Omessa distanza di sicurezza? Il motociclista è colpevole

In tema di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale, è penalmente responsabile il motociclista che non mantenga la prescritta distanza di sicurezza dal veicolo che lo precede, adeguata a conservare il controllo del proprio motoveicolo e a compiere tutte le manovre di emergenza necessarie ad evitare l’impatto con la vittima del sinistro.

Né può ritenersi esclusa la sussistenza del nesso causale, ove ricorrano particolari modalità di attraversamento della strada dal parte del pedone investito, dovute alla presenza – in capo a quest’ultimo – di un deficit cognitivo che gli impedisce di deambulare correttamente. Lo ha stabilito la quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 47041, depositata il 5 dicembre 2012. Il caso. La pronuncia in esame trae origine dall’investimento di un pedone, affetto da problemi di deambulazione, posto in essere da un motociclista che seguiva un veicolo posto a breve distanza. Nello specifico, il ricorrente non era riuscito ad evitare l’impatto con la vittima in quanto – a suo dire – ostacolato dal repentino scatto a sinistra, effettuato dal veicolo che precedeva, a sua volta compiuto al fine di scongiurare la collisione con il predetto pedone. La condotta del veicolo che precede Come è noto, in linea generale, l'obbligo di mantenere ladistanzadisicurezza, di cui all'art. 149, d.lgs. n. 285/1992 c.d. codice della strada , è finalizzato ad evitare tamponamenti ed urti con altre parti degli altri veicoli, e non ad evitare gli ostacoli che si possono improvvisamente parare davanti all'automobilista durante la guida, alla cui prevenzione invece sono dettate le regole cautelari riguardanti la velocità e l'attenzione alla presenza di eventuali ostacoli, sempre possibili lungo i tragitti stradali. Ne consegue che la responsabilità penale del conducente del veicolo non sussiste, ove sia ravvisabile l'intervento di fattori anomali, eccezionali ed atipici che interrompano il legame di imputazione del fatto alla sua condotta colposa, sì da relegarlo a mera occasione. Per contro, l'utente della strada, nel caso di infortunio subito da un terzo, potrebbe andare esente da responsabilità solo ove provi che la sua condotta fu immune da qualsiasi addebito, sia sotto il profilo della colpa specifica, che della colpa generica. In tal caso, la condotta predetta si presenterebbe infatti quale semplice occasione dell'evento. A questo proposito, occorre specificare che le cause sopravvenute, idonee ad escludere il rapporto di causalità, non sono solo quelle che innescano un percorso causale completamente autonomo da quello determinato dall'agente, bensì anche quei fatti sopravvenuti che realizzano una linea di sviluppo del tutto anomala e imprevedibile della condotta antecedente. non esclude la responsabilità per omessa distanza di sicurezza. La peculiarità della sentenza in esame consiste nell’aver individuato la responsabilità del conducente del veicolo, sulla base del fatto che eventi straordinari ed imprevedibili, tali da esonerare da colpa per mancata osservanza delladistanzadisicurezza,non possono individuarsi nella manovra repentina del veicolo che precede. Pertanto, secondo l’orientamento seguito dalla quarta Sezione della Suprema Corte, all'obbligo di osservare ladistanzadisicurezzanon può corrispondere alcun specifico dovere di comportamento a carico di chi precede, la cui improvvisa manovra, persino se effettuata senza preoccuparsi di chi segue, non può essere causa di responsabilità, sia pure a titolo di concorso di colpa, ove sia determinata da necessità della circolazione e, comunque, da cause non volute dal conducente. La norma, che fa obbligo al conducente di un veicolo che segue di mantenere unadistanzadisicurezzadal veicolo che precede, ha infatti lo scopo di ovviare a tutte le eventualità di pericolo che possano delinearsi durante il normale flusso della circolazione. Risulterebbe pertanto essere ormai superato il precedente orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui, nel caso di collisione col veicolo che precede o con terzi infortunati, a causa del cambiamento di direzione senza la tempestiva segnalazione, l'evento non è posto senz'altro a carico del conducente che segue per l'inosservanza da parte sua delladistanzadisicurezza, ma il giudice è tenuto a valutare il comportamento del conducente del primo veicolo. Dunque, secondo tale diverso arresto giurisprudenziale, se da un lato non può mettersi in dubbio che l'automobilista che segue altro veicolo deve conservare una adeguatadistanzadisicurezzadal secondo, non può però negarsi che il conducente di quest'ultimo, ove versi in stato di improvvisa e imprevista necessità di rallentare o sospendere la marcia, deve portarsi sul margine destro, in modo da non costituire intralcio o pericolo per la circolazione e sempre previa tempestiva segnalazione con i prescritti indicatori di direzione e luci di arresto pertanto verificandosi un sinistro stradale, bene è affermato il concorso di colpa del conducente del veicolo che precede, che non si attenga a tali cautele.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 25 settembre - 5 dicembre 2012, n. 47041 Presidente Marzano – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. C.A. veniva condannato dal Tribunale di Bergamo alla pena di mesi otto di reclusione, previa concessione delle attenuanti generiche con giudizio di prevalenza sulla contestata aggravante, per aver cagionato il decesso di B.O.L. , investendo il medesimo mentre attraversava a piedi la strada percorsa dalla gente, a bordo di un motoveicolo. La Corte di Appello di Brescia confermava la condanna dell'imputato riformando la sentenza di primo grado unicamente quanto alla pena, che riduceva a mesi quattro di reclusione e convertiva nella corrispondente pena pecuniaria, riducendo altresì il periodo di sospensione della patente di guida a mesi sei. 2. Secondo l'accertamento condotto nei gradi di merito, l'imputato percorreva la via OMISSIS nel comune di OMISSIS a bordo del proprio motociclo, quando giunto all'altezza del civico 26 investiva il pedone B. che stava attraversando la strada. Sulla scorta di alcune dichiarazioni testimoniali e dell'accertamento tecnico condotto dal perito nominato dal giudice, il Tribunale di Bergamo aveva ritenuto che l'imputato non avesse subito limitazioni della visuale a causa di autovetture che lo precedevano e che quindi, mantenendo una velocità intorno ai 40 km/h, avesse investito il pedone per non aver prestato la necessaria attenzione. La Corte d'Appello, per contro, assumeva anche l'ipotesi prospettata dalla difesa con il sostegno di una consulenza tecnica, secondo la quale il motoveicolo condotto dall'imputato nell'occasione era stato preceduto da altro veicolo, il cui scarto verso sinistra per evitare l'impatto con il pedone, aveva condotto all'investimento da parte del motociclista. La Corte distrettuale, valutata altamente probabile questa seconda ipotesi sulla scorta dei dati testimoniali che indicavano come intensamente trafficata la strada al momento del sinistro, riteneva che ciò nondimeno non potesse essere esclusa la responsabilità dell'imputato in quanto egli non aveva mantenuto una distanza dal veicolo che lo precedeva, adeguata a conservare il controllo del proprio motoveicolo e a compiere tutte le manovre necessarie per la sicurezza, ove richiesto. Ad avviso della Corte territoriale, il motociclista si era avvicinato troppo al veicolo postogli innanzi e quindi non era stato in grado di reagire alla situazione determinata dall'attraversamento del pedone. Anche nella diversa ipotesi in cui non vi fosse stato alcun veicolo dinanzi al motociclista, si sarebbe dovuto concludere per la responsabilità dell'imputato, atteso che egli, avendo avuto il tempo per accorgersi del pedone e dei suoi movimenti, avrebbe potuto arrestare la marcia prima dell'impatto, a meno di non essere concentrato soltanto sul veicolo che lo precedeva. Nella ricostruzione che il giudice di seconde cure privilegiava trovava collocazione anche il movimento inconsulto del pedone, riferito dal'imputato, per il quale il B. si muoveva come fosse ubriaco o come se barcollasse. La vittima, infatti, trascinava una gamba a seguito di ictus subito nell'anno 2000 andatura che per la Corte di Appello era perfettamente compatibile con quanto riferito dall'imputato ma tale circostanza non incideva sulla responsabilità dell'imputato. 3. Ricorre per cassazione l'imputato, a mezzo del difensore di fiducia avvocato Domenico Pepe. 3.1. Con un primo motivo di ricorso si deduce l'inosservanza o l'erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 192 e 533 cod. proc. pen Si rileva che la sentenza impugnata ha posto a fondamento del giudizio di colpevolezza dell'imputato l'elaborato eseguito dal perito nominato dal Tribunale, ritenuto inattendibile dall'esponente. Sarebbero state quindi necessarie prove testimoniali dirette, nel caso manchevoli, non essendo sufficiente neppure la consulenza tecnica svolta dalla difesa, in quanto entrambi gli elaborati tecnici forniscono soltanto una presunta ricostruzione dei fatti, inidonea a fondare un giudizio di condanna oltre ogni ragionevole dubbio. Peraltro la Corte avrebbe trascurato la testimonianza di tale Cu. e parzialmente valutato la documentazione medica sulle condizioni di salute della vittima. Dalla prima emerge che al momento del sinistro vi era una situazione di traffico intenso che sul lato destro della strada era presente un cespuglio che ostacolava la visibilità soprattutto ai motociclisti che vi era scarsa visibilità a causa del tramonto. Dalla seconda emerge che la vittima era affetta da un deficit cognitivo, che la Corte ha omesso di considerare come causa dei movimenti riferiti dall'imputato. 3.2. Con un secondo motivo si deduce la violazione delle norme sostanziali in tema di nesso causale, perché l'imputato non avrebbe violato alcuna regola cautelare, tanto che la Corte ha dovuto parlare di una presunta distrazione del motociclista. Partendo dalla premessa che un motociclista non si può distrarre, poiché così facendo rischierebbe danni alla propria persona e al motoveicolo, il ricorrente sostiene che l'unica spiegazione plausibile di quanto accaduto è l'insorgenza di un fattore eccezionale, che indica più o meno esplicitamente nelle modalità di attraversamento della strada da parte del B. , al quale andrebbe ricondotto in via esclusiva la determinazione del sinistro. Sotto altro ma contiguo profilo, l'esponente rileva che la Corte distrettuale non ha indicato quale comportamento alternativo lecito avrebbe dovuto tenere il C. , in grado di evitare l'evento. 3.3. Con un terzo motivo si deduce la mancanza o manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, laddove ha ritenuto la violazione dell'art. 140 C.d.S. sulla base di ricostruzioni tecniche dell'accaduto che l'esponente giudica inattendibili e in contrasto con quanto emergente dalla testimonianza del Cu. e dalla documentazione medica sopra menzionata. Considerato in diritto 4. Il ricorso è manifestamente infondato e pertanto non merita accoglimento. 4.1. La censura mossa alla sentenza impugnata, di aver fatto perno sulle conclusioni di una perizia che l'esponente giudica inattendibile e di essere quindi insufficiente la prova posta a base della condanna, sembra trascurare il fatto che la Corte di Appello, dopo che a pg. 4 ha esposto le tesi formulate, quanto alla dinamica del sinistro, tanto dal consulente tecnico della difesa che dal perito dell'ufficio che a pg, da 6 a 9 ha richiamato le critiche mosse con l'atto di appello alla perizia, da pg. 11 svolge una motivazione che, preso atto che la perizia e la sentenza di primo grado rifiutano - perché giudicata non compiutamente dimostrata - la circostanza posta dalla difesa a base della propria diversa ricostruzione, ovvero che il C. fosse preceduto da un veicolo e quindi non avesse la visuale completamente libera nell'approssimarsi al punto in cui era il pedone, adotta la prospettazione difensiva e perviene ancora una volta ad un giudizio di responsabilità dell'imputato, procedendo ad una nuova puntualizzazione degli assunti del consulente della difesa che non le appaiono condivisibili. Pur di fronte ad un così serrato e puntuale argomentare, peraltro immune da manifeste illogicità, il ricorrente si limita alla generica asserzione dell'avvenuta violazione dell'obbligo di rigorosa valutazione della prova, lamentando la rilevanza accordata dal giudice di merito alla perizia. 4.2. Peraltro, diversamente da quanto asserito dal ricorrente, la Corte di Appello ha tenuto conto della dichiarazione del C. circa l'intensità del traffico e le condizioni che non permettevano di avere una buona visibilità. Come si è già ricordato, la Corte distrettuale ha fatto proprio il dato testimoniale che indicava come intensamente trafficata la strada al momento del sinistro, ed ha comunque individuato un profilo di colpa dell'imputato, che avrebbe dovuto mantenere una distanza dal veicolo che lo precedeva adeguata a conservare il controllo del proprio motoveicolo e a compiere tutte le manovre necessarie per la sicurezza, ove richiesto. Per contro, a giudizio della Corte territoriale dai dati acquisiti al giudizio, il motociclista si era avvicinato troppo al veicolo postogli innanzi e quindi non era stato in grado di reagire alla situazione determinata dall'attraversamento del pedone. Quanto alle condizioni di salute del B. , esse pure sono state valutate dalla Corte di Appello, venendo poste in relazione a quanto riferito dallo stesso imputato. E la sentenza prende apertamente posizione in ordine alla evocata circostanza di un deficit cognitivo del B. , possibile causa di movimenti inconsulti nell'attraversamento della strada, evidenziando che nelle parole dello stesso imputato tale movimento inconsulto era consistito in un muoversi del B. come fosse ubriaco, poi ancora definito barcollante”. Ben diversamente da quanto evocato dall'esponente. Pertanto, escluso che la sentenza impugnata presenti quella impostazione e quelle omissioni lamentate dal ricorrente, emerge che il motivo si compendia nella prospettazione di una ricostruzione alternativa dell'accadimento, che pone alla base del sinistro l'imprevedibilità dei movimenti eseguiti dalla vittima nell'attraversare la strada, imprevedibilità dovuta al deficit cognitivo che lo caratterizzava. Tale prospettazione, tuttavia, è inammissibile in sede di legittimità, ove sono rilevabili esclusivamente i vizi di motivazione che incidano sui requisiti minimi di esistenza e di logicità del discorso argomentativo svolto nel provvedimento e non sul contenuto della decisione. In particolare questa Corte ha da tempo chiarito che il controllo di legittimità sulla motivazione è diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento degli indizi di colpevolezza e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici . Restano pertanto escluse da tale controllo sia l'interpretazione e la consistenza degli indizi sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente Incompatibili con altri passaggi argomentativi. Ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti né su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente Cass. Sez. 1, Sentenza n. 41110 del 24/10/2011, Pg in proc. Javad, Rv. 251507 . Con riferimento, poi, alla dedotta violazione del principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, occorre ricordare che il compito della Corte di cassazione è in tal caso limitato alla presa d'atto di quanto accertato dal giudice di merito e alla valutazione se appaia logicamente motivato nella sentenza il raggiungimento dello standard probatorio sopra ricordato. Non si può, invero, trascurare che la selezione e la valutazione delle prove spetta in via esclusiva al giudice del merito, anche perché non c'è nessuna prova che abbia un significato isolato, slegato o disancorato dal contesto in cui è inserita e solo quel giudice può apprezzarne la valenza attraverso la valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio. Anche dopo le modificazioni introdotte dalla L. n. 46 del 2006, all'art. 606 cod. proc. pen., la Corte di legittimità non può esaminare i singoli atti in modo separato ed atomistico, restando pur sempre il giudizio di cassazione un giudizio di sindacato sulla tenuta della motivazione, cui è preclusa la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma deduzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito perché ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa Cass. Sez. 4, Sentenza n. 30862 del 17/06/2011, Giulianelli e altri, Rv. 250903 . 4.3. Anche il motivo concernente la violazione degli articoli da 40 a 43 cod. pen. risulta manifestamente infondato. Si assume che la Corte di Appello non abbia fornito alcuna diversa logica ricostruttiva sui comportamenti che il ricorrente avrebbe dovuto o potuto tenere per evitare l'investimento del pedone . Per contro, la motivazione si dilunga nella individuazione della condotta doverosa, colta nel mantenere una adeguata distanza di sicurezza dal veicolo che precedeva, e sulla efficienza causale della sua violazione cfr. pg. 12 e 13 della sentenza impugnata . 4.4. Il terzo motivo di ricorso è parimenti manifestamente infondato. Esso si compendia nell'asserzione dell'assenza di violazioni al codice della strada da parte del C. , richiamando al riguardo le dichiarazioni del Cu. che tuttavia, a tutto concedere, attengono alla velocità mantenuta dal C. , laddove la Corte di Appello ha individuato come decisiva la mancata osservanza dell'obbligo di tenere una distanza di sicurezza con il veicolo che precede. È in rapporto a tale comportamento trasgressivo che la Corte distrettuale ha evocato anche il mancato rispetto dell'obbligo di tenere una condotta di guida che consenta di conservare il controllo del proprio veicolo e di compiere eventuali manovre di emergenza. 5. Segue, a norma dell'articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di Euro 1000,00 mille/00 a titolo di sanzione pecuniaria. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.