Gli atti, pur idonei a uccidere, sono diretti a provocare mere lesioni: escluso il tentativo

In tema di elemento soggettivo del reato, costituisce principio consolidato il fatto che il dolo eventuale non si possa configurare nel caso di delitto tentato.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 47257/12, depositata il 6 dicembre. Il caso. Un uomo viene accusato di tentato omicidio, ma viene riconosciuto colpevole del meno grave reato di lesioni personali. La derubricazione viene confermata dai giudici di appello, i quali ritengono che, nonostante l’astratta idoneità dell’azione a provocare l’evento morte, l’imputato non avesse tale intenzione, come dimostrerebbe, tra l’altro, la volontaria desistenza. Avverso tale pronuncia il Procuratore Generale presenta ricorso per cassazione. A giudizio del ricorrente, non si può negare che l’azione sia stata posta in essere con la consapevolezza di un esito anche letale della ferita l’uomo, infatti, ha colpito la vittima al capo con un tubo di ferro e ciò integra il rischio del verificarsi di un evento prevedibile e potenzialmente consequenziale, integrando così la soglia del dolo eventualmente rivolto all’omicidio. L’elemento soggettivo richiesto. Gli Ermellini ribadiscono che si ha tentato omicidio quando la condotta è caratterizzata da un quid pluris idoneo a causare un evento più grave che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell’agente. Il dolo qualificante il reato in oggetto non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in considerazione dall’agente, ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l’evento richiesto si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall’agente che prevede e vuole l’uno o l’altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta dolo diretto alternativo , o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale dolo diretto intenzionale . Affermato questo principio, la Cassazione rileva che nel caso di specie la Corte di merito ha argomentato la non univocità degli atti compiuti dall’imputato in relazione al perseguimento dell’evento morte la condotta del’uomo, infatti, dimostra piuttosto la mera intenzione di aggredire l’offeso per procurargli lesioni, fermandosi davanti alle stesse. Un orientamento non più condiviso. La tesi del ricorrente, invece, si rifà a un superato orientamento dei giudici di legittimità, riproponendo l’asserita compatibilità tra dolo eventuale e delitto tentato. Fin dagli inizi degli anni Novanta, però, la S.C. ha ribadito che il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, poiché, quando l’evento voluto non si sia comunque realizzato, la valutazione del dolo deve aver luogo esclusivamente sulla base dell’effettivo volere dell’autore, ossia della volontà univocamente orientata alla consumazione del reato. Il motivo di ricorso appare pertanto palesemente infondato, così come l’ulteriore censura volta a contestare la contraddittorietà della motivazione in merito alla desistenza volontaria dall’azione delittuosa per questi motivi la Cassazione dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 11 aprile – 6 dicembre 2012, n. 47257 Presidente Chieffi – Relatore Tardio Ritenuto in fatto 1. Il 17 febbraio 2005 il G.u.p. del Tribunale di Catania, all'esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato M.S. colpevole del reato di cui agli artt. 582 e 585 cod. pen., così riqualificato il reato di tentato omicidio in danno di B.C.R. inizialmente contestato, e, concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza alle contestate aggravanti, e applicata la diminuente per la scelta del rito, l'ha condannato alla pena di anni uno di reclusione, con confisca di quanto in sequestro, e al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile da liquidarsi in separato giudizio civile, con provvisionale immediatamente esecutiva di Euro cinquemila. 2. Con sentenza del 21 ottobre 2010 la Corte d'appello di Catania, su appello del Procuratore Generale presso la stessa Corte, che aveva contestato la fondatezza della disposta derubricazione del reato contestato, ha ritenuto che, nonostante l'astratta idoneità dell'azione a provocare l'evento morte per il mezzo usato e per la zona del corpo verso la quale il colpo era stato diretto, non vi era stata nell'imputato la volontà di provocarlo, avuto riguardo alla ricostruzione dei fatti successivi all'aggressione, descritta da tre testi, e alla volontaria desistenza da parte dell'imputato dal portare a compimento la sua azione. Poiché gli atti compiuti avevano concretizzato solo il reato di lesioni personali, per il quale era stata pronunciata condanna da parte del primo Giudice, il reato commesso l'1 agosto 2002 era da ritenere estinto per il decorso del termine prescrizionale, e in tal senso era riformata la sentenza del Tribunale. 3. Avverso la sentenza d'appello ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica di Catania, che ne chiede l'annullamento sulla base di due motivi. 3.1. Con il primo motivo il ricorrente deduce inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 56, commi 1 e 3, cod. pen. con riferimento all'art. 575 cod. pen Secondo il ricorrente, non sussiste incompatibilità tra il requisito della non equivocità degli atti e lo stato di dubbio proprio del dolo eventuale, poiché, anche alla luce dei principi fissati da questa Corte tra le altre con la sentenza a sezioni unite 18 giugno 1983, Basile , se, come nella specie, l'agente ha colpito violentemente al capo con un tubo di ferro zincato la parte offesa, che ha perso i sensi ed è caduta per terra, anche in mancanza di prova di volontà omicida per mancanza di idoneo movente, è da ritenere certa la prova inequivoca che l'azione è stata posta in essere con la consapevolezza da parte dell'imputato del pericolo di un esito anche letale della ferita, e quindi del rischio del verificarsi di un evento prevedibile e potenzialmente consequenziale, attingendo tale circostanza la soglia del dolo eventualmente rivolto all'omicidio. 3.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce contraddittorietà della motivazione con riferimento alla rilevata desistenza volontaria dall'azione delittuosa. La Corte, ad avviso del ricorrente, ha contraddittoriamente ritenuto applicabile l'art. 56, comma 3, cod. pen., poiché non è ipotizzabile una desistenza volontaria rispetto a una condotta già esaurita, rappresentata dall'azione dell'imputato di colpire alla testa la persona offesa con un'arma impropria accettando e correndo volontariamente il rischio che ne derivasse la morte, impedita dall'intervento di terzi che hanno bloccato il compimento da parte dello stesso di ulteriori atti lesivi e hanno soccorso la vittima. 4. All'udienza odierna, all'esito della discussione, nel corso della quale le parti hanno assunto le conclusioni riportate in epigrafe, si è data lettura, dopo la deliberazione, del dispositivo riportato in calce alla presente sentenza. Considerato in diritto 1. Il ricorso è manifestamente infondato in ogni sua deduzione. 2. Quanto al primo motivo, che attiene alla denunciata inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 56 e 575 cod. pen., non meritano accoglimento i rilievi formulati dal Procuratore ricorrente, attinenti, nel contesto della non condivisa sussistenza - ritenuta nel giudizio di merito - degli estremi del meno grave delitto di lesioni personali aggravate, invece di quelli del tentato omicidio, alla connotazione dell'elemento soggettivo del secondo. 3. Questa Corte ha ripetutamente affermato che, al fine della qualificazione del fatto quale reato di lesione personale o quale reato di tentato omicidio, si deve aver riguardo al diverso atteggiamento psicologico dell'agente e alla diversa potenzialità dell'azione lesiva. Se nel primo reato la carica offensiva dell'azione si esaurisce nell'evento prodotto, nel secondo vi è un quid pluris che tende ed è idoneo a causare un evento più grave di quello realizzato in danno dello stesso bene giuridico o di uno superiore, riguardante lo stesso soggetto passivo, che non si realizza per ragioni estranee alla volontà dell'agente tra le altre, Sez. 1, n. 37516 del 22/09/2010, dep. 20/10/2010, Bisotti Rv. 248550 Sez. 1, n. 35174 del 23/06/2009, dep. 11/09/2009, M., Rv. 245204 Sez. 1, n. 1950 del 20/05/1987, dep. 15/02/1988, Incamicia, Rv. 177610 . 3.1. Con riferimento particolare all'elemento psicologico del dolo riguardo al reato di tentato omicidio, questa Corte, con orientamento costante, ha affermato che la figura di reato prevista dall'art. 56 cod. pen., che ha come suo presupposto il compimento di atti finalizzati diretti in modo non equivoco alla commissione di un delitto, non ricomprende quelle condotte rispetto alle quali un evento delittuoso si prospetta come accadimento possibile o probabile non preso in diretta considerazione dall'agente, che accetta il rischio del suo verificarsi c.d. dolo eventuale tra le altre, Sez. 1, n. 25114 del 31/03/2010, dep. 02/07/2010, Vismara, Rv. 247707 Sez. 1, n. 44995 del 14/11/2007, dep. 04/12/2007, Strimaitis e altro, Rv. 238705 Sez. 1, n. 5849 del 18/01/2006, dep. 15/02/2006, Taddei, Rv. 234069 Sez. 1, n. 4710 del 24/10/1994, dep. 30/11/1994. Moratti, Rv. 199777 Sez. 1, n. 336 del 12/11/1990, dep. 15/01/1991, Rie. Cellentani e altro, Rv. 186152 Sez. 1 n. 671 del 23/10/1989, dep. 18/01/1990, Ditto, Rv. 183095 , ricomprendendo invece gli atti rispetto ai quali l'evento specificamente richiesto per la realizzazione della fattispecie delittuosa di riferimento si pone come inequivoco epilogo della direzione della condotta, accettato dall'agente che prevede e vuole, con scelta sostanzialmente equipollente, l'uno o l'altro degli eventi causalmente ricollegabili alla sua condotta cosciente e volontaria c.d. dolo diretto alternativo , o specificamente voluto come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale o perseguito come scopo finale c.d. dolo diretto intenzionale tra le altre, Sez. 1, n. 12594 del 29/01/2008, dep. 27/03/2008, Li e altri, Rv. 240275 Sez. 6, n. 1367 del 26/10/2006, dep. 19/01/2007, Biscotti, Rv. 235789 Sez. 6, n. 8745 del 01/06/2000, dep. 02/08/2000, P.G. in proc. Spitella e altro, Rv. 217559 Sez. 1, n. 10431 del 30/10/1997, dep. 17/11/1997, Angelini, Rv. 208932 Sez. 1, n. 3277 del 29/01/1996, dep. 29/03/1996 Giannette e altro Rv. 204188 Sez. U, n. 748 del 12/10/1993, dep. 25/01/1994, Cassata, Rv. 195804 . Il problema del tentativo è, pertanto, soprattutto un problema di prova e di inequivocità del fatto, tanto più quando, in presenza di una condotta che già costituisce reato consumato lesioni, resistenza , alla cui realizzazione si è arrestata l'azione, si intenda dimostrare che l'agente voleva anche altro la morte . 4. Di tali principi, che il collegio condivide e riafferma, è stata fatta nella specie esatta interpretazione e corretta applicazione. 4.1. La Corte di merito ha, infatti, da un lato evidenziato con richiami non incongrui ai dati fattuali esaminati, ampiamente richiamati in sentenza, che l'azione dell'imputato era astrattamente idonea a provocare l'evento morte per il mezzo usato e per la zona corporea attinta, e, dall'altro, ha rimarcato la non univoca desumibilità dagli atti compiuti dall'imputato, specificamente descritti con indicazione delle fonti di prova, del volontario perseguimento da parte del medesimo dell'evento morte in danno del B. . Nel suo percorso argomentativo la Corte, che ha richiamato quanto ritenuto dal primo Giudice, che aveva sottolineato il carattere oggettivo della univocità degli atti, intesa come attitudine a delineare l'intento criminoso non traibile dalle intenzioni dell'agente anche espressamente formulate, e la incompatibilità strutturale della idea del tentativo con il dolo eventuale, ha, in particolare, contestualizzato la condotta dell'imputato, che ha descritto nel suo evolversi come riferita da tre testi oculari e nel suo esaurimento nell'unico colpo inferto alla testa della persona offesa, ricavando l'apprezzamento finale, con ragionamento probatorio logico e corretto, della insussistenza in concreto nell'imputato dell'animus necandi e del perseguimento da parte dello stesso del solo intento di aggredire la persona offesa e procurarle lesioni, fermandosi dinanzi alle stesse. 5. A fronte di tale motivazione, corretta in diritto e coerente a corretti criteri di metodo e a ragionevoli profili di logica e congruità argomentativa, il ricorrente svolge censure, che, riproponendo la tesi della sussistenza degli elementi del tentato omicidio, fondano le ragioni di critica della decisione, che le ha disattese, sulla ritenuta compatibilità tra dolo eventuale e delitto tentato, deducendo che non è inconciliabile il requisito della non equivocità degli atti con lo stato di dubbio e che è inequivoca la prova che, nella specie, l'imputato abbia colpito nella consapevolezza, per la parte del corpo attinta e ferita, che sussistesse il pericolo di un esito anche letale della ferita . 5.1. La tesi del ricorrente, espressa in dichiarata condivisione di risalente principio di diritto affermato da questa Corte a sezioni unite Sez. u, n. 6309 del 18 giugno 1983, dep. 08/07/1983, Basile, Rv. 159825 , non considera, tuttavia, né si confronta con la giurisprudenza di questa Corte richiamata sub 3.1. , costantemente riaffermata sin dagli inizi del 1990 e sostanzialmente costante, che ha chiarito, in contrasto con i contrari antecedenti arresti giurisprudenziali, riproposti in questa sede con le obiezioni del ricorrente, che, in tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale non è configurabile nel caso di delitto tentato, poiché, quando l'evento voluto non sia comunque realizzato e quindi manchi la possibilità del collegamento a un atteggiamento volitivo diverso dall'intenzionalità diretta, la valutazione del dolo deve avere luogo esclusivamente sulla base dell'effettivo volere dell'autore, ossia della volontà univocamente orientata alla consumazione del reato, senza possibilità di fruizione di gradate accettazioni del rischio, consentite soltanto in caso di evento materialmente verificatosi. 5.2. Ne deriva la palese infondatezza del motivo, che, nella prospettata diversa lettura delle emergenze processuali e nella rappresentata alternativa analisi degli elementi costitutivi del ritenuto reato, introduce anche non deducibili, e come tali inammissibili, digressioni in valutazioni di merito. 6. La evidente infondatezza del secondo motivo, che riguarda la dichiarata responsabilità dell'imputato, che ha desistito dal portare a compimento la sua azione, solo per gli atti compiuti concretizzanti il reato di lesioni personali, è consequenziale alla insussistenza, fondatamente non ravvisata, dell'elemento soggettivo del reato di tentato omicidio, in rapporto al quale soltanto potrebbe discutersi di desistenza ai sensi dell'art. 56 comma 3, cod. pen 7. Il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Non sussistono i presupposti per la condanna dell'imputato al rimborso delle spese in favore della parte civile, che ha depositato comparsa conclusionale, essendo rimasta confermata la decisione di proscioglimento del medesimo per estinzione per prescrizione del reato di lesioni, resa all'esito del giudizio di appello, con conseguente soccombenza della parte civile. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.