L’imputato risarcisce ma chiede a sua volta il risarcimento? Niente declaratoria di proscioglimento

Nei reati che esauriscono tutta la loro carica di disvalore nel procurare un danno alla persona offesa senza che residuino margini di offensività c.d. danno criminale , il risarcimento del danno costituisce condotta sufficiente al fine di ottenere la declaratoria di estinzione del reato ai sensi dell’art. 35, comma 1, D.Lgs. 274/2000, salvo il concorrere di specifiche circostanze che impongano la verifica suddetta.

Una di queste può essere rappresentata dalla costituzione di parte civile della persona offesa già risarcita dalla compagnia di assicurazione dell’imputato, la quale chieda ulteriore ristoro nel processo penale o dalla instaurazione di un procedimento civile per il risarcimento del proprio danno da parte dell’imputato. E se la parte danneggiata e risarcita non è soddisfatta? Con sentenza del Giudice di pace di Carrara l’imputato veniva condannato per il reato di lesioni colpose commesse in violazione di norme del codice della strada art. 590, comma 3, c.p. nonché al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile. Sentenza che veniva, altresì, confermata dal Tribunale di Massa che rigettava l’appello dallo stesso proposto. L’imputato proponeva ricorso per cassazione eccependo sostanzialmente che il danno procurato era stato integralmente risarcito alla persona offesa da parte della propria compagnia di assicurazione, e ciononostante, questa si era costituita parte civile allo scopo di ottenere il risarcimento del danno nella misura eccedente la somma percepita da parte dell’assicurazione senza avere qualificato, però, l’ulteriore danno. Quando la richiesta di essere ristorati preclude l’estinzione del reato . Secondo l’imputato, ingiustamente, i giudici di merito avevano negato, nel caso di specie, la ricorrenza della ipotesi di cui all’art. 35 comma 1 c.p.p., che prevede la dichiarazione di estinzione del reato a seguito di condotta riparatoria, per avere lo stesso intentato causa civile per il risarcimento del proprio danno, dimostrando così di non avere risolto la situazione di conflitto sottostante. Fondava la propria argomentazione il ricorrente, eccependo che il beneficio di cui alla norma richiamata non può essere condizionato ad una ammissione di responsabilità e conseguente rinuncia ad ogni azione civile diretta al ristoro dei danni subiti. Niente estinzione se c’è costituzione di parte civile . Con la pronuncia in oggetto, tuttavia, la Corte di Cassazione, dichiarando infondato il ricorso, ha affermato che la ratio dell’art. 35, D.lgs. 274/2000 è quella di definire rapidamente ed in maniera indolore il procedimento penale nei casi in cui l’imputato abbia proceduto al risarcimento del danno cagionato dal reato. Nel caso di specie, invece, la Corte ha ritenuto che il risarcimento, operato dalla compagnia di assicurazioni, non è stato all’evidenza satisfattivo, essendosi la persona offesa costituita parte civile nel procedimento penale ed avendo la stessa chiesto ed ottenuto ulteriore risarcimento, con la conseguenza che è venuto meno il principio che sta alla base della norma sopra indicata, ossia quello per cui il risarcimento offerto sortisca l’effetto definitorio introdotto dalla norma. D’altra parte, la Corte ha evidenziato che l’imputato, con una condotta contraria a quella della propria compagnia di assicurazioni, la quale nella qualità di responsabile solidale ha risarcito il danno pur non sollecitato dall’imputato stesso, ha, altresì, avanzato azione civile, qualificandosi a sua volta quale danneggiato, così ponendosi in una posizione certamente contraria al disposto dell’art. 35 citato. Tali condotte, dunque, secondo gli ermellini, sono incompatibili con quella che è l’unica condotta coerente con la previsione legislativa, ovvero quella di volere definire conclusivamente e definitivamente il conflitto attraverso il risarcimento del danno. Siffatta scelta, così come disciplinata dalla norma, deve essere, seria e non contraddittoria e, quindi, idonea ad ottenere una effettiva deflazione giudiziaria.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 4 ottobre - 5 dicembre 2012, n. 47051 Presidente Marzano – Relatore Grasso Ritenuto in fatto 1. Il Giudice di Pace di Carrara, con sentenza 13/12/2010, dichiarato L.M. colpevole del reato di cui all'art. 590, comma 3, cod. pen., condannò il medesimo alla pena reputata di giustizia, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile. 1.1. Il Tribunale di Massa, con sentenza del 12/7/2011, rigettò l'appello dell'imputato. 2. Quest'ultimo proponeva un primo ricorso per cassazione a firma dell'avv. Carlo Giovanni Lattanzi del Foro di Massa e Carrara. 2.1. Con n primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, nonché mancanza o manifesta illogicità della motivazione. In sintesi, il L. premetteva che il danno cagionato con la commissione del reato era stato integralmente risarcito a B.S. , coinvolto nell'incidente stradale occorso, dalla società che assicurava il rischio da responsabilità civile che, nonostante ciò, quest'ultimo si era costituito parte civile allo scopo di ottenere il risarcimento del danno nella misura eccedente la somma percepita dall'assicurazione”, senza, tuttavia aver mai proceduto a quantificare l'ulteriore danno che il B. , costituitosi nella causa civile intentagli contro dal L. , non aveva assunto l'insufficienza del risarcimento ricevuto. I giudici di merito avevano negato il ricorrere dell'ipotesi di cui all'art. 35 del d. lgs. di cui detto assumendo che la volontà di perseverare nel contenzioso dimostrata dall'imputato, il quale aveva intentato causa civile, non aveva fatto venire meno la situazione conflittuale e, quindi, lo scopo deflativo della norma, dimostrando, ad un tempo, la mancanza di qualsivoglia resipiscenza in capo al L. dovendosi, inoltre, considerare che il risarcimento offerto dall'assicurazione non potevasi considerare soddisfattivo, stante che con l'azione civilistica intrapresa, in realtà, era il L. che aveva richiesto il ristoro dei danni. Assume, per contro, il ricorrente a che in sede civile non aveva chiesto rimborso di sorta al convenuto b l'invocato istituto privilegia ragioni di effettività e funzionalità del processo rispetto a quelle di tutela giuridica degli interessi offesi” c all'imputato era stata ingiustamente negata la possibilità di accedere alla formula estintiva del reato, quando ancora la quantificazione del danno non si era avuta, non essendo stata espletata consulenza in sede civile d l'emenda avrebbe dovuto trarsi dalla natura colposa del reato, dalla giovane età e dall'incensuratezza dell'imputato. 2.2. Con il secondo motivo viene denunziata l'inammissibilità della costituzione di parte civile, poiché la p.o. non aveva dimostrato di avere un interesse concreto da far valere, in quanto già risarcita. 3. Sempre nell'interesse dell'imputato veniva depositato un ulteriore ricorso a firma dell'avv. Massimo Ceresa-Gastaldo del Foro di Genova. 3.1. £on il primo motivo viene nuovamente denunziata erronea applicazione del citato art. 35. Gli argomenti svolti coincidono largamente con quanto già dedotto nel primo ricorso. Appare opportuno soggiungere, per completezza, che con il ricorso qui in esame in special modo si contesta l'interpretazione secondo la quale l'imputato, per potere godere della formula estintiva, debba ammettere la propria responsabilità e rinunciare, pertanto, ad ogni azione civile, peraltro diretta al ristoro dei danni subiti e non già a negare il risarcimento ottenuto dalla controparte. L'istituto in parola viene interpretato in ricorso sì come deflativo, ma, tuttavia, alternativo alla mancata conciliazione. Il giudizio di congruità, poi, non può non tener conto del fatto, che nel caso in esame non emergeva alcun danno criminale al quale porre rimedio restando, inoltre, soddisfatte le componenti afflittive-preventive dell'istituto pur in presenza di un adempimento non personale dell'imputato”. La sentenza censurata aveva omesso di vagliare la congruità della somma versata Euro. 7.150,00 , a fronte di lesioni personali che avevano visto certificare un breve periodo di malattia sette giorni e preteso erroneamente che il risarcimento dovesse essere accompagnato dall'ammissione di responsabilità e dall'abbandono della causa civile nonché imposto il soddisfacimento di insussistenti esigenze di riprovazione del reato e di prevenzione. 3.2. Con il successivo motivo viene denunziata violazione di legge, avendo il giudice utilizzato elementi conoscitivi provenienti dal procedimento conciliativo che, viene riferito, aveva avuto esito negativo in quanto il L. non aveva inteso riconoscere la propria responsabilità , così violando il comma 4 dell'art. 29 del d.lgs. n. 274/2000. 3.3. Con il terzo motivo la sentenza gravata viene censurata per difetto di motivazione a riguardo della condanna al risarcimento del danno, sia sotto il profilo dell'an, che del quantum. Considerato in diritto 4. Il ricorso, siccome integrato dai motivi aggiunti successivamente depositati con tardiva ulteriore impugnazione, deve essere disatteso in quanto infondato. 4.1. La prima censura, pur partendo da argomentazioni almeno in parte ragionevoli, non coglie nel segno. Non par dubbio che lo scopo della norma di cui al comma 1 dell'art. 35 del D. Lgs. n. 274/2000 sia quello di definire rapidamente e in maniera indolore il processo penale nei casi in cui l'imputato abbia proceduto al tempestivo risarcimento del danno cagionato dal reato. Non è, del pari, seriamente dubitabile che nei reati che esauriscono la loro carica di disvalore nel procurare un danno alla persona offesa, senza che residuino margini di offensività c.d. danno criminale a vittima indistinta e l'esigenza di riprovazione sociale proprio in relazione a quest'ultima la Corte - Sez. V, 26/2/2009, n. 12736 -, ha censurato statuizione che non aveva misurato la congruità del ristoro , il risarcimento in parola costituisca condotta sufficiente al fine di ottenere la declaratoria d'estinzione del reato in tal senso, fra le tante, Sez. IV, 16/12/2009, n. 1831 , non essendo necessario, salvo il concorrere di specifiche circostanze che impongano la detta verifica, ulteriori accertamenti al fine di giungere alla conclusione che l'imputato, adempiendo al proprio obbligo risarcitorio abbia, ad un tempo, dimostrato concreto ravvedimento. Nel caso in esame, tuttavia, in primo luogo, e ciò solo basta, il risarcimento peraltro operato dalla compagnia assicuratrice è risultato non soddisfattivo, in quanto la P.O. si è costituita P.C. chiedendo ed ottenendo ulteriore ristoro e, quindi, non essendo rimasto adempiuto il precipuo precetto di legge, il L. non poteva ambire alla formula di proscioglimento invocata. Pur vero che il danneggiato non è arbitro di stabilire il quantum del ristoro, tuttavia, poiché sul punto non risulta svolta censura in appello devesi concludere per l'intangibilità della statuizione. Inoltre, la condotta dell'imputato, il quale, in contrasto con la compagnia assicuratrice che ne assicurava il rischio da circolazione, lungi dal provvedere a risarcire il danno qui il risarcimento operato dal debitore solidale ope legis, appare non sollecitato e piuttosto subito , tosto che procedere al ristoro dei danni procuratori, avvalendosi della decisione dell'assicurazione, ha avanzato azione civile, con la quale, qualificatosi danneggiato, ha chiesto di essere risarcito, a sua volta, dalla P.O., non può affatto ritenersi abbia integrato quanto disposto dal citato art. 35. Trattasi, in definitiva di un comportamento incompatibile con l'unica condotta coerente con la disposizione legislativa che l'imputato definisca effettivamente e conclusivamente il conflitto, risarcendo il danno. Ovviamente, ciò non colora d'Improprie sfumature moralistiche l'istituto, ma impone scelta seria e non contraddittoria, idonea ad ottenere un'effettiva deflazione giudiziaria, proprio al fine di privilegiare quelle ragioni di affettività e funzionalità nel processo”, alle quali ha fatto riferimento il ricorrente. Assumere, infine, che il danno doveva reputarsi risarcito, nel senso che s'è chiarito sopra, sol perché in sede civile l'imputato non aveva chiesto rimborso di sorta al convenuto la P.O. , è privo di concludenza proprio l'esercizio di quell'azione dimostrava che il risarcimento offerto dall'assicurazione, peraltro giudicato non congruo, non aveva sortito l'effetto definitorio voluto dalla norma senza contare, per completezza, che nessun rimborso avrebbe avuto legittimazione a chiedere il L. , stante che l'esborso risarcitorio era stato affrontato dalla sola assicurazione. 4.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato. La costituzione di parte civile era pienamente ammissibile per la basilare ragione che il risarcimento era stato considerato non integrale. Né, com'è ovvio, una tale valutazione, che attiene alla prospettazione della domanda, può essere sindacata, essendo cosa diversa che la pretesa venga trovata fondata come, peraltro avvenuto, nel caso in esame o meno dal giudice. 4.3. Con il primo motivo aggiunto di cui al ricorso a firma dell'avv. Massimo Ceresa-Gastaldo vengono enucleati più profili di doglianza, posti, in definitiva, ad integrazione del primo motivo del ricorso principale si assume che la sentenza di merito aveva erroneamente non valorizzato le finalità deflative perseguite dall'art. 35, poste in alternativa alla mancata conciliazione e non considerato che le finalità dell'istituto restavano soddisfatte anche in presenza di un adempimento non personale da parte dell'imputato senza, inoltre, considerare che non era residuato alcun danno criminale da ristorare. Anche i detti profili di critica trovano risposta in quel che prima si è affermato nel caso concreto non si poteva dirsi verificato quell'effetto deflativo, alla cui essenzialità fa riferimento lo stesso ricorrente, né la constatazione dell'assenza di un ulteriore danno criminale da risarcire appare influente sul ragionamento. Con il medesimo motivo la sentenza viene censurata per avere omesso di vagliare la congruità della somma versata. Quest'ultima prospettazione deve essere disattesa in quanto inammissibilmente introduce tardivamente trattandosi di punto della decisione non toccato dal ricorso principale - Cass., Sez. I, 10/7/1995, n. 9546 - nel giudizio di legittimità motivo, peraltro, non proposto in appello. 4.4. Il successivo motivo risulta del pari inammissibile in quanto omette di specificare quale sia stata l'influenza dei pretesi elementi conoscitivi che il giudice avrebbe ricavato dal procedimento conciliativo non andato a buon fine. 4.5. L'ultimo motivo è anch'esso inammissibile in quanto propone censura mossa tardivamente e per la prima volta in sede di legittimità, come sub. P.4.3., in fine, esplicitato. 5. L'epilogo impone la condanna del ricorrente alle spese processuali e al rimborso delle spese legali della P.C., stimate congrue, di cui in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio, che liquida in Euro 1.400,00, oltre I.V.A. e C.P.A. nelle misure di legge, e spese nella misura di Euro 200,00.