui poi si evince la penale responsabilità, offerto dall’imputata al di lei marito nell’attività di spaccio perpetrata presso la casa coniugale. Fermo restando ciò, la Corte Regolatrice, con la pronuncia de qua, ha inoltre avuto modo di soffermarsi in modo estremamente chiaro circa gli elementi giuridici e fattuali da cui ricavare il discrimine tra connivenza non punibile e concorso nel reato. Ed invero, il Supremo Consesso, riprendendo e confermando la recente giurisprudenza di legittimità in materia, ha precisato come ci si troverà in presenza di una situazione di connivenza non punibile solo ed esclusivamente nel caso in cui l’agente assuma e mantenga un comportamento meramente passivo, privo di qualsiasi efficacia causale sulla condotta illecita altrui al contrario, si avrà un vero e proprio concorso di persone nel reato allorquando sussista, in concreto, un contributo partecipativo positivamente efficace, in termini morali o materiali, sull’altrui condotta criminosa. Altrimenti detto, qualora il soggetto abbia, con la propria condotta, assicurato una qualunque forma di collaborazione o di aiuto all’autore primario della attività illecita, allora in tal caso risponderà a titolo di concorso nella specifica fattispecie, sempre che la sua assistenza abbia avuto una utile efficacia collaborativa, che comunque non deve necessariamente rappresentare la condicio sine qua non per la realizzazione della condotta vietata, ben potendo esprimersi il contributo causale in una mera agevolazione, prodromica ad una più sicura e più facile realizzazione dell’illecito. I motivi del ricorso per cassazione devono essere già stati oggetto dell’atto di appello. Per ciò che concerne, invece, gli ultimi due motivi di ricorso, precipuamente afferenti il trattamento sanzionatorio applicato dai Giudici del merito alla G.C., la Corte di Cassazione, nel rigettare anche gli stessi, ha implicitamente ribadito quello che ormai un principio giurisprudenziale più che consolidato. Ovvero, poiché i motivi di appello di essa imputata, totalmente incentrati sulla ritenuta innocenza della stessa, erano inequivocabilmente privi di alcuna doglianza specificamente riferita al trattamento sanzionatorio, donde i relativi motivi di ricorso non possono che essere rigettati, stante la semplice ma fondamentale circostanza che in sede di legittimità non è possibile proporre motivi di gravame che non siano già stati prospettati alla Corte di merito.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 novembre - 13 dicembre 2012, numero 48243 Presidente Brusco – Relatore Marinelli Ritenuto in fatto Il G.U.P. del Tribunale di Varese, con sentenza del 17.12.2010, dichiarava G.C. colpevole in ordine al reato di cui agli articoli 81 cpv, 110 c.p., 73 co.l e 1 bis d.PR. 309/90 e, ritenuta la continuazione, operata la riduzione per la scelta del rito, la condannava alla pena di anni 4, mesi 8 di reclusione ed Euro 22.000 di multa. Avverso tale sentenza proponeva appello il difensore dell'imputata. La Corte di appello di Milano, con sentenza datata 18.07.2011, oggetto del presente ricorso, confermava la sentenza emessa nel giudizio di primo grado e condannava l'imputata al pagamento delle ulteriori spese del grado. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione G.C., a mezzo del suo difensore, e concludeva chiedendone l'annullamento. G.C. ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi 1 Contraddittorietà e manifesta mancanza di motivazione in merito alla responsabilità penale. Lamentava in particolare la ricorrente che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto sussistente la sua responsabilità in ordine, al reato ascrittole dal momento che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza di primo grado, secondo cui la contabilità analitica rinvenuta era tale da sostenere la partecipazione attiva dell'imputata all'attività di spaccio del marito, la sentenza impugnata aveva invece rivalutato, anche sulla base degli apporti difensivi, la reale valenza di tale documentazione, ritenendola assolutamente inconferente ai fini di un giudizio di penale responsabilità della prevenuta. Secondo la difesa della G. inoltre la Corte territoriale aveva ritenuto in modo manifestamente illogico che bastasse la semplice convivenza - con il coimputato B. nei cui confronti si è proceduto separato procedimento e consapevolezza dell'attività di spaccio di quest'ultimo a determinare automaticamente un più agevole smercio, essendo necessario il ruolo attivo del convivente e non la semplice consapevolezza o conoscenza della situazione esistente. 2 Carenza di motivazione e manifesta illogicità in merito alla valutazione della testimonianza della teste N., dal momento che la stessa si era limitata a riferire che la G. e il marito B.C. regalavano hashish per fumarlo in compagnia, ma tale affermazione non era di per sé sufficiente a sostenere un giudizio di penale responsabilità in ordine all'attività di spaccio della G. in assenza di ulteriori elementi atti a dimostrare un coinvolgimento diretto della stessa. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in merito alla condotta agevolativa della G. nell'attività di spaccio, dal momento che l'unico dato che emergeva con sicurezza dagli atti processuali, e cioè che la G. fosse presente in casa in talune occasioni in cui il marito cedeva sostanza stupefacente, non era sufficiente per ritenere la sussistenza della sua penale responsabilità. Manifesta illogicità e carenza della motivazione in merito al trattamento sanzionatorio rispetto a quello del coniuge ed ai sensi dell'articolo 133 c.p Lamentava sul punto la difesa della G. che erroneamente il G.U.P. le aveva aumentato la pena sulla base del fatto che aveva ritenuto basata su una falsa dichiarazione in considerazione dei suoi consistenti proventi illeciti l'istanza da lei presentata al fine di godere del beneficio del gratuito patrocinio. Non era stato infatti accertato che la dichiarazione in questione fosse effettivamente falsa. Manifesta illogicità e carenza di motivazione in merito al trattamento sanzionatorio e violazione dell'articolo 133 c.p La difesa della ricorrente riteneva eccessivo il trattamento sanzionatorio a lei irrogato, dal momento che, comunque, l'unico elemento a suo carico era costituito dal fatto che conviveva con il B. ed era consapevole dell'illecita attività di spaccio da lui svolta. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. Per quanto attiene ai primi tre motivi si osserva che con congrua e adeguata motivazione la Corte territoriale ha spiegato le ragioni per cui ha riconosciuto il concorso della G. con il marito B.C. nel reato di detenzione al fine di spaccio di sostanza stupefacente. Evidenziavano sul punto i giudici della Corte territoriale non solo la presenza della G. in alcuni casi di cessioni di stupefacente effettuati dal B. , così come riferito da alcuni testimoni e la circostanza che lo stupefacente era detenuto in quasi ogni angolo dell'abitazione e soprattutto in vari luoghi della camera da letto di entrambi, ma altresì le dichiarazioni della teste N. , la quale, pur non ricordando specificatamente le singole cessioni, aveva però potuto riferire che, nelle serate trascorse nell'abitazione dei due, entrambi regalavano hashish per fumarlo la sera stessa in compagnia . Sulla base di tali considerazioni i giudici della Corte territoriale sono quindi giunti alla conclusione che la condotta agevolativa della G. andava ben al di là della connivenza e si configurava invece come complicità sia nella detenzione della droga nel suo complesso, sia nella vendita ripetuta di singole dosi. Anche G.C. quindi deve rispondere del reato di cui agli articoli 81 cpv, 110 c.p. e 73, commi lei bis d.PR. 309/90 in quanto, ai fini della configurabilità del concorso di persone nel reato, il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell'evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe stato ugualmente commesso, ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà Cass. Sez.4 numero 24895 del 22.5.2007 . Sul punto questa Corte, nella sentenza numero 4948 del 22.01.2010, Rv. 246649, emessa dalla quarta sezione in materia di illecita detenzione di sostanze stupefacenti, ha ulteriormente precisato la distinzione tra connivenza non punibile e concorso nel reato commesso da altro soggetto, evidenziando che, mentre la prima postula che l'agente mantenga un comportamento meramente passivo, privo cioè di qualsivoglia efficacia causale, il secondo richiede, invece, un contributo partecipativo positivo, morale o materiale, all'altrui condotta criminosa, assicurando quindi al concorrente, anche implicitamente, una collaborazione sulla quale questi può contare, come appunto è accaduto nella fattispecie che ci occupa. Infondati sono altresì il quarto e il quinto motivo di ricorso, che fanno riferimento entrambi al trattamento sanzionatorio in quanto, come correttamente rilevato nella sentenza impugnata, i motivi di appello erano tutti incentrati sulla ritenuta innocenza dell’imputata e non facevano alcun riferimento al trattamento sanzionatorio. Il ricorso deve essere pertanto rigettato e la ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.